venerdì 11 febbraio 2011

Pochi ricavi ma supervalutate c'è una nuova bolla per il web?


Prendendo spunto da Twitter desiderata da Facebook e Google, il Wall Street Journal analizza la congiuntura dell'economia digitale. Troppe aziende con valutazioni monstre ma che incassano ancora troppo poco. Con tutti i rischi del casodi MAURO MUNAFO'

C'È UNA nuova bolla speculativa dietro l'angolo per il web? A chiederselo è il Wall Street Journal 1, che mette assieme alcuni degli ultimi numeri legati all'economia digitale: Huffington Post venduto ad Aol per 315 milioni di dollari, Facebook valutato 50 miliardi dall'investimento di Goldman Sachs e Twitter il cui valore è adesso stimato tra gli 8 e i 10 miliardi. Nello stesso articolo in cui si sottolinea il mai sopito interesse di Google e Facebook per acquisire proprio Twitter 2, il giornale finanziario ritorna su un argomento ormai all'ordine del giorno nei blog di settore e nelle riviste specializzate: la paura per una nuova bolla speculativa.

Dopo l'entusiasmo degli anni '90 e la delusione del 2000, con il crollo dell'indice Nasdaq e l'esplosione della prima bolla delle "dot.com", negli ultimi tempi la fiducia verso le società tecnologiche è cresciuta e anche gli investimenti, almeno in Silicon Valley, hanno iniziato a farsi consistenti. Aziende nate negli ultimi anni, con pochi dipendenti, un'enorme base di utenti ma con ricavi ancora ridotti o del tutto assenti, stanno animando il mercato a colpi di valutazioni miliardarie e offerte di acquisto a dieci cifre. I dubbi che adesso sorgono sono però legati al reale valore di queste società, al di là delle proposte stellari di acquisizione.

Il barometro utilizzato dal Wsj è proprio Twitter. Il servizio di microblogging ha duecento milioni di utenti registrati, è conosciuto globalmente per il suo uso nelle recenti rivolte africane e asiatiche, ma alla voce entrate avrebbe fatto segnare nel 2010 solo 45 milioni di dollari per le pubblicità, anche a causa di forti investimenti in server e strumentazioni. Da fonti citate dalla stampa (non essendo Twitter una società quotata) sembrerebbe che nel 2011 il sito dell'uccellino blu conti di arrivare a poco più di 100 milioni di dollari di ricavi, appena un centesimo della sua valutazione più recente. Nell'ultimo giro di finanziamenti dei venture capitalist raccolti lo scorso dicembre, il sito era però stato valutato poco meno di 4 miliardi di dollari. Il suo "prezzo" sarebbe quindi più che raddoppiato in appena due mesi: un andamento non certo normale. Un discorso simile a quello di Twitter si può fare con l'Huffington Post, appena rilevato da Aol per 315 milioni di dollari, ma capace di generare in un anno non più di 30 milioni di dollari grazie alle pubblicità.

Se il valore di queste società non è nei loro ricavi attuali, allora è da cercarsi nei dati che possiedono sui loro utenti, soprattutto quando si parla di social network come Twitter, Facebook o LinkedIn (che ha annunciato il suo sbarco in borsa entro l'anno). Dati che valgono oro per il mercato pubblicitario su cui si regge gran parte dell'economia della rete. Alla luce dell'ultima valutazione, ogni utente su Twitter (vero o falso che sia) vale tra i 40 e i 50 dollari (a dicembre erano 21 dollari), contro i 100 dollari a persona di Facebook e i circa 30 dollari di LinkedIn stimati proprio sulla base del suo sbarco in borsa (qui il "listino" degli account dello scorso dicembre realizzato da Repubblica 3).

Le cifre che si possono ricavare dalle valutazioni dei venture capitalist e dai pochi dati finanziari diffusi dalle società cambiano ogni mese, anche a causa della natura privata di queste aziende. Se ai tempi della prima bolla tutte le dot.com andavano in borsa per ottenere finanziamenti, oggi preferiscono aspettare e il loro prezzo lo stabiliscono le contrattazioni sui cosiddetti "mercati secondari" in cui i dipendenti rivendono le loro azioni agli investitori più intraprendenti: siti come Sharespost.com o SecondMarket.com sono ormai da anni la vera borsa per il settore.

