domenica 19 febbraio 2012

Svelata dal fisco la finta crisi della Sigma Tau. - di Salvatore Cannavò



Dure contestazioni dell'Agenzia delle Entrate. Per gli ispettori della tasse l'azienda farmaceutica avrebbe spostato i profitti nelle casse di una consociata nel paradiso fiscale di Madeira. E intanto 570 lavoratori sono a rischio licenziamento. La vicenda sarà raccontata stasera a Presadiretta su Rai3.


Ricordate i dipendenti della Sigma Tau che hanno fermato il pullman della Roma calcio facendo scendere Francesco Totti? La ricerca di visibilità alla vertenza, dopo che l’azienda ha aperto la procedura di cassa integrazione per 569 dipendenti, era il frutto della rabbia e della disperazione di chi ha sempre contestato che i conti fossero in rosso e che l’azienda non potesse rilanciarsi seriamente. A confortare quella radiografia provvede ora il “Processo verbale di constatazione” che l’Agenzia delle Entrate ha redatto nella sede della società farmaceutica, la seconda per importanza in Italia, il 30 luglio 2010 e che sarà oggetto stasera dalla trasmissione Presadiretta di Riccardo Iacona in onda alle 21,30 su Rai 3 (l’inchiesta è stata curata da Rebecca Samonà eElena Stramentinoli). Un documento poderoso, 117 pagine, e nel quale gli ispettori del fisco contestano alla Sigma Tau una procedura di evasione fiscale non solo particolarmente sofisticata, per quanto comunemente diffusa, ma tale da pregiudicare i bilanci del gruppo e giustificare, così, la cassa integrazione.
La procedura sospetta si chiama “Transfer pricing” e consiste in un trasferimento illecito di valore da una società del gruppo a una consorella estera che pagherà le tasse al posto della prima. Ma se la consorella estera è collocata in un paradiso fiscale il guadagno è notevole. Sigma Tau è il secondo operatore farmaceutico in Italia e ha consociate in Francia, Svizzera, Olanda, Portogallo, Spagna, Germania, Regno Unito, India, Stati Uniti e Sudan. Insomma è un colosso che oltre a produrre direttamente i farmaci li commercializza in Italia e all’estero. Ma è proprio sugli affari realizzati con le consociate che si sono concentrati i riflettori degli ispettori fiscali. La consociata portoghese, Defiante, ha infatti sede nell’isola di Madeira, territorio portoghese anche se situato 900 chilometri più a sud nell’Oceano Atlantico, noto paradiso fiscale. Si tratta di una società che si occupa prevalentemente di acquistare licenze e brevetti per poi rivenderli.

Per la Defiante, la Sigma Tau ha svolto anche l’attività di produzione e rivendita di prodotti (il Bentelan o il Betnesol per esempio) assumendosi costi e rischi che sarebbero dovuti essere adeguatamente compensati. Gli ispettori si sono chiesti se “le determinazioni dei prezzi di trasferimento siano conformi alla normativa in materia di transfer pricing” stabilite dalla legge. La risposta è stata negativa perché secondo i verbalizzanti “la Sigma Tau avrebbe erroneamente quantificato (…) i componenti di reddito derivante dalle transazioni intercorse con diverse società appartenenti al medesimo Gruppo”. Facendo un confronto con società comparabili si scopre, ad esempio, che mentre il livello medio di profittabilità dell’attività in questione è del 6,6 per cento, la Sigma Tau nel 2007 subisce una perdita del 16, 1 per cento. “I prezzi di vendita applicati alla Defiante non permetterebbero di far fronte ai rilevanti costi di produzione” in contro tendenza rispetto ai risultati ottenuti con le altre consociate.

