martedì 5 luglio 2011

Mondadori, storia di una sentenza comprata. - Marco Travaglio


Nel 1991 la Corte d'appello annulla il Lodo arbitrale e sfila il primo gruppo editoriale italiano al patron dell'Espresso. Il corruttore è Cesare Previti che, con gli avvocati Pacifico e Acampora, pagò il giudice Vittorio Metta.


Che la sentenza Mondadori del 1991 che annullò il Lodo arbitrale e sfilò il primo gruppo editoriale italiano a Carlo De Benedetti consegnandolo aSilvio Berlusconi fosse comprata, dovrebbero saperlo tutti. Il corruttore si chiama Cesare Previtiche, assieme agli avvocati Attilio Pacifico eGiovanni Acampora, pagò il giudice Vittorio Mettaper conto di B. e con denaro della Fininvest di B., utilizzatore finale del mercimonio criminale. Da vent’anni dunque il presidente del Consiglio possiede abusivamente una casa editrice, con i suoi libri e i suoi settimanali, usandoli per accumulare utili e consensi. Ma non vuole saperne di restituire il maltolto. Un po’ di storia.

IL LODO
Nel 1988 Berlusconi, che già da tempo ha messo un piede nella casa editrice rilevando le azioni diLeonardo Mondadori, annuncia: “Non voglio restare sul sedile posteriore”. De Benedetti, che controlla il pacchetto di maggioranza, resiste all’assalto e si accorda con la famiglia Formenton, erede di Arnoldo, che s’impegna a vendergli il suo pacchetto azionario entro il 30 gennaio 1991. Ma gli eredi cambiano idea e, nel novembre del 1989, fanno blocco con Berlusconi che, il 25 gennaio 1990, si insedia alla presidenza della casa editrice. Oltre a tre tv e al Giornale, dunque, il Cavaliere s’impossessa del gruppo editoriale che controlla Repubblica, Panorama, Espresso, Epoca e i 15 giornali locali Finegil, spostandolo dal campo anti-craxiano a quello filo-craxiano. La “guerra di Segrate”, per unanime decisione dei contendenti, finisce dinanzi a un collegio di tre arbitri, scelti da De Benedetti, dai Formenton e dalla Cassazione. Il lodo arbitrale, il 20 giugno 1990, dà ragione all’Ingegnere: il suo patto con i Formenton resta valido, le azioni Mondadori devono tornare a lui. Berlusconi lascia la presidenza, arrivano i manager della Cir debenedettiana: Carlo Caracciolo, Antonio Coppi e Corrado Passera. Ma il Cavaliere rovescia il tavolo e, assieme ai Formenton, impugna il lodo dinanzi alla Corte d’appello di Roma. Se ne occupa la I sezione civile, presieduta daArnaldo Valente (secondo Stefania Ariosto, frequentatore di casa Previti). Giudice relatore ed estensore della sentenza: Vittorio Metta, anch’egli intimo di Previti. La camera di consiglio si chiude il 14 gennaio 1991. Dieci giorni dopo, il 24, la sentenza viene resa pubblica: annullato il Lodo, la Mondadori torna per sempre a Berlusconi. L’Ingegnere lo sapeva già: un mese prima il presidente della Consob, l’andreottiano Bruno Pazzi, aveva preannunciato la sconfitta al suo legale Vittorio Ripa di Meana. “Correva voce – testimonierà De Benedetti – che la sentenza era stata scritta a macchina nello studio dell’avvocato Acampora ed era costata 10 miliardi… Fu allora che sentii per la prima volta il nome di Previti, come persona vicina a Berlusconi e notoriamente molto introdotta negli uffici giudiziari romani”. Nonostante il trionfo, comunque, Berlusconi non riesce a portare a casa l’intera torta. I direttori e molti giornalisti di Repubblica, Espresso e Panorama si ribellano ai nuovi padroni.Giulio Andreotti, allarmato dallo strapotere di Craxi sull’editoria, impone una transazione nell’ufficio del suo amico Giuseppe Ciarrapico: Repubblica, Espresso e i giornali Finegil tornano al gruppo Caracciolo-De Benedetti; Panorama, Epoca e il resto della Mondadori rimangono alla Fininvest.

I SOLDI
Indagando dal 1995 sulle rivelazioni della Ariosto sulle mazzette di Previti ad alcuni giudici romani, il pool di Milano scopre un fiume di denaro dai conti esteri Fininvest a quelli degli avvocati del gruppo e da questi, in contanti, a Metta. Il 14 febbraio ‘91 dalle casse All Iberian parte un bonifico di 2.732.868 dollari (3 miliardi di lire) al conto “Mercier” di Previti. Da questo, il 26 febbraio, altro bonifico di 1 miliardo e mezzo (metà della provvista) al conto “Careliza Trade” di Acampora. Questi il 1° ottobre bonifica 425 milioni a Previti, che li dirotta in due tranche (11 e 16 ottobre) sul conto “Pavoncella” di Pacifico. Il quale preleva 400 milioni in contanti il 15 e il 17 ottobre e li fa recapitare in Italia a un misterioso destinatario: secondo l’accusa, Metta. Il giudice, nei mesi successivi, acquista e ristruttura un appartamento per la figlia Sabrina e compra una nuova auto Bmw, il tutto con denaro contante di provenienza imprecisata (circa 400 milioni). Poi lascia la magistratura, diventa avvocato e dove va a lavorare con la figlia Sabrina? Allo studio Previti, naturalmente. Al processo, Previti giustificherà quei 3 miliardi Fininvest in Svizzera come “tranquillissime parcelle”, ma non riuscirà a documentare nemmeno uno straccio di incarico professionale in quel periodo. Mentiranno pure Acampora e Pacifico. E così Metta, che tenterà di spacciare l’improvvisa liquidità per un’eredità. L’ex giudice giurerà di aver conosciuto Previti solo nel ‘94, ma i pm Boccassini e Colombo scopriranno telefonate fra i due già nel 1992-‘93.
Poi ci sono le modalità a dir poco stravaganti della sentenza Mondadori: dai registri della Corte d’appello emerge che Metta depositò la motivazione (168 pagine) il 15 gennaio 1991: il giorno dopo la camera di consiglio. Un’impresa mai riuscita a un giudice, né tantomeno a lui, che impiegava due-tre mesi per sentenze molto più brevi. Evidente che qualcuno l’aveva scritta prima che la Corte decidesse.