Resta però da capire chi potrebbe investire su una società che non genera utili e le cui azioni costano tanto. Il Wsj, citando fonti interne a Twitter, segnala la volontà del sito di microblogging di creare un business da cento miliardi di dollari. Una cifra al momento incredibile, a meno che nell'equazione non si inserisca un agente esterno: Google. Il motore di ricerca e dominatore del mercato pubblicitario online ha più volte cercato di mettere le mani su Twitter dopo i ripetuti fallimenti nel settore dei social network: Orkut conosciuto solo in Brasile, il flop di Buzz, l'acquisto del clone di Twitter, Jaiku, nel 2007 (poi chiuso nel 2009), l'acquisto di DodgeBall e la sua chiusura (che ha dato il via al successo di FourSquare). Il previsto rilancio nei social network per Google, con il progetto Google Me, potrebbe necessitare di una base di partenza solida come Twitter, l'unica grande società in vendita che permetterebbe di riconquistare terreno su Facebook. Diversi blog di settore e tweet di analisti caldeggiano proprio l'ipotesi che sia il gioco al rialzo tra Facebook e Google ad alimentare la bolla di questi mesi: e tra i due giganti che lottano, chi gode è il supervalutato Twitter.



Il tesoro delle Olgettine


Dozzine di collane di perle, bracciali di diamanti, ciondoli d'oro, Rolex e altri orologi con la scritta 'Per Silvio'. E tante buste piene di contanti. Dalle perquisizioni sono saltati fuori, uno per uno, tutti i 'regali' con cui il premier ricompensava le ragazze

(10 febbraio 2011)
Clicca sui nomi delle ragazze e leggi l'elenco completo degli oggetti sequestrati il 14 gennaio 2010

Iris Berardi
Imma e Eleonora De Vivo
Ioana Visan
Aris Espinosa
Barbara Faggioli
Barbara Guerra
Maria Esther Garcia Polanco
Elisa Toti

Mentre la crisi infuria, la disoccupazione aumenta, debiti e tasse continuano a salire e milioni di italiani fanno sempre più fatica ad arrivare a fine mese, un gruppo di super fortunate sguazza tra gioielli, buste di banconote da 500 euro, feste presidenziali, auto e case in regalo. Sono le ragazze di via Olgettina 65, il residence milanese delle "Papi girls": otto prorompenti fanciulle, per lo più stelline televisive, che secondo l'accusa erano le più fidate tra le tante bellezze pagate dal presidente del consiglio per partecipare a orgiastiche feste notturne nell'ormai famosa sala del "bunga-bunga" di Arcore.

Non sono indagate, ma sono state intercettate e perquisite perché rappresentano, per così dire, i "corpi del reato": prove viventi delle accuse di induzione e favoreggiamento della prostituzione, anche della minorenne Karima detta Ruby, contestate a Lele Mora, Emilio Fede e Nicole Minetti.

Nelle loro telefonate, le ragazze di via Olgettina hanno regalato alla storia dell'Italia berlusconiana frasi memorabili, come «io non lavoro ma guadagno tanto», «Papi è la nostra fonte di lucro», «il Presidente è il nostro futuro, la nostra garanzia»; proteste incresciose sui soldi versati da Silvio alle altre sexy-reginette di Arcore, come «stasera quella faccia di m... mi ha dato solo duemila euro»; e perfino compromettenti confronti economici con la minorenne marocchina diventata loro rivale: «Due a noi e a Ruby 60! Ma ti rendi conto? Ora diamo tutto a lei...».

Il 14 gennaio 2010
, mentre Silvio Berlusconi si vedeva notificare il suo primo atto d'accusa per i reati di concussione ai danni della questura e utilizzo di prostituzione minorile, la polizia ha perquisito le abitazioni delle otto ragazze mantenute dal premier in via Olgettina. Gli agenti cercavano i riscontri alle intercettazioni: gioielli, soldi (in particolare banconote da 500 euro), conferme scritte o fotografiche dei rapporti con Berlusconi.

Ecco i risultati delle perquisizioni, con un'avvertenza: i «tesori» qui elencati sono costituiti soltanto dai beni che erano in possesso delle ragazze nel giorno (e nel luogo) del controllo, per cui rappresentano solo una piccola parte del monte-premi totale intascato dalle "Papi girls".
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/il-tesoro-delle-olgettine/2144363

giovedì 10 febbraio 2011

Nuovo "scudo" premier: indagini e processi sospesi.




