Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
lunedì 9 luglio 2012
Le aziende che ci spiano in Rete. di Giovanna Locatelli
Agenzie private di 'cybersorveglianza'. Anche italiane. Spesso al servizio delle peggiori dittature. Capaci di entrare nei nostri computer e nelle nostre mail. Ecco quali sono. E come lavorano.
Un business in continua crescita. Aziende occidentali che vendono - in piena legalità - i loro prodotti di sorveglianza elettronica ai migliori offerenti: compresi però regimi dittatoriali e sanguinari. Un mercato ambiguo e non regolato, nato con lo scopo di combattere il terrorismo, in cui forti interessi economici e violazione di diritti umani si mescolano inesorabilmente. Le società italiane non fanno eccezione.
Dicembre 2008: il debito maturato dallo Stato italiano nei confronti di tre società che lavorano nel settore delle intercettazioni arriva a 140 milioni di euro. Si tratta di Research Control Systems, Area Spa e Sio Spa. Ditte lombarde che gestiscono nella Penisola oltre il 70 per cento del mercato delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Il debitore, lo Stato, era anche il loro unico cliente.
E' allora che Area spa si guarda intorno e si affaccia al mercato estero, cercando nuovi contratti di lavoro. Nel 2009 vince una gara d'appalto internazionale con la Siria, indetta dal gestore telefonico statale - e principale operatore - Syrian Telecommunication Establishment. Il contratto stipulato riguarda le intercettazioni delle e-mail e del traffico su Internet nel Paese mediorientale. L'accordo vale 13 milioni di euro circa. Per il progetto, altamente invasivo e complesso, si utilizzano hardware e software provenienti da altre tre società occidentali: la californiana Net App Inc., la francese Qosmos SA, e la tedesca Utimaco Safeware. Ognuna delle quali leader, a livello internazionale, nel settore della sorveglianza elettronica.
Nel 2010 gli ingegneri informatici italiani sono al lavoro per la Siria e nel febbraio 2011 arrivano a Damasco gli equipaggiamenti elettronici. Il mese dopo inizia la rivoluzione siriana e il 30 marzo ingegneri e tecnici della società tricolore si trovano a Damasco per far funzionare il sofisticato macchinario.
Qualcosa però va storto. L'inchiesta giornalistica dell'agenzia americana "Bloomberg" scoperchia gli accordi e rivela tutti i dettagli e i retroscena relativi al progetto. Compresa la presenza degli ingegneri italiani a Damasco durante la repressione di Bashar Al Assad contro i civili. A questo punto le compagnie Qosmos ed Ultimaco fanno un passo indietro, dichiarano di abbandonare il progetto. Nell'ottobre 2011 anche il rapporto tra Area spa e la Siria salta. Dice l'amministratore delegato di Area, Andrea Formenti: "La società è risultata aggiudicatrice di una gara internazionale aperta alle principali aziende del settore in ambito mondiale. Non sono state violate le leggi nazionali ed internazionali. Il contratto seguito all'aggiudicazione è stato formalmente depositato presso le nostre autorità competenti, e la società nell'esecuzione dello stesso ha rispettato le norme vigenti in materia di esportazione". Quando arriva il dietrofront, comunque, alcuni strumenti di sorveglianza si trovano già a Damasco e sono stati parzialmente pagati: "Allo stato attuale il sistema fornito non è completo, non è (e non è mai stato) operativo, e pertanto non può avere in nessun modo contribuito a nessun tipo di azione repressiva", dicono ad Area spa. Poco dopo, l'Unione europea approva misure restrittive per l'esportazione di software di monitoraggio telefonico e on line in Siria.
Area non è l'unica società italiana ad aver collaborato con i paesi "caldi"del vicino Oriente. La società con sede a Milano Hacking Team era attiva anch'essa in Medio Oriente e Africa durante le rivoluzioni della "primavera araba" e vede in quella Regione un'importante fetta del suo mercato, come emerge dal bilancio dell'azienda chiuso il 31 dicembre 2010. Nel documento si legge: "Dopo la chiusura dell'esercizio sono avvenuti i seguenti elementi rilevanti: è stato completato l'inserimento di un commerciale dedicato per l'area MiddleEast e Africa nel mese di gennaio (2011) e al contempo sono state avviate le attività di ricerca di due sviluppatori e un addetto pre-sales entro il 2011". Questo non significa necessariamente che siano stati intrecciati rapporti con qualche dittatura: ma, se fosse, non è dato saperlo.