IL PROCESSO
Nel 1999 il pool chiede il rinvio a giudizio per Berlusconi, Previti, Metta, Acampora, Pacifico. Nel 2000 il gup li proscioglie tutti con formula dubitativa (comma 2 art. 530 cpp). Ma nel 2001 la Corte d’appello accoglie il ricorso della Procura e li rinvia a giudizio tutti, tranne Berlusconi, appena tornato a Palazzo Chigi e salvato dalla prescrizione: a lui i giudici accordano le attenuanti generiche. Perché a lui sì e agli altri no? Per “le attuali condizioni di vita individuale e sociale il cui oggettivo di per sé giustifica l’applicazione” delle attenuanti. La Cassazione conferma: il Cavaliere non è innocente, anzi è “ragionevole” e “logico” che il mandante della tangente a Metta fosse proprio lui. Ma un fatto tecnico come le attenuanti “per la condotta di vita successiva all’ipotizzato delitto” giustifica le attenuanti ad personam. Anziché rinunciare alla prescrizione per essere assolto nel merito, B. prende e porta a casa. E fa bene: gli altri coimputati, senza le attenuanti, saranno tutti condannati. In primo grado, nel 2003, Metta si prende 13 anni, Previti e Pacifico 11 anni sia per Mondadori sia per Imi-Sir, e Acampora (per la sola Mondadori) 5 anni e 6 mesi. Nel 2005, in appello, tutti condannati per Imi-Sir e tutti assolti (comma 2 art. 530) per Mondadori. Nel 2006 la Cassazione annulla le assoluzioni e ordina un nuovo appello che condanni pure per Mondadori.

LA SENTENZA
Il 23 febbraio 2007, in Corte d’appello, Previti, Pacifico e Acampora si vedono aumentare la pena di un altro anno e 6 mesi e Metta di 1 anno e 9 mesi, “in continuazione” con le condanne ormai definitive per Imi-Sir. Scrivono i giudici che la sentenza Mondadori fu “stilata prima della camera di consiglio”, “dattiloscritta presso terzi estranei sconosciuti” e al di “fuori degli ambienti istituzionali”. Tant’è che al processo ne sono emerse ”copie diverse dall’originale”. B. era all’oscuro dell’attività corruttiva dei suoi legali (che non assistevano la Fininvest nella causa, seguita dagli avvocatiMezzanotte, Vaccarella e Dotti)? Nemmeno per sogno: aveva – scrivono i giudici – “la piena consapevolezza che la sentenza era stata oggetto di mercimonio”. Del resto “l’episodio delittuoso si svolse all’interno della ‘guerra di Segrate’, combattuta per il controllo di noti ed influenti mezzi di informazione; e si deve tener conto dei conseguenti interessi in gioco, rilevanti non solo sotto un profilo meramente economico, comunque ingente, ma anche sotto quello prettamente sociale della proprietà e dell’acquisizione dei mezzi di informazione di tale diffusione”. Quando De Benedetti, sconfitto dalla banda Previti-Metta & C, accettò la transazione Ciarrapico per recuperare almeno parte del maltolto, si verificò un fatto inspiegabile: B. si oppose con foga al tentativo – assolutamente normale – della Cir di accennare, nel preambolo dell’accordo, alla sentenza che aveva appena annullato il lodo. Perché mai non voleva firmare un atto che facesse riferimento alla sentenza Metta? Perché – deduce la Corte – era “a conoscenza dell’inquinamento metodologico a monte determinato dall’intervenuta corruzione del giudice”. Alla fine i giudici citano la testimonianza “pienamente attendibile” della Ariosto, cui Previti aveva confidato “probabilmente nel luglio 1991 di essere stato lui a vincere la guerra di Segrate, e non Dotti”. Anche i giudici d’appello definiscono Berlusconi il “privato corruttore”. Ma, diversamente dai loro colleghi che avevano disposto il rinvio a giudizio, stabiliscono che Previti, Pacifico e Acampora non concorrono nel reato del giudice Metta, bensì in quello del “privato corruttore”, cioè di B.: “L’attività degli extranei nella consegna del compenso illecito si sostituisce a una condotta, che, altrimenti, sarebbe giocoforza posta in essere, in via diretta, dal privato interessato… La retribuzione del giudice corrotto è fatta nell’interesse e su incarico del corruttore”. In pratica i tre avvocati Fininvest agirono come intermediari di B. che li incaricò di pagare Metta e, in seguito alla sentenza comprata, s’intascò la Mondadori. Essi, diversamente da lui, non meritano le attenuanti generiche, “non ravvisandosi alcun elemento positivo per attenuare il trattamento sanzionatorio”. E questo per “l’enorme gravità del reato [e per] la gravità del danno arrecato non solo alla giustizia, ma all’intera comunità, minando i principi posti alla base della convivenza civile secondo i quali la giurisdizione è valore a presidio e a tutela di tutti i cittadini con conseguente ulteriore profilo di gravità per l’enorme nocumento cagionato alla controparte nella causa civile e per le ricadute nel sistema editoriale italiano, trattandosi di controversia (la cosiddetta guerra di Segrate) finalizzata al controllo dei mezzi di informazione; [per] la spiccata intensità del dolo; [per] i motivi a delinquere determinati solo dal fine di lucro e, più esattamente, dal fine di raggiungere una ricchezza mai ritenuta sufficiente”.