Il Pdl sta studiando un nuovo 'scudo giudiziario' per Silvio Berlusconi: lo stop ai processi con la riforma dell'articolo 68 della Costituzione. Non si tratta della semplice reintroduzione dell'immunità parlamentare prima della modifica seguita allo scandalo Tangentopoli. La nuova norma, contenuta in una proposta di legge depositata alla Camera il 2 febbraio scorso da 101 parlamentari del Pdl, crea, di fatto, un 'lodo' che sospende le indagini e i processi fino alla scadenza del mandato parlamentare.

Il progetto di legge è stato pensato da Peppino Calderisi (primo firmatario) e ed è sottoscritto, tra gli altri, da alcuni degli avvocati-deputati del Pdl come Enrico Costa, Manlio Contento, Nunzia De Girolamo e Maurizio Paniz (quest'ultimo si è distinto nell'aula della Camera per l'arringa sul caso Ruby quando fu votata la restituzione degli atti alla procura di Milano per «incompetenza»).

La proposta di legge si intitola «Modifiche alla parte seconda della Costituzione per assicurare la governabilità del Paese». La nuova norma 'scudo', con la reintroduzione dell'immunità parlamentare 'rafforzatà, è nascosta tra vari articoli che contengono la riduzione del numero dei parlamentari, corsie preferenziali per i disegni di legge del governo, fiducia o sfiducia al governo, istituzione del Capo dell'opposizione, competenze Stato e Regioni. Qui, in mezzo a tutto questo, all'articolo 2, arriva la modifica all'articolo 68. A ciò che è già previsto (autorizzazione della Camera di appartenenza per arresto, perquisizioni o intercettazioni su un parlamentare), si aggiungono le nuove previsioni: «L'autorità giudiziaria- recita il nuovo comma pensato dal Pdl- prima di sottoporre a procedimento penale un membro del Parlamento, ne dà comunicazione alla Camera di appartenenza. Entro il termine perentorio di novanta giorni dalla comunicazione, nel corso dei quali il procedimento è sospeso, la Camera decide se disporre, a garanzia della libertà della funzione parlamentare, la sospensione del procedimento per la durata del mandato».


LA FESTA E' FINITA. - di Giorgio Meletti.

Da Bruxelles le nuove regole sul debito pubblico. Una cura da cavallo per l'Italia che dovrà abbattere 900 miliardi di euro. Pagheranno i cittadini o faremo la fine della Grecia.

Quello che sta per accadere all'Italia è molto più grave di quello che la gente pensa, mentre ci si occupa degli scandali sessuali di Berlusconi. All'Unione Europea si sta per decidere una cura da cavallo per i conti pubblici dei 27 paesi membri, ma in particolare per quelli aderenti all'Euro. E tra i paesi messi peggio, fra quelli che dovranno subire le cose più severe, c'è l'Italia. Perché l'Italia ha il più alto debito pubblico tra i paesi europei. Un debito che si misura oggi al 120% del Pil; questo significa che per ogni Euro prodotto di ricchezza in un anno dagli italiani, gli stessi hanno 1,20 Euro di debito.
L'Europa vuole che il debito venga riportato a quello che è considerato il tetto fisiologico, cioè il 60% del Pil. Dal 120% al 60% il conto è presto fatto, bisogna ridurre il debito della metà, dimezzarlo, saldare 900 miliardi di Euro. Questo significa che probabilmente nei prossimi mesi il governo, quello attualmente in carica o il prossimo, dovrà imporre una manovra sui conti pubblici di proporzioni mai viste prima in Italia.
Si è parlato dell'ultima manovra fatta l'anno scorso da Tremonti da 25 miliardi. I conti sono stati fatti, ne ha parlato anche Il Fatto Quotidiano in un lungo e dettagliato articolo. E' pensabile che si arrivi ad una "cura" da 50 miliardi di Euro all'anno per un numero imprecisato di anni e questo significa che lo Stato dovrà tagliare ancora di più, se è possibile, la spesa pubblica e probabilmente andare a cercare denaro nelle tasche degli italiani, con un aumento della tassazione significativo.
Mettere le mani nelle tasche degli italiani può significare due cose: o un aumento della tassazione dei consumi e del reddito, di un aumento dell'Iva da una parte e un aumento dell'IRPEF che colpisce i consumi e i redditi, oppure c'è la strada della patrimoniale. Quest'ultima tassa i patrimoni: si va a vedere sostanzialmente il patrimonio che ogni famiglia detiene in immobili o in titoli. Il problema della patrimoniale è che, siccome alla fine si teme che il poi paghino sempre gli stessi, quelli che hanno il patrimonio visibile (come la casa di proprietà) si inneschino dei conflitti sociali molto forti.
In Europa è in corso una trattativa in cui però l'Italia non ha una posizione di forza. Dunque si può più o meno capire come andrà a finire: la Francia e la Germania, che sono in questo momento i due paesi forti dell'Unione Europea, detteranno queste regole, e chi non seguirà questo percorso forzato di rientro dal debito, non sarà sostenuto dal cosiddetto fondo salva-stati, quel fondo di garanzia comunitario che serve ad assistere, com'è già stato fatto con la Grecia nei mesi scorsi, il corso dei titoli pubblici emessi da un paese. Questo vuol dire che se l'Italia non applica questa cura drastica sui conti pubblici, imponendo sacrifici mai visti prima, il rischio che corre è di avere una crisi finanziaria tipo Grecia o in Portogallo.

