Un nuovo studio, che utilizza l’apprendimento automatico, ha rivelato che la crescita dei buchi neri supermassicci nelle galassie richiede gas freddo oltre alle fusioni, sfidando le ipotesi precedenti e migliorando la nostra comprensione dell’evoluzione delle galassie.
I buchi neri supermassicci: giganti dormienti che si risvegliano.
Quando sono attivi, i buchi neri supermassicci svolgono un ruolo cruciale nel modo in cui si evolvono le galassie. Fino ad ora, si è pensato che la crescita fosse innescata dalla violenta collisione di due galassie seguita dalla loro fusione, tuttavia, una nuova ricerca condotta dall’Università di Bath ha suggerito che le fusioni tra galassie da sole non sono sufficienti ad alimentare un buco nero. Per spiegare la crescita di essi, è necessario un secondo ingrediente: un serbatoio di gas freddo a livello planetario situato al centro della galassia ospite.
Il nuovo studio, pubblicato sulla rivista Monthly Notice della Royal Astronomical Society, è stato il primo a utilizzare l’apprendimento automatico per classificare le fusioni galattiche con l’obiettivo specifico di esplorare la relazione tra le stesse, l’accrescimento di buchi neri supermassicci e la formazione stellare. Finora le fusioni sono state classificate (spesso erroneamente) esclusivamente attraverso l’osservazione umana.
Mathilda Avirett-Mackenzie, dottoranda presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Los Angeles Università di Bath e prima autrice del documento di ricerca, ha dichiarato: “Quando gli esseri umani cercano fusioni tra galassie, non sempre sanno cosa stanno guardando e usano molta intuizione per decidere se è avvenuta davvero. Addestrando una macchina a classificarle, si ottiene una lettura molto più veritiera di ciò che stanno effettivamente facendo le galassie”.
La ricerca è frutto di una collaborazione tra i partner di BiD4BEST (Big Data Applications for Black Hole Evolution Studies), la cui rete innovativa fornisce formazione di dottorato sulla formazione dei buchi neri supermassicci.
I buchi neri supermassicci sono una componente fondamentale delle galassie (per dare un senso di scala, la Via Lattea, con circa 200 miliardi di stelle, è solo una galassia di medie dimensioni), al centro di essa si trova un buco nero chiamato Sagittarius A*, che ha una massa di circa 4 milioni di volte quella del Sole.
Per gran parte della loro esistenza, i buchi neri supermassicci sono quiescenti, rimangono in uno stato di calma, con la materia che orbita intorno, e hanno un impatto minimo sulla galassia nel suo complesso. Tuttavia, per brevi periodi della loro esistenza (brevi solo in termini astronomici, con una durata di milioni o centinaia di milioni di anni), essi sfruttano la loro forza gravitazionale per attirare grandi quantità di gas verso di sé. Questo fenomeno, noto come accrescimento, genera un disco luminoso talmente intenso da poter eclissare l’intera galassia.
Sono queste brevi fasi di attività ad essere più importanti per l’evoluzione delle galassie, poiché le enormi quantità di energia rilasciata attraverso l’accrescimento possono influenzare il modo in cui le stelle si formano nelle stesse. Per una buona ragione, quindi, stabilire cosa provoca il movimento di una galassia tra i suoi due stati – quiescente e formazione stellare – è una delle più grandi sfide dell’astrofisica.
Buchi neri, ispezione umana vs Machine Learning.
Per decenni, i modelli teorici hanno suggerito che i buchi neri crescono quando le galassie si fondono. Tuttavia, gli astrofisici che studiano da molti anni la connessione tra fusioni di galassie e crescita dei buchi neri hanno sfidato questi modelli con una semplice domanda: come possiamo identificare in modo affidabile le fusioni di galassie?
L’ispezione visiva è stato il metodo più comunemente utilizzato. I classificatori umani – esperti o membri del pubblico – hanno osservato le galassie e hanno identificato elevate asimmetrie o lunghe code di marea (regioni sottili e allungate di stelle e gas interstellare che si estendono nello spazio), entrambe associate alle fusioni delle stesse. Tuttavia, questo metodo di osservazione è dispendioso in termini di tempo e inaffidabile, poiché è facile per gli esseri umani commettere errori nelle loro classificazioni. Di conseguenza, gli studi sulle fusioni spesso forniscono risultati contraddittori.
Nel nuovo studio condotto da Bath, i ricercatori si sono posti la sfida di migliorare il modo in cui vengono classificate le fusioni studiando la connessione tra la crescita dei buchi neri e l’evoluzione delle galassie attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale.
L’IA illumina i segreti dei buchi neri.
Gli scienziati hanno addestrato una rete neurale su fusioni di galassie simulate, quindi hanno applicato questo modello a quelle finora osservate nel cosmo.
In questo modo, sono stati in grado di identificare le fusioni senza pregiudizi umani e studiare la connessione tra fusioni di galassie e crescita dei buchi neri. Hanno anche dimostrato che la rete neurale supera i classificatori umani nell’identificarle.
Applicando questa nuova metodologia, i ricercatori sono stati in grado di dimostrare che le fusioni non sono fortemente associate alla crescita dei buchi neri. Le firme delle stesse sono ugualmente comuni nelle galassie con e senza buchi neri supermassicci in accrescimento.
Utilizzando un campione estremamente ampio di circa 8.000 sistemi di buchi neri in accrescimento – che ha permesso al team di studiare la questione in modo molto più dettagliato – si è scoperto che le fusioni portano alla crescita dei buchi neri solo in un tipo molto specifico di galassie, ovvero quelle contenenti quantità significative di gas freddo.
Questo ha dimostrato che le fusioni tra galassie da sole non sono sufficienti ad alimentare i buchi neri: devono essere presenti anche grandi quantità di gas freddo per consentire al buco nero di crescere.
Avirett-Mackenzie ha affermato: “Affinché le galassie possano formare stelle, devono contenere nubi di gas freddo in grado di collassare in stelle. Processi altamente energetici come l’accrescimento di un buco nero supermassiccio riscaldano questo gas, rendendolo troppo energetico per collassare o espellendolo fuori dalla galassia”.
La dottoressa Carolin Villforth, docente senior presso il Dipartimento di Fisica e supervisore della signora Avirett-Mackenzie a Bath, ha concluso: “Fino ad ora le fusioni sono state studiate allo stesso modo, attraverso la classificazione visiva. Con questo metodo, utilizzando classificatori esperti in grado di individuare caratteristiche più sottili, siamo riusciti a osservare solo un paio di centinaia di galassie, non di più. L’utilizzo dell’apprendimento automatico ha aperto un campo completamente nuovo e molto entusiasmante in cui è possibile analizzare migliaia di galassie alla volta”.