I DANNI
La Corte riconosce infine alla parte civile Cir di De Benedetti “tanto il danno emergente quanto il lucro cessante, sotto una molteplicità di profili relativi non solo ai costi effettivi di cessione della Mondadori, ma anche ai riflessi della vicenda sul mercato azionario”. Danni da quantificare in separata sede civile. Il 13 luglio 2007 la II sezione penale della Cassazione mette il timbro finale al caso, confermando in toto la sentenza d’appello-bis. La vicenda – scrivono i giudici – “coinvolgente la Fininvest, fonte della corruzione e pagatrice del pretium sceleris”, cioè del “mercimonio” della sentenza Metta, non ammette attenuanti: per “l’elevata gravità del reato e del relativo danno, l’intensità del dolo, i motivi a delinquere e i comportamenti processuali” caratterizzati da “mendacio”. A quel punto la Cir, con gli avvocati Giuliano Pisapia ed Elisabetta Rubini, chiede alla Fininvest 1 miliardo di euro di danni. Nel 2009 il Tribunale civile di Milano condanna B. e Fininvest a risarcire Cir con 750 milioni. Il giudice Raimondo Mesiano viene pedinato e linciato da Canale5 e dalla stampa Mondadori, addirittura perché porta i calzini turchesi. La Fininvest e B., diversamente da chiunque altro perda una causa civile, ottengono una sospensiva dell’immediata esecutorietà della sentenza: depositano una fidejussione e non pagano, in attesa dell’appello. Ora che la sentenza di secondo grado è alle porte, un codicillo nascosto nella manovra finanziaria li esenta dal pagare anche se perdono in appello. È il“partito degli onesti”.



Così è se vi pare ed anche se non vi pare.



Con la nuova manovra economica correttiva il governo ha salvaguardato l'uomo più ricco d'Italia, non ha ritoccato le aliquote d'imposta sulle rendite, ha preferito taglieggiare le pensioni da lavoro. Per noi comuni mortali solo "sacrifici ad personam", per i possidenti "leggi pro domo sua".

"Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole...e più non dimandare". (Dante)


Rifiuti: Bonelli, Lega dice no? Campania rimandi a Bossi quelli tossici.


Roma, 30 giu. - (Adnkronos) - ''A questo punto la Campania rispedisca a Bossi e ai leghisti i tir di rifiuti tossici e nocivi sversati illegalmente in territorio campano". E' quanto afferma il presidente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, che spiega: ''Il 'no' della Lega al decreto sull'emergenza rifiuti dimostra che il Carroccio ha una concezione della solidarieta' a 'regioni alterne': quando si e' trattato dell'alluvione in Veneto la solidarieta' nazionale doveva esserci; quando, invece, riguarda la drammatica situazione dei cittadini campani, che vivono il dramma di un'emergenza mai risolta nonostante anni e anni di promesse fatte da Berlusconi, 'No'''.


Rifiuti tossici dal Veneto alla Campania

Li spacciavano come rifiuti non pericolosi e li spedivano a Napoli e Caserta. Invece erano migliaia di tonnellate di amianto, solfuri, idrocarburi, trattati in modo illecito a Venezia, e spediti in discariche di mezza Italia, soprattutto in Campania. Il tribunale di Venezia ha scoperto un traffico illecito di rifiuti: una ditta veneta grazie a strane miscele, codici truccati e carte d' accompagnamento falsificate, "smaltiva" illecitamente tonnellate di rifiuti ad alto rischio nella già martoriata Campania. Condannate ieri quattro persone, tra responsabili ed addetti di due società, a poco meno di 13 anni complessivi di carcere. L' inchiesta condotta dai carabinieri del nucleo ambientale coordinati da magistrato Giorgio Gava, ha riguardato l' attività ritenuta illecita della Nuova Esa di Marcon (Venezia) e della Servizi Costieri di Mestre (Venezia). Il collegio presieduto da Sergio Trentanovi ha condannato Gianni Giommi, legale rappresentante della Nuova Esa, a sei anni, e, per l' attività della Servizi Costieri, Carlo Valle a tre anni e quattro mesi, Giuliano Gottard a due anni e tre mesi e Gianni Gardenal ad un anno e 11 mesi, pena sospesa. I quattro sono stati condannati anche al ripristino dello stato dell' ambiente mentre a vario titolo dovranno risarcire le parti civili, tra comuni, enti ed associazioni, per una somma che si aggira intorno al mezzo milione di euro. In particolare ogni cittadino del comune di Marcon, dove la Nuova Esa ha sede e stoccava rifiuti tossici, che si è costituito parte civile dovrà essere risarcito con una cifra pari a 2000 euro. Secondo quanto ricostruito dal pm Gava (aveva chiesto pene leggermente più miti) i quattro avevano organizzato un traffico di migliaia di tonnellate di rifiuti tossici, spacciati per innocui, da smaltire in discariche di mezza Italia. Per farlo, tra l' altro, avevano miscelato diverse tipologie di rifiuti in modo illegale modificandone i codici di riconoscimento. I rifiuti tossici trattati dalla Nuova Esa e stoccati dalla Servizi Costieri, sono finiti, tra l' altro, a Bacoli, dove dell' alluminio è finito in una normale discarica, ad Acerra, dove un terreno è stato inquinato da idrocarburi; mentre a Modugno (Bari) sono finite 61 tonnellate di solfuri, a Bomarzo (Viterbo) due tonellate di rifiuti vari e a Paese (Treviso) è stato trovato dell' amianto. Il pm Gava è riuscito a ricostruire anche la spedizione illecita di 270 tonnellate di amianto in Germania e l' utilizzo improprio di decine di discariche come quelle di Roncade (Treviso), San Martino Buonalbergo (Verona), Giugliano (Napoli), Graffignano (Viterbo), Campomarino (Campobasso) e Castrellazzo Bormida (Alessandria).




