Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
martedì 19 giugno 2012
Il grande furto del 5 per mille. - Mauro Munafò
Decine di milioni di euro della quota del gettito Irpef che i cittadini destinano alla ricerca e alle Onlus non sono state ripartite tra le associazioni. Che adesso protestano per i loro fondi, senza ricevere risposte dal Ministero dell'Economia.
Quest'anno il tuo cinque per mille lo hai destinato allo Stato italiano: che ti piaccia oppure no. La quota dell'Irpef che i cittadini possono donare ad associazioni senza scopo di lucro, alla ricerca o ai Comuni ha infatti subito una misteriosa decurtazione di circa 80 milioni di euro, poco meno di un quinto della torta complessiva. Di più, questa riduzione e le sue motivazioni non sono mai state comunicate in via ufficiale, ma l'ammanco si scopre solo spulciando gli elenchi dei beneficiari del 5 per mille del 2010, l'ultimo anno di cui sono state da poco ripartite le quote.
La scoperta della riduzione, portata alla luce da un articolo del Sole 24 Ore, ha mandato su tutte le furie le associazioni del Terzo settore, che in pochi giorni hanno organizzato una petizione ed una raccolta firme per chiedere spiegazioni al Governo. Spiegazioni che, nonostante il calibro dei nomi coinvolti e ad alcune settimane dall'inizio della protesta, non sono ancora arrivate.
"Ad oggi abbiamo ripetutamente contattato il Ministero delle Economia che ha affermato di avere sott'occhio la situazione ma di non avere invece risposte. La ragioneria dello Stato si è trincerata dietro un no comment", spiega Stefano Arduni, caporedattore del settimanale Vita che ha lanciato la petizione. "Sono fondi che il contribuente destina direttamente alle associazioni e lo Stato dovrebbe fare solo da tramite: è una beffa per tutti i cittadini".
Controllando i documenti ufficiali, diffusi dall'Agenzia delle Entrate, si scopre che i conti proprio non tornano. Nel 2010 i fondi distribuiti sono passati a circa 375 milioni di euro complessivi, un calo netto dai 412 milioni del 2009 e dai 397 milioni del 2008. Colpa della crisi che ha fatto crollare le entrate? Niente affatto. Il gettito Irpef del 2010 è stato di poco superiore a quello del 2009 e quindi il calo di circa 50 milioni non trova giustificazioni fiscali e si scontra anzi con un aumento costante delle firme nel 5 per mille, passate dalle 14,6 milioni del 2008 alle 15,8 milioni del 2010.
Si arriva così al paradosso che se una onlus ha conquistato più firme rispetto all'anno passato ottiene comunque meno fondi. L'Associazione per la ricerca contro il cancro ad esempio ha ottenuto nel 2009 quasi 38 milioni di euro grazie a circa 874mila firme. Nel 2010, nonostante 926mila firme, i fondi incassati sono scesi a poco più di 33 milioni di euro. Discorso simile per il Wwf, che nel 2009 ha raccolto oltre un milione e centomila euro grazie a 34mila firme e nel 2010 ha portato le firme a 36mila e si è vista ridurre le donazioni a poco più di un milione di euro.
"Se queste riduzioni pesano per le associazioni e le istituzioni più grandi, minano ancora più seriamente il lavoro di quelle piccole e locali", continua Arduini, "Pensate a una onlus che si occupa del trasporto dei disabili in una città di provincia: una riduzione del 20% dei fondi significa dover lasciare a terra un quinto degli assistiti".
La raccolte firme promossa da Vita, e a cui hanno aderito Emergency, Save the Children, il Wwf, Medici senza Frontiere e oltre 2.500 tra cittadini ed associazioni, ha scaturito anche due iniziative parlamentari. Il deputato del Pd Andrea Sarubbi ha presentato un'interrogazione alla Commissione affari sociali alla Camera, mentre la collega del gruppo Misto Chiara Moroni ha presentato un'interrogazione al Ministro dell'Economia. Entrambe le richieste non hanno ad oggi ottenuto alcuna risposta.
