Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 30 aprile 2011
Guerra Romani-Prestigiacomo "Quella matta mi fa incazzare". - di VALERIO GUALERZI
Davanti a una platea di imprenditori brianzoli il ministro dello Sviluppo attacca la collega dell'Ambiente per i ritardi nel nuovo decreto sugli incentivi. "Vorrebbe l'autocertificazione, ma l'Italia non è tutta come la Lombardia"
ROMA - Le agenzie di stampa, dando conto ieri dell'ennesimo rinvio nell'approvazione del decreto sul quarto conto energia, parlavano eufemisticamente di "contrasti" tra il ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani e quello dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo. La realtà, come testimonia il video in esclusiva suRepubblica.it dell'intervento svolto da Romani a un convegno sulle "prospettive di sviluppo per le aziende brianzole" organizzato a Giussano dal mobilifico Tissettanta, è che tra i due membri del governo è in atto una battaglia feroce.
GUARDA IL VIDEO (esclusiva Repubblica.it) 1
Illustrando alla platea il motivo del contendere tra i due dicasteri, il titolare dello Sviluppo Economico non usa certo giri di parole per fotografare la situazione. "Se quella matta della Prestigiacomo non mi fa incazzare ancora oggi...Lo dico perché sono un po' arrabbiato, veramente, non ci ho dormito la notte...", afferma Romani alzando il tono della voce.
Il varo del quarto conto energia si è reso necessario nel marzo scorso, quando, a sorpresa, ad appena poche settimane dall'entrata in vigore del nuovo regime di incentivazione per il fotovoltaico, Romani ha fatto licenziare da Palazzo Chigi il decreto " ammazza rinnovabili 2" che ha rimesso tutto in discussione. Il vecchio sistema di aiuti all'energia solare cessa quindi di avere validità a fine maggio, mentre a stabilire le regole per il futuro dovrebbe essere appunto un nuovo provvedimento. Romani, seguito a ruota dalla Prestigiacomo, dopo una clamorosa ondata di proteste 3 e prese di posizione, aveva promesso quanto meno che i tempi sarebbero stati brevi per evitare di lasciare nell'incertezza un settore produttivo che calcolando anche l'indotto conta oggi su oltre 100 mila addetti. "Sarà pronto entro il 20 marzo", aveva garantito.
In realtà, ad oggi, il quarto conto energia è ancora nel cassetto e le bozze discusse sin qui continuano a suscitare critiche e disappunto da parte sia delle Regioni che delle associazioni di categoria. I motivi dei ritardi sono naturalmente molti e l'incentivazione delle energie rinnovabili non è certo una priorità di questo governo, ma ad un'ostilità di fondo si è aggiunta ora anche una profonda rottura tra i due ministri competenti.
A spiegare il motivo dello scontro è stato lo stesso Romani nel suo intervento al convegno di Tisettanta. Davanti alla prospettiva di riduzioni graduali nell'incentivazione del fotovoltaico, il ministero dello Sviluppo Economico pretende che il calcolo per il tipo di tariffa a cui si ha diritto venga calcolata in base alla data di allaccio alla rete. Di contro, spiega ancora Romani riferendosi alla Prestigiacomo, "qualche estremista vorrebbe che l'incentivo venisse fermato al momento in cui io mi autocertifico la conclusione dei lavori". "Mi stanno rompendo le palle", aggiunge poco dopo. Una posizione, quella del MSE, in teoria sensata, ma che non tiene conto del fatto che gli imprenditori onesti rischiano di vedere messo a repentaglio dai ritardi della burocrazia necessaria all'allaccio in rete anche un investimento fatto nei tempi giusti.
