Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
mercoledì 28 settembre 2011
Barzelletta.
Un tizio entra in un bar supertecnologico per bere qualcosa.
Il barista è un robot e gli chiede qual è il suo quoziente d' intelligenza:
"150" è la risposta.
Allora il robot gli serve un whisky di malto di 16 anni, e inizia a parlargli del riscaldamento del globo, dell’interdipendenza ambientale, di problemi di meccanica quantistica, nanotecnologie ecc...
L’uomo incuriosito decide di testare ancor......a il robot.
Ritorna il giorno dopo ed il robot gli domanda qual è il suo quoziente d'intelligenza:
L'uomo risponde "90".
Allora il robot gli serve una birra e inizia a parlargli di calcio, di donne, dei suoi piatti preferiti ecc..
Sempre più intrigato, il tizio ritorna ancora nel bar il giorno dopo ed il robot gli richiede qual è il suo quoziente d'intelligenza:
Il tizio risponde "40".
Allora il robot gli serve un bicchiere di Tavernello e poi gli chiede:
"Allora, si vota per Berlusconi anche stavolta, eh?"
Di Daniela Vfor Manzato da facebook
L'ape regina, Sabina Began.
Sabina Began e B: "Ma quali
escort? Gli farebbe schifo"
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/27/sabina-began-e-la-notte-con-berlusconi-che-la-rese-donna/160338/
E dava loro dei soldi?
Oltretutto, se non ricordo male, è stato proprio B. a sostenere che dava dei soldi a Ruby per non farle fare il "mestiere".
Le "olgettine" come le considera? Tutte figlie sue?
Diciamo, piuttosto, che le voleva d'alto bordo, giovani, esili (per usare parole sue), e non troppo alte, come se si trattasse di merce e non di persone.
Ma poi, non era la Began che sosteneva che le cene di B. erano squisitamente ed esclusivamente eleganti?
Ad una cena esclusivamente e squisitamente elegante si invitano donne sconosciute, esili, di bella presenza, giovani e disponibili?
E dopo aver fatto sesso con 8 delle 11 ospiti, si fa loro omaggio di soldi ed oggetti preziosi?
Ciò che affermano tutte le persone che ruotano attorno al vecchio flaccido e panciuto non trova riscontro nè in cielo, nè in terra, è fuori da ogni logica.
Sono le stesse affermazioni che farebbe un bambino scoperto a rubare la marmellata.
martedì 27 settembre 2011
Lavitola, Frattini: "La Farnesina si sta attivando per la latitanza"
“Il ministero degli Esteri sulla latitanza di Valter Lavitola si sta attivando attraverso i canali ufficiali”. Franco Frattini, numero uno della Farnesina, risponde così ai microfoni deilfattoquotidiano.it e a quale titolo il faccendiere “accompagnasse” nel maggio del 2010 Frattini a Panama (nazione dove si sarebbe rifugiato Lavitola dopo la richiesta di arresto dei magistrati di Napoli, ndr)? Il ministro ribadisce: “A nessun titolo, non mi accompagnava”. Il numero uno di via della Farnesina continua a non chiarire, però, le ragioni della presenza dell’editore dell’Avanti nel paese del centro America. E sulle foto che lo ritraggono con Lavitola al ricevimento ufficialecon il presidente panamense, Riccardo Martinelli, Frattini non vuole commentare e va via.
Video di David Perluigi e Paolo Dimalio
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/27/lavitola-frattini-la-farnesina-si-sta-attivando-per-la-latitanza/160256/
Valter Lavitola, il rappresentante di prodotti ittici è con Berlusconi anche in Brasile
La testimonianza di Federica Gagliardi, dallo staff di Renata Polverini alle missioni in centro e sud America con il premier. E con il faccendiere amico di Tarantini, che secondo Tremonti si presenta come rappresentante del governo italiano per Panama e Paese verdeoro.
Dice Federica Gagliardi: “Il video l’avete visto tutti, c’era anche Lavitola sull’aereo per Panama. Siamo partiti da San Paolo. Mi è stato presentato ma non ricordo più con quale ruolo, mi scusi ma è passato un anno e mezzo. Il mio giudizio su di lui? Preferisco tenerlo per me”.
