Benny per favore, candidati alla segreteria del PD, menoelle, serve una persona giovane e coraggiosa! Così commentava tale Boris_Loris sul mio blog qualche giorno fa. Lo riprendo ora per qualche considerazione finale, mentre mi appresto a tagliare e a spedire con raccomandata a/r la tessera del Pd alla direzione di Roma, ora che la sua funzione è terminata. E non perchè i partiti politici sono come taxi, come li considerava Enrico Mattei, ma perchè fare parte di questo Pd senza avere i mezzi e il potere per cambiarlo è da masochisti. Rifletto sull'avventura lanciata con la mia autocandidatura alla segreteria nazionale, e mi rendo conto un paio di cose per me sorprendenti. Sono sempre stato molto severo con me stesso e ho sempre avuto i piedi di piombo; non so nè lodarmi nè imbrodarmi, specialità di cui strabocca il Pd. Ma mi rendo conto che fino ad oggi ho rischiato di essere il candidato più credibile tra i tre-quattro che ci sono attualmente in lizza. Ho aperto un sito ricco di funzioni e informazioni completamente dedicato alla candidatura; ho scritto un programma con il quale, con tutto il rispetto, nessuno dei tre- quattro altri può lontanamente competere, e non perchè sono un genio, ma perchè l'ho scritto con voi, con dei tecnici, e senza scrivere frasi retoriche e che tutti vogliono sentirsi dire: in quello hanno eccelso altri. Mi sono sempre confrontato con i miei sostenitori e soprattutto con i miei detrattori, e mai, mai mi sono negato al confronto in ogni luogo e in ogni termine: non ho mai fatto il "figo" e questo ha pagato enormemente, anche rispetto a chi all'inizio mi aveva crocefritto. Chi fra i tre-quattro altri può dire lo stesso? Franceschini, a cui le domande fanno l'effetto dell'Aulin? Bersani, che se avesse i baffi tutti lo chiamerebbero Massimo? E' triste però pensare che un ragazzino abbia, fino ad oggi, messo in campo più credibilità e convizione e competenza di tre-quattro big osannati da militanti che hanno ormai dimenticato la loro storia e i loro ideali, ed è triste che a dirlo non sia il ragazzino, ma centinaia di persone che il ragazzino magari non lo conoscono nemmeno di persona. Curiosamente a rispondere alle mie domande di questi tempi è stato l'unico non in corsa, Weltroni: Ciao Benny, grazie per averrmi scritto. Ho pubblicato nelle note della pagina sostenitori l'intervista di oggi al Corriere della Sera, in cui chiarisco anche le interpretazioni delle frasi su Berlinguer e Craxi. Te la invio, spero che la leggerai e aspetto di sapere cosa ne pensi. A presto, Walter. Da Franceschino, silenzio. E ora, quando ormai è chiara a tutti la farsa che faranno al congresso e alle primarie, il gioco sporco delle tessere regalate e triplicate in alcune città, io restituisco una tessera che non mi appartiene e che mai per un attimo ho sentito mia, ma sempre come un peso, a volte come un imbarazzo. Niente taxi, ripeto. Ma solo perchè, ad eccezione di una decina di uomini e di qualche donna, il Pd ha meritato tutto, fino in fondo, il suo declino, per la caparbietà ad inciuciare, al tenere sempre a galla i peggiori, a sbarrare la strada ai nuovi/ingombranti. E la vicenda Serracchiani, mandata al volo in Europa per evitare una sua candidatura alle primarie che avrebbe distrutto chiunque dei tre-quattro, è la lapide su un partito che purtroppo, purtroppo per le sue potenzialità, ha il destino segnato. L'ultima vergogna, in ordine di tempo, vietare a ripetizione l'iscrizione di Beppe Grillo al partito. A che titolo, con quale legittimità si impedisce a tizio o a caio di iscriversi ad un partito che ha rubato un aggettivo, "democratico", senza i requisiti minimi per farlo? Ehi Sam, ascoltami, non suonarla più, prendi il disco e spaccalo in mille pezzi, e poi mandane uno ad ogni mini dirigente: sarà la loro reliquia.
http://www.bennycalasanzio.blogspot.com/
Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
domenica 2 agosto 2009
Il "consenso" di Bologna all'escort Bondi.
29 anni fa la bomba che scoppiò nella stazione di Bologna seminò una strage di cittadini inermi. Era il 1980, 7 mesi prima che fosse scoperta la Loggia P2 di Licio Gelli. Il corruttore all’epoca era un novello tesserato che apprendeva e pianificava il golpe dolce mentre assisteva alle stragi con la regia del suo venerabile assassino.
Stamane Sandro Bondi, ministro dei beni culturali del governo della MAFIA del corruttore piduista Silvio Berlusconi, era in quella piazza della stazione a raccontare pagliacciate. Ma i bolognesi non sono coglioni. Ricordano e sanno. Checché ne dica il corruttore. Vergogna.
http://www.danielemartinelli.it/2009/08/02/il-consenso-di-bologna-alla-escort-bondi/
sabato 1 agosto 2009
Tocchiamoci tutti: le dieci tavole del sultano.
Di Andrea Scanzi.
“Zoccole, zoccole, zoccoleeee…”.
Ah scusate, non vi avevo visto.
Sto provando con Marco Taradash il balletto con cui stasera apriremo il Dj set di Silvio Berlusconi a Radio Gioventù. Presenterà Pierluigi Diaco (non è una battuta).
Siamo molto emozionati. Taradash ha studiato certosinamente la coreografia. A un certo punto si spoglierà nudo mostrando il petto villoso, coperto per l’occasione da strass e tombe fenicie miniaturizzate.
Sul bicipite destro si è fatto tatuare la Sacra Sindone di Miccichè e sul polpaccio sinistro i nomi in sanscrito dei suoi tre koala albini (Bondi, Cape e Zzone).
Non sembra, ma Taradash ha un talento come coreografo. La canzone di Sal Da Vinci lo ha esaltato. Per il ritornello mi ha chiesto di imparare il Passo del Gladiolo Morto, un complicatissimo fraseggio di anche e bacini miranti a rappresentare il declino dell’impero occidentale. L’ho imparato, per amore della patria e della Costituzione.
A fine esibizione, in sincrono, faremo una spaccata. Gli zebedei aderiranno aerobicamente al suolo. Le membra saranno erculeamente protese verso l’Avvenire.
Lui sarà Heather Parisi e io Enzo Paolo Turchi.
A fine esibizione, in sincrono, faremo una spaccata. Gli zebedei aderiranno aerobicamente al suolo. Le membra saranno erculeamente protese verso l’Avvenire.
Lui sarà Heather Parisi e io Enzo Paolo Turchi.
Vamos (cit).
A parte questo, anche questa settimana non è successo molto. Repubblica ha spacciato per inedita una canzone di Gaber che conoscevano tutti da sedici anni, Debora Serracchiani ha richiamato al centralismo democratico (ahahahahahaha) e Luigi Amicone ha detto “ghm mgh eccetera” in tivù.
