mercoledì 11 aprile 2012

Corruzione, il Consiglio d’Europa boccia il finanziamento pubblico ai partiti in Italia






Secondo il rapporto di 'Greco', braccio anti-corruzione dell’organizzazione paneuropea, il sistema dei controlli è inefficace. Dal 1997 al 2009 sono ben 91 le formazioni politiche che hanno presentato rendicontazioni false o incomplete. Eppure hanno ricevuto dallo Stato fino al 400% delle spese sostenute.

Controlli e sanzioni inefficienti sui bilanci irregolari dei partiti, e corruzione soggetta a tempi di prescrizione troppo brevi. Il risultato? Dal 1997 al 2009 sono ben 91 le formazioni politiche, nate e morte nel corso di quegli anni, che hanno presentato rendicontazioni false o incomplete. Eppure hanno ricevuto dallo Stato fino al 400% delle spese sostenute. La commissione Greco (Groupe d’Etats Contre la Corruptione), braccio anti-corruzione del Consiglio d’Europa in cui l’Italia è entrata solo nel 2007, ha bocciato il nostro sistema di finanziamento ai partiti. E ha richiamato l’urgenza di norme più stringenti contro il reato di corruzione a garanzia di un maggiore controllo. L’analisi effettuata si basa sui dati forniti dalla Corte dei Conti ma non riporta i nomi dei partiti sanzionati o coinvolti nei procedimenti giudiziari.

In Italia la normativa presenta “carenze “importanti”, controlli “inefficienti” e sanzioni “inefficaci”. Una situazione a cui, secondo Strasburgo, è “urgente” porre rimedio. E alla luce delle inchieste giudiziarie che hanno travolto la Lega Nord e la Margheritaanche i leader di Pd, Pdl e Udc hanno sollecitato l’introduzione di nuove norme per garantire la supervisione sui bilanci. I dati del rapporto fanno luce su un sistema complesso e opaco dal quale emerge che tra il 1994 e il 2008 i partiti politici hanno speso in totale 570 milioni di euro, ma i rimborsi ricevuti per le campagne elettorali sono stati 2,25 miliardi di euro. Perché in Italia l’erogazione dei fondi è legata al numero di voti ottenuti e non alle spese sostenute.

Nel documento elaborato dalla commissione si sottolinea che “la maggiore debolezza” del sistema sta nei controlli e anche il ruolo che i cittadini possono svolgere è “molto limitato”. Non va meglio per quello esercitato dalle autorità pubbliche, che risulta “molto frammentato, più formale che sostanziale”. Non solo: dai dati emerge che dal 1997 al 2009, sono 91 partiti politici hanno presentato rendicontazioni irregolari. Eppure “soltanto sei di loro sono stati sanzionati con la sospensione dei rimborsi elettorali di cui erano ancora beneficiari, visto che avevano comunque accumulato i fondi annuali dopo la notifica delle irregolarità”. Ragione per cui sono entrati in possesso dei fondi soltanto dopo la piena regolarizzazione dei loro bilanci. Gli altri 85 invece, “avendo ricevuto la notifica dopo la completa ricezione del denaro (ovvero la quinta e ultima tranche della legislatura) non sono stati soggetti alla sospensione”. E hanno ricevuto regolarmente i soldi pubblici che in Italia rappresentano l’82% delle risorse economiche per i partiti, a fronte del 16,5% elargito da privati l’1,5% con fondi di altra natura che provengono da eventi e attività promosse dagli stessi partiti.

Per quanto riguarda la violazione delle norme sulle dichiarazioni, “nel 2009 sono stati conclusi 4 procedimenti giudiziari e tre sono ancora pendenti. E per il finanziamento illecito nel 2009 soltanto un procedimento è stato concluso, a fronte di cinque sospesi”.

Greco analizza i dati della “Corte dei Conti che dal 1996 ha iniziato 7 procedimenti amministrativi dovute a bilanci non corretti. A seguito della presentazione della documentazione, ai 6 partiti sono stati di nuovo elargiti i fondi pubblici. Verso i partiti che invece non avevano diritto alle risorse pubbliche sono stati avviati 17 procedimenti e soltanto 9 si sono conclusi con l’effettiva applicazione della sanzione, per una multa complessiva di 51.645,70 euro. Un procedimento è stato invece intrapreso contro un partito che non aveva dichiarato la provenienza dei fondi nel rendiconto finale e si è risolto con una multa di 5.164,57 euro”.

