lunedì 4 luglio 2011

«Un Vietnam per la Lega».





NO TAV 3 LUGLIO 2011...NON SOLO GUERRA



Sono arrivati da tutta l'Italia per sostenere questa battaglia e per dire basta a questo sistema politico che continua ad ignorare il suo popolo, un fiume in piena ha inondato la valle di energia positiva, la lotta continua, loro non molleranno mai...noi neppure!



Golpe sul web: fermiamoli. - di Guido Scorza


Un'Autorità amministrativa di emanazione politica assumerà il controllo esclusivo di ogni contenuto in Internet. E' un 'codice di guerra' per trasformare la Rete italiana in una grande tv controllata da un pugno di politici e manager. Ed è una prova generale per violentare, sotto i nostri occhi, il principio della separazione dei poteri.

L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il prossimo 6 luglio varerà le nuove regole per la tutela del diritto d'autore in Rete autoattribuendosi il potere assoluto di vita e di morte su ogni contenuto pubblicato dagli utenti on line attraverso servizi resi disponibili da soggetti italiani o stranieri.

Secondo la nuova disciplina toccherà, infatti, agli uffici dell'Autorità, su segnalazione dei titolari dei diritti, ordinare, all'esito di un procedimento sommario destinato a concludersi in cinque giorni e senza contraddittorio con l'autore e/o l'utente che ha caricato on line il video, ordinarne ai provider l'immediata rimozione o, qualora il contenuto risultasse ospitato da fornitori di servizi stabiliti all'estero, un filtraggio che valga a renderlo inaccessibile ai naviganti italiani.

Non appena le nuove norme entreranno in vigore, dunque, potremo dire addio – ad esempio - ai capolavori di creatività satirica che, negli ultimi anni hanno portato una ventata d'aria fresca e fatto circolare idee ed opinioni contrarie al "pensiero unico televisivo" nella Rete italiana (vi ricordate ad esempio "The Arcore night's"?), salutare le centinaia di migliaia di pillole di informazione prodotte da altrettanti videoblogger e semplici utenti della Rete allo scopo di raccontare fatti e misfatti del loro territorio, spesso trascurati dalle grandi Tv o, peggio ancora, censurati e, soprattutto, rinunciare al sogno che presto, persino nel Paese del telecomando, Internet potesse offrirci un'informazione libera, pluralista e indipendente dai poteri politici ed economici.

Con l'alibi della tutela del diritto d'autore, nei prossimi mesi, un'Autorità amministrativa semi-indipendente, anche perché di diretta emanazione politica, assumerà il controllo esclusivo di ogni contenuto in circolazione nello spazio pubblico telematico.

In termini di diritto internazionale e se si considerasse come romanticamente talvolta ancora si fa, Internet come un territorio - il cyberspazio - saremmo di fronte ad un autentico golpe.

Un Sovrano che si auto-proclama tale, scrive le leggi - o piuttosto un Codice di guerra - e si autoarroga il potere di applicarle e farle eseguire, esautorando il potere giudiziario (Allo stato i poteri che Agcom sta per attribuirsi sono regolarmente esercitati dalle sezioni specializzate di proprietà intellettuale istituite presso i nostri Tribunali e composte da giudici ordinari).

Un sovrano, dunque, che come avviene nei più comuni ordinamenti anti-democratici riassume in sé tutti e tre i poteri: quello legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario. Questi i fatti.

Il resto, ovvero la pretesa opportunità di correre ai ripari rispetto alla dilagante pirateria audiovisiva che rischierebbe di mettere in ginocchio l'industria italiana della musica, del cinema, dei giornali e della creatività sono solo la giustificazione in nome della quale si sta per aprire nel nostro Ordinamento una ferita profonda e difficilmente rimarginabile.