Un problema che evidentemente per Romani non esiste, mentre apparentemente la priorità è scongiurare le false dichiarazioni di fine lavori. "Dell'autocertificazione consentitemi di dubitarne, non in Lombardia per l'amor di Dio, ma in qualche altra parte d'Italia qualche dubbio sull'autocertificazione ce l'ho...", dice il ministro alla platea brianzola senza nascondere un certo razzismo verso il Mezzogiorno. Parole poco edificanti per un ministro della Repubblica, che assumomo un valore ancor più grave perché lasciano spazio a congetture sull'esistenza di qualche sospetto sulla posizione della Prestigiacomo visto che probabilmente tra le "altre parti d'Italia" accennate da Romani c'è proprio la Sicilia, terra d'origine e collegio elettorale della collega dell'Ambiente.
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Illustrando alla platea il motivo del contendere tra i due dicasteri, il titolare dello Sviluppo Economico non usa certo giri di parole per fotografare la situazione. "Se quella matta della Prestigiacomo non mi fa incazzare ancora oggi...Lo dico perché sono un po' arrabbiato, veramente, non ci ho dormito la notte...", afferma Romani alzando il tono della voce.
Il varo del quarto conto energia si è reso necessario nel marzo scorso, quando, a sorpresa, ad appena poche settimane dall'entrata in vigore del nuovo regime di incentivazione per il fotovoltaico, Romani ha fatto licenziare da Palazzo Chigi il decreto " ammazza rinnovabili 2" che ha rimesso tutto in discussione. Il vecchio sistema di aiuti all'energia solare cessa quindi di avere validità a fine maggio, mentre a stabilire le regole per il futuro dovrebbe essere appunto un nuovo provvedimento. Romani, seguito a ruota dalla Prestigiacomo, dopo una clamorosa ondata di proteste 3 e prese di posizione, aveva promesso quanto meno che i tempi sarebbero stati brevi per evitare di lasciare nell'incertezza un settore produttivo che calcolando anche l'indotto conta oggi su oltre 100 mila addetti. "Sarà pronto entro il 20 marzo", aveva garantito.
In realtà, ad oggi, il quarto conto energia è ancora nel cassetto e le bozze discusse sin qui continuano a suscitare critiche e disappunto da parte sia delle Regioni che delle associazioni di categoria. I motivi dei ritardi sono naturalmente molti e l'incentivazione delle energie rinnovabili non è certo una priorità di questo governo, ma ad un'ostilità di fondo si è aggiunta ora anche una profonda rottura tra i due ministri competenti.
A spiegare il motivo dello scontro è stato lo stesso Romani nel suo intervento al convegno di Tisettanta. Davanti alla prospettiva di riduzioni graduali nell'incentivazione del fotovoltaico, il ministero dello Sviluppo Economico pretende che il calcolo per il tipo di tariffa a cui si ha diritto venga calcolata in base alla data di allaccio alla rete. Di contro, spiega ancora Romani riferendosi alla Prestigiacomo, "qualche estremista vorrebbe che l'incentivo venisse fermato al momento in cui io mi autocertifico la conclusione dei lavori". "Mi stanno rompendo le palle", aggiunge poco dopo. Una posizione, quella del MSE, in teoria sensata, ma che non tiene conto del fatto che gli imprenditori onesti rischiano di vedere messo a repentaglio dai ritardi della burocrazia necessaria all'allaccio in rete anche un investimento fatto nei tempi giusti.
Un problema che evidentemente per Romani non esiste, mentre apparentemente la priorità è scongiurare le false dichiarazioni di fine lavori. "Dell'autocertificazione consentitemi di dubitarne, non in Lombardia per l'amor di Dio, ma in qualche altra parte d'Italia qualche dubbio sull'autocertificazione ce l'ho...", dice il ministro alla platea brianzola senza nascondere un certo razzismo verso il Mezzogiorno. Parole poco edificanti per un ministro della Repubblica, che assumomo un valore ancor più grave perché lasciano spazio a congetture sull'esistenza di qualche sospetto sulla posizione della Prestigiacomo visto che probabilmente tra le "altre parti d'Italia" accennate da Romani c'è proprio la Sicilia, terra d'origine e collegio elettorale della collega dell'Ambiente.
