lunedì 2 maggio 2011

Biancofiore dei miracoli.



Per Michela Biancofiore l’uccisione di bin Laden può essere letta “come un nuovo enorme miracolo regalato da Giovanni Paolo II al mondo”.

Difficile crederci, ma ha detto proprio così.

Dunque da oggi sappiamo che il Vaticano ha cambiato i dieci comandamenti, è favorevole alla pena di morte e lo è talmente tanto che se non ci si arriva per vie umane allora si scomodano addirittura i santi e i beati.

Un po’ come se Papa Wojtyla avesse detto ai mafiosi, quel giorno: “Convertitevi, e morite”.

http://bracconi.blogautore.repubblica.it/2011/05/02/biancofiore-dei-miracoli/

..per chi non lo sapesse, questa raffinata Signora è la "costituzionalista" che il 13 gennaio a "8 1/2", tentava di impedire a Stefano Rodotà di dire la sua sulla sentenza della Corte Costituzionale. Sembra che la costituzionalista sia colei che ha scritto materialmente la legge sul legittimo impedimento bocciata impietosamente 12 a 3. Una vera esperta in "sana e robusta costituzione" (magari con l'aiutino di qualche chilo di botulino)... (tafanus)

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Diplomata presso l'istituto magistrale e imprenditrice.

Nel 2005, appena eletta consigliere provinciale di Bolzano per FI, presentò un singolare disegno di legge per dare contributi pubblici del 50% a chi volesse rinnovare il proprio tagliaerbacon un modello nuovo, nella necessità di ridurre l'inquinamento atmosferico (PM10) originato dalle attrezzature per il giardinaggio.

Propose di far sventolare il tricolore da ogni maso del Süd-Tirol. È chiamata anche "Lady Caldarrosta" per aver dato, nella campagna elettorale del 2005, sacchetti di caldarroste ai passanti.

Nel 2005 organizzò un comizio per Berlusconi in Piazza Tribunale a Bolzano ricordato per il solo "collegamento via cellulare" visto che Berlusconi non poté arrivare di persona. Il comizio è ricordato, oltre che per l'assenza di Berlusconi, per il mega "manifesto-bandiera" di 39 metri per 13 posto dinnanzi al Tribunale, che suscitò polemiche e denunce in Tribunale per mancanza di autorizzazioni (decreto legislativo del 22 gennaio 2004, n.42). Sempre nel 2005 fu fotografata accanto al premier Silvio Berlusconi quando questi mostrò il dito medio alzato durante un comizio in Piazza Vittoria a Bolzano.

Rieletta alle elezioni politiche del 2008 ma nel collegio della Campania, nonostante le origini altoatesine nella lista del PDL. È prima firmataria di alcune proposte di legge, tra cui:

  • C.2964, DDL sul legittimo impedimento (approvato come testo unificato)
  • C.1483 Modifica all'articolo 7 della Costituzione, concernente l'inserimento del riconoscimento delle radici culturali giudaico-cristiane
  • C.1484 Ripristino della festività del 4 novembre quale Festa dell'Unità nazionale e delle Forze armate

Nel 2010 ha festeggiato il proprio compleanno ad Arcore assieme a Silvio Berlusconi. In tale occasione ha dichiarato: «Mi ha praticamente visto crescere politicamente, ormai abbiamo un rapporto quasi filiale. Non credo che ci siano tanti altri berlusconiani accaniti come me». (wikipedia)




Geronzi, che liquidazione. - di Alberto Statera



Tutto si tiene a Trieste nel cuore del Leone quando si tratta di retribuzioni degli amministratori e dei top manager. Il siluramento di Cesare Geronzi è costato alla compagnia 16,65 milioni di euro, somma congrua secondo l'amministratore delegato Giovanni Perissinotto visto che, in caso di mancato accordo, il pensionamento d'autorità dell'ex banchiere di Marino sarebbe costato assai di più. Insomma, le Generali avrebbero fatto un risparmio liquidando Geronzi con un'indennità di circa 1,4 milioni al mese per undici mesi di lavoro, da aggiungere allo stipendio di 2,32 milioni di euro annui, più benefit vari, come appartamenti, voli su aerei privati e faraoniche ristrutturazioni di uffici.