Il rischio, infatti, non è solo - e sarebbe già abbastanza - che Internet venga trasformata in una grande televisione le cui trasmissioni sono decise da un pugno di politici manager e da un manipolo di manager politici ma è che si affermi il principio perverso e pericoloso, nemico dei più elementari principi democratici secondo il quale l'esigenza di garantire un surrogato della giustizia, in tempi rapidi ed ad uso e consumo di pochi, giustifica l'attribuzione ad un'Autorità amministrativa di poteri eccezionali da Stato di polizia con conseguente esautorazione della magistratura.

Stanno violentando, sotto i nostri occhi, il principio della separazione dei poteri, il diritto alla difesa e quello ad un giusto processo.

Se si applicassero le stesse regole a materie diverse dal diritto d'autore, ne avremmo che il proprietario di una casa che ritenga inadempiente il proprio inquilino anziché rivolgersi ad un giudice potrebbe chiedere ad un'Autorità amministrativa, magari composta da proprietari di altre case, di sbatterlo fuori in cinque giorni senza neppure consentirgli di spiegare le sue ragioni o, piuttosto, che il creditore di una somma di denaro potrebbe chiedere direttamente alla polizia di entrare dentro casa del suo debitore ed aiutarlo ad impossessarsi di beni sufficienti a saldare il suo credito.

E' questo il Paese che vogliamo? Se si, aboliamo l'ordine giudiziario, smettiamola di perder tempo ad inseguire il sogno di un giusto processo, veloce, equo ed imparziale ed affidiamo al governo ed alle autorità che da esso dipendono il compito di fare giustizia o quella che riterranno essere giustizia.

Sarà quel che sarà, assisteremo alla macellazione dei diritti fondamentali degli uomini e dei cittadini ma saremo veloci ed efficaci.

L'autore di questo articolo, Guido Scorza, è docente universitario e giurista ed esperto di Rete, presidente dell'Istituto per le politiche dell'Innovazione



domenica 3 luglio 2011

Tra l'incudine e il martello.


Il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto. La manovra non aumenta il disavanzo di bilancio: questa è una buona notizia, e non era affatto scontata. Va dato atto a Giulio Tremonti di non aver seguito la reazione pavloviana di tanti suoi colleghi di governo di fronte ad una sconfitta elettorale: aumentare la spesa pubblica, o promettere una riforma fiscale in deficit, per riguadagnare consensi.

Proprio per questo attendersi di più era forse politicamente irrealistico, dopo una sconfitta elettorale e in pieno sfilacciamento della coalizione. Ma governo, Bruxelles e molti commentatori stanno partecipando ad una finzione pericolosa in cui il re è nudo (la manovra quasi non esiste, ci sono quasi solo annunci per il futuro) ma non hanno il coraggio di dirlo. Il dibattito odierno sulla manovra è quasi puramente accademico: in gran parte verte su provvedimenti che potranno essere facilmente rivisti o annullati da qui a due o tre anni, quando dovrebbero entrare in vigore. Ed è inevitabile che sia così: nessun governo si sente vincolato da decisioni prese due o tre anni prima, magari da un governo differente.

Si può discutere all' infinito se una manovra restrittiva in questo momento avrebbe ucciso quel poco di ripresa che c'è, o se invece avrebbe generato più crescita rendendo più credibile la promessa di minori tasse in futuro (per quel che può valere, mentre in passato avrei sostenuto la seconda posizione, oggi ne sono meno convinto). Ma quello che è certo è che se si vuole fare un aggiustamento di bilancio credibile bisogna partire da subito con un segnale deciso.

Un approccio del tipo "armiamoci e partite" verso i futuri governi non funziona, perché questi ultimi non hanno alcun motivo di attuare ciò che è stato deciso dal governo di oggi; se il governo attuale non vuole prendere decisioni impopolari, perché dovrebbero prenderle loro? Quando Gran Bretagna e Germania l' anno scorso hanno deciso di ridurre il disavanzo di bilancio, l' hanno fatto subito, non hanno posticipato le misure necessarie.