Si è fatto un gran parlare, dalle vostre parti bolsceviche, delle registrazioni di Patrizia D’Addario. Credevate che bastasse guardare dal buco della serratura della politica (cit) per far cadere Berlusconi. E ci siete rimasti fregati. Un’altra volta.
Siete proprio tristi, voi comunisti.
Prima di tutto, quelle registrazioni sono false. Se anche non sono false, sono fasulle. Se anche non sono fasulle, sono artefatte. Se anche non sono artefatte, sono pilotate. Se anche non sono pilotate, sono illegali. Se anche non sono illegali, non hanno alcuna rilevanza giuridica. E se anche tu non mi vuoi, tu non mi perderai, so perdonarti le cose che non mi dai, io credo in noi, anche se tu non mi vuoi (cit).
I testi delle registrazioni, pubblicati dai grumi insufflati di criminosità dell’Espresso, hanno però un grande interesse antropologico. Non è tanto importante cosa raccontano, quanto piuttosto come lo raccontano. Da questi aulici dialoghi emerge tutto l’universo berlusconiano.Le chiameremo le Dieci Tavole del Sultano.
Ne sia fatta una seria esegesi, con un occhio a Francesco Alberoni e un altro a Roberto Cota.
Siete proprio tristi, voi comunisti.
Prima di tutto, quelle registrazioni sono false. Se anche non sono false, sono fasulle. Se anche non sono fasulle, sono artefatte. Se anche non sono artefatte, sono pilotate. Se anche non sono pilotate, sono illegali. Se anche non sono illegali, non hanno alcuna rilevanza giuridica. E se anche tu non mi vuoi, tu non mi perderai, so perdonarti le cose che non mi dai, io credo in noi, anche se tu non mi vuoi (cit).
I testi delle registrazioni, pubblicati dai grumi insufflati di criminosità dell’Espresso, hanno però un grande interesse antropologico. Non è tanto importante cosa raccontano, quanto piuttosto come lo raccontano. Da questi aulici dialoghi emerge tutto l’universo berlusconiano.Le chiameremo le Dieci Tavole del Sultano.
Ne sia fatta una seria esegesi, con un occhio a Francesco Alberoni e un altro a Roberto Cota.
1. Il re della galassia.
Dialogando con Patrizia D’Addario, Berlusconi si preoccupa anzitutto di nutrire il proprio Ego. E’ il padrone di casa tornato dopo le vacanze, che obbliga gli ospiti a guardare le 780 diapositive. E’ il maturo anfitrione che poteva divertirci le serate estive con un semplicissimo mi ricordo (cit). Le feste non mirano tanto all’alcova, quanto alla reiterata celebrazione di sé. L’inno di Forza Italia, i filmini con l’amico Putin, le barzellette raccontate: non è Italia, è stra-Italia. E’ Alberto Sordi che dà vita a un tassinaro più vero del vero. E’ la summa del leader che incarna al meglio il peggio degli italiani. Quello che è sempre più furbo degli altri: che ce l’ha sempre più lungo degli altri.I regali “li ho disegnati io”, quelli più belli “non li ho fatti io ma l’idea è mia”. Io, io, io. Tutto è oro, perfino il sottosuolo diviene babele archeologica. Patrizia nel paese delle Meraviglie.Berlusconi diviene poi incontrastato Re della Galassia quando racconta i fantasmagorici successi politici: “Sono il responsabile dell’organismo internazionale che governerà l’economia del mondo… si chiama ora G8, poi sarà G14… E’ un organo che raccoglie i leader dell’80 per cento dell’economia che devono decidere di applicare le leggi dell’economia in un momento complesso di crisi…Io per avventura…io sono l’unico al mondo che ha presieduto due volte nel 1994 e nel 2002, non c’è nessun altro che ha presieduto due volte…Siccome si va a sedici, uno deve stare lì, e si fa un anno ciascuno, ora sono in-su-pe-ra-bi-le…tre volte! ed è un grande risultato per l’Italia”. Lui è unico, insuperabile, lo fa “per avventura” (a differenza di Mogol-Battisti) e la sua gloria - per osmosi - tocca anche la vita degli italiani.Notevole la risposta della D’Addario, che dopo una tale profusione d’Ego, al cui confronto Morgan è Seppi, riassume il suo interesse così: “Eeeeeeeeeeeehhh”. E non si capisce se sia sbadiglio o catatonia passeggera.
2. L’afasia di Willie Wonka.
I dialoghi hanno un che di lobotomizzato. Spesso i due parlano ma non si capiscono. C’è una incomunicabilità di fondo, forse una citazione dai film di Bergman o solo la prova che a Berlusconi i testi glieli scrive Renzo Bossi.Tre esempi.
Esempio 1, altresì noto come Apologo dell’Italia agli italiani. Berlusconi parte con una filippica (non chiarissima) sulla Finlandia che di artistico non ha niente, mentre “noi (italiani) qui abbiamo… 40mila parchi storici con tutti i tesori dentro, 3500 chiese, 2500 siti archeologici, pari al 52% di tutte le opere d’arte catalogate al mondo e al 70 % di tutte le opere d’arte catalogate in Europa”.Non è solo lui che è eccezionale: lo è anche il suo paese. Il più bello del reame nel più bello dei reami. Col solito surplus d’enfasi, Berlusconi conclude: “Questa è l’Italia”. La D’Addario, che come abbiamo visto non è bravissima a tenere alta la concentrazione quando il cliente (ooops) si imbroda, non sa che dire e butta là: “E perché non vengono più?”. Che non c’entra niente (chi non viene più? I finlandesi? I polacchi che non morirono subito? I visigoti? Boh).
Esempio 2, altresì noto come Sindrome del Baglioni ingrifato. La mattina dopo aver passato la notte insieme (casualmente la stessa notte in cui è stato eletto Obama, ma in fondo chi se ne frega di Obama), Berlusconi chiama la D’Addario. Lui: “Come stai questa mattina?”. Lei: “Come stai?”. Se lo chiedono cento volte: e tu come stai, tu come stai, tu come stai, come ti trovi, chi viene a prenderti, chi ti apre lo sportello (cit). Cose così. Passano due minuti, stanno parlando di tutt’altro, e poi lui ancora: “Va bene senti, tutto bene?”. E lei: “Sì tutto bene”. E via così. Sono dialoghi loop, ritualizzati, scanditi da fasi afasiche e cortocircuiti comunicativi (ignoro il significato di ciò che ho appena scritto, ma è voluto, fa molto radical chic).
Esempio 3, altresì noto come Miracolo dei Gelati. Berlusconi si incarta nel celebrare i migliori gelati del mondo (che ovviamente sono di sua proprietà): “Questo è l’ingresso della gelateria questa qua è la gelateria guarda che meraviglia questa è la gelateria con tutti i posti per i gelati”. Rileggete: non vuol dire niente, sembra un intervento di Amicone. Lei però, gentile, risponde: “Ah, è il mio posto ideale …”. E Berlusconi, ancora in loop: “Qua c’è… qua c’è la fabbrica dei gelati …”. Attenzione: non è un semplice reparto gelati, è la fabbrica dei gelati. La fabbrica. Qui non è più Berlusconi: è Willie Wonka. E gli umpa lumpa sono capitanati da Brunetta.