Manovra, il Quirinale spiazzato "Non ne sapevamo nulla"

Crescono i dubbi sulla possibilità che Napolitano firmi il decreto.

ROMA
Spiazzati. E irritatissimi. Al Quirinale la scoperta di una norma che consente alla Fininvest di rinviare il maxiindennizzo dovuto alla Cir di Carlo De Benedetti per l’affaire Mondadori non è piaciuta affatto. Nei giorni scorsi, infatti, dopo aver appreso che nella prima bozza della manovra il governo intendeva inserire misure riguardanti la giustizia, dal Colle era iniziato un intenso pressing nei confronti del governo. Con l’esplicita richiesta di fare grande attenzione, ovviamente di non forzare la mano e di lasciar fuori dal decreto ogni provvedimento che non avesse a che fare con l’aggiustamento dei conti. Tra le altre cose erano state ipotizzate norme sul processo breve, che avevano visto salire subito sulle barricate l’opposizione (a cominciare da Di Pietro), ma poi l’esecutivo aveva lasciato perdere. Segno che i suggerimenti erano serviti a qualche cosa.

Lo stupore ieri dei consiglieri di Napolitano è stato ancora più grande nello scovare in coda all’articolo 37 del decreto il codicillo pro Berlusconi. Negli ultimi giorni, infatti, nelle varie bozze della manovra scritte, smontate e poi riscritte nel corso dei vari vertici e poi approdate al Consiglio dei ministri di giovedì non c’era traccia di questo tipo di interventi. E peraltro ieri, quando dopo mezzogiorno il testo «finale» è stato recapitato al Quirinale, nessuno si è premurato di avvisare di queste ultime novità.

Il problema, tra la sorpresa generale, è scoppiato nel primo pomeriggio quando quasi in contemporanea il famigerato comma 23, con le modifiche al Codice di procedura civile, è finito sotto la lente degli esperti del Quirinale e dell’ufficio legale di Confindustria. Che proprio al Quirinale si sarebbe rivolto per chiedere lumi sulla novità, mentre il sito del «Sole 24 Ore», il quotidiano di casa, lanciava per primo la notizia del blitz pro Fininvest. Per tutti si trattava di un «intervento incomprensibile».

Ieri sera fonti della Presidenza della Repubblica hanno fatto sapere che, come sempre avviene in questi casi, su tutto il decreto «com’è naturale, si riserva tutto il tempo necessario per fare un attento e scrupoloso esame di tutti gli aspetti della manovra economica» all’insegna del principio di leale collaborazione che contraddistingue i rapporti col governo su tutta la materia legislativa.

In realtà sul comma salva-Fininvest la verifica sarà ancora più scrupolosa. Gli uffici del Quirinale, infatti, intendono verificarne innanzitutto la ragion d’essere, la consistenza tecnica e quindi la collocazione nell’articolato complessivo del decreto. Verrà valutata la necessità o no di adottare un provvedimento del genere, come pure l’urgenza di procedere attraverso lo strumento del decreto, che una volta siglato dal Capo dello Stato e pubblicato in Gazzetta Ufficiale diventa immediatamente esecutivo. Infine sarà analizzata con grande attenzione l’omogeneità di una misura del genere col resto della manovra. Il giudizio finale sembra quasi già scritto. Come si concilia il rinvio all’ultimogrado di giudizio del pagamento di una sanzione con indicazioni che dovrebbero riguardare «Disposizioni per lo sviluppo» (questo il titolo sotto cui sono inquadrate le misure sulla giustizia) e un articolo intitolato «Disposizioni per l'efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie»? Stando all’opposizione e ai magistrati dell’Anm il comma 23 «è incostituzionale». Al Quirinale non si spingono a tanto, ma è evidente che sarà molto difficile dare il via libera a una misura di questo tipo.



Holding di governo. - Massimo Giannini.



Ormai in conclamata agonia politica, tenuto artificialmente in vita dai "medici" irresponsabili guidati dal leggendario Scilipoti, il governo Berlusconi ha trovato la forza per l'ultimo strappo. Veicolata dalla stangata a orologeria da 47 miliardi congegnata da Tremonti, arriva un'altra legge ad aziendam, 1 costruita a misura delle esigenze questa volta non della persona fisica Berlusconi, ma della persona giuridica Fininvest. Una norma del nuovo processo civile consente al legislatore di sospendere l'esecutività delle sentenze di risarcimento, in primo o in secondo grado, fino alla pronuncia della Cassazione.