Galli, leghista e banchiere per caso a Parigi “Nessun problema”, ma la notizia sparisce. - di Vittorio Malagutti
Il presidente della provincia di Varese, ingegnere, siede nel cda della Financière Fideuram di Parigi. Lui ostenta sicurezza e non fornisce spiegazioni. Ma la banca non inserisce nella rassegna stampa per i dipendenti l'articolo del Fatto che racconta l'insolito incarico"
“E allora, qual è il problema?”, ribatteva il leghistaDario Galli quando il Fatto Quotidiano, due settimane fa, gli ha chiesto del suo incarico di amministratore della Financière Fideuram di Parigi. Già, qual è il problema se il presidente della provincia di Varese, ex deputato e poi senatore del partito di Bossi, si è visto assegnare una poltrona da banchiere all’estero e per di più da un grande gruppo come Intesa? Proprio lui, ingegnere e piccolo imprenditore senza nessuna esperienza specifica in campo bancario.
Qualche problema, però, ci deve essere se, come rivela un comunicato del sindacato Fisac Cgil,Banca Fideuram ha scelto di censurare l’articolo del Fatto Quotidiano nella rassegna stampa che ogni giorno viene diffusa tra i dipendenti dell’istituto milanese. Chissà, forse non era esattamente motivo d’orgoglio far sapere in giro che la banca si affida a un politico leghista mentre sbandiera merito e competenza come unici criteri per nomine ed incarichi. Galli, 53 anni, sostiene invece che l’incarico a Parigi gli serve per capire come vanno le cose nel mondo del credito. Insomma, sarebbe una specie di stage. Uno stage retribuito, però. In un anno l’inesperto banchiere riceve 10 mila euro per partecipare a sole quattro riunioni del consiglio di amministrazione, con tanto di viaggio pagato fino alla magnifica Place Vendome, dove ha sede Financiere Fideuram.
Insomma “i leghisti, legati al territorio, che aspirano alla secessione dall’Italia non disdegnano però una poltrona, addirittura in terra transalpina”, commenta il comunicato della Fisac. Galli, a dire il vero, ha conquistato un posto di prestigio anche in Italia. E questa volta la nomina è pubblica, perché il presidente della provincia di Varese fa parte del consiglio di amministrazione di Finmeccanica, il grande gruppo di Stato (quotato in Borsa) che produce aerei, armi, treni e sistemi di comunicazione. Lì però la scelta si spiega con la logica della lottizzazione partitica: incarico a un leghista, per di più espressione di un territorio dove Finmeccanica è presente con numerosi e importanti impianti. Quando il Fatto Quotidiano gli ha chiesto di raccontare come era arrivato ad accomodarsi al vertice della banca parigina, Galli è rimasto nel vago. “Non posso spiegare esattamente”, ha replicato. L’ex parlamentare è l’unico consigliere senza un’esperienza specifica in campo bancario. Gli altri quattro amministratori di Financiere Fideuram sono tutti funzionari del gruppo Intesa. Tocca a loro governare quella che a prima vista sembra una scatola gonfia di perdite. In bilancio ci sono oltre 70 milioni di passività legate agli esercizi 2007 e 2008, chiusi in profondo rosso. Insomma per Galli, banchiere per caso, c’è molto da fare. E da imparare.
Assenze e sms sbagliati E’ l’opposizione-stampella. - di Paola Zanca
Giovedì la maggioranza è stata salvata da Pd e Idv. Mentre sulla mozione per i tornado in Libia il caos è totale. Intanto Veltroni piccona i democratici. "Dopo le elezioni verifica interna"
Allarme sottovalutato. Il Pd, con il voto di giovedì sul Documento di economia e finanza, ha fatto come a Fukushima. Ha mandato ai suoi deputati un sms di “livello 1” e così, per venti voti, si è persa l’occasione di mandare sotto il governo su una materia seria come i conti pubblici.