Il 2012 si conferma così un anno nero per i rapporti tra Terzo settore e Stato italiano. Oltre al giallo del 5 per mille infatti, le decisioni del Governo Berlusconi e di quello Monti avevano già azzerato i fondi dell'otto per mille statale da destinare a progetti delle onlus. I centocinquanta milioni raccolti dallo Stato con l'otto per mille e che, per legge, dovrebbero finanziare interventi umanitari e culturali, sono finiti in edilizia carceraria e aerei della protezione civile. Magra consolazione, ma almeno quelli si sa dove sono finiti.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/il-grande-furto-del-5-per-mille/2184473
Capo Gallo Mondello.
DENOMINAZIONE: R.N.O. CAPO GALLO
REGIONE: SICILIA
PROVINCIA: PALERMO
COMUNE: PALERMO
ESTENZIONE: AREA RISERVA Ha 585,83
AREA RISERVA ZONA A - Ha 484,37
AREA PRERISERVA ZONA B - Ha 101,46
RIFERIMENTI GEOGRAFICI: Tav. I.G.M.I. n. 249 III N.O.
ISTITUZIONE: D.A. n. 438 del 21.06.01
La Riserva
Monte Gallo è un promontorio di natura carsica che si erge a nord ovest di Palermo tra le borgate marinare di Mondello e Sferracavallo. La montagna è visibile in lontananza tra le ali dei palazzi, sormontata in cima da una bianca costruzione (chiaramente visibile a ciel sereno) di forma torreggiante, il cosiddetto Semaforo.
Ai Palermitani, "Capo Gallo" evoca la natura marina, ma pochi sono a conoscenza che il massiccio montuoso che si eleva dal mare limpido tra Mondello e Barcarello - Sferracavallo costituisce, per le sue caratteristiche naturalistiche e paesaggistiche, un habitat naturale singolare.
La Geologia
La riserva è ricca di grotte, alcune delle quali hanno restituito preziosissimi reperti archeologici e paleontologici: Grotta della Regina, Grotta dei Caprari, Grotta Perciata, Grotta dell'Olio e alcune fessure, come la Grotta del Malpasso e il Pozzetto di Pizzo Sella, interessanti dal punto di vista speleologico.
La Vegetazione
La flora della riserva è varia, le scogliere ospitano alcune piante esclusive di Capo Gallo, lo Sparviere Siciliano, Camomilla di Capo Gallo oltre al Limonio di Palermo, la sommità è ricca di diverse specie vegetali: Lentisco Sommacco Siciliano, Asparago spinoso, Leccio, il versante meridionale, un tempo sede di Carrubeti ed Oliveti oggi ospita una vegetazione costituita prevalentemente da Ampelodesma, Penniseto allungato, Spennella smarginata, Ginestra di Gasparrini, oltre ai rimboschimenti di Pini, sono presenti alcune orchidee selvatiche come l'Ofride verde bruna palermitana, l'Orchidea di Branciforti.
Gli Animali
http://www.palermoweb.com/cittadelsole/vtour/riserve/capogallo.htmDel grifone ormai scomparso, resta solo il toponimo del Pizzo "Vuturo" (avvoltoio), oggi è possibile osservare il Falco Pellegrino, la Poiana, il Gheppio, l'Allocco, il Pettirosso e il Luì oltre ai numerosi Gabbiani reali. Tra i mammiferi, si può osservare la Volpe e il Coniglio selvatico, tra i rettili oltre la Lucertola campestre sono noti il Ramarro e il Gongilo ocellato.
Cambiare mentalità per cambiare il Paese. - Fabio Nacchio
Il Welfare? Una fastidiosa forma di assistenzialismo pubblico; I diritti civili, la sessualità, la diversità? Materia per qualche aristocratico prestato alla politica (e magari pure gay); L’ambiente? Roba per quei fanatici ecologisti… E’ così che, più o meno, ragiona l’italiano medio, compreso il politico. C’è un egoismo, un disprezzo per il bene comune, una perdità di valori così forte ed evidente che la politica ha il dovere di colmare. Come? Non solo a colpi di legge, ma anche e soprattutto favorendo una diffusione di valori positivi, valori comuni, valori moderni e di una cultura europea che chi governa in questo Paese conosce solo e soltanto per i sacrifici imposti dalla BCE e dal cieco governo della Merkel.