Federica Gagliardi è la dama bianca di B. che ebbe notorietà per un paio di giorni alla fine del giugno 2010. Era il 26 di quel mese e la Gagliardi spuntò nella delegazione italiana per il G8 di Toronto, in Canada. Accanto al premier Silvio Berlusconi. Bionda, bella, nemmeno trentenne, la donna lavora nello staff di Renata Polverini, governatrice del Lazio, che così giustificò la trasferta della sua collaraboratrice: “È in permesso non retribuito”. Prima ancora, però, aveva detto che era in ferie. Un altro piccolo mistero. Dal Canada, la Gagliardi segue il Cavaliere nelle altre due tappe del tour: Brasile e Panama. L’incontro con Lavitola avviene a San Paolo. Lì Berlusconi partecipa a un seminario del Forum Italia-Brasil, sulle relazioni industriali e commerciali tra i due paesi. Lavitola compare nella foto-ricordo finale, alle spalle del premier. Mentre la Gagliardi viene ripresa nel ricevimento ufficiale della sera. Entrambe le immagini sono sul sito del quotidiano Estadao di San Paolo. È lo stesso giornale che dà notizia della serata organizzata da Lavitola per B. con sei ballerine di lapdance, attirate con il miraggio di un provino per Mediaset, in una suite dell’Hotel Tivoli. Dice ancora la Gagliardi: “Sì alloggiavamo tutti al Tivoli, ma a quella serata non ero presente”.
In quei giorni, il Cavaliere è particolarmente allegro. E racconta una barzelletta a luci rosse: “Volevo farmi una ciulatina con una cameriera dell’albergo e lei mi ha risposto: ‘Presidente l’abbiamo fatto un’ora fa’. Vedete che scherzi fa la memoria”. Ed è in occasione della serata di lapdance che si parla per la prima volta dell’ascesa di Valter Lavitola nella cerchia ristretta di Berlusconi. Con quale ruolo? Consulente di Finmeccanica? Il faccendiere amico di Tarantini è pure titolare di una società per il commercio di prodotti ittici con sede a Rio de Janeiro, in Rodovia Amaral Peixoto 117: l’Empresa Pesqueira de Barra de San Joao Ltda.
Anche per questo, all’inizio del luglio scorso, da Palazzo Chigi riferiscono di un duro faccia a faccia tra B. e Giulio Tremonti. Quest’ultimo avrebbe chiesto: “Ma chi è questo Lavitola che va in giro presentandosi come rappresentante del governo per Panama e Brasile?”. Panama e Brasile, le tappe finali di quel viaggio memorabile. Dove c’è B. , c’è Lavitola. E dove sono entrambi c’è la Gagliardi. Ma perché un rappresentante all’ingrosso di prodotti ittici era sull’aereo presidenziale del governo italiano?
di Fabrizio d’Esposito
Federica Gagliardi è la dama bianca di B. che ebbe notorietà per un paio di giorni alla fine del giugno 2010. Era il 26 di quel mese e la Gagliardi spuntò nella delegazione italiana per il G8 di Toronto, in Canada. Accanto al premier Silvio Berlusconi. Bionda, bella, nemmeno trentenne, la donna lavora nello staff di Renata Polverini, governatrice del Lazio, che così giustificò la trasferta della sua collaraboratrice: “È in permesso non retribuito”. Prima ancora, però, aveva detto che era in ferie. Un altro piccolo mistero. Dal Canada, la Gagliardi segue il Cavaliere nelle altre due tappe del tour: Brasile e Panama. L’incontro con Lavitola avviene a San Paolo. Lì Berlusconi partecipa a un seminario del Forum Italia-Brasil, sulle relazioni industriali e commerciali tra i due paesi. Lavitola compare nella foto-ricordo finale, alle spalle del premier. Mentre la Gagliardi viene ripresa nel ricevimento ufficiale della sera. Entrambe le immagini sono sul sito del quotidiano Estadao di San Paolo. È lo stesso giornale che dà notizia della serata organizzata da Lavitola per B. con sei ballerine di lapdance, attirate con il miraggio di un provino per Mediaset, in una suite dell’Hotel Tivoli. Dice ancora la Gagliardi: “Sì alloggiavamo tutti al Tivoli, ma a quella serata non ero presente”.