Hacking Team produce un Cavallo di Troia molto invasivo, unico nel suo genere nel panorama mondiale, chiamato Remote Control System (Rcs), letteralmente sistema di controllo remoto della Rete. Rcs può controllare tutto il computer di un utente: attivare la telecamera, scattare foto, leggere le e-mail, inviarne di nuove, registrare conversazioni via Skype, visualizzarne la cronologia eccetera: e tutto senza che il legittimo proprietario se ne accorga. Nel bilancio emerge che a partire dal 2011, il Remote Control System è ancora più potente ed è pronto per essere venduto: "Nel corso del 2010 la società si è confermata come player internazionale nello sviluppo e nella commercializzazione di strumenti di monitoraggio a distanza di "devices targets" (computer, mobile devices etc)... La società ha mantenuto costanti i risultati di vendite del prodotto Remote Control System, registrando notevoli risultati in termini di ulteriore sviluppo e completamento dell'offerta dello stesso - risultati che daranno i frutti già a partire dai primi mesi del 2011". David Vincenzetti, l'amministratore delegato della compagnia, ha dichiarato che il suo prodotto è stato regolarmente venduto a 30 clienti in 20 paesi. Quali? Non si sa, sono "informazioni riservate".
La commercializzazione di questi potenti strumenti di sorveglianza elettronica è un rischio concreto per tanti cittadini che oggi si trovano a lottare sia contro i tiranni sia contro i loro alleati informatici occidentali. Ma la responsabilità, secondo Eric King di Privacy Internacional, è dell'Occidente: "Sono soprattutto le agenzie americane interessate a comprare questi equipaggiamenti. Ma i regimi repressivi rappresentano un secondo mercato, molto pericoloso, anche se non quello principale. Le compagnie sono state finanziate principalmente dall'America e dall'Europa per il rafforzamento e il perseguimento dei loro obiettivi. A questo punto parte della responsabilità è proprio la loro. E' l'Occidente che ha creato la necessità impellente di utilizzare gli strumenti in questione e sono loro che contribuiscono, con finanziamenti da capogiro, ad accrescere questo business".
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/le-aziende-che-ci-spiano-in-rete/2180639
Passa il favore.
Questo sono io, e queste sono tre persone a cui darò il mio aiuto, ma deve essere qualcosa di importante, una cosa che non possono fare da sole, perciò io la faccio per loro e loro la fanno per altre tre persone.
Trevor McKinney presenta alla lavagna la sua idea "passa il favore", Un sogno per domani (Pay It Forward)
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=357769624296832&set=a.229499283790534.54713.166570006750129&type=1&theater
Diaz, De Gennaro: “Le sentenze vanno rispettate anche quando assolvono”.
Le sentenze vanno rispettate sia quando condannano sia quando assolvono. Anche Gianni De Gennaro interviene, ora che le acque sembrano essersi calmate, nel dibattito seguito allapronuncia della Cassazione su quanto accadde alla caserma Diaz di Genova durante il G8 del2001. Pronuncia che di fatto ha decapitato la Polizia di Stato e che da alcune parti aveva fatto parlare anche di De Gennaro, capo della polizia all’epoca dei fatti. De Gennaro, ora sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai Servizi segreti, affida il suo pensiero a una nota diffusa da Palazzo Chigi. “Le sentenze della magistratura – si legge – devono essere rispettate ed eseguite, sia quando condannano, sia quando assolvono”. Il riferimento, naturalmente, è a se stesso.
“In seguito alle decisioni per i gravi fatti di Genova – spiega il comunicato – le competenti autorità hanno puntualmente adempiuto a tale dovere, operando con tempestività ed efficacia”. “Per quanto mi riguarda – sottolinea De Gennaro – ho sempre ispirato la mia condotta e le mie decisioni ai principi della Costituzione e dello Stato di diritto e continuerò a farlo con la stessa convinzione nell’assolvimento delle responsabilità che mi sono state affidate in questa fase”.
