venerdì 17 luglio 2009

Il mistero dei bond americani sequestrati in Svizzera


di Elia Banelli.

Potrebbe diventare il nuovo scandalo mondiale, o una clamorosa bolla di sapone. Senza dubbio la più grande retata della storia finanziaria. Tutto dipenderà dallo sviluppo delle indagini nelle prossime settimane. Riepiloghiamo i fatti: la mattina del 3 giugno i funzionari della Sezione Operativa Territoriale di Chiasso dell’Ufficio delle Dogane, insieme ai militari della Guardia di Finanza, fermano due uomini sulla cinquantina, di passaporto giapponese, provenienti dalla stazione di Milano e diretti in Svizzera. Gli sequestrano una valigetta e scoprono l’incredibile: nascosti nel doppiofondo titoli Usa per l’ammontare complessivo di 134,5 miliardi di dollari, pari all’1% del Pil americano. Un record. L’enorme “tesoretto” viene posto sotto sequestro dai militari ed i due uomini sono ora denunciati a piede libero per contraffazione di titoli di stato esteri. Intanto il magistrato di Como, il sostituto procuratore Daniela Meliota, ha avviato un’indagine per accertare prima di tutto l’autenticità di quei bond. Si tratta di 249 titoli della “Federal Reserve” americana, del valore nominale di 500 milioni di dollari ciascuno e 10 “Bond Kennedy” da un miliardo di dollari a testa. Una cifra spropositata, non “negoziabile”, impossibile da distribuire nel mercato finanziario ed utilizzabile esclusivamente nelle trattative tra Stati. Insieme ai bond miliardari, sotto la biancheria intima è stata rinvenuta anche una copiosa documentazione bancaria, sulla quale è calato il totale riserbo. Gli scenari che ora si aprono sono molteplici, alcuni più o meno credibili di altri. Prima di tutto come è possibile che un traffico di queste proporzioni, probabilmente partito dall’Estremo Oriente, transiti sul territorio italiano? Inoltre se i titoli risultassero autentici, in base alla vigente normativa, la sanzione amministrativa applicabile ai possessori potrebbe raggiungere i 38 miliardi di euro, pari al 40% della somma eccedente la franchigia ammessa di 10mila euro. Una somma cospicua (pari a circa due leggi finanziarie) che finirebbe nelle casse del governo italiano? Il giallo diventa più inquietante in base alle ipotesi avanzate dalla stampa americana vicina al Partito Repubblicano, che collega il maxi-sequestro di Chiasso con la news pubblicata il 30 marzo scorso da alcuni quotidiani Usa, secondo la quale il Ministero del Tesoro americano avrebbe a disposizione esattamente 134,5 miliardi di dollari provenienti dal fondo speciale per i titoli finanziari “problematici”.La coincidenza perfetta delle due cifre alimenta più di qualche dubbio: un tesoretto da spendere per affrontare la crisi? Sul web circola di tutto: dai fondi “per finanziare un traffico internazionale di armi” ad un presunto attacco valutario contro gli Usa.Si saprà di più con il prosieguo delle indagini. Nel frattempo si stanno analizzando i profili professionali dei due uomini fermati a Chiasso. Uno di loro, A.Y., stando alle indiscrezioni del web, potrebbe essere un alto dirigente del ministero delle finanze giapponese, già condannato a 20 anni per frode, su un’emissione non autorizzata di 57 bond giapponesi del valore di 500 miliardi di yen per titolo di stato.L’altra persona denunciata, M.W., sarebbe stato complice di Yamaguch sempre nell’affare “Series 57”, anche se la notizia non è confermata. E’ probabile che ci sia un terzo uomo, un imprenditore italiano, al centro di un intrigo internazionale dai contorni sempre più opachi.