I messaggini che i parlamentari democratici ricevono alla vigilia di ogni voto sono tarati su una scala che va da 1 a 3. Uno, “presenza obbligatoria”: se manchi non è una tragedia. Due, “presenza obbligatoria senza eccezioni”: solo i leader possono mantenere gli impegni presi. Tre, “presenza senza eccezione alcuna”: nemmeno Bersani, per intenderci, può sgarrare. Quell’sms è l’evoluzione tecnologica di un avviso che un tempo finiva a pagina 2 de l’Unità. Ma anche tra i partiti dell’opposizione che non hanno certificato l’allarme basso, le assenze sono state equamente distribuite. Diciassette democratici su 206, nove Udc su 39, due Idv – compreso Di Pietro – su 22, cinque finiani – Bocchino incluso – su 29. Benedetto Della Vedova, capogruppo di Fli, ammette senza troppe remore: “Fesso che sono, dovevo pensare che sono peggio di quanto uno pensi”. Ce l’ha con quelli della maggioranza, “blindati su processo breve e testamento biologico” e assenti sull’economia. Ma anche con se stesso, che ha “dato per scontato” che si sarebbero presentati “in modo tetragono” come il giorno prima. E sì che al Parlamento – schiacciato sui decreti e sui temi cari al premier – non capita poi così spesso di poter lavorare. “È vero – dice Della Vedova – Ma c’è la campagna elettorale, è un momento particolare”.
Lo sostiene anche il Pd, che tra gli assenti ha tre candidati (Fassino a Torino, Ceccuzzi a Livorno, Bobba a Vercelli) ma che, con l’sms di livello 1, ha sottovalutato il livello di guardia della maggioranza. Colpa delle prossime amministrative anche secondo l’Udc: “Ma è stato un errore – ammette Roberto Rao – e non lo ripeteremo. Comunque anche Di Pietro non c’era e nessuno lo ha accusato di fare la stampella”. Il leader dell’Italia dei Valori era assente al voto sul Def: “Era un voto come tanti altri, l’occasione sulla quale far cadere il governo è un’altra: sarà mercoledì quando si dovrà votare la mozione della pace proposta dall’Idv per la Libia”. Chi non la appoggerà, ecco il riferimento dell’Udc, farà “da stampella” al governo, da “ciambella di salvataggio” alla maggioranza. Se la rottura tra Lega e Pdl dovesse consumarsi definitivamente martedì, infatti, sarebbero le mozioni di Pd e Terzo Polo a tenere in piedi la linea dei bombardamenti sostenuta anche dal governo. “Noi facciamo da stampella al Paese in un momento di difficoltà”, dice ancora il centrista Rao. “Altro che stampella – gli fa eco il capogruppo Fli Della Vedova – il nostro è impegno serio”. E ricorda che la stampella, se vogliono chiamarla così, l’opposizione l’ha già fatta: in commissione, quando la Lega disertò, per poi far pace con il Pdl qualche giorno più tardi.
Anche stavolta, è convinto Della Vedova, “passato il fine settimana di campagna elettorale troveranno modo un po’ patetico di rimettersi insieme”. Eppure, due sere fa, è stato proprio il leghista Matteo Salvini a disegnare lo scenario descritto da Di Pietro: “Sarebbe paradossale che il partito democratico con un voto favorevole accorra in soccorso del governo”. “Ma la stampella sono loro! – dice il veltroniano Walter Verini – . Noi dovremmo avere la forza di spiegare la nostra posizione al Paese, che è quella dell’Onu, di Obama, di Napolitano. Qui si gioca l’immagine del partito: su questioni straordinariamente rilevanti come queste, il fatto che sia anche la posizione del governo, è solo un effetto collaterale”. La scelta di chiedere un voto parlamentare sulla Libia, nel Pd, è arrivata dopo lunghi tentennamenti. E ha creato malumori all’interno del partito. Proprio oggi, in un’intervista al Foglio, l’ex segretario Walter Veltroni ha detto che dopo le amministrative sarebbe “opportuno aprire una discussione” sulla linea Bersani. Molto meno polemici, ma comunque amareggiati, anche il gruppo di parlamentari pacifisti. Vincenzo Vita ha chiesto “un chiarimento: non può certo essere il Pd a rischiare di sorreggere il governo”. Anche Enrico Gasbarra dice che “dentro il Pd il tema della pace tema dovrebbe avere un po’ più di spazio”. “Pagheremo un prezzo – osserva Andrea Sarubbi – anche perchè il nostro elettorato è contrario alla guerra”. Veltroni un po’ meno, direbbe Bersani.