Nella sua nota, De Gennaro aggiunge che “resta comunque nel mio animo un profondo dolore per tutti coloro che a Genova hanno subito torti e violenze ed un sentimento di affetto e di umana solidarietà per quei funzionari di cui personalmente conosco il valore professionale e che tanto hanno contribuito ai successi dello Stato democratico nella lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata”.
Durissima la reazione di Vittorio Agnoletto, guida del Genoa Social Forum del 2001: “Nelle parole dell’ex capo della polizia non c’è nemmeno l’ombra delle scuse che, se pur solo formalmente, ha chiesto il suo successore Manganelli”. “De Gennaro – aggiunge – con arroganza rivendica ogni cosa e, sfottendo i giudici, osa addirittura affermare che tutto si è svolto secondo la Costituzione, lui che a Genova nel 2001 era il capo della polizia e quindi il responsabile della gestione dell’ordine pubblico”. “Nemmeno una critica – sottolinea Agnoletto – verso i dirigenti di polizia condannati per reati estremamente gravi, ai quali va anzi la sua solidarietà. La stessa solidarietà in nome della quale per undici anni i vertici della polizia hanno cercato di impedire l’azione dei pubblici ministeri e di bloccare i processi. Per tutti gli altri resta solo un generico dolore; nemmeno un accenno alle vittime della violenza provocata dai suoi sottoposti”. “In qualunque altro Paese europeo De Gennaro sarebbe stato sospeso dall’incarico già nel 2001; è inaccettabile – conclude Agnoletto – che resti al governo nel silenzio colpevole di tutto il parlamento”.
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domenica 8 luglio 2012
Assisi, il sindaco non vuole le donne: “C’ho provato, ma nessuna è all’altezza”. - Sara Nicoli
La giunta è senza donne e il pidiellino Claudio Ricci ha perso tutti i ricorsi presentati a Tar e Consiglio di Stato. Ma lui non si è arreso e ha fatto colloqui per "aspiranti assessore". Alla fine, però, ha spiegato di non averne trovate rispondenti "al criterio di immediata efficacia operativa".
Ci sono molti modi per guadagnarsi la ribalta delle cronache e la “gloria” politica. E Claudio Ricci, sindaco della serafica Assisi, la terra santa di Chiara e Francesco, si è guadagnato in pochissimo tempo l’astio sincero di tutte le sue compaesane. E non solo. Vinte le elezioni, nel maggio 2011 sotto le bandiere di una coalizione Pdl-Lega-Udc, Ricci ha pensato bene di formare la sua giunta in tempi rapidi. E ci ha messo dentro solo uomini. Di donne, Ricci non vuol sentir parlare. Né in politica, né – tantomeno – nel privato. Una misoginia robusta, di quelle che non crollano neppure davanti alla necessità di garantire, almeno per buon senso, la rappresentanza di genere, le famose “quote rosa”, nelle pubbliche amministrazioni.
Celibe, senza figli, domicilio non conosciuto in città, Ricci è già finito sulle pagine dei giornali per quell’ordinanza che vieta, ad Assisi, di chiedere l’elemosina a 500metri dai luoghi di culto. I concittadini, però, lo conoscono anche per un’altra sua singolare abitudine. Quella che lo porta, in piena notte, nella piazza centrale di Assisi dentro la macchina, a motore e fari accesi, a consultare freneticamente l’Ipad fino alle prime luci dell’alba. Ecco, Ricci è un personaggio un po’ così, che però punta in alto.
Dopo la vittoria alle elezioni si è presentato a Palazzo Grazioli, al cospetto di Berlusconi, chiedendogli un seggio in Parlamento o, meglio, la presidenza della Regione Umbria, ma il Cavaliere, dopo una prima occhiata fugace, l’ha liquidato in modo anche un po’ brusco: “Ma con quelle orecchie a sventola e senza capelli, ma dove vuoi andare mai?”. Delusione cocente per Ricci. Che, tuttavia, non si è perso d’animo. E subito è partito alla formazione della sua giunta nuova di zecca. Dove ha nominato solo assessori maschi. Le associazioni femminili locali e quelle regionali legate ai partiti di opposizione hanno presentato ricorso al Tar. Che lo ha accolto, il 20 giugno del 2012, annullando tutti i decreti di nomina di vicesindaco e assessori perchè lo statuto comunale (all’articolo 30, comma 2) prevede che il sindaco componga la sua giunta “assicurando di norma la presenza di ambo i sessi”.