Per approfondimenti:
http://www.gdf.it/GdF__Informa/Notizie_Stampa/AdnKronos/Adnkronos_2009/Adnkronos_Giugno_2009/info-1518911049.html
http://www.tio.ch/aa_pagine_comuni/articolo_interna.asp?idarticolo=464556&idsezione=1&idsito=1&idtipo=3
http://www.asianews.it/index.php?l=en&art=15505

http://www.articolo21.info/8742/notizia/il-mistero-dei-bond-americani-sequestrati-in.html

Rai: stravolte le più elementari regole aziendali.

di Giuseppe Giulietti.

Da giorni e giorni, legittimamente, perché così è sempre accaduto, l'attenzione dei media è puntata sui futuri organigrammi Rai. Il toto nomine impazza. Nel frattempo rischia di impazzire l'azienda. Dei futuri organigrammi ci interessa molto poco perché in Rai sta accadendo qualcosa di molto più grave che non la tradizionale spartizione dei lotti. Si sta infatti assistendo ad uno stravolgimento delle più elementari regole aziendali e ad un affossamento di qualsiasi piano strategico. In una indifferenza quasi generale, salvo le importanti prese di posizione di Carlo Verna, segretario dell’Usigrai, dell’Adrai, di alcune organizzazioni sindacali e di qualche consigliere di amministrazione, si è arrivati alla nomina di un direttore generale ombra come ha efficacemente detto il consigliere Rizzo Nervo, ad una bizzarra distribuzione delle regole tra i vicedirettore generali, ad un tentativo di moltiplicazione delle cariche attraverso un finto piano della radiofonia. Come se non bastasse si sta tentando di creare una forzata alleanza tra Rai e Mediaset contro il resto del mondo, non viene affrontato il grande tema della pubblicità istituzionale e che sempre più si allontana dalla Rai, non si sfiora neanche più il tema dei new media e del loro futuro. Non si parla della confusione e della mancanza di strategie sulle offerte dei nuovi canali permessi dal digitale terrestre e sul rapporto fra questi e la tradizionale offerta generalista (per non parlare dello sconcertante silenzio su Rainews24 ridotta a oggetto di scambio), si assiste ad una umiliazione delle professionalità interne e ad un tentativo di ulteriore riduzione del pluralismo editoriale attraverso un’aggressione mirata e continua nei confronti di Raitre e del Tg3 e di chiunque non accetti questo stato di cose. A questo punto Non è più possibile far finta di non vedere e così come esiste un trasversalismo deteriore di piccoli gruppi che tentano di costruire una sorta di polo unico Raiset, con Rai in funzione subalterna, è giunto il momento in modo pubblico, palese e trasparente di promuovere in sede istituzionale e politica, ma soprattutto in sede professionale e aziendale uno schieramento trasversale formato da quanti, comunque collocati (e ce ne sono non pochi anche nella destra politica e aziendale) non intendono accettare la progressiva liquidazione di una grande impresa pubblica e soprattutto la liquidazione di quel poco che resta della sua autonomia.

http://www.articolo21.info/8748/notizia/rai-stravolte-le-piu-elementari-regole.html

Perchè il "caso Capezzuto" non suscita attenzione


di Alberto Spampinato.

