Secondo il super- pentito
gli attentati dovevano servire
a far tornare lo Stato a trattare con Cosa nostra: i contatti si erano interrotti dopo l'attentato in cui morì Paolo Borsellino.
L'ex ministro: "Una vendetta"
FIRENZE
Nella seconda metà del 1993 «mandai Mangano a Milano ad avvertire dell’Utri e, attraverso lui, Berlusconi, che si apprestava a diventare premier, che senza revisione del maxiprocesso e del 41 bis le stragi sarebbero continuate». Lo ha detto Giovanni Brusca deponendo a Firenze al processo sulle stragi del 1993. «Mangano - ha aggiunto - tornò dicendo che aveva parlato con dell’Utri, che si era messo a disposizione». Secondo Brusca, l’attentato all’Olimpico contro i carabinieri era una vendetta per chi non aveva mantenuto le promesse: «chiudiamo il caso con il vecchio - ha spiegato - vendicandoci, e apriamo il nuovo».
Secondo Brusca, Marcello dell’Utri e Silvio Berlusconi non c’entrano con le stragi del '93 perchè «la situazione è ancorata al passato». L'ex boss, oggi super-pentito, sentito dalla Corte di Assise di Firenze nell'aula bunker di Santa Verdiana, ha detto poi che Nicola Mancino era il referente ultimo cui far arrivare il "papello", il documento con le richieste della mafia perportare avanti la trattativa con lo Stato.
Brusca ha quindi aggiunto su Dell'Utri: «Nel 1994, con Bagarella ho un contatto con dell’Utri, attraverso Mangano», per avere modo di «arrivare» a Silvio Berlusconi. A dell’Utri fu detto che il governo, allora guidato dal centrosinistra, sapeva. Questo contatto con dell’Utri venne fuori perchè Brusca sapeva che Mangano lavorava ad Arcore. A Mangano «chiesi se conosceva Berlusconi e lui disse di sì e che ci saremmo potuti arrivare tramite dell’Utri», contattabile attraverso un uomo delle pulizie di Canale 5. La richiesta era l’allentamento del 41 bis. «Era la fine del 1993 o l’inizio del 1994, dopo la vicenda Contorno», che è nel 1994, ha detto Brusca.
L'ex boss è stato chiamato a testimoniare al processo che vede imputato Francesco Tagliavia, mafioso accusato dell'attentato di via Georofili e di aver partecipato all’organizzazione delle stragi del 1993, oltre che a Firenze, anche a Roma e Milano.
Ancora Brusca: «Dopo l'uccisione di Falcone e prima della strage di via D'Amelio, Riina mi disse: "finalmente si sono fatti sotto. Ho consegnato un papello con tutta una serie di richieste". Non l'ho visto, quel documento, ma so e sapevo quali erano le richieste: la revisione del maxi processo, l'applicazione della legge Gozzini, la legge sulla confisca. Il tramite non me lo disse, mi disse solo il committente finale e mi fece il nome dell'onorevole Mancino, allora ministro dell'Interno».
In precedenza, in un altro incontro, lo stesso Riina aveva detto a Brusca, secondo quanto riferito dallo stesso, che «si erano fatti sotto dei soggetti, Dell'Utri e Ciancimino, che gli volevano portare la Lega (la Lega sud ndr) e un altro soggetto politico che non ricordo». Il secondo contatto, quello che, secondo Brusca, avrebbe avuto come referente finale Mancino, «era diverso dalla prima offerta che gli era stato fatta, era un fatto piu' concreto». Il papello sarebbe stato consegnato a Mancino «tramite terzi, ma non siamo scesi nel dettaglio su chi fossero».
E ha aggiunto: «Fino all’attentato al giudice Falcone, l’obiettivo di Riina era di influenzare il maxi processo di Palermo. Dopo di che subentrarono soggetti indicati in Marcello Dell’Utri e Ciancimino che volevano portare la Lega e un altro soggetto che non ricordo...a Riina». «Fino all’ultimo attentato - ha concluso Brusca - Riina pensava di condizionare il maxi processo». Poi, «Dopo la strage Borsellino si è tagliato ogni contatto. Il primo a dirlo fu Salvatore Riina, che mi diceva: non c’è più nessuno». E così, quelle stragi successive, del 1993, ha aggiunto Brusca, servivano «a far tornare lo Stato o chi per esso a trattare».
Quasi immediata la replica di Nicola Mancino: «Se Riina ha fatto il mio nome è perché da ministro dell’Interno ho sempre sollecitato il suo arresto, e l’ho ottenuto». Le parole di Brusca, secondo Mancino,sono «una vendetta contro chi ha combattuto la mafia con leggi che hanno consentito di concludere il maxiprocesso e di perfezionare e rendere più severa la legislazione di contrasto alla criminalità organizzata. Durante il mio incarico al Viminale lo Stato ha combattuto con decisione la mafia ottenendo notevoli risultati. Altro che trattative o ricevere papelli!». E ha aggiunto: «Brusca, riferisce su di me quanto avrebbe appreso da Riina, il quale continua a non parlare. Rilevo che una prima volta Brusca riferisce accuse apprese da Riina alla vigilia di Natale del 1992, mentre oggi parla di una data fra l’uccisione del giudice Falcone e la strage di via D’Amelio (quindi diversi mesi prima). Una confusione che inficia il contenuto delle confidenze di Riina».
La richiesta di ascoltare Brusca è stata presentata nelle udienze scorse dalle parti civili ed è stata accolta dalla corte d’Assise. Giovedì 5 maggio saranno ascoltati i fratelli Giuseppe e Filippi Graviano, che saranno collegati con l’aula bunker in videoconferenza. Secondo i legali di parte civile Brusca potrà fornire dettagli importanti sul contesto in cui sono maturate le stragi.
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