Prendete il reddito minimo garantito: l’UE ci chiede di introdurlo nel nostro sistema di welfare dal 1991. Eppure nessun governo, fino ad adesso, ha provveduto ad introdurlo. Perchè? Perchè i governi che si sono succeduti vedono in quello che sarebbe uno strumento utile a ridurre il disagio sociale, una misura di “assistenzialismo statale” che indurrebbe i giovani a non cercarsi più un lavoro per campare sulle spalle dello Stato. Una concezione del welfare, dunque, che nulla ha a che vedere con l’Europa, dove una misura del genere esiste ovunque ed è collegata a misure per l’occupazione che servono a limitare l’uso di certi strumenti. Vedete? Anche qui c’è una mentalità perversa: si dà per scontato che i giovani italiani non abbiano voglia di lavorare, per farsi mantenere ora da mammà e papà, e ora dallo Stato. Non c’è fiducia, non c’è rispetto da parte dei giovernanti per coloro che vivono situazioni fortemente disagiate.
Parliamo sempre di disagio quando parliamo di “diversità”, “sessualità” e diritti civili. Tre temi collegati tra di loro. In questo Paese abbiamo questi tre grossi problemi: la sessualità, il sesso è ancora un tabù. I rapporti sessuali, benchè naturali e diffusi in ogni ordine e grado della società italiana, sono visti come un argomento di cui non parlare, un argomento da nascondere, disinnescare per vergogna, ignoranza, paura ingiustificata. Perchè non c’è niente di più naturale della sessualità e dei rapporti sessuali vissuti in libertà e consapevolezza. Ecco che, quindi, questi due temi si scontrano con la necessità di regolarizzare forme di convivenza familiare. Guai a parlare di convivenze di fatto. Ancora più guai se si parla di matrimonio gay e adozioni per le coppie omosessuali. C’è una ignoranza spaventosa su questi temi. E se è vero che leggi contro l’omofobia, leggi per regolarizzare le convivenze, leggi per i matrimoni e le adozioni gay sono sempre più necessarie, è anche vero che non possiamo procedere solo sul lato legislativo, dimenticando quello culturale. Perchè procedendo a colpi di legge, progrediremmo sicuramente a livello democratico, ma non a livello culturale, non progrediremmo culturalmente, come Paese, avvicinandoci all’Europa.
E cosa dire dei beni comuni, partendo dall’ambiente? Vivo nel modenese e il terremoto nella bassa pianura ha sconvolto le nostre vite. Ora si sta ripartendo (o almeno, cerchiamo di farlo) ma la gente, dopo le continue scosse, è disorientata. Non capisce il perchè. E ad ogni parola di qualche geologo che avverte della possibilità di nuove scosse, c’è panico. Sia tra la popolazione che tra gli amministratori che cercano di mantenere la calma. Ma non si può vivere così. Dobbiamo renderci conto che non viviamo su una tavola piatta dove nulla può succedere. Viviamo su un pianeta geologicamente giovanissimo, che è in cerca di una stabilità che non troverà mai. Ed ecco che, quando al suo interno (pochi km sotto terra) avvengono forti contrasti, in superficie spesso assistiamo a terremoti, eruzioni vulacaniche, liquefazione dei terreni. Benchè certi eventi portino distruzione, sono del tutto naturali. Ecco allora che dobbiamo attrezzarci per convivere in pace con il nostro meraviglioso pianeta che ci ospita. Partendo dalla messa in sicurezza degli edifici, dei terreni instabili e promuovendo una battaglia culturale contro gli abusivismi di ogni genere, che tanto hanno deturpato e deturpano i nostri territori. Insomma, bisogna rendersi conto che l’ambiente va salvaguardato non perchè così avremmo vinto una battaglia ideologica, ma perchè di mezzo c’è la nostra vita e quella di coloro che verranno dopo di noi.