Come mostra uno studio recente di Adi Brender della Banca centrale israeliana, dal 1985 sette governi israeliani hanno annunciato piani di stabilizzazione della finanza pubblica, ma gli unici due che ci sono riusciti sono quelli che hanno tagliato il disavanzo subito, senza affidarsi ad annunci sul futuro. È vero che un consolidamento di bilancio serio va fatto su di un orizzonte temporale che va oltre l'anno corrente; ma promuovere o bocciare i governi sulla base di piani multiannuali sottoposti da ogni paese, come concordato recentemente dal- l'Unione europea, è un' arma a doppio taglio, perché invita inevitabilmente i governi a sottoporre dei piani di rientro in cui le scelte difficili e dolorose sono sempre rimandate al futuro, e mette al tempo stesso il timbro di approvazione europea su questa strategia ambigua.

Questo è esattamente ciò che è successo con questa manovra, che formalmente può affermare di essere consistente con le richieste di Bruxelles, ma per due anni fa poco o niente. Temo che ci vorrà di più per convincere i mercati, soprattutto se il problema greco si riacutizzerà dopo la tregua di questi giorni; d' altra parte, "fare di più" avrebbe attirato le ire di molti ministri. È inutile illudersi: preso tra l' incudine dei mercati e il martello delle pressioni politiche dalle frange meno responsabili, questo governo non poteva e non potrà far altro che barcamenarsi fino alle elezioni. Poi si vedrà.


roberto.perotti@unibocconi.it

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-07-02/incudine-martello-081031.shtml?uuid=Aak48hkD


Avidità e crepuscolo degli dei. - di Guido Rossi


L'illimitata possibilità d'accumulazione del denaro è passata da una forma di potere sociale a quella di potere politico. L'enorme quantità di moneta transitata dai mercati e dagli istituti finanziari, sia quelli regolamentati, sia quelli fuori d'ogni controllo grazie alle ideologie della deregolamentazione, le cosiddette shadow banks, non ha per nulla aumentato, bensì ha diminuito, la capacità produttiva delle economie reali.

Il capitale è stato diretto, infatti, verso operazioni ad alto rischio, ad oltraggiosi e stratosferici compensi ai protagonisti di una nuova e fortunosa elìte, nonché alla creazione di irrealistici valori di titoli finanziari infettati da bolle speculative. Questa era dell'avidità ha propagato la sua metastasi agli stati e alla politica delle democrazie costituzionali, contagiandosi, quasi senza avvedersene e mettendo a rischio la loro stessa esistenza. La speculazione selvaggia ha ormai preso di mira lo strumento fondamentale della politica economica dei paesi democratici, cioè il debito pubblico, imponendo ora rigorosi, quanto rischiosi regimi di austerità, che hanno permesso sia in Europa, sia negli Stati Uniti, di sperperare prima i surplus negli anni buoni dello sviluppo economico invece che accantonarli, al fine di poter stimolare la domanda aggregata per uscire dalle crisi negli anni cattivi.

Il patto di stabilità, ad esempio, impone ora a Eurolandia di mantenere il deficit di bilancio sotto il 3% del PIL e il debito pubblico, rispetto a questo, al 60%. Sembra andare in questa direzione la discussa manovra italiana. Il sistema è dunque privo di ogni flessibilità. Quella flessibilità che i governanti tedeschi oggi ignorano e disprezzano non ricordando di averla adottata qualche anno fa, quando la Germania soffrì di recessione economica.

E' necessario poi, per stimolare la ripresa e la domanda, che la politica economica e quella monetaria non siano disgiunte, sicché riguardano un problema di grande attualità, cioè la totale indipendenza della banca centrale europea. Il suo ruolo rispetto al Parlamento Europeo dovrebbe essere ridefinito, poiché la sua politica, finora quasi esclusivamente diretta al controllo dell'inflazione, ha comunque un peso politico di grande e crescente importanza per il suo controllo sul sistema bancario europeo. Insomma, il ruolo delle banche centrali, è sempre più politico e non può essere, pur nella loro indipendenza, conflittuale con quello dei governi, almeno nelle democrazie costituzionali.