La commissione del Consiglio d’Europa ha rilevato che “a seguito dello scandalo di Tangentopoli i partiti hanno avvertito la necessità di formulare nuove norme per garantire la trasparenza nei controlli dei bilanci” ma la normativa è ancora insufficiente. Per questo Greco suggerisce l’introduzione di regole che definiscano in primis lo “status legale” dei movimenti. Cruciale anche l’introduzione del divieto generale di donazioni provenienti da soggetti anonimi e l’abbassamento della relativa soglia, che oggi è fissata a 20mila euro per i singoli candidati e a 50mila euro per i partiti. Da pubblicare anche i bilanci delle sezioni territoriali, che devono esser consultabili in maniera trasparente e chiara. E rimodellare il sistema al fine di garantire che le sanzioni siano proporzionate alle irregolarità commesse e, soprattutto, applicate.

Nel panorama che emerge dai dati, un migliore sistema di controllo deve affiancarsi alla revisione dei tempi di prescrizione per il reato di corruzione, considerati “tropo brevi”. Un fattore determinante che mette a rischio il lavoro dei giudici. “Nonostante tutte le lacune rilevate – si legge nel documento – in Italia sono stati comunque perseguiti un numero considerevole di casi di corruzione. Questo è stato possibile grazie al lavoro proattivo dei giudici che hanno acquisito una vasta esperienza e hanno giocato un ruolo nello sviluppare la giurisprudenza in quest’area”. E Il Consiglio d’Europa guarda con “preoccupazione” alle sanzioni previste per il reato di corruzione perché, nella pratica, non si rivelano “proporzionate, dissuasive ed efficaci”.

Cosa pensava Bossi di Silvio Berlusconi.



Ecco che cosa diceva Bossi dei partiti politici e di Berlusconi.


Ma poi si è alleato con Berlusconi, ha accettato tutti i compromessi propostigli dai partiti, ha avallato leggi anticostituzionali, ha salvato delinquenti suoi pari dalla galera, ha permesso che i suoi figli, sua moglie, i suoi più stretti collaboratori, si appropriassero di soldi pubblici, lui stesso ha campato a sbafo senza aver mai lavorato.
Questo è Bossi, un mistificatore, un truffatore, imbroglione, ciarlatano, impostore.
Riuscì anche ad imbrogliare la moglie facendole credere di essere un medico quando medico non era.


Bossi è questo:
http://www.leggo.it/news/politica/bossi_e_la_casa_ereditata_a_milano_donata_da_una_militante_e_mai_dichiarata/notizie/175219.shtml


Bossi è anche questo:

Procedimenti giudiziari

Il 5 gennaio 1994, al processo ENIMONT[58], Umberto Bossi ha riconosciuto la colpevolezza dell'amministratore del movimento Alessandro Patelli[59] relativamente ad un finanziamento illecito ricevuto dallo stesso da parte di Carlo Sama[60] della Montedison. Dopo aver restituito integralmente la somma di 200.000.000 di lire, raccolta dagli stessi militanti leghisti, e dopo l'allontanamento dal partito di Patelli, Umberto Bossi è stato condannato con sentenza definitiva dalla Cassazione a 8 mesi di reclusione per violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti, condanna definitiva [61].
Umberto Bossi è stato in seguito condannato in contumacia, un anno e quattro mesi di reclusione, per il reato di vilipendio alla bandiera italiana per averla in più occasioni, il 26 luglio e il 14 settembre1997, pubblicamente offesa usando, nella prima occasione la frase Quando vedo il tricolore mi incazzo. Il tricolore lo uso per pulirmi il culo, nel secondo caso, rivolto ad una signora che esponeva il tricolore, Il tricolore lo metta al cesso, signora, nonché di aver chiosato Ho ordinato un camion di carta igienica tricolore personalmente, visto che è un magistrato che dice che non posso avere la carta igienica tricolore [62]. Il Tribunale di Como concede all'imputato Umberto Bossi, il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale [63]. . Il 15 giugno 2007 la Prima sezione penale della Cassazione, respingendo il ricorso presentato dalla difesa, lo ha condannato in via definitiva[64].
Per il secondo evento si è ricorso alla Camera, nel gennaio 2002, che non ha concesso l'autorizzazione a procedere nei confronti di Bossi, allora ministro delle Riforme per l'accusa di vilipendio alla bandiera, ma la Consulta ha annullato la delibera di insindacabilità parlamentare, nella sentenza 249 del 28 giugno 2006[65].
All'inizio del 2006 la pena prevista per il reato di opinione è stata modificata, dall'originaria detentiva, che prevedeva fino a tre anni di reclusione, ad una pecuniaria, multa fino al massimo di 5.000 euro. Bossi ha chiesto poi che anche la multa gli venisse tolta, in quanto europarlamentare, ma la Cassazione ha rigettato il ricorso confermando la condanna a pagare 3.000 euro di multa. (wikipedia)

