Don Verzé è arrivato anche lì. Niente ospedali. Niente opere di bene. Più prosaicamente un hotel a quattro stelle, il Don Diego, riservato a una clientela d’élite, almeno a giudicare dai prezzi: anche cinquemila euro per una settimana in alta stagione. L’albergo è di proprietà della Fondazione Monte Tabor, la stessa che controlla il San Raffaele. La gestione però è affidata a un’altra società, la San Diego srl che fa capo a cinque azionisti. Uno di loro è l’attore Renato Pozzetto (quello di Cochi e Renato). Un altro, con una quota del 20 per cento, si chiama Mario Cal. Proprio lui, il braccio destro di don Verzé, il manager che si è suicidato lunedì scorso.
DUNQUE la Fondazione ha dirottato milioni di euro dalle attività sanitarie a quelle alberghiere e uno dei massimi dirigenti della fondazione stessa si è messo personalmente in pista, con un investimento di poche decine di migliaia di euro, per partecipare agli utili dell’iniziativa. Utili che per la verità ancora non si vedono, visto che l’hotel Don Diego viaggia in rosso. L’iniziativa sarda è tutto sommato una piccola cosa, almeno se confrontata con il miliardo e più di debiti che grava sul San Raffaele, ma riesce a dare un’idea di come andassero le cose nel regno di don Verzé. Con l’andar del tempo una miriade di investimenti sballati e di progetti megalomani ha minato alle fondamenta la grande opera del sacerdote visionario. Con il contorno, come si vede nel caso dell’hotel San Diego, anche di evidenti conflitti di interessi.
“Tutto è possibile a chi crede”, ripete il novantenne gran capo della Fondazione Monte Tabor. Quasi tutto, verrebbe da correggere. Se per esempio si impiegano nelle iniziative più disparate parte dei soldi versati dalla Regione Lombardia per i rimborsi dei medicinali e dei ricoveri in convenzione (oltre 400 milioni l’anno), allora è chiaro che si corre dritti verso il dissesto. Per un po’, infatti, il peso di questa strategia folle è stato fatto ricadere sui fornitori. E così il debito verso le aziende che riforniscono il San Raffaele, dalle aziende farmaceutiche a quelle informatiche, è esploso fino a superare i 500 milioni.
IN PAROLE POVERE i finanziamenti pubblici sono stati in parte assorbiti da iniziative che nulla avevano a che fare con il bene comune. Tipo la colossale cupola con l’arcangelo sulla sommità costata oltre 60 milioni. Oppure il nuovo ospedale di Olbia, costato oltre 200 milioni di euro in buona parte finanziati dalle banche. Una struttura finita di costruire pochi mesi fa e che sembra destinata restare ferma fino a quando non si chiarirà il destino dell’intero gruppo sanitario. Poi c’è il capitolo delle speculazioni immobiliari. Basta fare un viaggetto di pochi chilometri da Milano fino a Cologno Monzese, una cittadina dell’hinterland. Qui una società del San Raffaele, la Edilraf a suo tempo amministrata da Cal, ha restaurato una villa storica immersa in un parco dove ha anche costruito decine di appartamenti. All’operazione aveva partecipato anche il gruppo Diodoro costruzioni diPierino Zammarchi, che però alla fine del 2008 si è sfilato. Adesso tutto è fermo. Invenduti gli appartamenti, fin qui proposti a prezzi giudicati fuori mercato. Fermi anche l’auditorium e il ristorante che avrebbero dovuto essere consegnati al comune di Cologno. Nel frattempo la Edilraf ha accumulato debiti per oltre 60 milioni di cui quasi 35 verso le banche e 16 milioni nei confronti della stessa fondazione Monte Tabor. Adesso anche la Edilraf è in vendita. Trovare un compratore però sarà un’impresa. A meno di non cedere a prezzi di saldo. Lo stesso discorso vale per molte altre partecipazioni. Il Vaticano, che ha preso il comando al San Raffaele, potrebbe quindi essere costretto a svendere. Ma in questo modo non sarà facile tappare il buco lasciato da don Verzé. Salvo miracoli, ovviamente.