LE ORIGINI DEL DEBITO ITALIANO. Il debito pubblico italiano è esploso negli anni 80. Ricordiamoci che nei parametri di Maastricht, quelli per entrare nell'Euro negli anni 90, fu fissato come testo all'indebitamento il 60% del Pil. L'Italia era già oltre il 100%. Ma nonostante tutto riuscì ad entrare nell'Euro grazie alla diplomazia diProdi e di Ciampi che riuscirono sostanzialmente a ottenere una deroga. Questa deroga fu ottenuta dando dimostrazioni di buona volontà. Negli anni del Governo Prodi dal 1996 al 1998 il Pil effettivamente scese parecchio. Il percorso continuò anche durante i due anni con Tommaso Padoa Schioppa. In questi ultimi due anni di governo Berlusconi, invece, il debito italiano è tornato a esplodere.
Quando siamo entrati nell'Euro, circa 10 anni fa, poco più, avevamo il debito pubblico che era sceso alle soglie del 100%. Adesso, all'improvviso, è balzato nuovamente al 120%. Quello che purtroppo si deve constatare è che da una parte non c'è stata severità sui conti pubblici, nonostante le dichiarazioni, e dall'altra parte bisogna considerare che il debito si misura rispetto al Pil. Ciò che costituisce per l'Italia un grave handicap è il fatto chel'economia non cresce e quindi in un'economia con un Pil che cresce molto meno degli altri paesi, questo debito si vede di più, è più pesante ed è un fardello sempre più difficilmente sostenibile.



Caso Ruby, allarme effrazioni all'ufficio gip di Milano.



Milano - (Adnkronos) - Nel giro di pochi mesi due porte di ingresso dei giudici per le indagini preliminari sono state 'manomesse'. Sottratto anche un pc. Il presidente aggiunto Castelli ha mandatoun e-mail a tutti invitandoli a prestare grande attenzione. Ruby, ipotesi ricorso a Strasburgo. Frattini: ''Violata privacy premier''. "Rito immediato per Berlusconi"(GUARDA): la decisione del gipnon prima di lunedì. Pdl contro i pm di Milano: ''Avanguardia rivoluzionaria'' Appello di 'Avvenire': intervengano i supremi garanti.Consulta: offensivo e denigratorio dire che la Corte non è imparziale.

Milano, 10 feb. (Adnkronos) - In pieno caso Ruby è allarme effrazioni all'ufficio gip del Tribunale di Milano. Nel giro di pochi mesi almeno due porte di ingresso dei giudici per le indagini preliminari sono state 'manomesse' e recano segni evidenti, all'altezza della serratura, di effrazioni. E' accaduto nell'estate alla presidente dei gip, Laura Manfrin, poi a Cristina Di Censo, il giudice del caso Ruby, e recentemente nell'ufficio di un terzo giudice.

Questo è bastato perché il presidente aggiunto dell'ufficio, Claudio Castelli, mandasse un e-mail a tutti i giudici invitandoli a prestare grande attenzione ai loro uffici dopo ''i fatti gravi'' registrati in pochi mesi e in un periodo in cui l'intero ufficio è esposto per ''l'evidente delicatezza dei procedimenti pendenti''. Tra le raccomandazioni fatte da Castelli ai colleghi vi è quella di chiudere in cassaforte i fascicoli più sensibili, non assentarsi mai dall'ufficio lasciando aperta la porta e non comunicare a nessuno la password di accesso del computer ma conservarla con la dovuta riservatezza.