Vita privata

Il 31 agosto 1975 Bossi si sposa con Gigliola Guidali, commessa di Gallarate, sua compagna da cinque anni. Bossi ha 34 anni e non ha, all'epoca, un lavoro fisso. È iscritto alla Facoltà di Medicina dell'Università di Pavia. Nel 1979 i coniugi Bossi hanno un figlio, Riccardo. La moglie dà al marito un ultimatum: un lavoro stabile è necessario per portare avanti la famiglia. Nel 1982, Gigliola Guidali chiede e ottiene la separazione. Più tardi, in un'intervista, raccontò di aver chiesto la separazione dopo aver scoperto che Umberto usciva tutte le mattine di casa con la valigetta del dottore, dicendole «ciao amore, vado in ospedale», senza essersi però mai laureato;[66][67] al marito mancano infatti sei esami.[68] Nel 1994 Bossi si è sposato in seconde nozze con Manuela Marrone, di origini siciliane[69], cofondatrice della Lega Lombarda, dalla quale ha avuto tre figli: Renzo (1988) detto, suo malgrado, Il Trota da quando suo padre lo definì così nel 2008 in risposta a chi gli chiedeva se fosse il suo delfino[70], Roberto Libertà (1990)[71] ed Eridano Sirio (1995)[72]. Dal primogenito ha avuto nel 2004, la sua prima nipote.
Numerose polemiche hanno, negli ultimi anni, interessato i familiari di Umberto Bossi. A partire dalla moglie Manuela Marrone titolare, come denunciato da Mario Giordano nel suo libro Sanguisughe, edito da Mondadori nel 2011 di una baby pensione dall'età di 39 anni, un fatto ricordato da Gianfranco Fini in televisione il 25 ottobre 2011[73]. Al fratello Franco Bossi che, pur se in possesso solo del diploma di licenza media inferiore,[74] ha lavorato dal 2004 al 2009 come assistente parlamentare dell'eurodeputato leghista Matteo Salvini[75] con la retribuzione di 12.750 euro al mese.
Da ultimo Renzo Bossi (1988) che a gennaio 2009 è stato nominato membro dell'Osservatorio sulla trasparenza e l'efficacia del sistema fieristico lombardo, organismo istituito su iniziativa della Lega.[76][77] La nomina solleva un ampio dibattito e aspre polemiche; Vittorio Zucconi su Repubblica definì la nomina nepotista.[78] La polemica più aspra è legata al suo stipendio di 12.000 euro mensili, notizia in seguito smentita dal presidente del consiglio regionale della Lombardia Davide Boni[79] e dal capogruppo della Lega Nord alla Camera Roberto Cota.[80]
Renzo Bossi, a 21 anni e sei mesi, con 12.893 voti, è il più giovane consigliere regionale mai eletto in Lombardia. Nelle elezioni regionali del 2010 infatti venne, infine, candidato nella provincia di Brescia ed eletto nelle liste della "Lega Lombarda - Lega Nord - Padania". Attualmente è componente sia della Commissione I Programmazione e Bilancio sia della Commissione II Affari Istituzionali[81]e percepisce un trattamento economico netto mensile tra 9.831 e 11.4970 euro.[82]
Il 2 aprile 2012, Roberto, terzogenito di Umberto Bossi, viene condannato dal giudice di pace a versare un risarcimento di 3800 euro in favore di un esponente di Rifondazione Comunista per un fatto risalente a marzo 2010; assieme ad un amico, aveva preso di mira il militante di sinistra dapprima con offese, ed infine lanciandogli contro un gavettone di candeggina.(wikipedia)

Ma la cosa più grave è che Bossi è stato ministro della Repubblica Italiana!




