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L’ex direttore della B. Popolare: “Nell’86 Ciancimino e Dell’Utri mi chiesero 20 miliardi”.
di Silvia Cordella - 23 ottobre 2010.
“Dell’Utri mi disse: ‘Abbiamo problemi al Nord con il sistema bancario’ e ‘con l’amico Ciancimino’ volevamo ‘sentire cosa si può ottenere dalle piccole banche siciliane’.
Così inizia l’intervista, pubblicata oggi su ‘Il Fatto Quotidiano’, a Giovanni Scilabra l’ex direttore generale della Banca Popolare di Palermo che nel 1986 si attivò, dopo una richiesta avanzata da Vito Ciancimino al conte Arturo Cassina, azionista di quell’istituto di credito, per fornire a Marcello Dell’Utri un finanziamento multimiliardario a favore delle aziende di Silvio Berlusconi.
Questa volta a parlare dei rapporti fra l’ex Sindaco di Palermo e le imprese di Berlusconi non è Massimo Ciancimino ma un manager settantaduenne, oramai in pensione che rievoca: “Nel 1985 era stata inaugurata la nuova sede della Banca Popolare di Palermo di fianco al Teatro Massimo, ricordo che l’incontro avvenne in quella sede”.
I tempi sono quelli della metà degli anni ’80, Vito Ciancimino era stato appena arrestato da Giovanni Falcone e un provvedimento del Tribunale di Palermo lo aveva costretto all’obbligo di soggiorno a Rotello, un piccolo comune del Molise.
Nonostante le misure restrittive, l’ex sindaco trovava sempre il modo di tornare in città e con la scusa di incontrarsi con i suoi legali si vedeva con Bernardo Provenzano. Fu probabilmente durante una di quelle trasferte che andò a trovare il direttore della Popolare di Palermo, Giovanni Scilabra per richiedere un prestito per Dell’Utri.
“Nei primi mesi del 1986 - racconta oggi Scilabra - il Cavaliere Arturo Cassina, mi disse: ‘Dottore Scilabra, vengo sollecitato da Vito Ciancimino per un finanziamento a un grande gruppo del Nord. Io vorrei che lei lo riceva e ascolti le sue richieste’. Dopo alcuni giorni - afferma l’ex manager - Vito Ciancimino è venuto insieme al signor Marcello Dell'Utri. Mentre Ciancimino lo conoscevo bene, era stato già assessore e sindaco, Dell’Utri per me era uno sconosciuto. Per accreditarsi mi disse che era palermitano, aggiunse che aveva un fratello gemello. Poi entrò nel vivo. Veniva a chiedere un finanziamento per il Cavaliere Berlusconi”.
La somma era di 20 miliardi di vecchie lire, una cifra enorme per quei tempi. “Dell’Utri mi disse: ‘Abbiamo problemi al Nord con il sistema bancario e allora abbiamo tentato con l’amico Ciancimino di sentire cosa si può ottenere dalle piccole banche siciliane’.
Così, continua Scilabra, “Marcello Dell'Utri disse che il gruppo Fininvest avrebbe ripagato con gli interessi l'operazione. Voleva restituire tutto dopo 3 anni, in un’unica soluzione.
Solo gli interessi sarebbero stati pagati durante i 36 mesi”. “Non capii – ammette l’ex direttore della banca - se dovevano servire per la Edilnord, per la Fininvest o per la Standa”.
“Comunque il gruppo Fininvest allora era indebitato per migliaia di miliardi”.
Così l’ex manager prima di esporsi decise di chiedere consiglio a tutti i direttori generali più anziani delle altre banche popolari della Regione.
“Contattai Francesco Garsia, direttore della Banca Popolare di Augusta, il barone Carlo La Lumia e il direttore Giuseppe Di Fede della Banca di Canicattì, l’avvocato Gaetano Trigilia della Banca di Siracusa, il barone Gangitano della Banca dell’Agricoltura, sempre di Canicattì e Francesco Romano della Popolare di Carini”.
All’epoca “erano le banche più rappresentative della Sicilia, con tanti sportelli e attivi congrui”.
Dopo un consulto con ognuno di loro il giudizio però fu negativo, l’operazione era troppo rischiosa per le loro piccole banche e “la centrale rischi bancari indicava per il Gruppo Berlusconi un’esposizione per migliaia di miliardi di lire”, “avremmo rischiato di perdere tutti i soldi”, ammette l’alto funzionario.
Inutile dire che Vito Ciancimino ci rimase “molto male”. Secondo Scilabra anche lui si sarebbe ritagliato una fetta per la mediazione, come di sua consuetudine.
La sfuriata di don Vito “fu sgradevole ” racconta l’ex dirigente. “Mi disse che eravamo una bancarella, che eravamo tirchi, che avevamo fatto male e che dovevamo dare questi soldi a Berlusconi, un grosso imprenditore che avrebbe pagato congrui interessi”.
L’ex Sindaco in effetti non amava essere contrastato. D’altra parte è grazie a lui che il conte Cassina, (personaggio influente in città probabilmente per via della sua appartenenza all’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro), poteva contare su una pluridecennale gestione della manutenzione di strade e fogne.
Lecito pensare dunque che Don Vito fosse irritato da quel diniego, per il quale gli era stata sottratta soprattutto l’opportunità di concludere un affare.
Delusioni di don Vito a parte, con le dichiarazioni di Scilabra si aggiungono ulteriori indizi alla natura dei rapporti fra l’ex Sindaco di Palermo e l’entourage del Gruppo Berlusconi.
Così, mentre l’avvocato del Premier, Nicolò Ghedini, si appresta a smentire nuovamente tali relazioni “mai avvenute” sia a livello “diretto” che “indiretto”, l’ex direttore generale della Banca Popolare di Palermo, sempre nella sua intervista, offre il suo personalissimo parere e una riflessione finale: “Per me al 99 per cento Massimo Ciancimino dice la verità. Sono stufo delle bugie. Per capire l’Italia di oggi bisogna partire dalle storie come quella di Cassina e per costruire un Paese migliore bisogna cominciare a raccontare tutta la verità”.
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