Serve, quindi, per finire, assieme ad una necessaria coalizione politica, una idea di società che miri a smuovere le coscienze di questo Paese. Perchè questo Paese cambia se cambia la mentalità e la cultura di chi ci vive.
lunedì 18 giugno 2012
Processo Mediaset, pm chiede 3 anni e 8 mesi per Berlusconi. -
“Ci sono le impronte digitali di Silvio Berlusconi sui soldi dei fondi neri”. Il pubblico ministero Fabio De Pasquale ha chiesto che Silvio Berlusconi venga condannato a 3 anni e 8 mesi per frode fiscale. La richiesta come di rito è avvenuta al termine della requisitoria del processo Mediaset che si sta svolgendo a Milano, sulle presunte irregolarità nella compravendita dei diritti televisivi da parte del gruppo del Biscione. Oltre all’ex premier ci sono 10 imputati, fra cui Fedele Confalonieri. Tutti sono accusati di frode fiscale, mentre per i cittadini di Hong Kong c’è un’altra accusa: il riciclaggio. Per Confalonieri, presidente del gruppo, l’accusa ha chiesto una condanna a 3 anni e 4 mesi di reclusione.
Le impronte digitali, alle quali il pm fa riferimento sono conti bancari svizzeri dove sono stati versati i fondi neri che, “sono riconducibili a Silvio Berlusconi“. Il rappresentante della pubblica accusa ha molto insistito sulla circostanza che Berlusconi è stato “l’apice della catena di comando dei diritti fin dal 1998″ e che questo ruolo è stato da lui mantenuto anche dopo la discesa in campo nella politica. Confutando la tesi difensiva secondo la quale Berlusconi avrebbe lasciato il comando delle sue società dopo aver assunto l’impegno politico, De Pasquale ha detto che questa argomentazione “fa a pugni con quello che leggiamo sui giornali ogni giorno”. Per il presunto “socio occulto di Berlusconi, l’imprenditore di origine egiziana Frank Agrama, sono stati chiesti tre anni e otto mesi di carcere. Stando alla ricostruzione della procura, le società della galassia Fininvest e poi Mediaset avrebbero acquistato a prezzi gonfiati i diritti dei programmi televisivi dalle major americane e poi, tramite il mediatore Agrama, il sovrappiù sarebbe stato accantonato in fondi neri messi a disposizione di Silvio Berlusconi e sottratti al fisco italiano.
In quattro anni tra il 1994 e il 1998, questa la tesi dell’accusa, attraverso “catene di vendite fittizie” sarebbero stati gonfiati i costi dei diritti televisivi per un totale di circa 368 milioni di dollari. Per quanto riguarda gli anni compresi tra il 2001 e il 2003 invece i bilanci della società televisiva sarebbero stati gonfiati di 40 milioni di euro, grazie all’aggiunta di costi fittizi. De Pasquale durante la requisitoria ha fatto riferimento alle consulenze della società di revisione Kpmg che, a suo dire, “sono già metà della sentenza”. Infatti il pm, grazie a questa consulenza ha ricostruito, “l’artificiosità dell’organizzazione delle vendite fittizie per gonfiare i costi”, dei diritti televisivi acquistati da Mediaset per creare, secondo l’accusa, fondi neri. Il magistrato ha spiegato inoltre che nell’ambito delle indagini è emerso che su conti bancari svizzeri “girava la cresta”, ossia i fondi neri dei costi gonfiati, “attraverso transazioni illegali”. Le presunte irregolarità, secondo il pm, avrebbero riguardato “circa 3mila titoli di film che hanno dato origine a 12 mila passaggi contrattuali, ogni titolo dunque aveva 4 passaggi commerciali”.