"Uomo morde cane", ci hanno insegnato, fa sempre notizia, si impone nei menabò e buca il video. Ma non è sempre vero. Non è vero, ad esempio (e sarebbe interessante scoprire perché) quando l'uomo è un cronista di camorra testardo e coraggioso, di quelli che non si fanno intimidire, e il cane morsicato è un camorrista condannato in tribunale per aver minacciato il cronista che metteva in luce le malefatte del suo clan. In questo caso la notizia fatica a trovare l'attenzione che merita. Va solo sulle pagine locali, e con titoli che non mettono in evidenza l'avvenimento insolito nel quale trionfa il soggetto che, nel copione classico, sarebbe destinato a soccombere. S'è visto sfogliando i giornali di venerdì 11 luglio. Eppure la notizia era proprio del genere uomo morde cane.
Il giorno prima, fatto senza precedenti, il Tribunale di Napoli, undicesima sezione penale, aveva condannato due camorristi a oltre due anni di reclusione ciascuno e a un risarcimento di migliaia di euro ritenendoli responsabili di avere minacciato ripetutamente il giornalista Arnaldo Capezzuto per convincerlo a non indicare nei suoi articoli sul giornale "Napolipiù", quando ancora si stampava, gli elementi emersi a carico di Salvatore Giuliano (poi riconosciuto colpevole anche in base a quegli elementi) per l'omicidio di Annalisa Durante, uccisa a sedici anni il 27 aprile 2004 in un vicolo di Forcella da un proiettile sparato da giovani camorristi che giocavano con le armi. Capezzuto fu minacciato la prima volta in un corridoio del Tribunale di Napoli, il 27 maggio 2005, durante il processo per quell'omicidio della "criatura" che ancora emoziona tutta Napoli e ha sconvolto il quartiere di Forcella. "Ma che c... scrivi? Lascia perdere - gli dissero con l'aria di dargli un consiglio - se continui così chissà che brutta fine che potresti fare! Sai com'è? Le disgrazie capitano all'improvviso, e poi non puoi fare più niente". Ma il minacciato non si fece intimidire. Denunciò le minacce e continuò imperterrito a scrivere. Allora gli mandarono altri "consigli" con una lettera minatoria anonima, o meglio firmata con una fila di teste mozzate, accusandolo di fare parte, insieme al padre della ragazza uccisa e al prete anticamorra don Luigi Merola, di un "terzetto di esperti della camurria" e promettendogli di fargli fare la fine di "Giancarlo Siano" (sic). Lettere analoghe furono recapitarte agli altri due del "terzetto", che reagirono allo stesso modo.
A me pare che gli ingredienti del caso "uomo morde cane" ci siano tutti. A Napoli, e non solo a Napoli, non è frequente, anzi diciamo che è piuttosto raro, che un cronista minacciato dalla criminalità organizzata invece di desistere per paura, com'è umano, com'è comprensibile ma non deontologicamente corretto, reagisca e che ottenga soddisfazione e giustizia. No, non è frequente, ma per nostra fortuna non è l'unico caso, è accaduto altre volte e quando accade merita, io credo, la massima considerazione. Inoltre, non so quante volte in Italia sia accaduto che in un caso simile l'Ordine dei Giornalisti si sia rimboccato le maniche con tanto impegno, si sia costituito parte civile e abbia trovato l'appoggio e l'impegno solidale dell'Ordine degli avvocati. Né mi pare frequente il caso di un tribunale che, dando ragione al minacciato, infliggendo pene severe, concedendo una previsionale di dieci più venticinquemila euro (che Capezzuto e il presidente dell'Ordine dei Giornalisti Ottavio Lucarelli hanno già destinato a opere sociali nel quartiere di Forcella) scriva il lieto fine a una così bella storia di impegno e di coraggio civile, di ribellione ad una delle imposizioni più odiose del sistema mafioso, quella che fa vincere la violenza impiegata per tappare la bocca a chi vuole testimoniare la verità.
Ebbene, come spiegare che, con tutto questo, la notizia della vittoria del coraggioso Capezzuto e della scelta civile dell'Ordine dei Giornalisti della Campania non abbia raggiunto l'attenzione che merita e non sia arrivata sulle pagine nazionali dei grandi giornali? Non si spiega senza dare la colpa ai giornalisti, perché sono loro che decidono impaginazione e importanza delle notizie, sono loro che hanno lasciato al coraggioso presidente dell'Ordine l'onere pressoché esclusivo di rappresentare la categoria in seno al processo. Perché? Perché non riescono a considerare Arnaldo Capezzuto fino in fondo uno di loro, allo stesso modo con cui faticano a considerare giornalisti con le carte in regola, bravi giornalisti Roberto Saviano, Pino Maniaci, Lirio Abbate, Rosaria Capacchione, Enzo Palmesano, per fare qualche nome, e tanti altri che per raccontare verità difficili, notizie scomode, , anche a costo di inimicarsi le persone coinvolte cercano notizie sul campo, spulciano con cura i documenti, svolgono indagini in proprio, consultano fonti non ufficiali, o semplicemente ricompongono in un quadro unitario i frammenti di informazioni disponibili o offrono analisi originali. Non è giornalismo, questo? Il caso Capezzuto, in questo senso, ripropone un problema di identità della professione giornalistica. E’ la querelle riproposta schematicamente dal film su Giancarlo Siani “Fortàpasc”, con la distinzione fra giornalisti-impiegati e giornalisti –giornalisti che ha fatto tanto discutere a Napoli. La controversia non si risolve con la forza dei numeri. Se i Capezzuto, Maniaci, Capacchione sono una minoranza non è detto che per questo non abbiano ragione proprio loro. Bisognerebbe discuterne, serenamente, e non chiudere il caso oscurandolo e neppure negando la solidarietà attiva a chi la merita e ne ha bisogno come di uno scudo protettivo.