I problemi si presentano non diversi negli Stati Uniti d'America, dove il Presidente Obama si trova in grande difficoltà a far approvare dal Congresso un bilancio che possa garantire riforma fiscale e nello stesso tempo investimenti per il piano sanitario e la disoccupazione, ai fini di mantenere le tante promesse da lui fatte in campagna elettorale. Il rischio è quello invece che queste difficoltà, se non superate con "stimoli e creatività" secondo l'opinione di P. Krugman ripresa anche nell'articolo di ieri su questo giornale, portino un lungo periodo di alta disoccupazione e di povertà per milioni di cittadini americani, soprattutto giovani, vecchi o economicamente vulnerabili. E mentre i titoli di stato di alcuni paesi europei rischiano il declassamento, ciò sta avvenendo anche per quelli del Tesoro americano. La libera stampa americana non ha mancato di aspramente criticare il Presidente Obama, il quale, come scrive l'ultimo numero dell'autorevole New York Review of Books, dice e promette nelle sue innumerevoli apparizioni televisive in casa e all'estero cose ben diverse rispetto a quelle che fa. Il panorama è vasto: dalla guerra in Libia, illegalmente continuata senza l'approvazione del Congresso alla sempre rinviata chiusura di Guantanamo, alla politica estera e militare in Siria, Egitto e soprattutto Afghanistan e poi all'uccisione di Bin Laden, dettata da istinto di vendetta più che da principi di giustizia. Il tutto a causa di una "guerra al terrore", la quale ha tolto ogni diritto umano ai sospetti nemici combattenti (gli enemy combatants) che, con questo gioco di parole, nessuna Convenzione di Ginevra protegge. Barack Obama sembra allora trovar mestiere più piacevole quello di fare il Presidente del mondo, piuttosto che degli Stati Uniti, preferendo così l'autorità simbolica delle dichiarazioni galattiche invece che l'autorità concreta di direzione politica, il che fa di lui, secondo l'articolo citato, un Presidente più famoso che popolare.

Né può stupire che uno dei maggiori costituzionalisti americani, non certo radicale, Bruce Ackerman, in un suo recente libro the Decline and Fall of the American Republic (Harvard University Press, 2010) abbia dato un amaro identikit dei presidenti degli Stati Uniti che operano a danno della Repubblica americana. Ma la comparazione non è difficile con le altre democrazie occidentali, compresa la nostra. I punti fondamentali dell'analisi riguardano: l'elezione di persone carismatiche, al di fuori della tradizionale classe politica, che agiscono affidandosi ad esperti dei media per individuare speranze e falsi problemi che dominano un pubblico dibattito irrazionale. Essi poi governano con ministri super lealisti, mentre le loro azioni unilaterali vengono legittimate da un uso improprio dei poteri di emergenza e giustificate con il "mandato ricevuto dal popolo". Ha continuato Ackerman ancora sul New York Times del 20 giugno. In conclusione, sembra fuori discussione che il potere esecutivo tende, in base allo spirito dei tempi, ad operare fuori della legge e delle regole dello Stato di diritto, sicché si erodono i cardini delle democrazie costituzionali, sopraffatte dal capitalismo finanziario, il quale dominato dall'attività ha fatto crollare simboli e speranze, come certamente è capitato con il carismatico Presidente Obama.

Che la globalizzazione finanziaria abbia dunque provocato anche una sorta di Götterdämmerung?
Crepuscolo degli dei ai quali si sono sostituiti i nuovi sacerdoti dell'avidità.

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2011-07-03/avidita-crepuscolo-102452.shtml?uuid=AafzPwkD&p=2


Assegni più leggeri da 8 a 150 euro. La nuova mappa della previdenza.


Il costo della stretta: quattro miliardi e mezzo in due anni.