In quei giorni, il Cavaliere è particolarmente allegro. E racconta una barzelletta a luci rosse: “Volevo farmi una ciulatina con una cameriera dell’albergo e lei mi ha risposto: ‘Presidente l’abbiamo fatto un’ora fa’. Vedete che scherzi fa la memoria”. Ed è in occasione della serata di lapdance che si parla per la prima volta dell’ascesa di Valter Lavitola nella cerchia ristretta di Berlusconi. Con quale ruolo? Consulente di Finmeccanica? Il faccendiere amico di Tarantini è pure titolare di una società per il commercio di prodotti ittici con sede a Rio de Janeiro, in Rodovia Amaral Peixoto 117: l’Empresa Pesqueira de Barra de San Joao Ltda.
Anche per questo, all’inizio del luglio scorso, da Palazzo Chigi riferiscono di un duro faccia a faccia tra B. e Giulio Tremonti. Quest’ultimo avrebbe chiesto: “Ma chi è questo Lavitola che va in giro presentandosi come rappresentante del governo per Panama e Brasile?”. Panama e Brasile, le tappe finali di quel viaggio memorabile. Dove c’è B. , c’è Lavitola. E dove sono entrambi c’è la Gagliardi. Ma perché un rappresentante all’ingrosso di prodotti ittici era sull’aereo presidenziale del governo italiano?
di Fabrizio d’Esposito
Messina, procuratore generale indagato in Calabria per mafia. - di Giuseppe Pipitone.
Un mese fa il Ros di Reggio Calabria, su mandato del procuratore capo Giuseppe Pignatone, ha perquisito la procura generale di Messina e sequestrato alcuni atti, nell'ambito di un' indagine su alcuni magistrati peloritani per concorso esterno in associazione mafiosa. Presente alla perquisizione il procuratore generale della città sullo stretto Franco Antonio Cassata che sarebbe il principale indagato dell'indagine scattata dopo le dichiarazioni del pentito Carmelo Bisognano.
"Adesso non è più l'urlo solitario di una figlia che ha perso il padre. Adesso è qualcosa di più. E' un fatto oggettivo". Sono queste le dichiarazioni a caldo diSonia Alfano, eurodeputata dell'Italia dei Valori, in relazione all'indagine per concorso esterno in associazione mafiosa aperta dalla procura di Reggio Calabria nei confronti di alcuni innominati magistrati messinesi. A dare la notizia stamattina è il quotidiano peloritano La Gazzetta del Sud che ha raccontato come nell'agosto scorso il Ros di Reggio Calabria, su mandato del procuratore capo Giuseppe Pignatone, abbia effettuato una perquisizione ed un sequestro di atti interni alla procura generale di Messina.
Alla perquisizione avrebbe assistito anche il procuratore generale dello strettoFranco Antonio Cassata. Secondo indiscrezioni ad essere indagato per concorso esterno a Cosa Nostra sarebbe lo stesso Cassata, ed è a suo carico che sarebbe stata disposta la perquisizione dopo la notifica del relativo decreto. "Per anni io e l'avvocato Fabio Repici - continua la figlia diBeppe Alfano, cronista de La Sicilia ammazzato l'8 gennaio 1993 - siamo stati gli unici cha hanno cercato d'illuminare questo cono d'ombra fatto di commistione eed eminenze grigie che è la provincia di Messina. Ma il tempo è galantuomo e adesso sembrano accorgersene pure le istituzioni". L'indagine sulla procura generale peloritana è scattata dopo che il procuratore di Messina Guido Lo Forte ha trasmesso a Reggio Calabria le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Di particolare importanza sarebbero le parole del pentito Carmelo Bisognano, già a capo della cosca dei "Mazzaroti".
