domenica 8 luglio 2012

Mappato Dna di un feto utilizzando solo il sangue della madre.


Il nuovo metodo apre le porte alla diagnosi prenatale di malattie genetiche senza esami invasivi.
ROMA
Nuovi passi avanti nella diagnostica prenatale. I ricercatori della Stanford University School of Medicine hanno mappato per la prima volta il genoma di un bebè ancora nella pancia della mamma, usando solo un campione di sangue materno. Dunque senza alcun contributo del papà. E senza analisi invasive e rischiose.

I risultati del nuovo studio, descritto su Nature, sono legati alla ricerca che è stata condotta solo un mese fa presso l'Università di Washington e che ha usato una tecnica - già sviluppata a Stanford - per sequenziare il genoma del feto utilizzando un campione di sangue dalla madre, oltre a campioni di Dna materni e paterni.

L'intero genoma mappato nel nuovo studio di Stanford tuttavia, non ha richiesto il contributo del Dna del padre, «un vantaggio significativo quando la paternità di un bambino non può essere conosciuta - rilevano gli autori - o il padre potrebbe non essere disponibile, o non vuole fornire un campione».

Insomma, questa nuova tecnica fa fare ai test genetici del feto un passo avanti verso l'uso clinico di routine. «Siamo interessati a individuare condizioni che possono essere trattate prima della nascita o subito dopo» ha spiegato Stephen Quake, autore della ricerca. «Senza queste diagnosi, neonati con malattie metaboliche curabili o disturbi del sistema immunitario soffriranno finché i sintomi diventano evidenti» dice lo studioso. Convinto che, poiché il costo di questa tecnologia continuerà a scendere, diventerà sempre più comune diagnosticare malattie genetiche entro il primo trimestre di gravidanza.

I ricercatori hanno mappato il genoma fetale usando materiale genetico circolante nel sangue materno, dunque azzerando il ricorso a tecniche invasive, che espongono a rischi per la salute di mamma e bebè.

Nel nuovo studio, i ricercatori sono stati in grado di utilizzare le sequenze di interi genomi e hanno potuto scoprire che un feto aveva ereditato la sindrome di DiGeorge, una malattia rara caratterizzata da una serie di diverse malformazioni, mappando l'intero genoma prenatale o l'esoma, la porzione del genoma che contiene le istruzioni per fabbricare le proteine. Cosa che può permettere di eseguire degli screening per individuare le varianti genetiche associate ad alcune patologie.

Corruzione: Cgia, grandi opere ci costano 90 mld in piu' (+40%).

Corruzione: Cgia, grandi opere ci costano 90 mld in piu (+40%)
(AGI) - Roma, 7 lug. - Se le dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi dalla Corte dei Conti corrispondono alla verita', le grandi opere pubbliche che saranno realizzate nei prossimi anni costeranno agli italiani oltre 90 miliardi di euro in piu' (precisamente 93,6)
A queste conclusioni e' giunta la Cgia di Mestre che ha stimato gli effetti della corruzione che, secondo quanto ha denunciato qualche giorno fa il Procuratore generale della Corte dei Conti Salvatore Nottola, farebbero lievitare i costi delle grandi opere pubbliche del 40%. 
Alla luce di cio', i tecnici della Cgia hanno recuperato il programma delle infrastrutture strategiche 2013-2015, redatto dal Governo Monti qualche mese fa, successivamente hanno calcolato la spesa complessiva che l'Esecutivo ha previsto di investire (233,9 miliardi di euro) ed infine hanno aggiunto il rincaro del 40% dovuto agli effetti della corruzione, cosi' come denunciato dalla magistratura contabile. Il risultato ottenuto e' "allarmante": sempreche' siano portate a termine, queste grandi opere costeranno al sistema Paese 93,6 miliardi di euro in piu' che equivalgono a quasi 6 punti di Pil. 
Su ciascun cittadino italiano questi effetti comporteranno un costo aggiuntivo di 1.543 euro. 
"Generalizzare e' sempre sbagliato - esordisce il segretario della Cgia di Mestre Giuseppe Bortolussi - tuttavia molte inchieste giudiziarie hanno messo in luce che le infiltrazioni malavitose negli appalti e nella realizzazione delle grandi opere pubbliche del Paese hanno fatto lievitare i costi in maniera ingiustificata. Cio' ha dato luogo ha forti distorsioni del mercato, minando le piu' elementari norme di democrazia economica. Tuttavia - prosegue Bortolussi - la corruzione e' una piaga sociale ed economica che non riguarda solo l'Italia. Secondo un'indagine realizzata nel settembre 2011 da Eurobarometro in tutti i 27 Paesi che costituiscono l'Ue, il 74% degli europei ha dichiarato che la corruzione e' un grave problema, mentre il 47% ha sostenuto che il livello di corruzione del proprio Paese e' aumentato negli ultimi 3 anni".
  Comunque sia rimane un fatto, prosegue la Cgi, anche se le cause non fossero riconducibili alla corruzione ed in generale ad altre forme di illegalita', le nostre opere pubbliche costano di piu' che negli altri Paesi. Secondo un'indagine condotta nel 2008 dall'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (Avcp), in Italia i costi medi per un chilometro di autostrada sono piu' che doppi rispetto alla Spagna. Se, invece, ci rifacciamo ad uno studio di qualche anno fa di Rete Ferroviaria Italiana (RFI - Gruppo Ferrovie dello Stato), si evince che in Italia un chilometro di rete ferroviaria costa il triplo di quanto si spende in Francia o in Spagna. "Certo - conclude Bortolussi - questi sovra costi sono in parte riconducibili a modalita' di affidamento, prescrizioni ambientali e caratteristiche orografiche del nostro territorio che non si riscontrano negli altri Paesi.
  Tuttavia, un dubbio rimane: perche' spendiamo molto di piu' degli altri?" (AGI) .


