Anders Behring Breivik ha scelto l’isola di Utoya. Mentre Thomas More, a suo tempo, scelse Insula Utopia, ambiguamente sospesa fra ou-topos ed eu-topos. Letteralmente “luogo felice inesistente”.
Un’inquietante casualità che pare messa lì da un caso maligno per suggerire che la prima potrebbe essere l’altra faccia della seconda. Il luogo inesistente in cui trova rifugio il bisogno di trascendenza che ci affligge, talvolta fino a travolgerci. Frutto dell’inesausta incapacità di accettarci per quel che siamo: carne, sangue, connessioni neuronali, spazi sinaptici, e basta. Fino a prova contraria. In grado di fiorire in splendidi fuochi di artificio, ma anche di avvitarsi su se stessi per precipitarci anzitempo nel più profondo del nulla.
Turbe adolescenziali che tralignano, troppo più spesso di quel che dovrebbero, in patologie capaci di durare l’intera vita; talvolta per scaricare i propri frutti avvelenati su chi ha la sventura di trovarsi a passare da quelle parti. Fortunatamente non spessissimo.
Pare che Anders Behring Breivik, all’insaputa dell’interessato, trovasse perfettamente di suo gusto l’assunto di Stuart Mill, l’opposto di un invasato, secondo cui “Una persona dotata di credenza (belief) costituisce una forza sociale pari e novantanove persone dotate solo di interessi”.
Anche Giuliano Amato, uno per bene, che non ha mai ammazzato nessuno, qualche tempo fa sosteneva la stessa cosa. Che i credenti godrebbero di un grosso vantaggio rispetto ai non credenti, cui la mancanza di fede impedirebbe di muovere le montagne.
Quasi che lo scopo della vita fosse di muovere le montagne.
Deve esserci nella nostra natura un demone che ci fa smarrire il senso delle proporzioni, spingendoci a misurarci con cose più grandi di noi.
La cosa si potrebbe liquidare sostenendo che di pazzia si tratta. Se non fosse un genere di pazzia un po’ troppo diffuso. Soprattutto se non godesse della benevola condiscendenza, quando non addirittura dell’incondizionata ammirazione, dei più.
Sto parlando della reputazione di cui gode la fede nell’immaginario popolare: la fede in Dio, nell’Idea, in Se Stessi.
Che si tratti di una valutazione sbagliata è dimostrato dallo stupore con cui l’opinione pubblica reagisce ogni volta, sgomenta, davanti alle malefatte dell’Inquisitore, dell’Imbianchino, del Breivik di turno. Quando la frittata ormai è fatta e le uova sono irrimediabilmente rotte.
Il fatto è che ci sono troppe persone che si sentono chiamate a salvare il mondo dalle proprie colpe e troppe platee disposte a vederci dei santi, dei condottieri, degli eroi. Quando non addirittura dei messia.
Dovremmo imparare a guardare con più diffidenza quelli che sentono le voci che li chiamano all’impresa. La figura di Caifa andrebbe rivalutata.
Correremmo il rischio di soffocare Giovanna d’Arco nella culla, ma ci risparmieremmo qualche Imbianchino e moltissime fregature.
Oggi, per la prima volta, ho pregato molto. Ho spiegato a Dio che, a meno che non voglia vedere l’alleanza marxista islamica e alcuni islamici d’Europa distruggere la cristianità europea nei prossimi cento anni, deve far sì che i guerrieri in lotta per la cristianità europea prevalgano. Deve assicurare il successo della mia missione; ispirare centinaia di rivoluzionari conservatori/nazionalisti anticomunisti e anti-islamici in tutta l’Europa… Noi conservatori rivoluzionari, in realtà, stiamo vivendo un sogno o compiendo un sacrificio? Se sentissi che qualcun altro potesse svolgere questo compito non lo farei certo io. In quel caso mi piacerebbe crearmi una famiglia e concentrarmi sulla carriera.
Anders Breivik
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