da Il Fatto Quotidiano del 30 aprile 2011
I messaggini che i parlamentari democratici ricevono alla vigilia di ogni voto sono tarati su una scala che va da 1 a 3. Uno, “presenza obbligatoria”: se manchi non è una tragedia. Due, “presenza obbligatoria senza eccezioni”: solo i leader possono mantenere gli impegni presi. Tre, “presenza senza eccezione alcuna”: nemmeno Bersani, per intenderci, può sgarrare. Quell’sms è l’evoluzione tecnologica di un avviso che un tempo finiva a pagina 2 de l’Unità. Ma anche tra i partiti dell’opposizione che non hanno certificato l’allarme basso, le assenze sono state equamente distribuite. Diciassette democratici su 206, nove Udc su 39, due Idv – compreso Di Pietro – su 22, cinque finiani – Bocchino incluso – su 29. Benedetto Della Vedova, capogruppo di Fli, ammette senza troppe remore: “Fesso che sono, dovevo pensare che sono peggio di quanto uno pensi”. Ce l’ha con quelli della maggioranza, “blindati su processo breve e testamento biologico” e assenti sull’economia. Ma anche con se stesso, che ha “dato per scontato” che si sarebbero presentati “in modo tetragono” come il giorno prima. E sì che al Parlamento – schiacciato sui decreti e sui temi cari al premier – non capita poi così spesso di poter lavorare. “È vero – dice Della Vedova – Ma c’è la campagna elettorale, è un momento particolare”.
Lo sostiene anche il Pd, che tra gli assenti ha tre candidati (Fassino a Torino, Ceccuzzi a Livorno, Bobba a Vercelli) ma che, con l’sms di livello 1, ha sottovalutato il livello di guardia della maggioranza. Colpa delle prossime amministrative anche secondo l’Udc: “Ma è stato un errore – ammette Roberto Rao – e non lo ripeteremo. Comunque anche Di Pietro non c’era e nessuno lo ha accusato di fare la stampella”. Il leader dell’Italia dei Valori era assente al voto sul Def: “Era un voto come tanti altri, l’occasione sulla quale far cadere il governo è un’altra: sarà mercoledì quando si dovrà votare la mozione della pace proposta dall’Idv per la Libia”. Chi non la appoggerà, ecco il riferimento dell’Udc, farà “da stampella” al governo, da “ciambella di salvataggio” alla maggioranza. Se la rottura tra Lega e Pdl dovesse consumarsi definitivamente martedì, infatti, sarebbero le mozioni di Pd e Terzo Polo a tenere in piedi la linea dei bombardamenti sostenuta anche dal governo. “Noi facciamo da stampella al Paese in un momento di difficoltà”, dice ancora il centrista Rao. “Altro che stampella – gli fa eco il capogruppo Fli Della Vedova – il nostro è impegno serio”. E ricorda che la stampella, se vogliono chiamarla così, l’opposizione l’ha già fatta: in commissione, quando la Lega disertò, per poi far pace con il Pdl qualche giorno più tardi.