Ma chi e come ha proposto e approvato questa somma che ha suscitato proteste dei fondi esteri e l'invio di un segnale forte da parte della Banca d'Italia, astenutasi sui piani di incentivazione nell'assemblea di sabato? A delibare il caso e a decidere è stato il Comitato remunerazioni della compagnia, presieduto da Paolo Scaroni, amministratore delegato dell'Eni e membro autorevole della supercordata geronziana incardinata su Gianni Letta e l'ex piduista Luigi Bisignani. Delibera presa senza colpo ferire dal momento che, dopo le dimissioni di Leonardo Del Vecchio, l'unico componente del Comitato oltre al presidente era rimasto Lorenzo Pellicioli. Il 9,7 per cento dei fondi esteri non se l'è sentita di approvare la delibera scaroniana, che potrebbe essere invalidata, e la Banca d'Italia e si è astenuta. Un'astensione che, come è tradizione nei comportamenti dell'istituto, suona come una censura di fatto.

Qualche azionista, in margine all'assemblea di sabato a Trieste, ha fatto un calcolo sommario di ciò che l'ex presidente di Generali ha incassato di emolumenti negli ultimi quattro anni e mezzo, da quando ha lasciato Unicredit con una buonuscita di 20 milioni giustificata come "emolumento straordinario che costituisce anche un premio alla carriera", giungendo a un totale di circa 55 milioni di euro. Ora a Trieste dicono di essere più tranquilli, perché come presidente della Fondazione Generali - non ancora noto l'emolumento - Geronzi può firmare spese fino a un massimo di 9.999 euro, come con qualche vendicativo sogghigno ha assicurato Perissinotto.

Ma, a parte il costoso pensionamento dell'ex "banchiere di sistema", in margine all'assemblea è corsa qualche attendibile indiscrezione sullo stile geronziano, assai poco triestino, negli undici mesi di presidenza del Leone. Quasi sempre vittima dei modi spicci dell'ex presidente, nelle severe sale del Leone, il secondo amministratore delegato Sergio Balbinot. "Oh, a questo gli manca il testosterone", ha esclamato a voce non sufficientemente bassa il presidente in una recente riunione del consiglio d'amministrazione, secondo il ricordo nitido di un testimone. Balbinot, con apprezzabile aplomb, ha fatto un po' di ironia su sé stesso con gli amici: "Ormai mi chiamano 'Coso'". Da quando, uscendo dalla sala di un convegno l'ex presidente chiese ostentatamente al portavoce: "Aho, 'ndo sta Coso ?". E quello: "il dottor Balbinot è ancora dentro".

a.statera@repubblica.it



Solare, arriva il super pannello. - di Valentina Murelli



Una superficie fotovoltaica di un metro quadro, sottilissima. Che, da sola, basta per tutti i consumi elettrici di una famiglia. Non è un'utopia ma un progetto a cui si sta lavorando in tempi stretti. Ecco come funzionerà.

Sole, acqua, silicio e un paio di metalli (nickel e cobalto). Per Daniel Nocera, chimico del Massachusetts Institute of Technology (Mit), la soluzione al problema energetico mondiale sta tutta qui. In una manciata di ingredienti che, combinati nel modo giusto, copiano quello che le foglie delle piante fanno da centinaia di milioni di anni: trasformare l'energia solare in combustibile. Nocera ha presentato il suo modello di "foglia artificiale" poche settimane fa al congresso annuale dell'American Chemical Society: un dispositivo delle dimensioni di una carta da gioco che, sfruttando l'energia solare, divide l'acqua in ossigeno e idrogeno. Secondo Nocera, un metro quadrato di un pannello solare di questo tipo basta per rifornire una casa in un Paese in via di sviluppo di elettricità sufficiente ai consumi di un giorno e una notte. E lui ci crede al punto che ha già fondato una company, la Sun Catalytix, per sviluppare e vendere le sue foglie.