Una fattispecie giuridica ritagliata alla perfezione per la holding del premier, sulla quale pende proprio questa settimana il verdetto del giudice di secondo grado, a proposito del maxi-risarcimento dovuto alla Cir per la vicenda del Lodo Mondadori. Grazie al codicillo infilato nottetempo nel decreto che dovrebbe risanare i conti pubblici italiani, dunque, la Fininvest sarà legittimata a non versare un euro di indennizzo alla sua controparte, qualunque sia la somma che i giudici di Milano riterranno opportuna a titolo di risarcimento, per le sentenze a suo tempo comprate dal Cavaliere e dai suoi uomini durante la cosiddetta Guerra di Segrate. In primo grado questa somma era stata quantificata in 750 milioni di euro. In appello potrebbe ridursi, ma non di molto. E dunque potrebbe pesare in modo esiziale sui conti Fininvest, e dunque sul portafoglio della famiglia Berlusconi.

Ecco spiegato l'audace colpo dei soliti noti. Un'altra legge ad aziendam, e il gioco è fatto. Ora si capisce anche perché nei giorni scorsi, al momento di presentare il bilancio della holding, i manager Fininvest avevano annunciato di non aver messo in conto nessun accantonamento, a copertura dell'eventuale risarcimento. Evidentemente il braccio armato aziendale sapeva che non ce ne sarebbe stato bisogno, perché il braccio armato politico stava nel frattempo lavorando per difendere, come sempre, i nobili interessi del premier.

Siamo al consueto, vergognoso e intollerabile rito di una democrazia sotto sequestro e sotto ricatto, piegata ai bisogni di un singolo e umiliata nei suoi valori collettivi. Con questo blitz di una maggioranza screditata e soggiogata, arriviamo all'ennesima legge ad personam, da quando il Cavaliere fece la sua mitica discesa in campo nel 1994. Questa volta il beneficiario è diverso solo nella forma, l'azienda. Ma nella sostanza, è ancora lui, il presidente del Consiglio, che usa la sua funzione per distorcere il codice e abusa della sua posizione per violentare lo Stato di diritto. E quello che è più grave è che non può più farlo fingendo di avere con sè il suo popolo che lo acclama. Gli italiani, persino quelli che lo hanno seguito entusiasti nella folle avventura di questo quasi Ventennio, hanno cominciato a voltargli le spalle. Hanno capito, finalmente, che l'unica "ditta" per la quale il premier ha lavorato e lavora non è l'Italia, ma è la sua.



lunedì 4 luglio 2011

È il nuovo "patto di ferro" portato avanti con la Compagnia delle Opere e la benedizione di Formigoni e Bossi


di Ferruccio Pinotti

da "Il Fatto Quotidiano"1 ottobre 2009

È il nuovo asse segreto della politica, dell'economia e della finanza. È l'intesa di cui non si può parlare. È il "patto di ferro" che nei prossimi mesi muterà molti scenari in una serie di delicati scacchieri fatti di grandi business, di appalti, di equilibri politici e istituzionali. Comunione e Liberazione ha infatti scelto la Lega come partner forte per un progetto di vasto impatto e di lunga gittata. Un disegno che si articola su una serie di capisaldi, per ora percepiti con difficoltà dagli osservatori esterni, ma ben chiari ai vertici di Cl e del Carroccio.

Pietra angolare dell'intesa è il federalismo. L'obiettivo dei due movimenti è sfruttare la de-strutturazione dello Stato, e il progressivo passaggio di molte sue competenze alle Regioni, per trasferire dal pubblico al privato una serie di aree di lucrose attività che vanno dalle scuole all'energia, dalle autostrade alla sanità, dalla formazione all'immigrazione. Braccio operativo sarà la Compagnia delle Opere, la potentissima organizzazione vicina a CL che raggruppa 34.000 imprese, per un fatturato stimato in 70 miliardi di euro. Spetterà alla CdO il compito di trasformare l'indebolimento dello Stato unitario in una gigantesca opportunità di business.
Il piano prevede una serie di step , che sono stati anticipati da Roberto Formigoni in agosto durante il meeting di Rimini. Il primo ruota intorno ai decreti attuativi della legge sul federalismo già approvata: il governo deve emanarli entro due anni. Ma, nei decreti attuativi è possibile infilare di tutto, e di questo Cl e Lega sono ben consci.