Bisognano ha tracciato negli interrogatori con gl'inquirenti la mappa economica ed imprenditoriale di Cosa Nostra in provincia di Messina. Una mappa che avrebbe sullo sfondo l'immagine sfocata dell'avvocato Saro Cattafi, rientrato a Milazzo alla fine degli anni '90 dopo una pesante condanna per traffico di droga, poi annullata. Originario di Barcellona Pozzo di Gotto, l'avvocato Cattafi fino al 2005 era un sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno, misura cautelare che gli era stata assegnata "per la sua pericolosità, comprovata dai costanti contatti, particolarmente intensi proprio nella stagione delle stragi, con personaggi del calibro di Santapaola, Pietro Rampulla (l’artificiere di Capaci) e Giuseppe Gullotti (capomafia barcellonese condannato definitivamente per l’omicidio Alfano)".
Su Cattafi esiste anche un rapporto del Gico della Guardia di Finanza in cui si traccia la mappa di alcuni contatti eccellenti di quello che Bisognano indica come "il capo dei capi" della mafia messinese.
E proprio di questi suoi contatti con alcuni alti ufficiali dei carabinieri e magistratipeloritani ha parlato il 23 agosto scorso a Milazzo il giornalista free lanceAntonio Mazzeo. Un monologo approfondito sulle attuali dinamiche di potere nella città dello stretto quello del giornalista messinese che però non sarebbe stato gradito da alcune autorità presenti in sala. In particolare ha destato scalpore il fatto che il prefetto peloritano Francesco Alecci si sia allontanato precipitosamente proprio quando Mazzeo raccontava dei rapporti tra l'avvocato Cattafi (inteso come Saro C) e l'attuale procuratore generale di Messina. Una strana coincidenza sottolineata dalla stessa Sonia Alfano che in una lettera aperta al prefetto chiedeva una qualche giustificazione "all'improvviso, prematuro e inaspettato abbandono della manifestazione". Lettera fino ad oggi rimasta senza risposta alcune. "Adesso però- commenta la Alfano - sembra che a Messina il tappo stia finalmente saltando. Non dimentichiamo che già da marzo scorso ad Olindo Canali, il magistrato che coordinò le prime indagini sull'omicidio di mio padre, è stato notificato dalla Dda di Reggio Calabria un'avviso di conclusione delle indagini per falsa testimonianza nel processo Mare Nostrum. Avviso che di solito è il preludio del rinvio a giudizio".
Alla perquisizione avrebbe assistito anche il procuratore generale dello strettoFranco Antonio Cassata. Secondo indiscrezioni ad essere indagato per concorso esterno a Cosa Nostra sarebbe lo stesso Cassata, ed è a suo carico che sarebbe stata disposta la perquisizione dopo la notifica del relativo decreto. "Per anni io e l'avvocato Fabio Repici - continua la figlia diBeppe Alfano, cronista de La Sicilia ammazzato l'8 gennaio 1993 - siamo stati gli unici cha hanno cercato d'illuminare questo cono d'ombra fatto di commistione eed eminenze grigie che è la provincia di Messina. Ma il tempo è galantuomo e adesso sembrano accorgersene pure le istituzioni". L'indagine sulla procura generale peloritana è scattata dopo che il procuratore di Messina Guido Lo Forte ha trasmesso a Reggio Calabria le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Di particolare importanza sarebbero le parole del pentito Carmelo Bisognano, già a capo della cosca dei "Mazzaroti".
Bisognano ha tracciato negli interrogatori con gl'inquirenti la mappa economica ed imprenditoriale di Cosa Nostra in provincia di Messina. Una mappa che avrebbe sullo sfondo l'immagine sfocata dell'avvocato Saro Cattafi, rientrato a Milazzo alla fine degli anni '90 dopo una pesante condanna per traffico di droga, poi annullata. Originario di Barcellona Pozzo di Gotto, l'avvocato Cattafi fino al 2005 era un sorvegliato speciale con obbligo di soggiorno, misura cautelare che gli era stata assegnata "per la sua pericolosità, comprovata dai costanti contatti, particolarmente intensi proprio nella stagione delle stragi, con personaggi del calibro di Santapaola, Pietro Rampulla (l’artificiere di Capaci) e Giuseppe Gullotti (capomafia barcellonese condannato definitivamente per l’omicidio Alfano)".