Copiare la foglia, dunque, o meglio la fotosintesi, il processo biochimico che permette alla pianta di ottenere il suo combustibile, il glucosio, soltanto con acqua, anidride carbonica e luce solare. Non è una prospettiva da poco. Lo scrittore Ian McEwan l'ha messa al centro del suo ultimo bestseller, "Solar", che si dipana proprio attorno allo squallido furto di un progetto di fotosintesi artificiale. Il lavoro di Nocera, però, ci dice che siamo già ben oltre la letteratura e la fantascienza. Gli investimenti nel settore, sempre più consistenti, confermano.

Anche in Italia. Il Politecnico di Torino ha inaugurato nella sua sede di Alessandria il Biosolar Lab, laboratorio dedicato alla ricerca sulla foglia artificiale, con la direzione scientifica di uno dei pionieri del settore, il biochimico James Barber dell'Imperial College di Londra. Sul versante privato, l'Eni ha appena stanziato 106,5 milioni di euro nella ricerca sul solare, fotosintesi artificiale compresa, promuovendo anche una collaborazione con il Mit di Boston. Petra Scudo, fisica del Centro ricerche sulle energie non convenzionali dell'Istituto Eni Donegani di Novara, riassume così la questione: "In natura, la fotosintesi si divide grosso modo in tre fasi. Primo: la foglia assorbe energia solare e la trasferisce a uno speciale complesso di molecole. Secondo: questo complesso rompe l'acqua in ossigeno e idrogeno. Terzo: l'idrogeno si combina con anidride carbonica formando glucosio. Stiamo tentando di riprodurre con sistemi artificiali in particolare le prime due".

La prima fase, quella per cui la foglia assorbe energia solare e la trasferisce a uno speciale complesso di molecole, è la più nota: le celle solari fotovoltaiche classiche non sono altro che dispositivi per assorbire la luce del Sole e convertirla in energia elettrica. Tipicamente sono fatte di silicio, materiale abbastanza efficiente ma costoso. Ora si tratta di sviluppare nuovi materiali, altrettanto (o più) efficienti, ma soprattutto più economici. "A Novara abbiamo un progetto su celle organiche, in cui il silicio è sostituito da materiali plastici colorati, molto meno costosi", racconta la ricercatrice: "Queste celle hanno due grossi punti a favore: assorbono molto bene l'energia solare e sono facili da lavorare: pensiamo che in futuro si potranno letteralmente stampare a fogli, come oggi si stampa un giornale".

Per ottimizzare ancora di più i processi di fotosintesi artificiale, Eni e Mit hanno avviato un progetto di ricerca che chiama in causa la fisica quantistica, quella fisica ostica e controintuitiva che descrive il comportamento di atomi e particelle subatomiche. Alcuni anni fa, infatti, si è scoperto che l'assorbimento e il trasferimento di energia solare nelle foglie non avvengono secondo le leggi della fisica classica, ma appunto secondo fenomeni quantistici. La faccenda è complicata, ma ci basti sapere, spiegano i ricercatori, che i processi quantistici aumentano l'efficienza del sistema. E quindi, capire meglio come funziona la natura può permettere di sviluppare dispositivi artificiali più efficienti.



Chi vuole far soldi con l'acqua. - di Maurizio Maggi e Stefano Vergine



Una torta da 64 miliardi. Da spartire tra il gruppo Caltagirone, la famiglia Benetton, gli eredi Gavio, i Pesenti e l'immancabile Ligresti. Senza gare d'appalto. Ecco perché il referendum del 12 giugno fa tanta paura.