L'ultimo episodio risale a martedì scorso 8 febbraio quando, alle 16.30, il giudice Federica Centonze ha rilevato una forzatura evidente della sua porta. Dai rilievi effettuati poco dopo le 20 dello stesso giorno è emerso che nessun fascicolo è stato asportato dall'ufficio. Ma anche ieri pomeriggio in servizio a palazzo di Giustizia hanno effettuato nuovi rilievi all'ufficio del giudice e alla porta a fianco, la stanza 41 bis.

Al settimo piano del palazzo di Giustizia il sistema di videosorveglianza era stato potenziato quest'estate dopo che l'ufficio del giudice Cristina di Censo, che ieri ha ricevuto dalla procura la richiesta di giudizio immediato per Berlusconi nell'ambito del caso Ruby, era stato trovato con la porta aperta e con alcuni fascicoli a terra.

Ora, dopo che è stata scoperta una nuova effrazione nell'ufficio della collega Centonze, il gup che si occupa del fallimento della società Corona's, il procedimento che vede indagati Fabrizio Corona e Lele Mora, sonoben quattro i carabinieri messi a presidio dell'ufficio del gip Di Censo.

E dopo l'allarme lanciato da Castelli emerge anche un episodio 'nuovo' anche se risale a fine ottobre scorso e i primi di novembre. In quell'occasione è stato sottratto il computer portatile del gip Chiara Valori, un computer del ministero della Giustizia in uso al giudice, da utilizzare soprattutto in udienza. Nessuna effrazione alla porta, in questo caso, anche perché non sempre il giudice la chiudeva in particolare quando doveva assentarsi per pochi minuti. Sul pc però, a quanto pare, non erano custoditi atti di particolare rilievo.




Blitz intercettazioni, ma Giorgio Napolitano chiude la porta.


Il premier: "Farò causa allo Stato, oggi vado al Quirinale". Il Colle: "Non previsto"

Il castello di Tor Crescenza

È una guerra totale, una controffensiva ad ampio raggio contro quella Procura di Milano che ancora una volta ieri lo ha chiamato alla sbarra con rito immediato. Come prima risposta alla magistratura, il Caimano oggi sarebbe voluto salire al Quirinale per fare un’indebita quanto feroce pressione sul capo dello Stato, nella sua veste di presidente del Csm, per ottenere il via libera su un decreto di stampo golpista sulle intercettazioni in modo da mettere un bavaglio definitivo ai giudici di Milano e di Roma definiti, con uno slogan degno dei tempi del terrorismo, “un’avanguardia politica rivoluzionaria”. Il Colle ha respinto il tentativo prima ancora che la richiesta ufficiale fosse formulata dalla Presidenza del Consiglio, lasciando Berlusconi senza la possibilità di compiere un colpo di mano.

Ma il Cavaliere è ben lontano dall’alzare bandiera bianca. Non è affatto detto, infatti, che l’ipotesi del decreto sulle intercettazioni non torni ad affacciarsi in un Consiglio dei ministri straordinario che potrebbe essere convocato a sorpresa, ma il messaggio del Colle non lascia adito a dubbi: se anche dovesse arrivare, Napolitano non lo firmerebbe. Però lui ci proverà comunque, perché ormai non ha più nulla da perdere.

La guerra ai giudici, comunque, adesso è stata ufficialmente dichiarata. In un consiglio di guerra convocato di fretta ieri dopo aver lanciato parole pesanti contro i pm di Milano, classificati “eversivi”, colpevoli di indagini “vergognose, uno schifo!”, che incardinano processi “farsa” tali da far venire voglia di “denunciare lo Stato”, Silvio Berlusconi ha anche pensato di denunciare i giudici di Milano in base all’articolo 289 del codice penale per attentato agli organi costituzionali. E quando Gianni Letta, tra le altre cose, gli ha fatto notare la gravità del gesto con annesse conseguenze, Silvio ha gelato tutti con una risposta secca: “Allora lo farò da privato cittadino; ci vogliono far cadere, dobbiamo reagire in ogni modo”.