Facendo i raffronti con società analoghe e comparabili gli ispettori hanno quantificato in 11,55 milioni di euro i minori ricavi che la Sigma Tau ha contabilizzato in Italia evadendoli al fisco. I minori ricavi del 2007 sono già la metà delle denunciate da Sigma Tau nel 2010 pari a 20 milioni di euro. Defiante, inoltre, come mostrano gli approfondimenti fatti da Presadiretta moltiplica tra il 2000 e il 2010 il suo patrimonio netto portandolo da 31 a 310 milioni di euro. Nello stesso periodo il patrimonio dell’azienda italiana, passa da 123 a 34 milioni di euro. Solo che a Madeira, sede della Defiante, praticamente non si pagano le tasse e solo recentemente sono state introdotte aliquote dell’ 1, 2 e 3 per cento. L’Iva, invece, è al 13 per cento, la più bassa d’Europa. In Italia, invece, Sigma Tau ha avviato una ristrutturazione pesante con la cassa integrazione e il ridimensionamento del centro di ricerca. “Che ne dice il governo e il ministro Passera?”, chiede Riccardo Iacona. Il caso vuole che Passera sia tirato in ballo in più aspetti.

Non solo perché come ministro è incaricato di gestire le crisi aziendali, ma anche per il suo passato da banchiere. È stata la “sua” Banca Intesa, infatti a finanziare, con 300 milioni di euro, l’acquisto delle attività statunitensi legate alle malattie rare della Enzon, acquisto che ai lavoratori è sembrato l’avvio di uno spostamento all’estero (negato decisamente dall’azienda). Banca Intesa possiede poi il 5 per cento di Sigma Tau Finanziaria Spa. Infine, il teatro di questa probabile “furbata” è il paradiso fiscale di Madeira lo stesso da cui (ne hanno scritto Mario Gerevini sul Corriere della Sera e Vittorio Malagutti sul Fatto Quotidiano) la famiglia Passera ha fatto rientrare una consistente liquidità, superiore a 10 milioni, parcheggiata in attesa di impieghi più redditizi.

Da Il Fatto Quotidiano del 19 febbraio 2012, aggiornato da redazione web alle 11,30

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Una legge per tutelare i cronisti precari. Compensi equi o niente fondi agli editori. - di Thomas Mackinson





La proposta, firmata dal parlamentare Udc Enzo Carra, ha già avuto l'ok dalla commissione della Camera. E ora attende il via libera dal governo. Il testo prevede una commissione ad hoc per valutare le qualità retributive dei vari editori.


Il quotidiano La Voce di Romagna paga 2,5 euro ad articolo i giornalisti esterni, ma dallo Stato il giornale riceve 2,5 milioni di finanziamento. Il Tempo fissa un tetto massimo di 15 euro e ne incassa 840mila di finanziamento pubblico. E chi collabora alla Gazzetta di Modena non può sperare di spuntare oltre 4 euro ad articolo. Ne sa qualcosa Giovanni Tizian, che per i suoi pezzi sulla mafia in Emilia Romagna è finito sotto scorta. Minacciato dalla ‘ndrangheta per quelle righe così malpagate. Questa la realtà di buona parte dell’editoria italiana. Una realtà che ora, però, arriva a una svolta. Di mezzo, infatti, c’è una proposta di legge, firmata dal parlamentare Udc Enzo Carra, e che subordina il finanziamento pubblico a un’equa retribuzione. Insomma, o gli editori iniziano a pagare meglio i cronisti oppure possono dire addio ai milioni dello Stato. La proposta è già stata approvata dalla Commissione cultura della Camera e ora per diventare legge attende solo il via libera del governo di Mario Monti che certo subirà le pressioni degli editori. Spiega lo stesso Carra: “Il governo deve dire se è d’accordo con il Parlamento o se intende negare questa opportunità ad un provvedimento tanto atteso”.

Il testo, in quattro articoli, prevede che una commissione ad hoc stabilisca i parametri retributivi minimi che gli editori dovranno applicare, pena la perdita non solo delle provvidenze (che nel 2012 ammonteranno a 137 milioni di euro) ma anche di tutti i contributi pubblici, compresi quelli accessori per carta, postalizzazione degli abbonamenti, telefono etc. Entro tre mesi dal suo insediamento, dovrà quindi individuare i “trattamenti economici proporzionati alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, in coerenza con i corrispondenti trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva di categoria in favore dei giornalisti con rapporto subordinato”.
La stessa commissione dovrà poi valutare le politiche retributive di quotidiani, periodici (anche telematici), agenzie di stampa, radio e tv e redigere un elenco dei datori di lavoro che garantiscono il rispetto dei requisiti minimi stabiliti. Una sorta di bollino blu per gli editori. Infine le due righe decisive, scolpite come pietra: “A decorrere dal 1 gennaio 2012 l’iscrizione nell’elenco di cui sopra è requisito necessario per l’accesso a qualsiasi contributo pubblico in favore dell’editoria”.