Il ministro dell'Economia  Giulio Tremonti
Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti
ROMA - La nuova stretta sulla previdenza costerà ai pensionati italiani almeno 4 miliardi e mezzo di euro nei prossimi due anni. Sempreché l'inflazione non continui ad aumentare, rendendo più doloroso il blocco, totale o parziale, della rivalutazione degli assegni superiori ai 1.428 euro lordi mensili. Il freno all'indicizzazione porterà nelle casse dello Stato 2,2 miliardi di euro l'anno: l'effetto sulle pensioni più basse sarà quasi impercettibile, ma sugli assegni più alti l'impatto sarà consistente. Per fare i suoi calcoli il governo ha immaginato un indice di rivalutazione delle pensioni dell'1,5% sia nel 2012 che nel 2013, anche se c'è il rischio concreto, visto l'attuale andamento dei prezzi, che l'indice debba essere rivalutato in misura maggiore. Se arrivasse al 2%, il risparmio sulle pensioni, e dunque il mancato recupero del potere d'acquisto per i pensionati, salirebbe a 3 miliardi di euro l'anno, 6 miliardi nel biennio.

Clausola di salvaguardia
Tenendo per buone le stime del governo, un pensionato che percepisce 1.500 euro lordi mensili dovrà rinunciare a 8 euro l'anno, che salgono a 60 euro nel caso di una pensione mensile di 2.000 euro, a circa 100 se l'assegno è di 2.500 euro, oltre 150 euro su una pensione di 3.500 euro. Sacrifici mitigati solo in parte da una clausola di salvaguardia inserita nel decreto, che rende il blocco della rivalutazione meno aspra rispetto a quelli varati nel 1992 dal governo di Giuliano Amato e nel 1996 dall'esecutivo guidato da Romano Prodi. Mentre allora il blocco fu totale per le pensioni più alte, questa volta un minimo di perequazione ci sarà per tutti. I 3,2 milioni di pensionati che ricevono un assegno da tre a cinque volte il minimo (476 euro), cioè tra 1.428 e 2.380 euro lordi mensili, subiranno solo un taglio del 55% dell'indicizzazione solo sulla quota eccedente i 1.428 euro. E così per i pensionati più ricchi: perequazione totale sui primi 1.428 euro, al 45% sulla quota tra 1.428 e 2.380 euro, nessuna rivalutazione sulla parte eccedente (invece del 75% come avviene oggi).

In pensione più tardi
Oltre alla perdita del potere d'acquisto, ci sarà da fare i conti con l'aumento dell'età pensionabile dovuto alle misure varate negli anni scorsi, e che hanno effetto già da quest'anno. Sui requisiti minimi per la pensione di anzianità giocheranno, infatti, sia il meccanismo delle quote, che già dal 2011 ha portato l'età minima a 61 anni (ma con almeno 36 anni di contributi), che le finestre mobili introdotte con la manovra triennale dell'anno scorso, mentre per le donne che lavorano nel settore pubblico nel 2012 l'età minima per la pensione di vecchiaia salirà di colpo da 60 a 65 anni. Dal 2014 in poi, per tutti, bisognerà considerare anche l'effetto dell'agganciamento automatico dell'età di pensione alle speranze di vita. E, dal 2020, anche per le donne che lavorano nel settore privato partirà l'aumento progressivo dell'età minima, da 60 a 65 anni.Di fatto, già da quest'anno, l'età minima della pensione di anzianità è aumentata di due anni per i lavoratori dipendenti e di due anni e mezzo per gli autonomi. C'è stato il passaggio da "quota 95" a "quota 96", cioè 61 anni di età invece di 60 con 35 anni di contributi. In più sono scattate le finestre mobili, che di fatto mangiano un altro anno alla pensione: l'assegno previdenziale, infatti, comincia ad arrivare 12 mesi dopo la maturazione dei requisiti minimi per i dipendenti, 18 mesi per gli autonomi. Dal 2013 si passerà a "quota 97" per i dipendenti e a "quota 98" per gli autonomi, quindi l'età minima salirà ancora di un anno rispetto a oggi. E nel 2014, un anno prima del previsto, entrerà in gioco il meccanismo dell'adeguamento automatico dell'età minima alle speranze di vita. In sede di prima applicazione l'aumento dell'età di pensione non potrà essere superiore a tre mesi. Dal 2018, però, scattano gli aggiornamenti triennali, che saranno pieni, e capaci di produrre effetti consistenti. Basti pensare che l'Istat ha calcolato che nel 2050, rispetto al 2007, le speranze di vita, a 65 anni, aumenteranno di 6,4 anni per gli uomini e 5,8 anni per le donne.