Esempio 1, altresì noto come Apologo dell’Italia agli italiani. Berlusconi parte con una filippica (non chiarissima) sulla Finlandia che di artistico non ha niente, mentre “noi (italiani) qui abbiamo… 40mila parchi storici con tutti i tesori dentro, 3500 chiese, 2500 siti archeologici, pari al 52% di tutte le opere d’arte catalogate al mondo e al 70 % di tutte le opere d’arte catalogate in Europa”.Non è solo lui che è eccezionale: lo è anche il suo paese. Il più bello del reame nel più bello dei reami. Col solito surplus d’enfasi, Berlusconi conclude: “Questa è l’Italia”. La D’Addario, che come abbiamo visto non è bravissima a tenere alta la concentrazione quando il cliente (ooops) si imbroda, non sa che dire e butta là: “E perché non vengono più?”. Che non c’entra niente (chi non viene più? I finlandesi? I polacchi che non morirono subito? I visigoti? Boh).
Esempio 2, altresì noto come Sindrome del Baglioni ingrifato. La mattina dopo aver passato la notte insieme (casualmente la stessa notte in cui è stato eletto Obama, ma in fondo chi se ne frega di Obama), Berlusconi chiama la D’Addario. Lui: “Come stai questa mattina?”. Lei: “Come stai?”. Se lo chiedono cento volte: e tu come stai, tu come stai, tu come stai, come ti trovi, chi viene a prenderti, chi ti apre lo sportello (cit). Cose così. Passano due minuti, stanno parlando di tutt’altro, e poi lui ancora: “Va bene senti, tutto bene?”. E lei: “Sì tutto bene”. E via così. Sono dialoghi loop, ritualizzati, scanditi da fasi afasiche e cortocircuiti comunicativi (ignoro il significato di ciò che ho appena scritto, ma è voluto, fa molto radical chic).
Esempio 3, altresì noto come Miracolo dei Gelati. Berlusconi si incarta nel celebrare i migliori gelati del mondo (che ovviamente sono di sua proprietà): “Questo è l’ingresso della gelateria questa qua è la gelateria guarda che meraviglia questa è la gelateria con tutti i posti per i gelati”. Rileggete: non vuol dire niente, sembra un intervento di Amicone. Lei però, gentile, risponde: “Ah, è il mio posto ideale …”. E Berlusconi, ancora in loop: “Qua c’è… qua c’è la fabbrica dei gelati …”. Attenzione: non è un semplice reparto gelati, è la fabbrica dei gelati. La fabbrica. Qui non è più Berlusconi: è Willie Wonka. E gli umpa lumpa sono capitanati da Brunetta.
3. I cigni Co.Co.Co.
Berlusconi, sempre Re della Galassia, mostra il parco dei cigni. Che però non ci sono. La D’Addario (che sa essere sagace) lo nota. E lui: “Sì, ma poi li tiriamo fuori perché vogliamo avere l’acqua pulita per fare il bagno…”. Cioè sono cigni co.co.co, con contratto a tempo determinato (pure loro). Domanda: quando non li tengono in acqua, dove li nascondono? Li parcheggiano nel duodeno di Borghezio? Li prestano come claque a Capezzone? Li usano come cavie per gli esperimenti genetici di Elisabetta Gardini? Non si sa.
4. Balena.
Berlusconi cammina sul parco. A un certo punto dice: “Questa è una balena fossilizzata”. Grande sdegno tra archeologi e animalisti. Non ve n’è motivo. Stava solo indicando la cuccia di Calderoli.
5. Meteoriti.
Berlusconi colleziona meteoriti. “Questi qua sono i meteoriti. Questi son quelli che mi ha regalato… visti questi qua io sono andato in India” (sintassi post-atomica). I meteoriti. Lui li colleziona. Ecco: come si fa a collezionare meteoriti? Ti fai sparare in cielo dentro lo Sputnik e rubi nel salvadanaio del Dottor Spock? Telefoni a Marlon Brando e ti fai dare di contrabbando qualche pezzo del pianeta Krypton? Fai merenda con Tom Hanks a bordo dell’Apollo 13? Mah.
6. Tombe fenicie.
Nell’universo berlusconiano c’è una dialettica continua tra terreno e ultraterreno, al di qua e aldilà (questa l’ho scritta per farvi notare come io sappia che “aldilà”, se allude al regno dei trapassati, si scrive tutto attaccato - altrimenti no). Nemmeno la tomba può essere normale, dacché (?) il tratto comune è l’Eccezionalità. Berlusconi non intende limitare al presente il proprio Dominio. Il suo è il regno dei cieli: da qui l’insistenza su mausolei mirabolanti - con la luce sempre accesa, perché lui odia il buio - e pure le tombe fenicie. Che sono tutte prenotate, però. Gasparri c’è rimasto male e, come giaciglio ultimo, si è accontentato di un monolocale sfitto a Scampia.
7. Lettone.
Se n’è parlato tanto. “Aspettami lì”, dice Berlusconi, “nel lettone, sì quello di Putin”. E’ il momento più tenero dei dialoghi. Da una parte c’è l’uomo pubblico, potentissimo, che sottolinea come perfino il letto ce l’abbia lungo. Dall’altra c’è l’uomo privato, che con retaggio infantile allude al luogo del riposo come si faceva da bambini. Il lettone: della mamma, dei genitori. Un letto al tempo stesso maschio e bambino. Corpo e anima. Peccato e santità. Che dolce.
8. La rivoluzione di Onan.
Sono i consigli erotici di Berlusconi. Al Premier non passa minimamente per la testa che Patrizia D’Addario, in quanto escort, sappia benissimo che tra i suoi compiti ci sia anche quello di magnificare le virtù sessuali del cliente (oops). A sentire la D’Addario, sembra che fino a quel giorno abbia fornicato (?) solo con eunuchi e sfigati. Invece con Berlusconi tutto è diverso, migliore, indimenticabile: lei ha sentito male (uh), lei ha perso la voce (”eppure non abbiamo gridato”), lei non faceva sesso così da mesi. E’ l’Apoteosi di Casanova: Berlusconi è Goldrake, si trasforma in un razzo missile con circuiti di mille valvole.“Un giovane sarebbe già arrivato in un secondo”, rincara lei, denotando la stessa fiducia sulle nuove generazioni che aveva Erode. Patrizia è sincera o sta “lavorando”? Berlusconi non ha dubbi: non può averne. Lui è il Re della galassia. Sa che nessuno è come lui. Nemmeno nell’antica arte del dadaumpa. Ed è per questo che, dall’alto della sua virilità, dispensa consigli. Prima allude cripticamente a un “guaio di famiglia” per spiegare la difficoltà a raggiungere l’orgasmo, lasciando intendere che anche qui dipende tutto dall’essere o meno Unti dal Signore. Poi, di fronte alle lagnanze della D’Addario, sintetizza così il suo scibile amatorio: “Mi posso permettere? (variante privata del “Mi consenta” pubblico). Tu devi fare sesso da sola… Devi toccarti con una certa frequenza”.Toccarsi con una certa frequenza: è la rivoluzione democratica di Onan. Prima di Berlusconi, se ti toccavi parecchio diventavi cieco. Oggi, come minimo, diventi ministro. Daje.