Su Cattafi esiste anche un rapporto del Gico della Guardia di Finanza in cui si traccia la mappa di alcuni contatti eccellenti di quello che Bisognano indica come "il capo dei capi" della mafia messinese.
E proprio di questi suoi contatti con alcuni alti ufficiali dei carabinieri e magistratipeloritani ha parlato il 23 agosto scorso a Milazzo il giornalista free lanceAntonio Mazzeo. Un monologo approfondito sulle attuali dinamiche di potere nella città dello stretto quello del giornalista messinese che però non sarebbe stato gradito da alcune autorità presenti in sala. In particolare ha destato scalpore il fatto che il prefetto peloritano Francesco Alecci si sia allontanato precipitosamente proprio quando Mazzeo raccontava dei rapporti tra l'avvocato Cattafi (inteso come Saro C) e l'attuale procuratore generale di Messina. Una strana coincidenza sottolineata dalla stessa Sonia Alfano che in una lettera aperta al prefetto chiedeva una qualche giustificazione "all'improvviso, prematuro e inaspettato abbandono della manifestazione". Lettera fino ad oggi rimasta senza risposta alcune. "Adesso però- commenta la Alfano - sembra che a Messina il tappo stia finalmente saltando. Non dimentichiamo che già da marzo scorso ad Olindo Canali, il magistrato che coordinò le prime indagini sull'omicidio di mio padre, è stato notificato dalla Dda di Reggio Calabria un'avviso di conclusione delle indagini per falsa testimonianza nel processo Mare Nostrum. Avviso che di solito è il preludio del rinvio a giudizio".
Il gip Pino, la mancata cattura di Binu? Niente errori, fu una scelta del Ros. - di Giuseppe Lo Bianco
Nessun ''errore di valutazione'' e nessuna ''difficolta' tecnica o investigativa'': per il gip Maria Pino, che ha archiviato la querela del generale Mori contro il colonnello Riccio, la mancata cattura di Provenzano nel '96 a Mezzojuso fu una scelta del Ros, una ''deliberata strategia di inerzia'', ''finalizzata a salvaguardare lo stato di latitanza di Provenzano''.
Non ci sono state ‘’difficolta’ tecniche o investigative, o errori di valutazione’’. Quei pastori, le mucche e le pecore che, secondo il colonnello Mauro Obinu, avrebbero impedito l’accesso dei carabinieri al casolare dove si nascondeva Provenzano assumono adesso il valore di una scusa banale e grottesca, nell’ambito di una difesa imbarazzata: per la prima volta, nero su bianco, un giudice, il gip Maria Pino di Palermo, ha scritto in una sentenza che la mancata cattura di Bernardo Provenzano a Mezzojuso, alla fine di ottobre del ’95, fu una scelta e non una causalita’: ‘’Le acquisizioni istruttorie - scrive il giudice - confermano la sussistenza delle plurime omissioni che, nell'ambito delle investigazioni finalizzate alla ricerca del latitante Bernardo Provenzano, hanno contrassegnato l'attività istituzionale dei carabinieri del Ros’’, e ‘’ asseverano il convincimento che dette omissioni, già valutate come assolutamente incompatibili sia con un'efficace e cristallina strategia investigativa sia con la specifica competenza e la indiscussa elevatissima professionalità del generale Mori e del colonnello Mauro Obinu, siano state finalizzate a salvaguardare lo stato di latitanza di Provenzano e, nella stessa ottica, a preservare dalle iniziative dell'autorità giudiziaria gli associati mafiosi Giovanni Napoli e Nicolò La Barbera, che quella latitanza hanno lungamente gestito".