Insomma, il governo si trova di fronte a una decisione fondamentale per il futuro dell’informazione la cui condizione attuale, invece, conta un esercito di cronisti sottopagati, non tutelati e spesso minacciati. Ad oggi, infatti, precari, autonomi e freelance sono più numerosi degli assunti (24mila rispetto a 19mila) e contribuiscono per oltre il 50% alla realizzazione di quotidiani, periodici, radio, tv e informazione online. Eppure sono sottopagati, privi di tutele e sotto il ricatto continuo di perdere il lavoro da parte di editori che – per contro – fanno man bassa di provvidenze. A fotografare la situazione è il “tariffario dei compensi” (scarica) realizzato dall’Ordine dei giornalisti sulla base di segnalazioni, note di pagamento e contrattini arrivati dai collaboratori di tutta Italia negli ultimi 18 mesi: Il Mattino paga 21 euro ma dopo 20 articoli non paga più anche se il quotidiano campano ha ricevuto 956.652 euro di contributi, La Repubblica Lazio ha ridotto da 50 a 30 euro i pezzi di 5-6mila battute e ha ricevuto sempre i suoi 16,1 milioni di euro di aiuti, Il Manifesto – che di problemi ne ha parecchi – non ha mai pagato a fronte di 5,3 milioni di contributi, Il Messaggero sotto le 800 battute non paga e i contributi incassati sono 1,44 milioni, Il Tempo, 840mila euro di provvidenze, paga 7,5 euro per articoli sotto i 40 moduli, 15 per quelli superiori; si ferma a 5-9 centesimi a riga il compenso per i collaboratori del Sole24Ore, dimezzato a inizio anno a fronte di 19,2 milioni di aiuti, mentre Libero paga 18 euro anche per un’apertura a chi ha protestato – segnala l’Odg – si visto rispondere “prendere o lasciare”. I contributi sono però 5,4 milioni.

Un blitz degli editori, però, è ancora possibile. Prevedibile che gli associati Fieg marcheranno stretto il governo Monti perché respinga in toto la legge. A spiegare perché è il direttore generale della Federazione degli editori, Fabrizio Carotti: “La materia è già regolata da un contratto collettivo e la sua definizione avviene attraverso il confronto delle parti. Imporre tariffe minime per legge equivale a esercitare un’indebita interferenza tra le parti. Ci chiediamo poi come questo indirizzo sarà accolto dal governo, visto che l’orientamento degli ultimi provvedimenti assunti sulla tariffazione delle attività professionali va nella direzione esattamente contraria. Subordinare le spettanze di contributo pubblici a queste tariffe sarebbe un esercizio poco rispettoso dell’autonomia contrattuale della parti”.

“Ma quali parti? Quale autonomia?” Risponde il presidente dell’Ordine Enzo Jacopino. “I due euro ad articolo non sono il prodotto di una negoziazione tra le parti in condizioni di parità. L’editore semplicemente sfrutta lo stato di necessità del lavoratore e questo è contrario alla Costituzione”.

I prossimi giorni saranno tesissimi e decisivo sarà l’orientamento di Giulio Anselmi, neopresidente Fieg al posto del dimissionato Malinconico. “Non vorrei dover rimpiangere Malinconico – averte Jacopino – . Ma non posso non notare come il nuovo orientamento della Fieg coincida con il cambio al vertice. Per un anno la federazione ha avuto un atteggiamento di disponibilità e per due volte, pur eccependo criticità, si è espressa favorevolmente alla legge. Ora il vento sembra cambiato e mi sorprende perché a guidare la federazione è un giornalista professionista di lungo corso come Anselmi”.