Il blocco alle intercettazioni, il bavaglio alla magistratura, resta dunque all’apice dei suoi pensieri. E il perché risiede tutto nel terrore di Berlusconi che le tante, ormai troppe, ex arcorine in libera uscita possano essere intercettate ancora dai giudici svelando quant’altro possibile sul suo privato. Ma soprattutto, a turbare i sonni del Cavaliere ci sono quelle notizie che da giorni rimbalzano nei Palazzi della politica romana e che danno per imminente l’apertura di una nuova branca dell’inchiesta da parte della Procura di Roma relativa al periodo primavera-estate 2010, l’estate romana di Silvio, quando le mura di Palazzo Grazioli e i torrioni del castello romano di Tor Crescenza sono stati teatro di feste e cene con ospiti amici di sempre del Cavaliere, da Tarak Ben Ammar al direttore generale della Rai Masi passando per il direttore del Tg1 Augusto Minzolini; un’indagine molto temuta nel Pdl che con il tentato golpe del decreto intercettazioni ha inteso in qualche modo prevenire nuovi e più pesanti disastri.

Dal consiglio di guerra è uscito comunque un documento politico pesantissimo, dove i magistrati vengono definiti appunto “avanguardia politica rivoluzionaria in sfregio al popolo sovrano e ai tanti magistrati che ogni giorno servono lo Stato”. A giudizio del Cavaliere e dei suoi più stretti sodali, la decisione dei pm di Milano di chiedere il giudizio immediato denota disprezzo per il Parlamento e per le istituzioni democratiche”, fa venir meno i “contrappesi dei rapporti tra poteri dello Stato attraverso l’applicazione arbitraria dell’azione penale” nel segno di una “giurisprudenza creativa che ha dilatato a dismisura l’autonomia della magistratura”. Giudici comunque considerati alla stregua di un potere realmente eversivo, capace di “azioni spregiudicate” tali da mettere a repentaglio i principi della “stessa democrazia”: ‘No a un nuovo ’94’ è lo slogan finale del delirio.

Il delirio di B. è comunque appena agli inizi. Nel conclave bellico di Palazzo Grazioli si è anche pianificata la strategia per sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale superando il muro dell’ufficio di presidenza della Camera in cui il Pdl non ha la maggioranza e che respingerebbe la richiesta. Gli avvocati del premier hanno pensato di far presentare alla giunta per le elezioni il documento di richiesta da sottoporre all’aula, in modo di arrivare a un voto positivo entro una quindicina di giorni, anche tenendo conto dell’eventuale – anzi più che certa – contrarietà del presidente dalla Camera e quindi di un necessario passaggio della richiesta alla giunta per il regolamento. Un meccanismo molto farraginoso che, comunque, investirebbe rapidamente la Corte della decisione riguardo al conflitto e che, a detta degli uomini Pdl, servirebbe comunque a rallentare il processo. Ma non a fermarlo. Quello che attende Berlusconi nelle prossime settimane, comunque, è un vero campo minato: il 28 ripartirà il processoMediaset, il 5 marzo ci sarà una nuova udienza per Mediatrade ma, soprattutto, l’11 marzo ripartirà il processo Mills. E lui non ha più lo scudo del legittimo impedimento. La guerra che lui stesso ha dichiarato potrebbe vederlo presto vittima più che carnefice.



Blitz intercettazioni, ma Giorgio Napolitano chiude la porta.


Il premier: "Farò causa allo Stato, oggi vado al Quirinale". Il Colle: "Non previsto"

Il castello di Tor Crescenza

È una guerra totale, una controffensiva ad ampio raggio contro quella Procura di Milano che ancora una volta ieri lo ha chiamato alla sbarra con rito immediato. Come prima risposta alla magistratura, il Caimano oggi sarebbe voluto salire al Quirinale per fare un’indebita quanto feroce pressione sul capo dello Stato, nella sua veste di presidente del Csm, per ottenere il via libera su un decreto di stampo golpista sulle intercettazioni in modo da mettere un bavaglio definitivo ai giudici di Milano e di Roma definiti, con uno slogan degno dei tempi del terrorismo, “un’avanguardia politica rivoluzionaria”. Il Colle ha respinto il tentativo prima ancora che la richiesta ufficiale fosse formulata dalla Presidenza del Consiglio, lasciando Berlusconi senza la possibilità di compiere un colpo di mano.