9. Non sono un Santo.
Eccolo, il talento di Berlusconi. La battuta autoassolutoria, il declinare i propri difetti a simpatiche manchevolezze. “Non sono un Santo”: in un colpo solo ha cancellato mesi di bugie, pettegolezzi, sconcezze. Nulla esiste più, la bomba è disinnescata. C’è pure l’autoironia di fondo: l’Unto del Signore che, per un attimo, nega la sua essenza divina.
“Non sono un Santo”. E l’italiano medio ride, ci si rivede, pensa che “anche lui è come me”. Anche lui pensa che la famiglia sia sacra, sì, ma poi si sa che l’uomo è cacciatore e la donna preda (quindi non ci rompete le palle coi vostri moralismi). Giuseppe D’Avanzo e Repubblica possono scrivere quel che vogliono: cucù lo scandalo non c’è più. E’ tutto finito. La Chiesa non si schiera e la Fenice Berlusconi è nuovamente risorta dalle ceneri.
L’unico errore è stato affidarsi per settimane alla strategia di Mavalà Ghedini. Avesse detto subito “Non sono un santo”, la cosa sarebbe finita lì. Invece si è a lungo ostinato a negare l’evidenza, lasciando che Ghedini parlasse (perfino) di “utilizzatori finali”. Che poi, su: Ghedini che parla di sesso è come la Gegia che dà lezioni di striptease, coi bigodini e le infradito. Inaccettabile.
“Non sono un Santo”. E l’italiano medio ride, ci si rivede, pensa che “anche lui è come me”. Anche lui pensa che la famiglia sia sacra, sì, ma poi si sa che l’uomo è cacciatore e la donna preda (quindi non ci rompete le palle coi vostri moralismi). Giuseppe D’Avanzo e Repubblica possono scrivere quel che vogliono: cucù lo scandalo non c’è più. E’ tutto finito. La Chiesa non si schiera e la Fenice Berlusconi è nuovamente risorta dalle ceneri.
L’unico errore è stato affidarsi per settimane alla strategia di Mavalà Ghedini. Avesse detto subito “Non sono un santo”, la cosa sarebbe finita lì. Invece si è a lungo ostinato a negare l’evidenza, lasciando che Ghedini parlasse (perfino) di “utilizzatori finali”. Che poi, su: Ghedini che parla di sesso è come la Gegia che dà lezioni di striptease, coi bigodini e le infradito. Inaccettabile.
10. Scugnizzi e zoccole.
Berlusconi ama l’abbinamento musicale associativo. Niente metafore, niente astrattismi. Molto meglio la sottolineatura didascalica. Mentre è con la D’Addario, la musica che risuona è quella di Zoccole (e anche qui c’è da applaudire Berlusconi: avere una piena evoluzione mascolina ascoltando Sal Da Vinci non è facile per nessuno). Per Berlusconi, la musica deve amplificare l’azione corporea. Se Berlusconi fa sesso, ascolta Zoccole (secoli di battaglie femministe ammazzate in un colpo solo). Se va a cavallo, ascolta Samarcanda. Se parla con un amico, ascolta Venditti. Se va in missione all’estero, ascolta Wagner (e invade la Polonia).
E ora scusate, vado ad aprire un conto alla Banca Rasini.
Ci sentiamo tra due settimane. Che Matteo Salvini sia con voi.
venerdì 31 luglio 2009
PARTITO SUD: DI PIETRO, E' MINACCIA A BERLUSCONI PER 'INADEMPIENZA'
(ASCA) - Roma, 30 lug - ''Il partito di Forza Italia e' nato su commissione di Cosa Nostra, e' scritto nella sentenza di condanna a nove anni di Marcello Dell'Utri, e la riprova inequivocabile di cio' furono quei 61 seggi su 61 assegnati dall'isola al partito di Arcore alle politiche del 2001. Oggi senza i voti della circoscrizione Sud, e della Sicilia in particolare, il Pdl non sarebbe mai andato al governo per ben quattro volte e l'Udc di Toto' Cuffaro avrebbe gli iscritti di un circolo Acli. La minaccia del Partito del Sud e' un chiaro monito rivolto a Silvio Berlusconi che non sta facendo, evidentemente, quanto promesso in quell'antico patto di cui Marcello Dell'Utri e' stato garante per quasi un ventennio''. A sostenerlo, sul suo blog, e' Antonio Di Pietro.''Il Partito del Sud - continua il presidente dell'Italia dei Valori - e' il segnale che gli accordi politici alla base di Forza Italia in Sicilia sono in discussione. A questo segnale se ne aggiungono altri che potrebbero comunque far parte dello stesso puzzle: la spazzatura di Palermo, l'agitazione della Giunta Lombardo, i messaggi di Riina su mandanti di Stato per le stragi di Capaci e via D'Amelio, le dichiarazioni di Ciancimino jr, la recente condanna a 10 anni e 8 mesi per associazione mafiosa di Mercadante, ex deputato di Fi. E cosi' il Premier promette nuovi soldi alla Sicilia e lo fa ancor prima di spiegare come verranno utilizzati e con quali coperture finanziarie. Evidentemente - osserva Di Pietro - l'importante e' porre l'accento sulla cifra, prima che sulla destinazione e sulla reale disponibilita'.Evidentemente le persone a cui e' rivolto il messaggio ne conoscono la destinazione''.
http://www.asca.it/news-PARTITO_SUD__DI_PIETRO__E__MINACCIA_A_BERLUSCONI_PER__INADEMPIENZA_-849832-ORA-.html
http://www.asca.it/news-PARTITO_SUD__DI_PIETRO__E__MINACCIA_A_BERLUSCONI_PER__INADEMPIENZA_-849832-ORA-.html
giovedì 30 luglio 2009
Le mie lettre al Pm Raimondi ed all'on, Pecorella.
Caso Alessandro Didoni ed il suo amico Dario.
Destinatario:
pecorella_g@camera.it
"Egregio,
leggo dell'episodio e mi rattrista pensare che voi, persone istituzionali, nostri rappresentanti al governo, non accettiate il dialogo ed il confronto.Ancor più mi rattrista leggere che lei, persona con una considerevole esperienza, data la sua veneranda età, citi per "violazione della privacy" un ragazzo che ha semplicemente esternato la sua curiosità e cercato risposte ai suoi dubbi.