La seconda mossa riguarda, invece, la cosiddetta trattativa con lo Stato. Che cosa sia Formigoni lo ha spiegato il 24 agosto quando, davanti ai vertici entusiasti del movimento di Umberto Bossi, annunciato che Lombardia e Veneto intendono sottrarre al governo centrale il maggior numero possibile di competenze. Le due regioni, insomma, non puntano solo al federalismo fiscale, ma vogliono la gestione di un'ampia serie di aree strategiche che comprendono le strade, l'ambiente, la scuola, forse persino il nucleare, quanto meno in termini di attuazione del piano nazionale di realizzazione delle centrali. Nell'attuazione del federalismo, ha detto il governatore ciellino, "un passo importante è quello di sfruttare la possibilità offerta dall'articolo 116 della Costituzione, come la Lombardia sta cercando di fare. La Carta prevede infatti che, su iniziativa della Regione, lo Stato possa attribuire, con una legge, la competenza esclusiva su alcune materie che sarebbero, di norma, riservate allo Stato". "Molte cose", ha annunciato Formigoni, "si possono fare senza ricorrere ad un cambiamento della Costituzione , ma con una trattativa per ottenere competenze specifiche. Noi siamo pronti ad occuparci esclusivamente delle dodici materie che abbiamo già richiesto". Un'idea che ha trovato subito d'accordo uno degli ospiti d'onore del Meeting di Cl, il ministro leghista Roberto Calderoli, che ha parlato di una "modifica della Costituzione per dare più potere alle Regioni" lasciando intravedere la linea di programma comune tra il movimento fondato da don Giussani e il Carroccio. Così Formigoni ha metaforicamente indossato la camicia verde e, mutuando linguaggio leghista, ha parlato di un "diritto da parte dei cittadini ad autodeterminarsi e scegliere il proprio modello di riferimento". Poi, tra gli applausi scroscianti, ha recitato il mantra "meno burocrazia per le aziende", scandendo gli obiettivi: "La sanità va gestita tutta in ambito regionale. Solo certe materie possono restare al governo. Ogni cittadino ha il diritto di farsi curare dove vuole e di scegliere in quale scuola mandare i figli. Abbiamo finanziato in questi anni 10.000 progetti di famiglie lombarde tramite l'associazionismo, contro la logica centrali-sta. Ricco di prospettive, nell'accordo Cl–Lega, è pure il business delle infrastrutture. Formigoni al Meeting ha ammesso candidamente: "Abbiamo già l'ente lombardo Cal (Concessioni Autostradali Lombarde, ndr) per le autostrade, a metà tra Stato, Anas e Regione. Siamo forti nel trasporto ferroviario per i pendolari con Fs e Ferrovie Nord: è ora di dire basta alla direzione romana".
I leitmotiv del leader politico di Cl sono gli stessi della Lega: "Bisogna stabilire livelli diversi di imposizione fiscale tra regioni e attrarre investimenti; serve un accordo delle Regioni con Province e Comuni per la gestione dei soldi e per il federalismo fiscale".
Anche i servizi pubblici, nella nuova filosofia di Cl e Lega, vanno ricalcolati in base a nuove unità di misura. Per Formigoni "il passaggio dalla logica del costo storico a quella del costo standard, ottenuto con il federalismo fiscale, rappresenta il passaggio dal vizio alla virtù".

LA SPARTIZIONE DELLE REGIONI DEL NORD
In questo scenario, una partita chiave è quella della spartizione delle grandi regioni del Nord. Cl ha un ruolo di mediazione chiave tra Pdl e Lega, che si contendono Lombardia e Veneto, con un pensiero attento anche al Piemonte.
La Lega, alle regionali del 2010, vorrebbe prendersi le tre regioni più ricche d'Italia, Lombardia, Piemonte e Veneto, ma sa che se vuole un patto sul fronte degli affari deve arrivare a un compromesso politico. L'ipotesi che sta quindi maturando, all'interno del Carroccio, è lasciare la Lombardia non tanto a Forza Italia, quanto a Formigoni, ovvero a Cl e alla Compagnia delle Opere, in cambio della presidenza del Veneto (il laico Galan non è amato da Cl e il suo regno è messo in discussione dalla Lega) e magari del Piemonte.

Resta l'incognita Udc. Ma di fronte a un patto chiaro con gli uomini di Pierferdinando Casini anche la Lega dirà di sì al governatore Formigoni. Il presidente della Regione Lombardia ne è convinto e ha auspicato che l'alleanza con l'Udc possa essere confermata a cominciare dalle regionali del prossimo anno in Lombardia. "I rapporti con la Lega in Regione", ha detto al Meeting, "sono ottimi. Noi lavoriamo per allargare l'alleanza, per rinnovare il patto con l'Udc su basi chiare e valori condivisi. Spero sia un patto a 360 gradi su tutto il territorio nazionale e sono convinto che anche la Lega, di fronte a una proposta chiara di alleanza, dira di sì. La Lega è un partito intelligente e abile e finché non vede patti chiari dirà di no. Ma la chiarezza interessa anche a noi, non vogliamo papocchi o pasticci. Se faremo un patto chiaro lo sottoporremo agli amici della Lega". Il tema della presidenza della Regione Lombardia continua comunque ad essere spinoso, ha lasciato capire Calderoli. Ma la stanza di compensazione di Cl saprà certamente risolvere i contrasti. La sanità, la scuola e i trasporti sono alcuni tra i molti e ricchi settori di business per Cl. Ma non c'è ambito al quale il braccio della Compagnia delle Opere non guardi con lungimiranza. Uno di questi è il nucleare, una materia in cui la programmazione è ancora tutta da stendere, consentendo perciò alle aziende della Compagnia delle Opere di inserirsi a vario titolo. Non a caso, a discutere di nucleare al meeting erano presenti Fulvio Conti, ad e dg di Enel; Umberto Quadrino, ad di Edison; Giuliano Zoccoli, presidente di A2A, la potente azienda nata dalla fusione tra la Asm di Brescia e la Aem di Milano. I top manager dell'energia italiana si sono definiti "vecchi amici del meeting" e a benedire l'intesa si è mosso fino a Rimini il ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola.

RELIGIONE E FINANZA VANNO D'ACCORDO
Ma a progettare il nucleare italiano con i big ciellini erano anche l'ad di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi, così come il responsabile della localizzazione degli impianti nucleari Enel, Igino Chellini; come pure Franco Cotana, promotore della Piattaforma Tecnologica Nucleare Sostenibile Italia; Frantisek Pazdera, vicepresidente della consorella europea Sustainable Nuclear Energy Technology Platform; Silvio Bosetti, dg della Fondazione Energylab.
Cl non aspetta che le occasioni di business succedano, le anticipa. In questo disegno complessivo di appropriazione delle aree in cui la competenza dello Stato verrà progressivamente erosa a favore del business di Cl e Cdo, ha un ruolo importantissimo la finanza, chiamata ad erogare credito alle aziende "amiche" a sostenere grandi progetti infrastrutturali. La Compagnia delle Opere ha costruito un sistema oliatissimo, un network nel quale ogni azienda aiuta l'altra, in un rapporto committente-fornitore che disegna un'economia ciellina forte e integrata, quasi un mondo a parte, isolato dal mercato.