Appuntamento al 2020
L'appuntamento successivo è fissato al 2020, anno in cui inizierà il percorso di progressivo adeguamento delle pensioni di vecchiaia delle donne nel privato, dagli attuali 60 ai 65 anni degli uomini. Dal 2020 ci vorrà un mese in più, dal 2021 due mesi, e così via, per arrivare a regime nel 2032. L'effetto di tutti questi provvedimenti inciderà in modo molto rilevante sulla spesa pubblica. Ai 4 miliardi e mezzo che saranno risparmiati nei prossimi due anni con la mancata rivalutazione, si devono aggiungere i risparmi attesi dall'agganciamento della pensione alle speranze di vita, modesti nei primi anni (2,1 miliardi di euro dal 2014 al 2020), ma molto rilevanti negli anni successivi: 13 miliardi di risparmio nel decennio 2020-2030, e ben 19 miliardi di euro dal 2030 al 2040. Più quello che si risparmierà con l'aumento dell'età di pensione delle donne e l'allungamento dell'età per effetto delle quote e delle finestre.

La rivoluzione assistenziale
Altri risparmi verranno dalla sistemazione del contenzioso previdenziale nel settore agricolo, prevista dal decreto appena varato dal governo. Ma in prospettiva gli effetti più consistenti sono attesi dalla riforma di tutto il meccanismo dell'assistenza, contemplata dalla delega per la revisione del sistema fiscale, e che si configura come una vera e propria rivoluzione. Il primo passo sarà la revisione degli indicatori della situazione economica dei contribuenti, l'indice di "bisogno" che regola le prestazioni assistenziali. Il vecchio Isee andrà in pensione, e sarà sostituito da un meccanismo che terrà in maggior conto la composizione del nucleo familiare. Poi il passaggio fondamentale sarà la revisione dei criteri per poter ricevere gli assegni. Saranno riconsiderati i parametri per le pensioni di invalidità e anche quelli per le pensioni di reversibilità che si tramandano ai coniugi, che sono 4,8 milioni e che costano 38 miliardi di euro l'anno (34 all'Inps, 4 all'Inpdap). Una cifra molto elevata, pari al doppio di quella che si spende in Francia e in Germania e al triplo di quanto costano, in media, le pensioni di reversibilità in Olanda. E non è tutto, perché la riforma prevede anche un ruolo diverso per l'Inps. Sarà l'agente pagatore e terrà il "fascicolo elettronico" di ciascun assistito. Ma a fare selezioni e controlli per l'accesso e il diritto alle prestazioni saranno Regioni e Comuni. Che dovranno rispettare criteri ben precisi, a meno di non volerci rimettere di tasca propria.

Mario Sensini

http://www.corriere.it/economia/11_luglio_03/sensini_assegni-piu-leggeri_a5887fac-a54b-11e0-980c-35d723c25df8.shtml?fr=box_primopiano

Il Quirinale: Non ancora ricevuto il testo della manovra.


ROMA
- "Si precisa che a tutt'oggi la presidenza del Consiglio non ha ancora trasmesso al Quirinale il testo del decreto legge". E' quanto scritto in una nota diffusa dalla presidenza della Repubblica in merito alla manovra varata la settimana scorsa dal governo.

"Poichè molti organi di informazione continuano a ripetere che la manovra finanziaria approvato dal governo nella seduta di giovedì scorso sarebbe al vaglio della Presidenza della Repubblica già da venerdì - si legge nella nota diffusa dal Quirinale - si precisa a tutto oggi la presidenza del consiglio non ha ancora trasmesso al Quirinale il testo del decreto legge".