Un uomo di esperienza come lei dovrebbe provocarlo un dialogo con i giovani, oltre che rappresentare un esempio di chiarezza.
Questo nostro povero paese è già devastato da tante disgrazie, tra le quali la disoccupazione, la più grande di tutte le disgrazie, aumentarne la portata con episodi di intolleranza, non credo sia costruttivo, bensì deleterio.
Spero che lei ci ripensi e mandi un messaggio a tutti gli italiani, quello che il suo stesso capo del governo lancia: ottimismo e buona volontà.
Al suo buon cuore.
In fede, XXXXXXXXXXXXXX"
=====================
sandro.raimondi@giustizia.it
Egregio dr. Raimondi,
Leggo con dispiacere la notizia apparsa su alcuni quotidiani di oggi relativamente alla querela per "violazione della privacy" operata dall'on. Pecorella nei riguardi di due giovani, Alessandro Didoni e Dario Parazzoli, la cui unica colpa è quella di aver cercato di fugare alcuni dubbi che attanagliano un po' tutta la popolazione italiana.
Già è triste dover apprendere che un personaggio istituzionale, nostro rappresentante al governo, dimostri segni di intolleranza nei confronti di chi gli pone domande lecitissime, in quanto corrispondenti alla "realtà attuale" e non confutabile, scoprire, altresì, che chi dovrebbe rappresentare ognuno di noi, porga querela per il medesimo motivo, mi distrugge psicologicamente.
E' altrettanto inconcepibile ed incredibile, visti i tempi utilizzati di solito dalla magistratura, la immediatezza con la quale, lei, ha promosso l'indagine a tutela della querela.
Vorrei farle notare che chiedere non è un reato, è cosa naturale, e una domanda lecita, in quanto rispondente ad una realtà esistente, qualunque essa sia, richiede e pretende una risposta, specie se rivolta ad un personaggio istituzionale.
Io temo che si stiano sgretolando quelli che sono i doveri istituzionali ed il concetto di giustizia.
Dobbiamo incominciare a dubitarne?
Andando avanti di questo passo, credo che non si potrà credere più in nulla.
Con tristezza e rammarico, passo a salutarla, nella speranza che voglia riflettere su quanto accaduto e sul fatto che la legge, purtroppo, non è più uguale per tutti, ma tutela solo i più forti.
Con disillusione,
XXXXXXX
Destinatario:
pecorella_g@camera.it
"Egregio,
leggo dell'episodio e mi rattrista pensare che voi, persone istituzionali, nostri rappresentanti al governo, non accettiate il dialogo ed il confronto.Ancor più mi rattrista leggere che lei, persona con una considerevole esperienza, data la sua veneranda età, citi per "violazione della privacy" un ragazzo che ha semplicemente esternato la sua curiosità e cercato risposte ai suoi dubbi.
Un uomo di esperienza come lei dovrebbe provocarlo un dialogo con i giovani, oltre che rappresentare un esempio di chiarezza.
Questo nostro povero paese è già devastato da tante disgrazie, tra le quali la disoccupazione, la più grande di tutte le disgrazie, aumentarne la portata con episodi di intolleranza, non credo sia costruttivo, bensì deleterio.
Spero che lei ci ripensi e mandi un messaggio a tutti gli italiani, quello che il suo stesso capo del governo lancia: ottimismo e buona volontà.
Al suo buon cuore.
In fede, XXXXXXXXXXXXXX"
=====================
sandro.raimondi@giustizia.it
Egregio dr. Raimondi,
Leggo con dispiacere la notizia apparsa su alcuni quotidiani di oggi relativamente alla querela per "violazione della privacy" operata dall'on. Pecorella nei riguardi di due giovani, Alessandro Didoni e Dario Parazzoli, la cui unica colpa è quella di aver cercato di fugare alcuni dubbi che attanagliano un po' tutta la popolazione italiana.
Già è triste dover apprendere che un personaggio istituzionale, nostro rappresentante al governo, dimostri segni di intolleranza nei confronti di chi gli pone domande lecitissime, in quanto corrispondenti alla "realtà attuale" e non confutabile, scoprire, altresì, che chi dovrebbe rappresentare ognuno di noi, porga querela per il medesimo motivo, mi distrugge psicologicamente.
E' altrettanto inconcepibile ed incredibile, visti i tempi utilizzati di solito dalla magistratura, la immediatezza con la quale, lei, ha promosso l'indagine a tutela della querela.
Vorrei farle notare che chiedere non è un reato, è cosa naturale, e una domanda lecita, in quanto rispondente ad una realtà esistente, qualunque essa sia, richiede e pretende una risposta, specie se rivolta ad un personaggio istituzionale.
Io temo che si stiano sgretolando quelli che sono i doveri istituzionali ed il concetto di giustizia.
Dobbiamo incominciare a dubitarne?
Andando avanti di questo passo, credo che non si potrà credere più in nulla.
Con tristezza e rammarico, passo a salutarla, nella speranza che voglia riflettere su quanto accaduto e sul fatto che la legge, purtroppo, non è più uguale per tutti, ma tutela solo i più forti.
Con disillusione,
XXXXXXX
Gaetano Pecorella querela due cittadini informati.
30 luglio 2009
Riceviamo e pubblichiamo la lettera di due cittadini "colpevoli" di "lesa maestà" nei confronti di un esponente politico.
A Dario Parazzoli e Alessandro Didoni la solidarietà della redazione di ANTIMAFIADuemila.
"Quando vuole, la giustizia è veloce. Siamo Dario e Alessandro, due cittadini che si interessano alla politica. Vorremmo raccontare quel che può accadere oggi in Italia a chi osi fare una domanda a un parlamentare.