Bicchiere ricco, mi ci ficco. Solo per gli acquedotti, dicono gli esperti, bisognerà investire qualcosa come 16 miliardi di euro nei prossimi 30 anni. E altri 19 miliardi per fognature e depuratori. Tra manutenzione del sistema idrico e opere nuove di zecca, il conto della spesa prevista supera i 64 miliardi di euro. Svanito il sogno di lavorare sul nucleare, molte imprese, italiane ed estere, incrociano le dita e sperano che non svanisca il grande affare dell'acqua. Che è prima di tutto un bel business per i costruttori, tra cemento, tubi, scavi e via dicendo. Uno dei pochi settori in cui possono arrivare denari dalle casse dello Stato. Giuseppe Roma del Censis stima che almeno l'11 per cento di quegli agognati 64 miliardi arriveranno da fondi pubblici. Ma Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti, suona l'allarme, sostenendo che la vittoria del "sì" al referendum anti-privatizzazione, inchiodando le società che gestiscono i servizi nell'area pubblica, collocherebbe i loro prestiti nell'alveo del debito dello Stato: col rischio che gli investimenti vengano bloccati per non sforare il patto di stabilità.

Fino a qualche settimana fa un massiccio afflusso di investimenti privati pareva ineluttabile, grazie alla prospettiva di vendere l'acqua a prezzi remunerativi, cioè crescenti. Ora però, sia i gestori che gli operatori guardano preoccupati al referendum del 12 e 13 giugno. "Se vince il sì all'abrogazione dei due articoli sull'affidamento ai privati e sulla remunerazione del capitale, ci vorranno anni per riattivare il flusso di denari per modernizzare la rete", dice Roberto Bazzano, presidente dell'Iren, società nata dalla fusione di ex aziende municipalizzate (tra cui quelle di Genova, Torino e Reggio Emilia), e numero uno di Federutility, la federazione delle utilities che aderisce a Confindustria.

Secondo Bazzano, anche i finanziamenti già decisi dagli Ato (gli ambiti territoriali ottimali) arrivano a rilento, nella misura del 50 per cento dei 2 miliardi di euro di cui ci sarebbe bisogno ogni anno per tappare le falle di una rete-colabrodo che perde un terzo dell'acqua prima che arrivi al cliente: "Chi ha voglia di investire soldi freschi, oggi, sapendo che tra qualche mese il capitale potrebbe non essere più remunerato per legge?", si chiede retoricamente il capo di Federutility. Un'analisi che, ovviamente, non è affatto condivisa dai referendari, che la pensano esattamente all'opposto: l'acqua è meglio pubblica.

La battaglia si fa effervescente dal punto di vista politico. Al governo piacerebbe far saltare anche questo referendum, dopo quello sul nucleare, per far mancare il quorum al quesito sul legittimo impedimento, temuto da Silvio Berlusconi. Si aggiunge lo scontro ideologico che verte sul quesito: "E' giusto fare i soldi con l'acqua?". Il fronte del no, mosso da sinistra, conquista adepti anche nelle fila degli amministratori locali espressi dal centro destra.

Dietro l'aspetto politico e ideologico si nasconde in realtà una questione legata agli affari possibili. I players, italiani ma anche stranieri, sono più che agguerriti. A partire dal gruppo di Francesco Gaetano Caltagirone, azionista privato sempre più "pesante" dell'Acea, e dai francesi di Gdf-Suez (che sono soci della stessa Acea ma giocano anche in proprio) o degli altri francesi di Veolia. In teoria, la torta potenziale è talmente grossa che non ci sarà bisogno di sventolare l'italianità contro i colonizzatori d'Oltralpe. I due colossi Gdf-Suez e Veolia sono già ben radicati sull'italico suolo, e anche se la stessa Acea, la Iren con l'appoggio strategico del Fondo per le Infrastrutture (F21) guidato da Vito Gamberale o la bolognese Hera aspirassero davvero a divenire dei "campioni nazionali", ci sarebbe spazio per tutti.