Orgoglio padano! - Rita Pani




Sarà pure la serata del vostro orgoglio, legaioli, ma è un orgoglio di merda. Così ha fatto maroni: ha preso in mano una palletta di merda e l’ha rimpastata, tentando di far uscire un fiore. Merda era e merda rimane, del vostro cerchio magico del vostro sognar da barbari e del vostro orgoglio.

Vi fa saltare ai ritmi da stadio e ancora promette, di meritocrazia, di soldi padani ai padani. Di largo ai giovani. E voi saltate così come corrono i criceti dentro la ruota. Perché vi hanno ammaestrato, perché vi sono bastate le aiuole fiorite, le camicie verdi, il fazzolettino nella tasca e la caccia ai negri che vi reggono in piedi, lavorando da schiavi, sfruttati di giorno e cacciati di notte.

Patetici, pagati per inneggiare a bossi, come se non fosse il padre del figlio scemo che ha, e che alla fine si è dimostrato assai più intelligente di tutti voi.

Se solo foste in grado di scendere dalla ruota di plastica dentro la gabbia che vi hanno costruito intorno, pensereste per un attimo a quel che ha detto ieri: “mio figlio da qualche mese mi diceva che in Regione non si trovava.” Voi legaioli che avete figli disoccupati, o sottopagati, sfruttati dai padroni padani in padania, avreste potuto provare anche voi, il benefico influsso dell’orgoglio vero. L’orgoglio che vi avrebbe dovuto spingere a cacciarli a calci nel culo. Come spesso vi hanno esortato a fare ai negri che sfruttate.

I vostri giovani, come tutti i giovani italiani, si impegna nello studio, si impegna a crescere, si impegna per tentare di avere un futuro, sapendo che non lo avrà, mentre un idiota, una testa di cazzo inutile, poteva anche “non trovarsi” col culo al caldo, a guadagnare una decina di migliaia di euro al mese, più i benefit della razzia dei soldi pubblici.

È proprio un orgoglio di merda, il vostro. Un orgoglio che vi hanno insegnato, ma ve lo hanno insegnato sbagliato. Roma ladrona, vi hanno insegnato, mentre rubavano anche 50 euro alla stregua di borseggiatori, scippatori, ladruncoli o criminali comuni. Qual è l’orgoglio che rivendicate oggi? Quello del vostro capo supremo, che proprio come craxi o il suo ultimo complice il tizio assai più delinquente di voi, grida al complotto, al giudice comunista, e alle classiche boiate che per anni ci hanno frantumato l’anima?

Vedo ora quell’essere amorfo del capo dei barbari sognanti con una scopa in mano, per fare pulizia. Mi viene da ridere, perché se è di questo che è fatto il vostro orgoglio, allora è assai peggio della merda. Le vostre urla, davanti ad una farsa patetica come chi la rappresenta sono un oltraggio verso il genere umano pensante.

Sì, se è questo il vostro orgoglio, allora vi auguro ancora tanta padania. Non vi è ancora bastato.

- Rita Pani - smile



https://www.facebook.com/notes/rita-pani/orgoglio-di-merda/10150681286204482

martedì 10 aprile 2012

Renzo Bossi lascia il consiglio regionale. Per lui una indennità da 40mila euro. Luigi Franco


Lo stabilisce la legge regionale numero 12 del 20 marzo 1995: “Ai consiglieri cessati in corso di legislatura, a quelli non rieletti, o che non si ripresentino candidati, nonché ai loro aventi causa in caso di decesso, spetta una indennità di fine mandato”.