Il pm ha descritto il meccanismo dei costi gonfiati come “un inferno di spezzettamenti” delle transazioni tra società, puntando il dito soprattutto sul “rapporto ambiguo” tra Mediaset e Paramount. Nella parte iniziale, inoltre, il magistrato ha parlato dell’ormai noto “gruppo B Fininvest’’, ossia “di tutte quelle società di carta” di cui era proprietario, secondo l’accusa, Silvio Berlusconi. Alcune di queste società, soprattutto quelle maltesi, secondo il pm, avrebbero avuto un ruolo fondamentale nel meccanismo di maggiorazione dei costi dei diritti tv. Queste società nascoste di Fininvest, secondo il Pm, “è stato dimostrato che erano di Berlusconi come persona fisica”. Il Pm ha anche fatto riferimento a due società Century Onee Universal One, al centro secondo l’accusa della compravendita dei diritti tv, che “erano formalmente di proprietà dei figli di Berlusconi, di Marina e Pier Silvio”.
De Pasquale ha chiesto inoltre condanne pluriennali per tutti gli imputati. La pena più alta per il banchiere e fondatore della Arner Bank Paolo Del Bue, accusato di riciclaggio (sei anni più 30mila euro di multa); 3 anni per Marco Colombo (frode); 3 anni e 30mila euro per Manuela De Socio (riciclaggio); 2 anni e mezzo per Gabriella Galetto (frode); 5 anni e 30mila euro per Erminio Giraudo (riciclaggio); 3 anni e 8 mesi per Daniele Lorenzano (frode); 4 anni e 30mila euro perCarlo Scribani Rossi (riciclaggio).
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Quella intrapresa in Emilia è una china pericolosa. Il 6 giugno scorso è stato varato il Decreto-legge n.74(GU n. 131 del 7-6-2012), da convertire in legge entro 60 giorni: gli emiliani farebbero bene ad alzare le antenne e prestare da subito molta attenzione a ciò che sta accadendo nel dopoterremoto.
Il decreto 74 prevede, all’art. 17, la “trasfigurazione” delle macerie da rifiuti speciali in rifiuti urbani. Ma cosa ancora peggiore è che il comma 7 prevede che il trasporto venga effettuato direttamente dalle aziende che gestiscono il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, o anche indirettamente a mezzo di imprese di trasporto anche “non iscritte all’albo” e senza la “tracciabilità dei rifiuti“. Ad essere eliminati, in sostanza, sono anche il FIR e il Registro di carico dei rifiuti.
Proviamo a chiarire meglio di cosa si tratta e quali effetti devastanti può produrre sul territorio.
Intanto, è da notare che il decreto 74 punta a cancellare la tracciabilità non tanto delle macerie giacenti sulle vie e gli spazi pubblici, ma soprattutto di quelle giacenti nei luoghi privati e dei rifiuti derivanti da demolizioni. Le macerie giacenti sulle pubbliche vie, infatti, anche senza l’emanazione di questo decreto erano già equiparate ai rifiuti urbani. Infatti l’art. 184, comma 2, lett. d, del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. (il Testo Unico Ambientale) definisce come rifiuti urbani “i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua“.
Diverso è invece il discorso per le macerie che si trovano all’inerno di aree private, tipo i capannoni crollati. Ancor più se parliamo di rifiuti da demolizione di edifici privati, o di capannoni privati. Infatti, tutti i rifiuti dall’attività di demolizione sono sempre considerati “rifiuti speciali“, come specificato nel Testo unico ambientale.
Il decreto 74 prevede, all’art. 17, la “trasfigurazione” delle macerie da rifiuti speciali in rifiuti urbani. Ma cosa ancora peggiore è che il comma 7 prevede che il trasporto venga effettuato direttamente dalle aziende che gestiscono il servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, o anche indirettamente a mezzo di imprese di trasporto anche “non iscritte all’albo” e senza la “tracciabilità dei rifiuti“. Ad essere eliminati, in sostanza, sono anche il FIR e il Registro di carico dei rifiuti.
Proviamo a chiarire meglio di cosa si tratta e quali effetti devastanti può produrre sul territorio.