"Entrare nel business dell'acqua è proficuo soprattutto per chi realizza infrastrutture. Prendiamo come esempio l'Acea: se la società decidesse di realizzare un grosso lavoro di ristrutturazione della rete idrica, probabilmente lo farà fare a Vianini Lavori, impresa controllata dallo stesso Caltagirone", sottolinea Marco Bersani, uno dei fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua. Ma non ci sono le gare d'appalto? "Nessun problema. Anche se dal primo gennaio 2010, l'Unione europea ha abbassato la soglia minima per le gare pubbliche da 5,1 milioni di euro a 4,8, chi vuole affidare i lavori senza essere costretto a indire una gara può sempre spezzettare le opere in più parti", afferma ancora Bersani. Tra le aziende interessate ai molti business legati all'acqua sul fronte delle opere spiccano nomi celebri di società quotate in Borsa: come Impregilo (azionisti Benetton, Gavio e Ligresti) e Trevi Group, che nel realizzare pozzi per l'estrazione d'acqua può affiancare alle macchine perforatrici le pompe e le vasche per il trattamento del fango. Amministratore delegato del Trevi Group è Cesare Trevisani, vicepresidente di Confindustria. Senza dimenticare grandi cementieri come i Pesenti, patron di Italcementi, certo attenti agli sviluppi dei futuri progetti su acquedotti, depuratori e fognature.


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Lo strano caso della morte di Albino Luciani. A cura di Giuseppe Ardagna



Il 26 Agosto del 1978 Albino Luciani divenne ufficialmente Vescovo di Roma (cioè fu eletto Papa) e successore di Paolo VI. In Vaticano, parecchie persone non erano contente dell’elezione di Luciani al soglio pontificio ma, forse, il più scontento di tutti era monsignor Marcinkus che fino all’ultimo istante aveva sperato nell’elezione del candidato Giuseppe Siri.
Ma chi era questo Marcinkus? Era una delle pedine fondamentali di quella partita a scacchi che da anni si giocava fra Vaticano e grandi banche e che metteva in palio la possibilità di vedere il proprio capitale aumentare sempre di più[1]. Marcinkus era il più alto in grado all’interno dello I.O.R., l’Istituto per le Opere Religiose. Egli intuì immediatamente i pericoli dell’elezione di questo pontefice che, sin dai suoi primi discorsi, aveva lasciato chiaramente intendere di voler far tornare la chiesa cattolica a quegli ideali di carità cristiana propri del primo cattolicesimo, rinunciando alle ricchezze superflue che troppo avevano distolto gli uomini di chiesa dai propri sacri compiti. Figuratevi il capo della banca vaticana come avrebbe mai potuto vedere un tipo del genere sul più alto gradino del proprio stato…

Marcinkus diceva ai suoi colleghi: «Questo Papa non è come quello di prima, vedrete che le cose cambieranno»[2].
Su due punti Luciani sembrava irremovibile: l’iscrizione degli ecclesiastici alla massoneria, e l’uso del denaro della chiesa alla stregua di una banca qualunque[3]. E l’irritazione del Papa peggiorava al solo sentire nominare personaggi come Calvi e Sindona dei quali aveva saputo qualcosa facendo discrete indagini[4].
In coincidenza con l’elezione di Luciani venne pubblicato un elenco di 131 ecclesiastici iscritti alla massoneria, buona parte dei quali, erano del Vaticano. La lista era stata diffusa da un piccolo periodico «O.P. Osservatore Politico» di quel Mino Pecorelli destinato a scomparire un anno dopo l’elezione di Albino Luciani in circostanze mai chiarite.[5] Secondo molti, O.P. era una sorta di «strumento di comunicazione» adoperato dai servizi segreti italiani per far arrivare messaggi all’ambiente politico. Pecorelli, tra l’altro, era legato a filo doppio con Gelli come lo erano Sindona e Calvi[6].
Ma, tornando alla lista ecclesiastico-massonica, questa comprendeva, fra gli altri, i nomi di: Jean Villot (Segretario di Stato, matr. 041/3, iniziato a Zurigo il 6/8/66, nome in codice Jeanni), Agostino Casaroli (capo del ministero degli Affari Esteri del Vaticano, matr. 41/076, 28/9/57, Casa), Paul Marcinkus (43/649, 21/8/67, Marpa), il vicedirettore de «L’osservatore Romano» don Virgilio Levi (241/3, 4/7/58, Vile), Roberto Tucci (direttore di Radio Vaticana, 42/58, 21/6/57, Turo).[7]