Renzo Bossi
Renzo Bossi lascia il suo posto al Pirellone. Dimissioni ben pagate, a dire il vero: per due anni da consigliere lombardo si porta a casa una indennità da 40mila euro. Niente male per uno che, secondo suo papà Umberto, “da due mesi era stufo di stare in Regione”. Lui, il Trota, parla di una decisione che dà l’esempio e dice: “Sono stato costretto a dimostrare ogni giorno che le oltre 12mila preferenze prese sul territorio erano frutto del mio lavoro e non del nepotismo becero”.

Il suo lavoro da politico, però, si interrompe prima del previsto. Renzo ha deciso così, dopo lo scandalo dei soldi pubblici girati dall’ex tesoriere Francesco Belsito agli esponenti del Carroccio: tre anni prima del termine della legislatura, se ne va. Ma all’indennità di fine mandato ha diritto lo stesso. Lo stabilisce l’articolo 3 della legge regionale numero 12 del 20 marzo 1995: “Ai consiglieri cessati in corso di legislatura, a quelli non rieletti, o che non si ripresentino candidati, nonché ai loro aventi causa in caso di decesso, spetta una indennità di fine mandato nella misura dell’ultima indennità annuale di funzione lorda percepita per ogni legislatura; nel caso di frazione della medesima il conteggio è determinato proporzionalmente”. Tradotto: se fosse rimasto al Pirellone tutti e cinque gli anni, Bossi junior si sarebbe intascato una liquidazione da 102mila euro. Di anni sui banchi della Lega ne ha invece passati due: gli euro che gli spettano sono quindi poco più 40mila. E fa niente se si è dimesso in anticipo.

Qualcosa se ne andrà via con le tasse. Ma il Trota non si può certo lamentare, fare il consigliere gli ha fruttato bene: ci sono anche gli oltre 9mila euro guadagnati ogni mese, tra indennità di funzione, rimborsi e diarie, al netto delle ritenute fiscali e dei contributi per indennità di fine mandato e vitalizio. E poi c’è quella parte del finanziamento pubblico ai partiti che, secondo le inchieste giudiziarie, finiva in tasca sua, come i 130mila euro per la laurea in un’università di Londra. E poi le auto, un’Audi A6 e una Smart. Senza tralasciare quelle manciate di 50 euro che di volta in volta gli metteva in mano l’autista, perché potesse pagarsi la benzina e qualche altra piccola spesuccia.

A Franco Nicoli Cristiani, l’ex vice presidente del Consiglio regionale finito in carcere con l’accusa di aver preso tangenti, i 340mila euro di indennità di fine mandato sono stati congelati. Ma sui 40mila euro di Renzo Bossi non si può fare nulla. “Questi sono soldi già accantonati – spiega Alessandro Alfieri, consigliere regionale e vicesegretario lombardo del Pd – sta a lui prenderli o non prenderli. Certo, davanti alle intercettazioni allucinanti che sono uscite, se li rifiutasse, darebbe un segnale importante per recuperare un pizzico di credibilità”.

Secondo Chiara Cremonesi, capogruppo di Sel, “Renzo Bossi sta diventando il capro espiatorio di un Consiglio pieno di indagati. C’è anche l’indennità che Nicole Minetti continua a percepire. E a fine mandato lei si troverà una liquidazione ancora maggiore di quella di Bossi”.

Qualche mese fa era stata proposta in Aula l’abolizione dell’indennità di fine mandato e del vitalizio cui i consiglieri hanno diritto compiuti i 60 anni. Alla fine però, con l’approvazione della legge regionale numero 21 del 13 dicembre 2011, i tagli sono stati rinviati alla prossima legislatura: così si è salvata anche la buonuscita del Trota. “Questo è il peccato originale che il Consiglio avrebbe potuto cancellare – commenta Gabriele Sola, vice capogruppo dell’Idv – sarebbe bastato un po’ più di coraggio quando si è discusso della riduzione dei privilegi della Casta regionale”.

Sole24Ore, bilanci in rosso. Tagli per i lavoratori, bonus per il manager. Giovanna Lantini




Nonostante un buco di 8,4 milioni l'Ad ottiene un aumento del 20%. Contratto di solidarietà per i giornalisti. Pensionamenti anticipati e tagli in redazione. Gli ammortizzatori costeranno all'Inpgi 6 milioni.