Un nostro dipendente, come dice Beppe Grillo. In questo caso l'onorevole avvocato professore Gaetano Pecorella.L'abbiamo incontrato lunedì sera a Milano, a una trasmissione di Telelombardia. Lui era ospite di un dibattito su mafia e politica; noi eravamo tra il pubblico in qualità di co-organizzatori di una manifestazione per chiedere verità e giustizia sulla strage di via D'Amelio. Durante la diretta io (Dario) ho rivolto una domanda a Pecorella sul caso Dell'Utri. Non prova imbarazzo, ho chiesto, a sedere in parlamento a fianco a un condannato in primo grado per mafia, uno che per sua stessa ammissione ha frequentato fior di mafiosi? Non dovrebbero scattare, proprio come diceva Borsellino, più severi meccanismi di selezione al momentodelle candidature? Pecorella ha liquidato la faccenda dicendo che il fondatore di Forza Italia è stato eletto democraticamente, quindi lo vogliono gli italiani. Punto e basta. Non c'è stato tempo di replicare: il conduttore ha mandato in tutta fretta la pubblicità. Durante la pausa pubblicitaria, io (Alessandro) ho chiesto conto all'avvocato Pecorella di un episodio della sua carriera che mi aveva paritcolarmente colpito leggendo il romanzo di Roberto Saviano: il fatto che accettò di difendere, mentre era presidente della commissione Giustizia della Camera, Nunzio De Falco, boss di camorra imputato e poi condannato come mandante dell'omicidio di don Peppino Diana. Una figura istituzionale non dovrebbe forse astenersi, per non far perdere credibilità alle istituzioni, da simili esperienze professionali?Pecorella mi ha accusato di essere un ignorante: "lei con qualla faccia lì non sa niente!". Poi mi ha invitato a leggere gli atti del processo, dai quali a suo dire si apprenderebbe che don Peppino Diana era uno che teneva in casa le armi della mafia. A quindici anni dalla morte evidentemente la demolizione della reputazione di questo martire dell'antimafia non è ancora finita. Nando dalla Chiesa, presente al dibattito, gli ha risposto: "difendi pure Dell'utri, ma non infangare le vittime della camorra!". Al termine della diretta, fuori dagli studi, abbiamo garbatamente chiesto a Pecorella di chiarire meglio il suo pensiero. Pecorella e la signora che l'accompagnava hanno inveito contro di noi, la signora ci ha detto di "andare a chiedere queste cose a Saviano", ci ha dato dei "poveracci" e dei "cretini", ha detto che Gaetano "fa l'avvocato, mica il contabile, e difende chi vuole". Gaetano ha chiuso il discorso con una manata sulla telecamerina accesa. Il giorno dopo ci ha querelati per violazione della privacy! Tre giorni dopo alle 6,30 del mattino io (Dario) ho ricevuto la visita di tre poliziotti (la pattuglia era guidata dall'ispettore capo Vincenzo Calabrese) con un mandato di perquisizione (firmato a tempo di record dal pubblico ministero di Milano Sandro Raimondi). Avevano l'ordine di sequestrare la cassetta. Lo stesso giorno il comando dei carabinieri di Vimodrone ha convocato me (Alessandro) per notificarmi l'indagine in corso a mio carico per la medesima ipotesi di reato: concorso in violazione della privacy di Gateano Pecorella.Insomma, tira davvero una brutta aria per la libertà di espressione (e per la credibilità delle istituzioni). Certo è che noi non abbiamo fatto nulla di male e non ci lasceremo intimidire.
Un caro saluto, Dario Parazzoli, Alessandro Didoni."
Nando Dalla Chiesa, Piero Ricca e Beppe Grillo ne hanno parlato sui loro blog:
nandodallachiesa.it
pieroricca.org
beppegrillo.it
http://www.antimafiaduemila.com/content/view/18310/78/
mercoledì 29 luglio 2009
Massimo Ciancimino: ''Ho paura di essere ucciso''
di Giorgio Bongiovanni e Silvia Cordella - 28 luglio 2009
L’inaspettato intervento del capo dei capi Totò Riina su una trattativa che si concluse con la sua cattura. Il brulicare crescente di informazioni che i politici, non si sa bene perché, iniziano a dare solo oggi, dopo l’annuncio di Massimo Ciancimino (che parla invece ai magistrati da più di un anno) di consegnare ai pm di Palermo: il sostituto Nino Di Matteo e l’aggiunto Antonio Ingroia, i documenti del padre con il famoso “papello”. Il foglio scritto da Riina, o per sua interposta persona, con le sue richieste allo Stato in cambio della fine delle bombe del ‘92. Un susseguirsi di notizie, dichiarazioni, colpi di scena che stanno creando fermento intorno al coinvolgimento di apparati istituzionali nella trattativa avviata nel 1992 tra lo Stato e Cosa Nostra e il ruolo di questi nella strage di via Mariano d’Amelio. Un capitolo che vede al centro Massimo Ciancimino il quale continua a mantenere fede alla sua promessa di dire la verità. Una verità che - ci ha subito confessato durante il nostro recente incontro - lo sta esponendo a ritorsioni di ogni genere e tipo. Tanto che è stato costretto a traslocare in un albergo dove vive barricato in una stanza. Non molto tempo fa il comitato per l’ordine e la sicurezza gli aveva affidato una tutela richiesta dalla Procura della Repubblica di Bologna costituita da due uomini in borghese che lo accompagnano nei suoi spostamenti. Una protezione comunque superficiale, certamente non all’altezza della portata delle dichiarazioni del figlio dell’ex sindaco di Palermo che, “riconoscendo lo sforzo” dei suoi “protettori”, noleggerà una macchina blindata: “Devo proteggere mia moglie e mio figlio quando viaggio con loro”.E ancora, fortemente preoccupato, ci dice: “Temo di non arrivare al processo Dell’Utri”. Un processo in cui in tutta probabilità (i giudici si sono riservati di decidere) sarà chiamato a deporre il 17 settembre prossimo. Il timore di Massimo Ciancimino non è dovuto alla sua ansia, né al suo protagonismo, nasce invece da altre forme di minacce ricevute da soggetti neppure troppo anonimi. Ma di questo lui non vuole parlare. Ci sono in gioco interessi troppo alti che non devono essere toccati. Di recente rispondendo alle domande dei pm aveva detto “è un gioco più grande di me”. Ci sono equilibri che destabilizzerebbero l’attuale potere politico, nato proprio in quegli anni di stragi e contrattazioni, quando l’era di “Tangentopoli” aveva rastrellato i vecchi partiti storici collusi e corrotti. Fu lì che Cosa Nostra sferrò il suo attacco allo Stato per dare un segnale a quella certa classe politica che non era riuscita a garantire a dovere alcune promesse. Per questo venne ucciso Lima poi Falcone. Ma lo Stato invece di mostrare il suo pugno di ferro intavolò quella che per tutti è diventata la “Trattativa”. Quel dialogo tra mafia e istituzioni che in realtà, secondo la testimonianza di Ciancimino junior, ebbe tre fasi. La prima. Quella che - a differenza di quanto sostiene oggi l’on. Mancino – venne avviata dal Ros, quando a fine giugno ’92 il capitano De Donno contattò, durante un viaggio aereo Palermo – Roma, Massimo Ciancimino per chiedergli di convincere suo padre a incontrare il gen. Mario Mori e poter effettuare uno scambio con Riina. Lo svolgimento di questa prima