Parole pesanti, che offrono per la prima volta una soluzione al giallo della mancata cattura del boss latitante per 43 anni, e che arrivano a conclusione di una querelle giudiziaria che si ritorce come un boomerang nei confronti di chi l’aveva attivata: il verdetto di archiviazione chiude infatti un procedimento nato dalla querela per calunnia presentata dal generale Mario Mori, leader del Ros, nei confronti del colonnello Michele Riccio, artefice, grazie ad una fonte confidenziale, della trappola a Provenzano fallita a Mezzojuso e autore delle denunce contro i colleghi che avrebbero sabotato l’operazione. Riccio non deve essere condannato, insomma, perche’ le sue accuse hanno trovato riscontri nelle carte giudiziarie. Sul punto il gip e’ chiaro: "E' convincimento di questo giudice – scrive Maria Pino - che la condotta assunta e perpetuata dal generale Mori e dal colonnello Obinu non sia da ascrivere a difficoltà tecniche ed organizzative, né ad errori di valutazione. Non ci sono elementi che inducano a ciò. Piuttosto, le acquisizioni istruttorie convergono nell'ascrivere la condotta suddetta ad una deliberata strategia di inerzia, che non trova giustificazione alcuna".
Una ‘’deliberata strategia di inerzia’’ che, secondo il gip, pesa interamente sulle spalle di Mori: con lo stesso verdetto, infatti, il giudice ha accolto la richiesta di archiviazione presentata dal pm Nino Di Matteo nei confronti del generale Antonio Subranni, anch’egli indagato per favoreggiamento aggravato nei confronti di Provenzano. Ma secondo il gip Subranni non aveva "competenze in materia di polizia giudiziaria", che invece erano di Mori. Il quale si e’ difeso lamentando anch’egli un difetto di competenze: “Ma non ricordo – disse al pm Di Matteo nel marzo 2002 – io non vivevo solo delle vicende di Palermo, ero responsabile operativo di una struttura … quindi avevo una serie di problematiche… mi fu detto che Ilardo aveva dato delle notizie così, nel particolare non me le ricordo però… né probabilmente le ho chieste nemmeno io di sapere di più perché non mi compete… non era il mio livello di competenza”. La sentenza del gip, che verra’ adesso depositata dal pm nel processo al generale Mori, per la mancata cattura di Provenzano a Mezzojiuso, in corso di svolgimento a Palermo, rilancia la domanda che aleggia su tutta la vicenda, sul cui sfondo si staglia la trattativa tra mafia e Stato: ‘’qual era il livello di competenza che ha gestito quell’operazione? E, in sostanza, chi decise che Provenzano non doveva essere catturato?
Parole pesanti, che offrono per la prima volta una soluzione al giallo della mancata cattura del boss latitante per 43 anni, e che arrivano a conclusione di una querelle giudiziaria che si ritorce come un boomerang nei confronti di chi l’aveva attivata: il verdetto di archiviazione chiude infatti un procedimento nato dalla querela per calunnia presentata dal generale Mario Mori, leader del Ros, nei confronti del colonnello Michele Riccio, artefice, grazie ad una fonte confidenziale, della trappola a Provenzano fallita a Mezzojuso e autore delle denunce contro i colleghi che avrebbero sabotato l’operazione. Riccio non deve essere condannato, insomma, perche’ le sue accuse hanno trovato riscontri nelle carte giudiziarie. Sul punto il gip e’ chiaro: "E' convincimento di questo giudice – scrive Maria Pino - che la condotta assunta e perpetuata dal generale Mori e dal colonnello Obinu non sia da ascrivere a difficoltà tecniche ed organizzative, né ad errori di valutazione. Non ci sono elementi che inducano a ciò. Piuttosto, le acquisizioni istruttorie convergono nell'ascrivere la condotta suddetta ad una deliberata strategia di inerzia, che non trova giustificazione alcuna".