Anche stavolta, è convinto Della Vedova, “passato il fine settimana di campagna elettorale troveranno modo un po’ patetico di rimettersi insieme”. Eppure, due sere fa, è stato proprio il leghista Matteo Salvini a disegnare lo scenario descritto da Di Pietro: “Sarebbe paradossale che il partito democratico con un voto favorevole accorra in soccorso del governo”. “Ma la stampella sono loro! – dice il veltroniano Walter Verini – . Noi dovremmo avere la forza di spiegare la nostra posizione al Paese, che è quella dell’Onu, di Obama, di Napolitano. Qui si gioca l’immagine del partito: su questioni straordinariamente rilevanti come queste, il fatto che sia anche la posizione del governo, è solo un effetto collaterale”. La scelta di chiedere un voto parlamentare sulla Libia, nel Pd, è arrivata dopo lunghi tentennamenti. E ha creato malumori all’interno del partito. Proprio oggi, in un’intervista al Foglio, l’ex segretario Walter Veltroni ha detto che dopo le amministrative sarebbe “opportuno aprire una discussione” sulla linea Bersani. Molto meno polemici, ma comunque amareggiati, anche il gruppo di parlamentari pacifisti. Vincenzo Vita ha chiesto “un chiarimento: non può certo essere il Pd a rischiare di sorreggere il governo”. Anche Enrico Gasbarra dice che “dentro il Pd il tema della pace tema dovrebbe avere un po’ più di spazio”. “Pagheremo un prezzo – osserva Andrea Sarubbi – anche perchè il nostro elettorato è contrario alla guerra”. Veltroni un po’ meno, direbbe Bersani.
da Il Fatto Quotidiano del 30 aprile 2011
Marco Travaglio: "Voto sì per abolire il nucleare"
Marco Travaglio spiega le ragioni del suo voto al referendum contro il nucleare. Il giornalista di "Il Fatto Quotidiano" e "Annozero" vota SI', per impedire che in Italia vengano costruite centrali nucleari; anche alla luce della recente, tragica vicenda in Giappone. Il 19 marzo, dalle ore 14 si apre a Roma, in piazza Navona, la campagna referendaria promossa dall'Italia dei Valori, che raccoglie l'importante ed autorevole contributo d'una delle voci più forti del giornalismo d'inchiesta.
Wojtyla fu davvero un santo? - di Paolo Flores d'Arcais.
Karol Wojtyla è davvero un santo? Ha davvero praticato le quattro virtù cardinali e le tre teologali fino all'eroismo? Lo sa solo Iddio, per chi in Dio crede. Storicamente e politicamente, il Papa polacco è stato certamente un grande oscurantista.
Valga il vero. Il suo pontificato si svolge all'insegna di una ininterrotta crociata contro la modernità nata dall'illuminismo, di una coerentissima "guerra santa" contro la pretesa dell'uomo all'autonomia, alla quale fa risalire la colpa dei due totalitarismi dello scorso secolo. Hume e Voltaire responsabili dei lager e del gulag, insomma! Non è una battuta polemica, lo confermano tutte le sue encicliche e omelie, dove il disincanto dell'uomo moderno che vuole darsi da sé la legge (autos nomos, appunto), senza il quale non avremmo mai avuto le democrazie liberali, viene anatemizzato come "strutture di peccato". La democrazia dell'autos nomos, nella quale la sovranità dei cittadini deve ovviamente prescindere dalla "sovranità di Dio" (non sarebbe autonomia ma eteronomia, infatti; e non più democrazia ma teocrazia) è per Wojtyla colpevole di aver legalizzato l'aborto, che per il Papa polacco costituisce il vero e proprio "genocidio dei nostri giorni". Questa l'espressione, ripetuta ossessivamente e solennemente.
L'aborto come contemporaneo olocausto consumista rispetto all'olocausto razzista del progetto di Reich millenario. La donna e il medico che interrompono una gravidanza, equiparati moralmente alle SS che gettano un bambino ebreo nel forno crematorio, se le parole hanno un senso. E lo hanno, inequivocabile, visto che vengono pronunciate - una volta di più - a delegittimazione del primo parlamento polacco liberamente eletto (che sta per votare una legge sull'aborto, oltretutto più restrittiva di quella comunista), proprio dopo che Wojtyla ha visitato il campo di Auschwitz.