Già nel 2000 il titolare dell'impresa edile Romagnoli, Camillo Agnoletto, impegnato nella ricostruzione del Teatro La Fenice di Venezia, raccontava all'Espresso: "Noi non abbiamo aderito per motivi ideali. Con Cl io non c'entro, sono un uomo di sinistra. Ma l'adesione ti garantisce le informazioni giuste sui bandi di gara, i finanziamenti Ue, le opere pubbliche; ti offre un colloquio privilegiato con le banche; può sveltire i rimborsi dalla Regione; ti assiste nel ginepraio delle leggi urbanistiche. In due parole, se ti metti con loro hai dei vantaggi". Dal 2000 la situazione nell'economia e nella finanza è molto peggiorata, l'11 settembre 2001 e lo tsunami finanziario del 2008 hanno reso fragili molte imprese, che sono divenute estremamente bisognose di una "rete", di un network efficiente e solidale.

Proprio ciò che la Compagnia delle Opere è in grado di offrire. Dall'86 ad oggi la Cdo ha compiuto passi da gigante, divenendo un sistema di assistenza alle imprese estremamente integrato ed efficiente. "Ormai, se non sei della Compagnia delle Opere ormai non hai quasi più accesso al credito; con la Cdo invece entri dappertutto, hanno le "loro" banche, in qualche modo garantiscono per te anche se hai problemi", racconta al Fatto il titolare di un'impresa veneta che preferisce non essere menzionato. In effetti la Cdo ha stretto in questi anni rapporti preferenziali con molti istituti, in molti casi anche informaufficiale.Traglisponsordel30°meetingdi Cl c'era il primo gruppo bancario italiano, Intesa-San Paolo. Il suo ad Corrado Passera si muoveva con scioltezza nei palazzi della fiera di Rimini, regalando sorrisi e predicando la necessità di "un piano concreto di lungo termine", per "uno shock positivo all'economia ed alla società", "investendo sulla coesione sociale".

Passera suadente annunciava: "Fra i 500 miliardi di Intesa per il credito, una cifra considerevole, un terzo del Pil, ci sono 60-70 miliardi di linee di credito affidate ma non utilizzate, soprattutto alle medie, piccole e piccolissime imprese". Un chiaro messaggio al
mondo della CdO. Un altro big presente al Meeting era Carlo Fratta Pasini, presidente del Banco Popolare, il colosso della finanza cattolica che negli anni del cattolicissimo Fazio a Bankitalia è stato un protagonista nell'ambito delle merger & acquisitions bancarie.
La presenza di Passera e Fratta Pasini delina bene i contorni di una finanza ciellina da tempo in movimento. A ben guardare, l'abbraccio tra Lega e Cl ha radici profonde nel progetto di una grande Banca Padana caldeggiato da Giampiero Fiorani nel tentativo di scalata alla Banca Antonveneta, poi fallito per l'esplodere delle inchieste giudiziarie sul banchiere. Ma in questa direzione si muoveva anche la banca della Lega, la Credieuronord (un buco da14miliardidilire),salvata proprio da Fioranicon l'assenso del governatore di Bankitalia An toni o Fa-zio. Una compagnia di giro, ora rinviata a giudizio, che fu sul punto di far sua, con le complicità della sinistra impegnata in Unipol-Bnl, una fetta importante della finanza nazionale, ma anche il Corriere della Sera.

Proprio le complicità segrete della sinistra rendono forte e pregnante l'intesa tra CL e Lega. Al meeting di Rimini 2009 gli invitati d'onore, oltre ai vertici della Lega, sono stati Luigi Bersani ed Enrico Letta, non Silvio Berlusconi, il cui mancato invito (il Cavaliere non è stato gradito nemmeno per un saluto) è apparso un segnale chiarissimo: la galassia di Comunione e Liberazione considera già archiviato Berlusconi. E guarda con interesse a chi, come la Lega,garantiscevantaggiosealleanzeanchesulpiano dei progetti imprenditoriali. Ma pure a chi, come certe componenti della sinistra, è pronto ad accordi operativi nelle aree di proprio dominio.
In questo caso, il terreno d'intesa è quello delle cooperative (una grande realtà, che vale il 7% del Pil nazionale) in cui Cl e Cdo hanno avviato accordi che prefigurano un "super inciucio" degli affari. Il presidente di Coop Italia - che raggruppa 10.000 imprese agricole - Vincenzo Tassinari, non ha esitazione ad ammettere, da noi intervistato per Il Fatto al Meeting di Cl: "Sono 15 anni che siamo presenti al Meeting di Cl e riconosciamo che la Compagnia delle Opere ha gli stessi valori predicati e praticati da noi. La Cdo ha un grande patrimonio di valori: lavoreremo insieme per altri 30 anni".

Ai vertici delle cooperative rosse evidentemente non disturba il fatto che nel 2007 l 'ex presidente regionale della CdO in Calabria, l'imprenditore An toni o Saladino, sia stato coinvolto nell'indagine giudiziaria della Procura di Catanzaro curata fino al mese di ottobre 2007 dal sostituto procuratore Luigi de Magistris.
Né il fatto che nel 2008 a seguito di un'indagine della Guardia di Finanza per un giro di tangenti, corruzione e turbativa d'asta, l'ex presidente della sezione trentino della CdO, Giuseppe Todesca, avrebbe confessato di aver chiesto una tangente di 260.000 euro in favore della Compagnia delle Opere ad un imprenditore.