Un segnale però c’era stato, ricorda Jacopino, all’ultimo festival del giornalismo di Perugia. “Anselmi era ancora presidente dell’Ansa e ha chiesto a freelance e collaboratori di smetterla con la lamentazione sul precariato, perché i giornalisti che stanno fuori dalle redazioni altro non desiderano che assumere per sé i privilegi dei colleghi contrattati che già li hanno. Proprio lui che può rendere ampia testimonianza dei privilegi collegati ai ruoli che ha avuto nella sua meritata carriera”. Tra giornalisti ed editori, insomma, volano stracci. Ora tocca al governo decidere di quale fare bandiera.

Crisi, conti in rosso e mafia: Sanremo non incanta più e rischia il commissariamento. - di Thomas Mackinson



La città dei fiori divisa tra la ribalta del festival e la situazione economica del Comune, alle prese con una contingenza drammatica. Negozi e ristoranti vuoti, cantieri fermi da anni, disservizi vari e la scure delle tasse per arrivare al pareggio di bilancio entro giugno. Se non ci sarà, arriverà il commissario prefettizio, come a Bordighera e Ventimiglia.


Il teatro Ariston di Sanremo
Sanremo è emergenza vera. A rischiare il commissariamento non è solo il Festival ma l’intera città che non incanta più: è senza un soldo, morsa dalla crisi e sulla scia dell’assalto criminale al Ponente Ligure di Bordighera e Ventimiglia, già commissariate per infiltrazioni mafiose. La crisi morde anche la centrale via Matteotti, dove va in scena la rappresentazione della spensieratezza canora. Sanremo, quella vera, non si vende più. I negozi si affidano a svendite da fallimento: 50, 70, 80 per cento di sconto. “Il blitz della finanza ha fatto flop perché la gente non spende”, ironizza il barista della centrale piazza Colombo.

Certo, c’è la Ferilli da Vittorio, il ristorante dei vip che non espone menù e prezzi. Ma tutti gli altri che affollano piazzetta Bresca sono un’infilata di ghiacciaie con calamari e aragoste che resteranno invenduti. Qualche titolare, disperato, promette “qui mangi la vera bistecca alla Fiorentina di Chianina“, con tanto di certificazione dop. Ma il locale è deserto. Le agenzie immobiliari sono piene di annunci di case invendute. E alla crisi si aggiunge il timore che arrivino nuove tasse a dare il colpo finale. Inevitabili. Perché il Comune di Sanremo sta collassando, il bilancio è in caduta libera e l’amministrazione ipotizza una ricetta greca di tasse, tagli e vendita del patrimonio. Tutto per rincorrere un impossibile pareggio di bilancio entro giugno: lo squilibrio di parte corrente supera i sei milioni, il saldo obiettivo del patto di stabilità da 21 milioni è un miraggio.

Così i problemi non stanno più sotto il tappeto. Chi atterra al pianeta Festival dalla stazione, prima di sbucare all’aria aperta deve percorre un tunnel di 400 metri. I nastri trasportatori sono guasti. Il parcheggio di pertinanza che sta lì da anni conta quattro piani ma tre sono chiusi da sempre. I cantieri aperti sono ovunque, per alcuni sono scattati esposti alla Corte dei Conti e in Procura; altri attendono che l’amministrazione sblocchi 11 milioni di euro per pagare le fatture alle imprese che li hanno eseguiti. Prima che partisse il circo del Festival lungo la ciclabile in via Privata è esplosa la fognatura riportando a galla l’incubo di due anni fa, quando l’intero sistema fognario cittadino è collassato improvvisamente, riversando in centro e a mare liquami e costringendo le autorità a issare bandiera rossa proprio all’inizio della stagione balneare.