Valga il vero. Il suo pontificato si svolge all'insegna di una ininterrotta crociata contro la modernità nata dall'illuminismo, di una coerentissima "guerra santa" contro la pretesa dell'uomo all'autonomia, alla quale fa risalire la colpa dei due totalitarismi dello scorso secolo. Hume e Voltaire responsabili dei lager e del gulag, insomma! Non è una battuta polemica, lo confermano tutte le sue encicliche e omelie, dove il disincanto dell'uomo moderno che vuole darsi da sé la legge (autos nomos, appunto), senza il quale non avremmo mai avuto le democrazie liberali, viene anatemizzato come "strutture di peccato". La democrazia dell'autos nomos, nella quale la sovranità dei cittadini deve ovviamente prescindere dalla "sovranità di Dio" (non sarebbe autonomia ma eteronomia, infatti; e non più democrazia ma teocrazia) è per Wojtyla colpevole di aver legalizzato l'aborto, che per il Papa polacco costituisce il vero e proprio "genocidio dei nostri giorni". Questa l'espressione, ripetuta ossessivamente e solennemente.
L'aborto come contemporaneo olocausto consumista rispetto all'olocausto razzista del progetto di Reich millenario. La donna e il medico che interrompono una gravidanza, equiparati moralmente alle SS che gettano un bambino ebreo nel forno crematorio, se le parole hanno un senso. E lo hanno, inequivocabile, visto che vengono pronunciate - una volta di più - a delegittimazione del primo parlamento polacco liberamente eletto (che sta per votare una legge sull'aborto, oltretutto più restrittiva di quella comunista), proprio dopo che Wojtyla ha visitato il campo di Auschwitz.
Giovanni Paolo II "Papa dei diritti umani" è perciò una favola. Karol Wojtyla lasciò solo, ostentatamente, il vescovo di San Salvador Oscar Arnulfo Romero (avrebbero mai osato ucciderlo, se lo avesse elevato alla porpora, come chiedevano in tanti nella Chiesa?), si affacciò benedicente da uno stesso balcone con il generale Augusto José Ramón Pinochet Ugarte, legittimando quel regime di sangue e d'infamia, perseguitò instancabilmente sacerdoti e vescovi della "teologia della liberazione", schierati con gli ultimi come ordina la "buona novella" di Gesù (aprire a caso uno dei vangeli, per credere), e altrettanto instancabilmente difese il "padre padrone" dei "Legionari di Cristo", Marcial Maciel Degollado, malgrado un'opulenza di accuse sempre più circostanziate avessero convinto perfino un fedelissimo di Wojtyla, come il cardinale Ratzinger, degli "autentici crimini" commessi da Maciel. Quanto alla pedofilia, volle che il cardinale Castrillón Hoyos trasmettesse una solidarietà calorosissima al vescovo di Bayeux-Lisieux mons. Pierre Pican, condannato dalla giustizia francese per essersi rifiutato di testimoniare sulle attività di un prete della sua diocesi. E' verissimo però che ha contribuito al crollo dei comunismi: non per volontà di libertà, però, ma come affetto collaterale della sua oscurantista guerra alle "strutture del peccato".
Santo, Wojtyla? Non è cosa su cui possa esprimersi un ateo. Ma due grandi personalità cattoliche, Hans Küng e dom. Franzoni (che fu padre conciliare), hanno messo in fila (sul numero speciale di MicroMega appena uscito) un rosario di accuse degne dell'abrogato "avvocato del diavolo" (compresa l'impunità garantita a mons. Marcinkus per l'Ambrosiano, impedendo l'accertamento della verità, e con ciò venendo meno alle virtù della fortezza e della prudenza). Mentre per due preti dalle virtù certamente eroiche, come monsignor Romero e padre David Maria Turoldo, gli altari possono aspettare.
Santo, Wojtyla? Non è cosa su cui possa esprimersi un ateo. Ma due grandi personalità cattoliche, Hans Küng e dom. Franzoni (che fu padre conciliare), hanno messo in fila (sul numero speciale di MicroMega appena uscito) un rosario di accuse degne dell'abrogato "avvocato del diavolo" (compresa l'impunità garantita a mons. Marcinkus per l'Ambrosiano, impedendo l'accertamento della verità, e con ciò venendo meno alle virtù della fortezza e della prudenza). Mentre per due preti dalle virtù certamente eroiche, come monsignor Romero e padre David Maria Turoldo, gli altari possono aspettare.
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