Direttore di Ossigeno, osservatorio Fnsi-Ordine dei Giornalistisui cronisti minacciati e sulle notizie oscurate con la violenza.

http://www.articolo21.info/8740/notizia/perche-il-caso-capezzuto-non.html

giovedì 16 luglio 2009

lettera inviata a giampietrosestini@yahoo.it;


Mi riallaccio al discorso del vostro Franceschini apparso su:

http://www.asca.it/news-PD__FRANCESCHINI__VOGLIO_UN_PARTITO_APERTO__SOLIDO__RADICATO_E_LAICO-846515-BRK-.html

e del quale riporto un pezzo che ha suscitato il mio sdegno:

PD: FRANCESCHINI, VOGLIO UN PARTITO APERTO, SOLIDO, RADICATO E LAICO.

''vogliamo un partito aperto'' ha detto Franceschini spiegando di riferirsi ad un partito ''che spalanca i propri gruppi dirigenti a quelle persone, soprattutto a quei giovani e quelle donne, che non hanno appartenenze precedenti e che hanno scelto di cominciare il loro impegno politico con il Pd. Quelli che vorrebbero entrare e impegnarsi ma spesso non sanno nemmeno a che porta bussare e invece abbiamo un bisogno enorme della loro freschezza e delle loro energie''.

Abbiamo avuto modo di vedere come le spalancate le porte.......lo abbiamo visto eccome!

Avete voglia di rinnovarvi? Come? con le stesse "cariatidi" che vi portate all'interno da decenni?

Avete tradito la fiducia di tutti quelli che come me vi hanno appoggiato in passato, non avete mantenuto le promesse fatte, siete inaffidabili, dubito fortemente che possiate crescere, semmai il contrario.
Vi era stata data una buona, ottima possibilità, ma non l'avete saputa cogliere, siete finiti, potrete continuare a contare solo su chi al vostro partito è iscritto per interessi personali.

Avete dimostrato che il potere da alla testa, vi siete chiusi a riccio, non siete differenti da quelli che dite di ostacolare, ma che non ostacolate neanche a parole, anzi:

http://www.youtube.com/watch?v=uDU9bAfVFzE


Buona agonia.......

Una ex pidiessina.

Violante dichiara:GARANZIA PIENA per tv di Berlusconi nel 94

mercoledì 15 luglio 2009

Popolo, sei na monnezza!



Ecco cosa pensano di noi i nostri ben pagati politicanti.

Una nuova pista nel rapporto Fininvest - Cosa Nostra? - 14/07/09

Le dichiarazioni di Ciancimino, i fogli mancanti del processo e i messaggi mafiosi a Berlusconi…