fase lo si conosce dalle varie ricostruzioni processuali. Vito Ciancimino si rese disponibile sperando di poter ottenere qualche beneficio per la sua detenzione e lo stesso Riina accettò di buon grado quel primo passo. Da lì la sua frase “si sono fatti sotto” e la realizzazione di un “papello” pieno di richieste che lo stesso Sindaco di Palermo aveva ritenuto inaccettabili.Ed è proprio in questo momento che qualcuno, in alto, molto probabilmente all’interno dei servizi o per mandato dei cosiddetti poteri forti, convinse Riina ad accelerare i tempi e mettere a punto la strage di Via d’Amelio. Per sbloccare il dialogo e per eliminare un ostacolo scomodo e pericoloso: Paolo Borsellino.La seconda fase della trattativa è quella dell’autunno ’92 che vide subentrare Provenzano, finora rimasto spettatore. Binnu, riprendendo in segreto il dialogo con i carabinieri attraverso Vito Ciancimino, condusse questa parte di trattativa facendo di Riina il suo oggetto di scambio.Chi in effetti avrebbe potuto rivelare a Vito Ciancimino il nascondiglio del padrino che egli stesso indica nelle mappe di Palermo procurate dai Carabinieri?Il capo dei corleonesi venne così catturato, in cambio di nuovi accordi, nel gennaio del ’93 ma, nonostante il Ros avesse individuato il covo (nel quale avrebbe potuto trovare documentazione importantissima) i carabinieri guidati da Mori trascurarono la casa di via Bernini, rimasta priva di sorveglianza per 18 giorni. Il tempo sufficiente agli uomini di Cosa Nostra per ripulire la villa di ogni carteggio compromettente e per trasferire la famiglia del capomafia a Corleone.Di qui sarebbe poi partita anche una terza trattativa: quella che ha visto Provenzano scavalcare anche Vito Ciancimino nei rapporti con le istituzioni.Il Ragioniere di Cosa Nostra infatti era in cerca di referenti politici in grado di garantirgli impunità e agevolazioni legislative per quella che sarà la nuova mafia del dopo stragi. Interlocutori credibili che secondo i collaboratori di giustizia più accreditati, come Nino Giuffé, Provenzano trova nel nascente partito politico di Forza Italia cui sarebbe giunto, tramite Marcello Dell’Utri, già vecchio amico di Cosa Nostra sin dagli anni Settanta. (Infatti molti collaboratori di giustizia hanno dichiarato che Dell'Utri è amico di Cosa Nostra sin dai tempi di Stefano Bontade e Vittorio Mangano, il famoso stalliere di Berlusconi. Ma è soprattutto Salvatore Cancemi, ex membro della Cupola e ora collaboratore di giustizia, che ascolta, nel 1991 da Riina in persona, le seguenti parole: “Berlusconi e Dell'Utri sono nelle mie mani e questo è un bene per tutta Cosa Nostra).Per la Cosa Nuova il vecchio sindaco risultava infatti già troppo compromesso.Don Vito venne così arrestato a dicembre del ’92 ma non smetterà comunque di essere il consigliere di Provenzano che incontrerà nella sua casa di Roma fino al 2002, durante gli arresti domiciliari. Infatti il nuovo capo di Cosa Nostra è a lui che si rivolgerà per un suggerimento quando nel 1994 dovrà recapitare la lettera con le minacce al neo eletto Silvio Berlusconi tramite Dell’Utri. Intimidazioni preventive che Cosa Nostra invia al Presidente del Consiglio per ricordargli “chi comanda” e che “ci sono dei doveri da rispettare”. La lettera – così come ha raccontato Massimo Ciancimino ai giudici – era stata consegnata nelle sue mani nella casa di Pino Lipari a San Vito Lo Capo, in presenza dello stesso Lipari e Provenzano. Il compito di Ciancimino jr era dunque quello di farla arrivare a suo padre, all’epoca detenuto a Rebibbia affinché esprimesse il suo parere. Una missiva che era rimasta ai Ciancimino mentre un’altra uguale faceva il suo corso fino a giungere al destinatario finale. Una ricostruzione questa che completa le tesi espresse da diversi collaboratori di giustizia sentiti in tutti questi anni dalle varie Procure e le ipotesi investigative sulle stragi del ’92-’93 le quali più volte si sono fermate, per mancanza di riscontri o per scadenza dei tempi di indagine, al filone delle responsabilità politiche e istituzionali sulle stragi in un periodo che ha segnato il passaggio tra la prima e la seconda repubblica italiana. Restano da capire alcuni punti che il figlio più piccolo di don Vito ci auguriamo potrà chiarire in dibattimento, con un confronto aperto, se i giudici lo riterranno opportuno, con i signori Riina, Cinà o Provenzano. Il capo dei capi intanto, a sorpresa, ha espresso la sua opinione, a modo suo, negando la prima trattativa, quella portata avanti da lui stesso e chiarendo di essere stato venduto da un accordo segreto tra lo Stato e Vito Ciancimino. “Riina discolpandosi dalla strage di via d’Amelio – ha affermato Ciancimino - implicitamente sostiene per la prima volta il suo ruolo in Cosa Nostra e non citando la strage di Capaci non nega di avervi partecipato”. Dunque Riina non parla a caso, le sue accuse tuonano come messaggi: “io non c’entro con la morte di Borsellino” ha detto, “l’hanno ammazzato loro”. La domanda è: loro chi? A chi Riina sta mandando i suoi avvertimenti? E perché alcuni personaggi protagonisti della politica solo oggi rispondono e, molto parzialmente, a domande che avrebbero dovuto avere risposte esaustive subito dopo le stragi?
http://www.antimafiaduemila.com/content/view/18224/48/
L’inaspettato intervento del capo dei capi Totò Riina su una trattativa che si concluse con la sua cattura. Il brulicare crescente di informazioni che i politici, non si sa bene perché, iniziano a dare solo oggi, dopo l’annuncio di Massimo Ciancimino (che parla invece ai magistrati da più di un anno) di consegnare ai pm di Palermo: il sostituto Nino Di Matteo e l’aggiunto Antonio Ingroia, i documenti del padre con il famoso “papello”. Il foglio scritto da Riina, o per sua interposta persona, con le sue richieste allo Stato in cambio della fine delle bombe del ‘92. Un susseguirsi di notizie, dichiarazioni, colpi di scena che stanno creando fermento intorno al coinvolgimento di apparati istituzionali nella trattativa avviata nel 1992 tra lo Stato e Cosa Nostra e il ruolo di questi nella strage di via Mariano d’Amelio. Un capitolo che vede al centro Massimo Ciancimino il quale continua a mantenere fede alla sua promessa di dire la verità. Una verità che - ci ha subito confessato durante il nostro recente incontro - lo sta esponendo a ritorsioni di ogni genere e tipo. Tanto che è stato costretto a traslocare in un albergo dove vive barricato in una stanza. Non molto tempo fa il comitato per l’ordine e la sicurezza gli aveva affidato una tutela richiesta dalla Procura della Repubblica di Bologna costituita da due uomini in borghese che lo accompagnano nei suoi spostamenti. Una protezione comunque superficiale, certamente non all’altezza della portata delle dichiarazioni del figlio dell’ex sindaco di Palermo che, “riconoscendo lo sforzo” dei suoi “protettori”, noleggerà una macchina blindata: “Devo proteggere mia moglie e mio figlio quando