Di Albino Luciani cominciò a circolare per la curia l’immagine di uomo poco adatto all’incarico, troppo «puro di cuore», troppo semplice per la complessità dell’apparato che doveva governare.
La morte subitanea, dopo trentatre giorni di pontificato, suscitò incredulità e stupore, sentimenti accresciuti dalle titubanze del Vaticano nello spiegare il come, il quando ed il perché dell’evento. In questo modo, l’incredulità diventò prima dubbio e poi sospetto. Era morto o l’avevano ucciso?[8]
Fu detto all’inizio che Luciani era stato trovato morto con in mano il libro «l’imitazione di Cristo», successivamente il libro si trasformò in fogli di appunti, quindi in un discorso da tenere ai gesuiti ed infine, qualche versione ufficiosa volle che tra le sue mani ci fosse l’elenco delle nomine che il Papa intendeva rendere pubbliche il giorno dopo.[9]

Dapprima, l’ora della morte fu fissata verso le 23 e, quindi, posticipata alle 4 del mattino. Secondo le prime informazioni, il corpo senza vita era stato trovato da uno dei segretari personali del Papa, dopo circolò la voce che a scoprirlo fosse stata una delle suore che lo assistevano. C’erano veramente motivi per credere che qualcosa non andasse per il verso giusto.

Qualcuno insinuò che forse sarebbe stato il caso di eseguire un’autopsia e questa voce, dapprima sussurrata, arrivò ad essere gridata dalla stampa italiana e da una parte del clero. Naturalmente l’autopsia non venne mai eseguita ed i dubbi permangono ancora oggi.

Di questo argomento si occuperà approfonditamente l’inglese David Yallop, convinto della morte violenta di Giovanni Paolo I.

Il libro dello scrittore inglese passa in rassegna tutti gli elementi di quel fatidico 1978 fino a sospettare sei persone dell’omicidio di Albino Luciani: il Segretario di Stato Jean Villot, il cardinale di Chicago John Cody, il presidente dello I.O.R. Marcinkus, il banchiere Michele Sindona, il banchiere Roberto Calvi e Licio Gelli maestro venerabile della Loggia P2.[10]
Secondo Yallop, Gelli decise l’assassinio, Sindona e Calvi avevano buone ragioni per desiderare la morte del Papa ed avevano le capacità ed i mezzi per organizzarlo, Marcinkus sarebbe stato il catalizzatore dell’operazione mentre Cody (strettamente legato a Marcinkus) era assenziente in quanto Luciani era intenzionato ad esonerarlo dalla sede di Chicago perché per motivi finanziari si era attirato le attenzioni non solo della sua chiesa ma addirittura della giustizia cittadina e della corte federale. Villot, infine, avrebbe facilitato materialmente l’operazione[11].
La ricostruzione fatta da Yallop degli affari di Sindona, di Calvi, di Gelli e dello I.O.R., conduce inevitabilmente all’eliminazione del Papa.
Tuttavia la ricostruzione dello scrittore inglese pone alcuni problemi, primo fra tutti la netta sensazione che, in alcuni passi della ricostruzione, gli episodi, le date e le circostanze, tendano ad «esser fatte coincidere» troppo forzatamente.