Una ‘’deliberata strategia di inerzia’’ che, secondo il gip, pesa interamente sulle spalle di Mori: con lo stesso verdetto, infatti, il giudice ha accolto la richiesta di archiviazione presentata dal pm Nino Di Matteo nei confronti del generale Antonio Subranni, anch’egli indagato per favoreggiamento aggravato nei confronti di Provenzano. Ma secondo il gip Subranni non aveva "competenze in materia di polizia giudiziaria", che invece erano di Mori. Il quale si e’ difeso lamentando anch’egli un difetto di competenze: “Ma non ricordo – disse al pm Di Matteo nel marzo 2002 – io non vivevo solo delle vicende di Palermo, ero responsabile operativo di una struttura … quindi avevo una serie di problematiche… mi fu detto che Ilardo aveva dato delle notizie così, nel particolare non me le ricordo però… né probabilmente le ho chieste nemmeno io di sapere di più perché non mi compete… non era il mio livello di competenza”. La sentenza del gip, che verra’ adesso depositata dal pm nel processo al generale Mori, per la mancata cattura di Provenzano a Mezzojiuso, in corso di svolgimento a Palermo, rilancia la domanda che aleggia su tutta la vicenda, sul cui sfondo si staglia la trattativa tra mafia e Stato: ‘’qual era il livello di competenza che ha gestito quell’operazione? E, in sostanza, chi decise che Provenzano non doveva essere catturato?
Saverio Romano, la mafia e "la maglietta fradicia di sudore". - di Giuseppe Pipitone.
Il Ministro dell'agricoltura, indagato per mafia, affida la difesa al suo primo libro - intervista scritto con la giornalista di Porta a Porta Barbara Romano. Emblematico il titolo: La Mafia Addosso. “Vivere con il sospetto di mafiosità addosso è terribile –spiega – come una maglietta fradicia di sudore che non ti appartiene”. Nel frattempo mercoledì in aula l'opposizione vota la mozione di sfiducia.
Per il ministro di Belmonte Mezzagno si tratterebbe quindi di semplici accuse “ricorrenti ad orologeria”. Accuse che non ha fatto in tempo a smontare nella sua opera prima, il libro intervista edito da Il Borghese e scritto con la giornalista Barbara Romano, collaboratrice di Bruno Vespa a Porta a Porta. Titolo emblematico del trattato difensivo La Mafia Addosso. A meno di una settimana dalla votazione della mozione di sfiducia firmata da Pd, Idv e Fli l’ex delfino di Totò Cuffaro sceglie quindi di affidare la sua auto difesa alle rassicuranti pagine di un libro, sgombre di giudici e collaboratori di giustizia. Nel mirabile trattato targato Romano & Romano, il ministro cerca di spazzare via i risultati delle indagini che lo hanno tirato in ballo negli ultimi anni affidandosi allo sport nazionale della persecuzione giudiziaria. “Vivere con il sospetto di mafiosità addosso è terribile – spiega lui – come una maglietta fradicia di sudore che non ti appartiene”.
Una maglietta che nel suo caso è fradicia anche di molteplici accuse. Sono parecchi infatti i testimoni eccellenti su cui si basa l’inchiesta della procura di Palermo. C’è Francesco Campanella, giovane allievo di Clemente Mastella, presidente del consiglio comunale di Villabate e fornitore della carta d’identità falsa che consentì a Bernardo Provenzano di andare a Marsiglia a curarsi la prostata. Ci sono i pentiti Nino Giuffrè e Angelo Siino, le dichiarazioni dei medici Salvatore Aragona e Mimmo Miceli – entrambi condannati – e i racconti degli esponenti politici Giuseppe Acanto, Giuseppe Bruno e Rosario Enea.
Nel frattempo – noncurante della “maglietta fradicia di sudore” che continua a portare addosso – continua a difendersi presentando in giro il suo libro. Difesa comoda e originale ma tecnologicamente un passo indietro rispetto alla soluzione adottata proprio da Nino Mandalà, indicato da Campanella come il boss della cosca di Villabate e padre di Nicola, l’autore della frase ”abbiamo nelle mani Saverio Romano” rivelata da Lo Verso. Anche Mandalà, infatti, ha affidato la sua difesa alle pubbliche relazioni. Appena uscito dal carcere, dopo una condanna ad otto anni, ha aperto un blog che gestisce e aggiorna personalmente ogni giorno. Non sarà la prosa di Romano ma sono pur sempre anni luce di distanza rispetto ai pizzini di Bernardo Provenzano.
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