Un colpo durissimo per l’immagine della città dei fiori, del turismo e delle canzonette. Uno smacco pesante per l’amministrazione di “scajolandia“, come è stata ribattezzata la città dal 2009 dopa la vittoria del sindaco Pdl Maurizio Zoccarato vicino all’ex ministro. In cassa non c’erano i fondi per un piano generale di sistemazione che è stato messo a bando solo pochi giorni fa. Tuttavia l’amministrazione ha speso 80mila euro per una discussa campagna nazionale di promozione delle spiagge sanremesi: “Le pupe e il secchiello” affidata all’agenzia di Lele Moracon tanto di ragazze ammicanti in costume, reclutate tra il parco veline delle seconde serate Mediaset (Francesca CiprianiFlo Marincea e Lisandra Silva). Per cinque serate il palco dell’Ariston diffonde per strada le note del Festival. Ma finita la festa la città della musica si ritrova senza musica. L’orchestra sinfonica che conta oltre cento anni di storia è silenziosa da tempo. Un fantasma. L’amministrazione ha ridotto di anno in anno il suo contributo passando dai 2,2 milioni di euro del 2009 agli 800mila euro del 2012. Ipotizzava di sostituirlo con sponsor privati, ma in due anni non ne ha reperito uno disposto a investire nella città dei fiori. L’anno scorso il bilancio dell’istituzione si è chiuso con un passivo di 350mila euro e con i lavoratori appesi a contratti di solidarietà.

Il punto è che il motore del Comune si è rotto. Il bilancio di Sanremo è inscindibilmente legato all’andamento del Casinò municipale, che nel 2004 incassava 100 milioni di euro e ne versava 60 a palazzo Bellevue. “Questa quota si è progressivamente ridotta negli anni successivi e nel 2012 – secondo le stime del capogruppo del Pd Andrea Gorlero che sta seguendo la composizione del bilancio – gli incassi per l’azionista comune saranno a zero”. Neppure il Festival è più un affare. Il contratto di convenzione con la Rai si è ridotto di due milioni di euro passando da nove a sette. Così anche la spesa che il Comune deve sostenere per metterlo in scena si fa di manica stretta. Non si sa ancora cosa abbia determianto il blackout elettrico che ha paralizzato il voto della giuria la prima serata. I cavi elettrici però passano in un’area di proprietà della “Fondazione Almerini“, cui il Comune versa un affitto a convenzione rinnovata il 31 gennaio, a un passo dalla kermesse. L’importo richiesto per il 2012 è stato ribassato da 8.600 euro a 6.500.

“Abbiamo palesato alla Fondazione le nostre difficoltà economiche e la cifra si è ridotta”, ammette l’assessore Lolli. Sono duemila euro, briciole. Ma se ne è discusso a lungo come fossero irrinunciabili. Del resto l’amministrazione si sta occupando di rastrellare dove possibile e tra le misure date per certe c’è un aumento della Tarsu del 35 per cento e – per la prima volta – l’irruzione dell’Irpef a Sanremo. E sta tentando il tutto per tutto per evitare il tracollo. Da tempo si ragiona di vendere gioielli di famiglia come le prestigiose ville Angerer Mercede, 14 negozi al piano terra di proprietà comunali come Palazzo Nota, del pro Infanzia e l’edificio di geometri e ragionieri di piazza Muccioli e la stessa sede amministrativa di Casinò Spa in via Bixio. Ma il piano di alienazioni è congelato. Prevedeva di vendere parte degli immobili alla Sanremo Promotion, società in house dello stesso Comune, ma è stato stoppato per la contrarietà di varie forze politiche indisposte ad assecondare manovre di finanza creativa che si riducono a un mero trasferimento dell’indebitamento.

Sui conti in rosso si proietta l’ombra lunga dell’assalto criminale al Ponente Ligure che, dopo Bordighera, ha visto commissariata per infiltrazioni mafiose anche Ventimiglia. Sanremo è tutt’altro che immune. Le cronache locali sono piene di episodi di intimidazione e dannegiamenti. In corso Matteotti, a due passi dall’Ariston, una boutique è stata bruciata lasciando sul luogo passamontagna e un motorino rubato. Due mesi dopo, a settembre, un camion di una azienda locale è stato dato alle fiamme vicino a una bombola di gasolio. A Bordighera, commissariata di lì a poco, c’erano gli stessi segnali. Tutti ricordano la fiaccolata cittadina di due anni fa contro le mafie porposta dal Pd, organizzata da Libera e partecipata anche dal Pd. Sanremo, evidentemente, non incanta più nessuno.