Intanto, è da notare che il decreto 74 punta a cancellare la tracciabilità non tanto delle macerie giacenti sulle vie e gli spazi pubblici, ma soprattutto di quelle giacenti nei luoghi privati e dei rifiuti derivanti da demolizioni. Le macerie giacenti sulle pubbliche vie, infatti, anche senza l’emanazione di questo decreto erano già equiparate ai rifiuti urbani. Infatti l’art. 184, comma 2, lett. d, del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. (il Testo Unico Ambientale) definisce come rifiuti urbani “i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua“.
Diverso è invece il discorso per le macerie che si trovano all’inerno di aree private, tipo i capannoni crollati. Ancor più se parliamo di rifiuti da demolizione di edifici privati, o di capannoni privati. Infatti, tutti i rifiuti dall’attività di demolizione sono sempre considerati “rifiuti speciali“, come specificato nel Testo unico ambientale.
E’ evidente, quindi, che l’estensore del comma 1, nel prevedere la trasfigurazione delle macerie in “rifiuti urbani“, è proprio a quelli su aree private che rivolge la maggiore attenzione. Infatti, sempre l’art. 17, al comma 1 fa riferimento, oltre ai “materiali derivanti dal crollo parziale o totale degli edifici pubblici e privati causati dagli eventi sismici del 20 maggio 2012 e dei giorni seguenti“, cita pure “quelli derivanti dalle attività di demolizione e abbattimento degli edifici pericolanti“.
Occorre prestare molta attenzione alla sintassi usata dal legislatore, quando scrive: “…quelli derivanti dalle attività di demolizione e abbattimento degli edifici pericolanti, disposti dai Comuni interessati dagli eventi sismici…“. Se il “disposti dai Comuni interessati …” lo si intende riferito sia alle attività di demolizione che alle attività di abbattimento, allora vorrà dire che, comunque, il particolare regime disposto per questi rifiuti (che da speciali vengono trasfigurati in urbani) è subordinato ad un provvedimento amministrativo (che dispone la demolizione o l’abbattimento) senza il quale la detta trasfigurazione non sarà possibile. Se, invece lo si intenda riferito alle sole attività di abbattimento - il che sarebbe più logico, perché la demolizione, di solito, è un’attività edilizia che avviene su input del privato, mentre l’abbattimento, è la stessa identica attività, ma disposta da un’autorità pubblica - allora ne consegue che tutte le attività di demolizione disposte dai privati non sarebbero soggette ad un filtro amministrativo di autorizzazione/disposizione, per cui, la deregulation sarebbe totale.
Come già si è avuto modo di vedere nel precedente sisma di L’Aquila, la trasfigurazione da “rifiuti speciali” a “rifiuti urbani” sottende la volontà di eliminare limiti, vincoli e soprattutto la tracciabilità e i controlli sui flussi dei rifiuti.
Nel caso del sisma in Emilia, questa volontà si è spinta anche oltre. Infatti, leggendo il comma 7 dell’art. 17, ci si accorge che, come a L’Aquila, viene espressamente abolita la tracciabilità, poiché è prevista la deroga alla norma che impone i FIR (art. 193 del D.Lgs. 152/2006) e al registro di carico e scarico (art. 190 del D.Lgs. 152/2006). Ma viene introdotta una ulteriore innovazione peggiorativa: viene addirittura prevista la deroga all’obbligo di iscrizione all’albo gestori ambientali (art. 212 D.Lgs. 152/2006). In particolare è previsto che il trasporto delle macerie (giacenti in pubbliche vie ed in aree private) - e dei rifiuti da demolizione e abbattimento di edifici (pubblici e privati) - possa avvenire ad opera di soggetti che svolgono (già) il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani. E possono farlo direttamente, ma anche indirettamente. Cioè “attraverso imprese di trasporto da essi incaricati previa comunicazione della targa del trasportatore ai gestori degli impianti individuati al punto 4 e pubblicazione all’albo pretorio dell’elenco delle targhe dei trasportatori individuati.”
