I proprietari della struttura hanno inviato una lettera di preannuncio licenziamento ai loro dipendenti che, però, in base a un accordo con la Regione Lazio dovevano essere reinseriti in altre strutture del gruppo.
L'imprenditore Giampaolo Angelucci
Paradossale e tragica la situazione per 257 lavoratori della clinica San Raffaele di Velletri, di proprietà della famiglia Angelucci. Hanno in tasca una lettera di preannuncio di licenziamento, un posto di lavoro preziosissimo che sta per svanire, con tutte le conseguenze del caso, in un territorio, quello della provincia di Roma, dove trovare una nuova occupazione è un’impresa disperata. E, paradossalmente, sul banco degli imputati dal neonato comitato sindacale “spontaneo” dei lavoratori sorto all’interno della struttura sanitaria – che ha escluso i sindacati confederali – sono finiti i magistrati autori di una complessa inchiesta giudiziaria sugli affari di famiglia di Giampaolo eAntonio Angelucci.
Nella città di Velletri, che da trent’anni ospita la principale struttura sanitaria del gruppo San Raffaele spa, da qualche giorno girano le automobili con gli altoparlanti annunciando un’assemblea pubblica alla presenza del sindaco. Poi centinaia di manifesti, un presidio – autorizzato dalla stessa società – che va avanti da diversi giorni con un unico obiettivo, fermare la chiusura della clinica. Una protesta che lo scorso luglio ha portato un gruppo di lavoratori sotto le finestre del Tribunale di Velletri, dove i magistrati stanno valutando la posizione del San Raffaele Spa. Il 23 giugno scorso la Regione Lazio ha revocato l’accreditamento, dopo il deposito degli atti di un’inchiesta che dura dal 2005, basata su un’ipotesi di truffa ai danni del sistema sanitario nazionale per una cifra di oltre 100 milioni di euro.
In un documento di sette pagine il dipartimento programmazione economica della Regione ha stilato il lungo elenco dei problemi riscontrati in diverse ispezioni della Asl e dei Nas nella clinica di Velletri della famiglia Angelucci. Nel 2009, ad esempio, gli ispettori hanno evidenziato diverse modifiche “difformi” in molti locali della struttura, mentre alla verifica – effettuata nel 2008 – delle cartelle cliniche, su 75 ricoveri ben 41 risultavano “incongrui per codifica e inappropriati per criteri di accesso”.
Ma forse la contestazione più grave arrivata dalla Regione riguarda proprio il personale: in una verifica dello scorso novembre “è stata constatata una carenza di personale infermieristico e ausiliario”. Anche la qualità del trattamento di riabilitazione è stata poi contestata agli Angelucci: nella palestra “risultavano presenti un numero di pazienti decisamente inferiore rispetto a quello che avrebbe dovuto essere presente in base ai degenti in carico alla struttura”
Accuse gravi, in parte poi finite nell’indagine dei magistrati. Paradossalmente l’inchiesta della Procura, quella della Corte dei Conti e il dossier delle strutture sanitarie incaricate della vigilanza non hanno comportato un danno economico evidente per la San Raffaele spa, fatto salvo il sequestro cautelativo per 134 milioni di euro disposto lo scorso anno. Soli pochi giorni dopo la revoca dell’autorizzazione per la clinica di Velletri – la più antica dell’impero della famiglia Angelucci – i vertici della società hanno firmato un accordo che ha sostanzialmente limitato il danno. La Regione ha garantito il mantenimento del numero di posti letto complessivo accreditato, spostando i quasi 300 pazienti di Velletri nelle altre cliniche del gruppo, mantenendo così inalterato il fatturato.
In quello stesso accordo la San Raffaele Spa garantiva ovviamente di non licenziare nessuno. Tutto, dunque, sembrava risolto: la società non avrebbe perso un solo euro della ricca convenzione con la Regione Lazio e i lavoratori potevano mantenere il loro posto, anche se trasferiti in altre strutture. L’invio delle lettere di licenziamento è avvenuto in una fase delicata. La Procura ha chiuso il primo troncone delle indagini iniziate nel 2005 e deve ora decidere se presentare la richiesta di rinvio a giudizio. L’ultimo atto istruttorio, avvenuto nel dicembre dello scorso anno, è stato l’interrogatorio, come persona informata sui fatti e quindi non indagato, dell’ex presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo. Una deposizione fiume, durata circa sei ore.
Quelle lettere che minacciano di mandare tutti a casa alla fine di questo mese stanno chiaramente surriscaldando il clima, soprattutto nei rapporti tra i lavoratori: “Qualche giorno fa – denunciaPaolo Calvano della Cgil funzione pubblica – una nostra delegata è stata bloccata da un gruppo di lavoratori all’interno della struttura alla fine del turno e, quando ha raggiunto il cancello, è stata pesantemente insultata”. Un episodio significativo, visto che, secondo i sindacati, “hanno assistito all’aggressione verbale anche due dirigenti della società, senza intervenire”.
di Raffaele Gardel