Ma il Cavaliere è ben lontano dall’alzare bandiera bianca. Non è affatto detto, infatti, che l’ipotesi del decreto sulle intercettazioni non torni ad affacciarsi in un Consiglio dei ministri straordinario che potrebbe essere convocato a sorpresa, ma il messaggio del Colle non lascia adito a dubbi: se anche dovesse arrivare, Napolitano non lo firmerebbe. Però lui ci proverà comunque, perché ormai non ha più nulla da perdere.

La guerra ai giudici, comunque, adesso è stata ufficialmente dichiarata. In un consiglio di guerra convocato di fretta ieri dopo aver lanciato parole pesanti contro i pm di Milano, classificati “eversivi”, colpevoli di indagini “vergognose, uno schifo!”, che incardinano processi “farsa” tali da far venire voglia di “denunciare lo Stato”, Silvio Berlusconi ha anche pensato di denunciare i giudici di Milano in base all’articolo 289 del codice penale per attentato agli organi costituzionali. E quando Gianni Letta, tra le altre cose, gli ha fatto notare la gravità del gesto con annesse conseguenze, Silvio ha gelato tutti con una risposta secca: “Allora lo farò da privato cittadino; ci vogliono far cadere, dobbiamo reagire in ogni modo”.

Il blocco alle intercettazioni, il bavaglio alla magistratura, resta dunque all’apice dei suoi pensieri. E il perché risiede tutto nel terrore di Berlusconi che le tante, ormai troppe, ex arcorine in libera uscita possano essere intercettate ancora dai giudici svelando quant’altro possibile sul suo privato. Ma soprattutto, a turbare i sonni del Cavaliere ci sono quelle notizie che da giorni rimbalzano nei Palazzi della politica romana e che danno per imminente l’apertura di una nuova branca dell’inchiesta da parte della Procura di Roma relativa al periodo primavera-estate 2010, l’estate romana di Silvio, quando le mura di Palazzo Grazioli e i torrioni del castello romano di Tor Crescenza sono stati teatro di feste e cene con ospiti amici di sempre del Cavaliere, da Tarak Ben Ammar al direttore generale della Rai Masi passando per il direttore del Tg1 Augusto Minzolini; un’indagine molto temuta nel Pdl che con il tentato golpe del decreto intercettazioni ha inteso in qualche modo prevenire nuovi e più pesanti disastri.

Dal consiglio di guerra è uscito comunque un documento politico pesantissimo, dove i magistrati vengono definiti appunto “avanguardia politica rivoluzionaria in sfregio al popolo sovrano e ai tanti magistrati che ogni giorno servono lo Stato”. A giudizio del Cavaliere e dei suoi più stretti sodali, la decisione dei pm di Milano di chiedere il giudizio immediato denota disprezzo per il Parlamento e per le istituzioni democratiche”, fa venir meno i “contrappesi dei rapporti tra poteri dello Stato attraverso l’applicazione arbitraria dell’azione penale” nel segno di una “giurisprudenza creativa che ha dilatato a dismisura l’autonomia della magistratura”. Giudici comunque considerati alla stregua di un potere realmente eversivo, capace di “azioni spregiudicate” tali da mettere a repentaglio i principi della “stessa democrazia”: ‘No a un nuovo ’94’ è lo slogan finale del delirio.

Il delirio di B. è comunque appena agli inizi. Nel conclave bellico di Palazzo Grazioli si è anche pianificata la strategia per sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale superando il muro dell’ufficio di presidenza della Camera in cui il Pdl non ha la maggioranza e che respingerebbe la richiesta. Gli avvocati del premier hanno pensato di far presentare alla giunta per le elezioni il documento di richiesta da sottoporre all’aula, in modo di arrivare a un voto positivo entro una quindicina di giorni, anche tenendo conto dell’eventuale – anzi più che certa – contrarietà del presidente dalla Camera e quindi di un necessario passaggio della richiesta alla giunta per il regolamento. Un meccanismo molto farraginoso che, comunque, investirebbe rapidamente la Corte della decisione riguardo al conflitto e che, a detta degli uomini Pdl, servirebbe comunque a rallentare il processo. Ma non a fermarlo. Quello che attende Berlusconi nelle prossime settimane, comunque, è un vero campo minato: il 28 ripartirà il processoMediaset, il 5 marzo ci sarà una nuova udienza per Mediatrade ma, soprattutto, l’11 marzo ripartirà il processo Mills. E lui non ha più lo scudo del legittimo impedimento. La guerra che lui stesso ha dichiarato potrebbe vederlo presto vittima più che carnefice.