Per finire, il penultimo periodo del comma 7, contiene una norma che espressamente prevede che “Le predette attività di trasporto, sono effettuate senza lo svolgimento di analisi preventive“. Quindi i rifiuti da demolizione - soprattutto se provenienti dalla demolizione o abbattimento di un capannone industriale (a meno che non contengano amianto) - non sono soggetti ad analisi chimiche. Significa che tali rifiuti, anche se dovessero contenere sostanze particolarmente inquinanti e/o pericolose, vengono caricati e trasportati come se fossero innocue pietre triturate.
Occorre prestare molta attenzione alla sintassi usata dal legislatore, quando scrive: “…quelli derivanti dalle attività di demolizione e abbattimento degli edifici pericolanti, disposti dai Comuni interessati dagli eventi sismici…“. Se il “disposti dai Comuni interessati …” lo si intende riferito sia alle attività di demolizione che alle attività di abbattimento, allora vorrà dire che, comunque, il particolare regime disposto per questi rifiuti (che da speciali vengono trasfigurati in urbani) è subordinato ad un provvedimento amministrativo (che dispone la demolizione o l’abbattimento) senza il quale la detta trasfigurazione non sarà possibile. Se, invece lo si intenda riferito alle sole attività di abbattimento - il che sarebbe più logico, perché la demolizione, di solito, è un’attività edilizia che avviene su input del privato, mentre l’abbattimento, è la stessa identica attività, ma disposta da un’autorità pubblica - allora ne consegue che tutte le attività di demolizione disposte dai privati non sarebbero soggette ad un filtro amministrativo di autorizzazione/disposizione, per cui, la deregulation sarebbe totale.
Come già si è avuto modo di vedere nel precedente sisma di L’Aquila, la trasfigurazione da “rifiuti speciali” a “rifiuti urbani” sottende la volontà di eliminare limiti, vincoli e soprattutto la tracciabilità e i controlli sui flussi dei rifiuti.
Nel caso del sisma in Emilia, questa volontà si è spinta anche oltre. Infatti, leggendo il comma 7 dell’art. 17, ci si accorge che, come a L’Aquila, viene espressamente abolita la tracciabilità, poiché è prevista la deroga alla norma che impone i FIR (art. 193 del D.Lgs. 152/2006) e al registro di carico e scarico (art. 190 del D.Lgs. 152/2006). Ma viene introdotta una ulteriore innovazione peggiorativa: viene addirittura prevista la deroga all’obbligo di iscrizione all’albo gestori ambientali (art. 212 D.Lgs. 152/2006). In particolare è previsto che il trasporto delle macerie (giacenti in pubbliche vie ed in aree private) - e dei rifiuti da demolizione e abbattimento di edifici (pubblici e privati) - possa avvenire ad opera di soggetti che svolgono (già) il servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani. E possono farlo direttamente, ma anche indirettamente. Cioè “attraverso imprese di trasporto da essi incaricati previa comunicazione della targa del trasportatore ai gestori degli impianti individuati al punto 4 e pubblicazione all’albo pretorio dell’elenco delle targhe dei trasportatori individuati.”
Per finire, il penultimo periodo del comma 7, contiene una norma che espressamente prevede che “Le predette attività di trasporto, sono effettuate senza lo svolgimento di analisi preventive“. Quindi i rifiuti da demolizione - soprattutto se provenienti dalla demolizione o abbattimento di un capannone industriale (a meno che non contengano amianto) - non sono soggetti ad analisi chimiche. Significa che tali rifiuti, anche se dovessero contenere sostanze particolarmente inquinanti e/o pericolose, vengono caricati e trasportati come se fossero innocue pietre triturate.
Uomini che non devono chiedere mai. - Marco Travaglio
Da quando abbiamo pubblicato un lungo colloquio con Grillo, riceviamo lezioni di giornalismo dai migliori servi del regime, tutta gente che non ha mai fatto una domanda in vita sua o, se gliene scappava una, correva a chiedere il permesso a Berlusconi o a Bisignani. Alcuni ci spiegano che le domande erano sbagliate, senza peraltro suggerirci quelle giuste; altri addirittura confondono l’intervista a Grillo con l’iscrizione del Fatto al movimento 5 Stelle.