GLI AFFARI TRASVERSALI CON LA POLITICA

Proprio l'inchiesta Why Not ha mostrato quanto forti siano le trasversalità di Cl e Compagnia delle Opere. Alleanze così estese da riflettersi nel cosiddetto "Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà", nato nel 2003 come tavolo di discussione bipartisan sulla sussidiarietà, la parolina che è il grande "cavallo di Troia" con il quale si fa a pezzi il pubblico per favorire il business dei privati. Il promotore, l'onorevole Maurizio Lupi del Pdl, è vicepresidente della Camera ed un politico in forte ascesa. Insieme a lui, nell'Intergruppo, gli azzurri Luigi Casero, Angelino Alfano, Gianfranco Blasi; per l'Udc la senatrice Maria Grazia Sestini e Luca Volontà; per la sinistra il diessino Pierluigi Bersani, Enrico Letta ed Ermete Realacci della Margherita. Tutti insieme appassionatamente per battaglie come la legge 80, inserita nel decreto sulla competitività, nota come la "Più dai, meno versi" e l'introduzione del 5 per mille nella Finanziaria 2006, ma anche per l'approvazione della legge delega in materia dell'impresa sociale.

Ma la vera novità, oggi, è senza dubbio quell'intesa organica di Cl con la Lega che ha spinto Bossi a recarsi in Vaticano e a dichiarare "Siamo noi il vero interlocutore della Chiesa", così come a utilizzare la battaglia del Giornale contro Dino Boffo per piazzare alla guida del quotidiano dei vescovi,Avvenire, un direttore (il nome che più circola è quello del ciellino doc Roberto Fontolan) gradito alla grande lobby di Comunione e Liberazione. Sul territorio, intanto,fioriscono poi realtà, come Padania Cristiana, che costituiscono il trait d'union naturale tra il leghismo militante e integralismo cattolico.
Si prepara così,a poco a poco, un blocco moderato, cattolico e affaristico, pronto a gestire con efficacia e preparazione il tramonto dell'Unto del Signore.

http://www.cdbchieri.it/rassegna_stampa_2009/cl_e_lega.htm

Lodo Mondadori, nella manovra norma che mette a rischio condanna a Berlusconi.



Roma, 4 lug. (Adnkronos) - Potrebbe avere conseguenze sulla decisione del tribunale d'appello civile in merito al lodo Mondadori la norma contenuta nel testo della manovra varata dal Governo alla fine dell'articolo 37 recante ''Disposizioni per l'efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie''. In essa si definisce la modifica a due articoli del codice di procedura civile che in sostanza determinerebbe la sospensione in appello all'esecuzione delle condanne civili che superino i dieci milioni di euro e la sospensione in Cassazione per quelle che vanno oltre i 20 milioni, in cambio di una ''idonea cauzione''. Nella norma della manovra si legge infatti che: ''Al codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 283, dopo il primo comma èinserito il seguente: 'la sospensione prevista dal comma che precede e' in ogni caso concessa per condanne di ammontare superiore a dieci milioni di euro se la parte istante presta idonea cauzione'''. E, ancora: ''b) all'articolo 373, al primo comma, dopo il secondo periodo e' inserito il seguente: 'la sospensione prevista dal presente comma e' in ogni caso concessa per condanne di ammontare superiore a venti milioni di euro se la parte istante presta idonea cauzione''

Durissima la replica alle indiscrezioni della Associazione nazionale magistrati. Per il segretario Luca Palamara ''se confermata'' la norma sul lodo Mondadori ''sarebbe una norma che nulla ha a che vedere con il tema dell'efficienza del processo civile, che determinerebbe una iiniqua disparità di trattamento e che sarebbe, quindi, incostituzionale''.Un coro di no arriva subito dall'opposizione. "Se le notizie relative alla norma sui maxi-risarcimenti contenuta nella manovra venissero confermate, ci troveremmo di fronte all'ennesimo regalo per Berlusconi confezionato dal suo governo e fatto recapitare dalla sua maggioranza. E' davvero scandaloso e imbarazzante che in una manovra destinata a pesare sulle spalle già provate dalla crisi delle famiglie e dei cittadini normali sia introdotta una norma che sospende gli effetti di una sentenza, a vantaggio delle societa' del Presidente del Consiglio. Siamo per l'ennesima volta di fronte al conflitto di interesse e a un provvedimento da furbetti", attacca Anna Finocchiaro, presidente del gruppo del Pd al Senato. "Da importanti esponenti della maggioranza - prosegue la Finocchiaro - sono venuti, anche di recente, appelli al confronto. Con le furbate non ci si confronta e questa, se fosse confermata, ci sembra l'ennesima furbata che noi non accettiamo. Il testo di questo decreto non è ancora stato depositato e inviato in Parlamento e dunque non sappiamo ancora se queste anticipazioni verranno confermate. Siamo però curiosi di capire - conclude la presidente dei senatori del Pd - come le forze di maggioranza, e la Lega in particolare che ha fatto della lotta ai privilegi un cavallo di battaglia, spiegheranno tutto questo agli italiani".

Un passo indietro e le scuse chiede Enrico Letta, vice segretario del Pd. "La norma sul Lodo-Mondadori è il primo banco di prova per il 'partito degli onesti'. Se essa non verrà immediatamente cancellata con scuse pubbliche a quegli italiani che nella stessa manovra sono chiamati è pesantemente a sacrifici, il nuovo corso del Pdl sarà in semplice continuità con quel disprezzo delle regole troppe volte dimostrato dal vecchio corso".


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