Non importa che Il Sole 24 Ore sia in perdita e che i tagli siano all’ordine del giorno. Il bonus dell’amministratore delegato non si tocca. Nel 2011 Donatella Treu, che guida il gruppo editoriale della Confindustria, ha portato a casa 150. 479 euro di “bonus e altri incentivi”, oltre a 550 mila euro di stipendio. In totale 700. 479 euro.

CIFRA che rappresenta uno stipendio da francescano se paragonata a quella intascata da altri manager di Piazza Affari, anche dello stesso settore (l’amministratore delegato uscente della disastrata Rcs, Antonello Perricone, per esempio, l’anno scorso ha incassato 1 milione tondo tondo). Ma che è comunque in deciso aumento rispetto al 2010, quando la Treu aveva incassato poco più di 442 mila euro per 9 mesi e mezzo di lavoro: a parità di durata, la maggiorazione è del 18, 6 %. E non dovrebbe essere collegata ai profitti del gruppo editoriale, che ha chiuso il 2011 in rosso per 8, 4 milioni e una posizione finanziaria netta (le disponibilità liquide al netto di passività e attività finanziarie) dimezzata a 42, 1 milioni. Il bonus, quindi, dev’essere riferito all’andamento dei margini che sono passati dal rosso di 16, 4 milioni del 2010 a un dato positivo per 11, 6 milioni.

Miglioramento che la gestione Treu ha però ottenuto impugnando le forbici: lo scorso anno il Gruppo 24 Ore ha tagliato costi per 31, 1 milioni, in buona parte imputabili al personale (-17 milioni di euro e -127 dipendenti). Nel dettaglio, qualche mese prima dell’esplosione dell’ultima coda della crisi, ad aprile 2011, l’editrice di Confindustria ha ottenuto dal ministero del Lavoro il riconoscimento di un piano di riorganizzazione di 24 mesi, che ha portato al prepensionamento di 110 dipendenti tra grafici e poligrafici. A dicembre, invece, si sono concluse le uscite di 16 giornalisti previste per il secondo anno del biennio di crisi. Un metodo, quello dei tagli, che nella sostanza è già stato replicato per ovviare a un 2012 talmente in salita che all’inizio dell’anno l’azienda ha posticipato al 2014 il termine per il raggiungimento degli obiettivi del piano industriale al 2013, annunciando “un continuativo intervento sul fronte dei costi”.

Poco prima, tra fine 2011 e inizio 2012, il Sole ha inoltre ottenuto dalle rappresentanze sindacali delle testate del gruppo la firma di specifici accordi, “che permetteranno, attraverso il ricorso ai Contratti di Solidarietà e ad altri interventi gestionali, di ottenere, senza traumi sociali, un importante contenimento del costo del lavoro giornalistico oltre a consentire le azioni di rilancio e di sviluppo”. Una strategia sulla quale si è recentemente pronunciato perfino Franco Siddi, il segretario generale dell’Fnsi, il sindacato dei giornalisti, che potrebbe avere qualcosa da ridire sull’assenza di traumi sociali. “La fase è seria anche per la carta stampata, in molte aziende stanno emergendo le insufficienze a livello editoriale e manageriale, nascoste nel periodo d’oro della pubblicità e dei prodotti collaterali”, ha infatti dichiarato in una recente intervista al mensile di settore Prima Comunicazione, puntando il dito contro la corsa agli ammortizzatori sociali da parte delle aziende editoriali che sta iniziando a pesare sulle casse dell’Inpgi, l’istituto di previdenza della categoria.

BISOGNA ricorrere agli ammortizzatori solo quando non ci sono alternative, privilegiando le situazioni di crisi reale. I tagli, poi, stanno toccando giornalisti ancora lontani dalla pensione, per i quali possono scattare solo la cassa integrazione e i contratti di solidarietà – ha detto Siddi – Un ricorso massiccio a questi strumenti, totalmente a carico dell’Inpgi, rischia di determinare squilibri alle casse dell’istituto. Basti pensare che, tra costi diretti e indiretti, per la solidarietà concordata al Sole 24 Ore, dall’Inpgi usciranno 6 milioni di euro”.