"Proprio in seguito a questa vendita Massimo Ciancimino era stato accusato di aver incassato e reinvestito la percentuale destinata a suo padre (all’epoca deceduto). Da qui le manette, i domiciliari e poi il processo in abbreviato, tuttora in corso a Palermo in sede di Appello. Ed è in seguito a questi sviluppi giudiziari che Massimo Ciancimino ha iniziato a parlare: prima alludendo alle responsabilità della famiglia Brancato corresponsabile nella Gas della “gestione Ciancimino”, poi denunciando pubblicamente la sparizione di alcune intercettazioni ambientali che sarebbero dovute essere da tempo depositate agli atti del suo procedimento. I magistrati hanno così aperto un nuovo filone investigativo che ha coinvolto anche l’erede del socio di Lapis, Monia Brancato, rimasta finora estranea ai fatti, secondo Massimo Ciancimino, a causa di uno “strabismo investigativo” che ha inevitabilmente finito per colpire una sola delle due compagini societarie riferibili all’azienda del Gas. Accuse chiaramente tutte da verificare (per questo è stata avviata un’indagine a Catania). Ciononostante le sue dichiarazioni lasciano spazio a dubbi e perplessità sulla conduzione delle prime indagini dopo il ritrovamento di un documento che era stato sequestrato dai carabinieri nel 2005, durante la perquisizione avvenuta nella sua casa prima del suo arresto. Probabilmente ritenuto irrilevante dai pm che detenevano l’incartamento originale del primo grado, il foglio strappato nella sua parte iniziale (così verbalizzavano i carabinieri) è stato ritrovato in questi giorni da Ingroia e Di Matteo in mezzo ad altri 18 faldoni che i magistrati hanno trasmesso ai giudici del processo Ciancimino. Una scoperta di notevole importanza perché, come ha dichiarato il Pg del processo Dell’Utri Antonino Gatto, che ne ha chiesto l’acquisizione insieme all’audizione di Massimo Ciancimino (la Corte si è riservata di decidere il prossimo 17 settembre), il documento potrebbe “dimostrare la continuità dei rapporti intercorsi tra lo stesso Dell’Utri e Cosa Nostra siciliana”. Il testo della missiva vergata a mano non è completo (Ciancimino dice che originariamente era intera), ciò che è possibile leggere è la parte finale di una richiesta minacciosa all’attuale Presidente del Consiglio: “… posizione politica intendo portare il mio contributo (che non sarà di poco) perché questo triste evento non ne abbia a verificarsi. Sono convinto che questo evento onorevole Berlusconi vorrà mettere a disposizione le sue reti televisive”. Una frase enigmatica che richiama il rapporto Fininvest - Cosa Nostra di cui si trova traccia nelle sentenze sulle stragi del biennio ’92-’93 e nella sentenza di condanna a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa a carico di Dell’Utri. La cosa più interessante è che la lettera, che era indirizzata proprio a Dell’Utri, è stata data a Massimo Ciancimino nella casa di Pino Lipari a San Vito Lo Capo alla presenza di Provenzano. Una volta nelle sue mani l’erede più piccolo di don Vito l’avrebbe portata a suo padre, all’epoca detenuto, il quale avrebbe poi espresso il proprio parere per farla avere a una terza persona non meglio precisata. In quanto al triste evento Massimo Ciancimino ha ricordato con precisione che si sarebbe trattato dell’omicidio del figlio di Berlusconi. Un fatto che, come emergerebbe dai verbali d’interrogatorio del 30 giugno e del 1 luglio, lo aveva molto impressionato. I due documenti in ogni caso presentano diverse discrasie. Il testimone inizialmente non intendeva rispondere. Poi alle stringenti domande dei pubblici ministeri che lo hanno interrogato dopo il ritrovamento della lettera, ha risposto visibilmente provato: “Sono cose più grandi di me”. Anche perché le comunicazioni che la mafia avrebbe inoltrato a Berlusconi non si esauriscono qui. La richiesta di una televisione in cambio di un appoggio elettorale sarebbe solo l’ultima di tre lettere scritte tra il 1991 e il 1994. Il secondo messaggio Ciancimino junior ha riferito di averlo ricevuto in una busta chiusa da un giovane che nei primi anni Novanta faceva l’autista di Provenzano. In questo caso Vito Ciancimino avrebbe svolto il ruolo di consulente del capo mafia, mentre in un’altra occasione avrebbe fatto da mediatore consegnando copia della missiva a un tale di nome “Franco”. "

Liberamente tratto da:
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=9344