viaggio con loro”.E ancora, fortemente preoccupato, ci dice: “Temo di non arrivare al processo Dell’Utri”. Un processo in cui in tutta probabilità (i giudici si sono riservati di decidere) sarà chiamato a deporre il 17 settembre prossimo. Il timore di Massimo Ciancimino non è dovuto alla sua ansia, né al suo protagonismo, nasce invece da altre forme di minacce ricevute da soggetti neppure troppo anonimi. Ma di questo lui non vuole parlare. Ci sono in gioco interessi troppo alti che non devono essere toccati. Di recente rispondendo alle domande dei pm aveva detto “è un gioco più grande di me”. Ci sono equilibri che destabilizzerebbero l’attuale potere politico, nato proprio in quegli anni di stragi e contrattazioni, quando l’era di “Tangentopoli” aveva rastrellato i vecchi partiti storici collusi e corrotti. Fu lì che Cosa Nostra sferrò il suo attacco allo Stato per dare un segnale a quella certa classe politica che non era riuscita a garantire a dovere alcune promesse. Per questo venne ucciso Lima poi Falcone. Ma lo Stato invece di mostrare il suo pugno di ferro intavolò quella che per tutti è diventata la “Trattativa”. Quel dialogo tra mafia e istituzioni che in realtà, secondo la testimonianza di Ciancimino junior, ebbe tre fasi. La prima. Quella che - a differenza di quanto sostiene oggi l’on. Mancino – venne avviata dal Ros, quando a fine giugno ’92 il capitano De Donno contattò, durante un viaggio aereo Palermo – Roma, Massimo Ciancimino per chiedergli di convincere suo padre a incontrare il gen. Mario Mori e poter effettuare uno scambio con Riina. Lo svolgimento di questa prima fase lo si conosce dalle varie ricostruzioni processuali. Vito Ciancimino si rese disponibile sperando di poter ottenere qualche beneficio per la sua detenzione e lo stesso Riina accettò di buon grado quel primo passo. Da lì la sua frase “si sono fatti sotto” e la realizzazione di un “papello” pieno di richieste che lo stesso Sindaco di Palermo aveva ritenuto inaccettabili.Ed è proprio in questo momento che qualcuno, in alto, molto probabilmente all’interno dei servizi o per mandato dei cosiddetti poteri forti, convinse Riina ad accelerare i tempi e mettere a punto la strage di Via d’Amelio. Per sbloccare il dialogo e per eliminare un ostacolo scomodo e pericoloso: Paolo Borsellino.La seconda fase della trattativa è quella dell’autunno ’92 che vide subentrare Provenzano, finora rimasto spettatore. Binnu, riprendendo in segreto il dialogo con i carabinieri attraverso Vito Ciancimino, condusse questa parte di trattativa facendo di Riina il suo oggetto di scambio.Chi in effetti avrebbe potuto rivelare a Vito Ciancimino il nascondiglio del padrino che egli stesso indica nelle mappe di Palermo procurate dai Carabinieri?Il capo dei corleonesi venne così catturato, in cambio di nuovi accordi, nel gennaio del ’93 ma, nonostante il Ros avesse individuato il covo (nel quale avrebbe potuto trovare documentazione importantissima) i carabinieri guidati da Mori trascurarono la casa di via Bernini, rimasta priva di sorveglianza per 18 giorni. Il tempo sufficiente agli uomini di Cosa Nostra per ripulire la villa di ogni carteggio compromettente e per trasferire la famiglia del capomafia a Corleone.Di qui sarebbe poi partita anche una terza trattativa: quella che ha visto Provenzano scavalcare anche Vito Ciancimino nei rapporti con le istituzioni.Il Ragioniere di Cosa Nostra infatti era in cerca di referenti politici in grado di garantirgli impunità e agevolazioni legislative per quella che sarà la nuova mafia del dopo stragi. Interlocutori credibili che secondo i collaboratori di giustizia più accreditati, come Nino Giuffé, Provenzano trova nel nascente partito politico di Forza Italia cui sarebbe giunto, tramite Marcello Dell’Utri, già vecchio amico di Cosa Nostra sin dagli anni Settanta. (Infatti molti collaboratori di giustizia hanno dichiarato che Dell'Utri è amico di Cosa Nostra sin dai tempi di Stefano Bontade e Vittorio Mangano, il famoso stalliere di Berlusconi. Ma è soprattutto Salvatore Cancemi, ex membro della Cupola e ora collaboratore di giustizia, che ascolta, nel 1991 da Riina in persona, le seguenti parole: “Berlusconi e Dell'Utri sono nelle mie mani e questo è un bene per tutta Cosa Nostra).Per la Cosa Nuova il vecchio sindaco risultava infatti già troppo compromesso.Don Vito venne così arrestato a dicembre del ’92 ma non smetterà comunque di essere il consigliere di Provenzano che incontrerà nella sua casa di Roma fino al 2002, durante gli arresti domiciliari. Infatti il nuovo capo di Cosa Nostra è a lui che si rivolgerà per un suggerimento quando nel 1994 dovrà recapitare la lettera con le minacce al neo eletto Silvio Berlusconi tramite Dell’Utri. Intimidazioni preventive che Cosa Nostra invia al Presidente del Consiglio per ricordargli “chi comanda” e che “ci sono dei doveri da rispettare”. La lettera – così come ha raccontato Massimo Ciancimino ai giudici – era stata consegnata nelle sue mani nella casa di Pino Lipari a San Vito Lo Capo, in presenza dello stesso Lipari e Provenzano. Il compito di Ciancimino jr era dunque quello di farla arrivare a suo padre, all’epoca detenuto a Rebibbia affinché esprimesse il suo parere. Una missiva che era rimasta ai Ciancimino mentre un’altra uguale faceva il suo corso fino a giungere al destinatario finale. Una ricostruzione questa che completa le tesi espresse da diversi collaboratori di giustizia sentiti in tutti questi anni dalle varie Procure e le ipotesi investigative sulle stragi del ’92-’93 le quali più volte si sono fermate, per mancanza di riscontri o per scadenza dei tempi di indagine, al filone delle responsabilità politiche e istituzionali sulle stragi in un periodo che ha segnato il passaggio tra la prima e la seconda repubblica italiana. Restano da capire alcuni punti che il figlio più piccolo di don Vito ci auguriamo potrà chiarire in dibattimento, con un confronto aperto, se i giudici lo riterranno opportuno, con i signori Riina, Cinà o Provenzano. Il capo dei capi intanto, a sorpresa, ha espresso la sua opinione, a modo suo, negando la prima trattativa, quella portata avanti da lui stesso e chiarendo di essere stato venduto da un accordo segreto tra lo Stato e Vito Ciancimino. “Riina discolpandosi dalla strage di via d’Amelio – ha affermato Ciancimino - implicitamente sostiene per la prima volta il suo ruolo in Cosa Nostra e non citando la strage di Capaci non nega di avervi partecipato”. Dunque Riina non parla a caso, le sue accuse tuonano come messaggi: “io non c’entro con la morte di Borsellino” ha detto, “l’hanno ammazzato loro”. La domanda è: loro chi? A chi Riina sta mandando i suoi avvertimenti? E perché alcuni personaggi protagonisti della politica solo oggi rispondono e, molto parzialmente, a domande che avrebbero dovuto avere risposte esaustive subito dopo le stragi?
http://www.antimafiaduemila.com/content/view/18224/48/
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