Come dire che, se un giornale intervista B. (non vediamo l’ora di farlo), diventa l’house organ di B. Premesso che siamo orgogliosi di quel colloquio e dell’invidia che ha suscitato in chi vorrebbe ma non può, è ovvio che la cattiveria di un’intervista è direttamente proporzionale alla negatività del personaggio intervistato. Se e quando Grillo sarà coinvolto in qualche scandalo o vicenda tangentizia o mafiosa, ne daremo e gliene chiederemo conto con più cattiveria di quella che riserveremmo ai politici di professione. Al momento, purtroppo per i servi, non risultano né scandali né vicende tangentizie o mafiose a carico di Grillo. Il bello è che la grande e la piccola stampa che dà lezioni a noi si segnala in questi giorni per l’olimpica distrazione su una notiziola da niente: le telefonate di Mancino, appena interrogato a Palermo sulla trattativa Stato-mafia, al consigliere giuridico di Napolitano e il prodigarsi del consigliere e di Napolitano presso il Pg della Cassazione per soddisfare le lagnanze di Mancino, subito dopo indagato per falsa testimonianza. La notizia l’han data due giorni fa Repubblica e il Corriere (entrambi a pagina 22: dev’essere quella riservata agli scandali di Stato). Così, quando abbiamo chiamato il consigliere Loris D’Ambrosio per chiedere lumi, lo immaginavamo assediato dalle telefonate di tutti i giornali, i tg e le agenzie. Invece il D’Ambrosio si è molto stupito per le nostre domande, visto che eravamo gli unici a porgliele. Ieri infatti siamo usciti in beata solitudine con la sua incredibile intervista, in cui non solo ammetteva le ripetute lagnanze dell’ormai indagato Mancino, ma si trincerava dietro l’“immunità presidenziale” su ciò che disse e fece in seguito Napolitano. Nessun giornale, men che meno quelli che avevano dato la notizia, ha pensato di disturbare il Quirinale per saperne di più. La parola “Quirinale”, o “Colle”, viene infatti pronunciata, anzi sussurrata a mezza voce nelle migliori redazioni con sacro timore, anzi tremore riverenziale: un po’ come il nome della divinità che, in alcune religioni, è impronunciabile perché ineffabile. In più il Quirinale, il Colle, è anche infallibile: ogni monito è un dogma, ogni sospiro un soffio di Spirito Santo. Se Ipse dixit, o fecit, avrà avuto le sue buone ragioni e non sta ai giornalisti sindacare. Poi arrivano quei rompiscatole del Fatto, D’Ambrosio risponde e ieri il Quirinale, il Colle è costretto a sputare il rospo: Napolitano trasmise le lagnanze di Mancino, ex ministro, ex onorevole, ex presidente del Senato, ex vicepresidente del Csm, da due anni privato cittadino, al Pg della Cassazione, titolare dell’azione disciplinare contro i magistrati, per raccomandare – senz’averne alcun titolo, né Napolitano, né il Pg – un fantomatico “coordinamento” fra le indagini di Palermo sulla trattativa e quelle di Caltanissetta su via D’Amelio (fatti diversi, su cui nessuna delle due procure ha mai sollevato conflitti di competenza). Dunque d’ora in poi ogni privato cittadino interrogato in procura che voglia lamentarsi del suo pm potrà comporre l’apposito numero verde del servizio “Sos Colle”, una sorta di ufficio reclami per sedicenti vittime della giustizia. Gli risponderà il consigliere D’Ambrosio in persona, che investirà del caso il Presidente, che attiverà ipso facto il Pg della Cassazione perché metta in riga il pm incriminato. Pare che potranno chiamare anche i giornalisti che danno lezioni al Fatto, sempreché sappiano cos’è una domanda.
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