Tuttavia il lavoro investigativo di Yallop è comunque buono e non si può non tener conto del lavoro dell’inglese soprattutto considerando il fatto che troppi sono i dubbi inerenti le ultime ore di vita del Papa.

Perché e soprattutto chi ha fatto sparire dalla camera del Papa i suoi oggetti personali? Dalla stanza di Luciani scompariranno gli occhiali, le pantofole, degli appunti ed il flacone del medicinale Efortil. La prima autorità di rango ad entrare nella stanza del defunto fu proprio Villot, accompagnato da suor Vincenza (la stessa che ogni mattina portava una tazzina di caffè al Papa) che verosimilmente fu l’autrice materiale di quella sottrazione.

Perché la donna si sarebbe adoperata con tanta solerzia per far sparire gli oggetti personali di Luciani? Perché quegli oggetti dovevano sparire?

Domande destinate a restare senza risposta anche in considerazione del fatto che la diretta interessata è passata a miglior vita.
Una curiosità per chiudere l’argomento: sulla scrivania di Luciani fu trovata una copia del settimanale «Il mondo» aperta su di un’inchiesta che il periodico stava conducendo dal titolo: «Santità...è giusto?» che trattava, sotto forma di lettera aperta al pontefice, il tema delle esportazioni e delle operazioni finanziarie della banca Vaticana. «E’ giusto...» recita l’articolo «...che il Vaticano operi sui mercati di tutto il mondo come un normale speculatore? E’ giusto che abbia una banca con la quale favorisce di fatto l’esportazione di capitali e l’evasione fiscale di italiani?»[12].


http://www.disinformazione.it/albinoluciani.htm




Usa: Obama annuncia, ucciso bin Laden.



(ANSA) - NEW YORK - Osama Bin Laden e' stato ucciso da un commando americano in Pakistan: il presidente Usa Barack Obama lo ha annunciato in un discorso in diretta alla nazione. Il terrorista è stato ucciso vicino a Islamabad. Il corpo è stato recuperato ed è in mano alle forze Usa.


domenica 1 maggio 2011

"La mia vita dentro" di Luigi Morsello.


Congratulazioni all'amico Luigi Morsello per la riedizione del suo libro del quale posto una breve descrizione.

"Il dentro è il carcere. La vita è quella di LuigiMorsello, che nei penitenziari ha speso 36 anni della sua esistenza dirigendo sette case di reclusione. Le vite che racconta sono quelle di chi, in prigione, ci è stato rinchiuso per avere commesso dei reati. Quella che emerge è un’umanità spesso dimenticata come se, una volta rinchiusi, i detenuti scomparissero dalla società e smettessero di essere uomini.

Scrive il magistrato Piero Luigi Vigna nella prefazione:

L’appassionante panorama di personaggi che La mia vita dentro ci propone può finalmente rivelare al lettore, al di là delle aride statistiche con le quali viene spesso rappresentata la realtà carceraria, l’umanità che vive dietro le sbarre e che costituisce, insieme al direttore, agli agenti, agli assistenti sociali, agli educatori, ai medici e infermieri, non tanto un’istituzione totale, quanto una vera e propria comunità.

Gli anni di lavoro di Luigi Morsello sono coincisi con uno dei periodi più bui della storia del nostro paese, in cui terrorismo e stragi mafiose hanno rivestito un triste ruolo da protagonisti. Nel libro ritroviamo molti nomi noti: Curcio, Sindona, Gianni Guido, Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e il generale Dalla Chiesa. La mia vita dentro costituisce un importante documento di storia dell’Italia, raccontata da un punto di vista d’eccezione."

http://www.booksblog.it/post/5963/la-mia-vita-dentro-di-luigi-morsello

Io l'ho letto tutto d'un fiato, e ho scoperto un uomo probo, responsabile e sensibile che descrive la sua vita e quella dei reclusi con dovizia di particolari. Con lui ho scoperto un mondo che non conoscevo e che ho imparato a concepire in modo diverso.

Ve lo consiglio.