Insomma, Ricci sembrava definitivamente sconfitto. La sua nota idiosincrasia per l’altro sesso stavolta avrebbe dovuto trovare una compensazione. Ma anche qui, l’uomo ha annunciato l’intenzione di ricorrere al Consiglio di Stato. E poteva anche essere finita così, in attesa dell’appello. Invece no. Ricci ha consumato una sua personale vendetta. Costruita a tavolino in modo da risultare inattaccabile. Ha cominciato a fare colloqui per aspiranti “assessore” del comune: richiesti titoli di studio, competenza politica, alta managerialità, esperienza amministrativa. La selezione è avvenuta anche sulle candidate alle elezioni del 2011 che avevano ottenuto voti, ma Ricci non ne ha trovata neanche una “rispondente al criterio fondante – si legge nel suo decreto del 2 luglio 2012 – dell’immediata efficacia operativa”.
Certo, il sindaco non ha voluto rendere pubbliche “le specifiche valutazioni” di ciascuna, ma l’esito non è stato comunque “positivo” . Quindi ha rinominato assessori quelli “azzerati” dalla sentenza del Tar: “Io ci ho provato – ha spiegato – ma nessuna era davvero all’altezza”. Inutile chiedersi a quale altezza si riferisse il sindaco. Ma è da rilevare un dato che in tutta questa vicenda ha stupito anche gli osservatori più disincantati: i francescani hanno sposato in pieno la battaglia del sindaco. Il loro fondatore, ne siamo certi, avrebbe fatto l’esatto contrario.
Aldrovandi, la madre e la richiesta di scuse: «Grazie Manganelli. Ma non posso perdonare». - A. Cas.
Patrizia Moretti: «Mio figlio è ancora lì che chiede aiuto».
MILANO - «Accetto volentieri di incontrare il capo della polizia Manganelli ed il ministro Cancellieri». In un post sul blog intitolato a suo figlio, Federico Aldrovandi, Patrizia Moretti ringrazia per le scuse che le hanno rivolto pubblicamente. «Ma non mi si chieda di perdonare ciò che per una madre è imperdonabile , insopportabile, inconcepibile». Le hanno ucciso il figlio diciottenne. Poi l'hanno insultata soltanto perché pretendeva giustizia. La giustizia ha impiegato sette anni per appurare la colpevolezza di quattro agenti di polizia. E da uno dei quattro colpevoli, non ancora rimossi dal proprio incarico, ha anche ricevuto pesanti insulti. «Non ho mai nutrito rancore nei confronti della Polizia anche se devo ammettere che da quella maledetta mattina le divise mi fanno paura», spiega la madre di Federico, ucciso il 25 settembre 2005 a Ferrara. Ma il passo successivo, il perdono della violenza e della protervia, è davvero difficile: «Ora ci si aspetta che da una persona come me, probabilmente sopravvalutata, ci sia il perdono nei confronti dei quattro poliziotti che hanno tolto la vita a mio figlio Federico. Io non sono forte. Io non sono lungimirante. Io non guardo avanti. Io non passo oltre».
SOLTANTO UNA MADRE - Patrizia Moretti spiega di sentirsi soltanto una madre:«Una madre che non si è voluta rassegnare alle menzogne, ai depistaggi, alle intimidazioni. Sono una madre normale come tutte le madri che hanno partorito il proprio bimbo e lo hanno visto crescere fino a diventare quasi adulto. Quasi. Ecco, io sono debole. Sono debole perché non riesco a voltare pagina. Sono debole perché non riesco a di dimenticare Federico che chiedeva aiuto e rantolava mentre quei quattro non lo ascoltavano e continuavano. Non riesco a dimenticare che tutti hanno sentito, ma nessuno ha ascoltato. Non riesco a dimenticare che se qualcuno, uno fra i tanti, avesse ascoltato la sua coscienza io avrei ancora il mio bambino e vivrei ancora felice nella mia vita anonima ma meravigliosa vedendo il suo farsi uomo».
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