http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201207071237-ipp-rt10046-corruzione_cgia_grandi_opere_ci_costano_90_mld_in_piu_40  

Como, dal prete quasi 1.500 sms in tre anni inviati alla ragazzina. - Anna Campaniello


Don Marco Mangiacasale

Il sacerdote si sedeva vicino alla 13enne con una coperta sulla ginocchia e poi la toccava.

COMO - Cinque capi d’imputazione. Altrettante ragazzine, tutte minorenni che frequentavano l’oratorio, vittime di violenza sessuale continuata. La Procura di Como ha chiuso le indagini su don Marco Mangiacasale, l’ex economo della Diocesi ed ex parroco di San Giuliano accusato di aver avuto «relazioni amorose» con almeno cinque adolescenti. Nei telefonini del sacerdote gli inquirenti hanno trovato quasi 1.500 messaggi sms inviati a una delle ragazzine, oltre a centinaia di mail e immagini inequivocabili.
La scorsa settimana, il pubblico ministero Simona De Salvo ha inviato alla difesa la notifica della chiusura delle indagini. I legali Renato Papa e Mario Zanchetti hanno tre settimane di tempo per presentare eventuali controdeduzioni prima della richiesta, quasi scontata, di rinvio a giudizio. Il sacerdote è stato arrestato il 7 marzo scorso. Come emerso nei giorni successivi, sono cinque le ragazzine che hanno subito violenze sessuali. La più giovane ha solo 12 anni.
L’episodio più eclatante è quello dell’adolescente che per prima ha trovato la forza di denunciare la situazione dopo un incubo iniziato nel 2008, quando aveva 13 anni, e proseguito fino all’arresto di don Marco Mangiacasale. A lei l’ex parroco ha inviato in tre anni quasi 1.500 sms che sarebbero, secondo gli inquirenti, del tutto analoghi a quelli di un adolescente innamorato.
In molti casi, il religioso si sarebbe seduto accanto alla ragazzina coprendosi con una coperta per poi toccare le parti intime della vittima. I contatti sarebbero stati poi via via più intimi, ma senza arrivare a rapporti sessuali completi. Nel fascicolo della Procura ci sono poi le testimonianze di altre due 13enni, la prima palpeggiata al seno più volte durante una vacanza in Piemonte e l’altra vittima di abusi continuati, in una sorta di morbosa relazione amorosa. Episodi di violenza sono stati poi denunciati da una 12enne e da una 15enne. Nel primo interrogatorio in carcere, dopo l’arresto, don Marco Mangiacasale ha già sostanzialmente ammesso tutte le responsabilità, chiedendo scusa alle vittime e alle loro famiglie. Tramite i suoi legali ha anche fatto sapere di voler risarcire le giovanissime.

sabato 7 luglio 2012

DA SCIENZA DELLE FINANZE,1908,FRANCESCO SAVERIO NITTI, PRESIDENTE DEL CONSIGLIO.




LE ENTRATE DEL REGNO ALL'UNITA' D'italia.

Venivano dalla madre Grecia e portarono la civiltà, l'organizzazione, il commercio, l'arte, le scienze, il pensiero.

Quando il Nord dell'Italia viveva ancora nella barbarie e Roma cominciava appena ad uscirne, una serie di città greche sparse lungo le coste dell'Italia meridi
onale e della Sicilia avevano già raggiunto u...n grande livello di civiltà e di prosperità.

A partire dagli insediamenti dei Calcidesi a Pithekuossai – l'odierna Ischia – e a Cuma, nella prima metà del secolo VIII a. C., molte altre città greche sorsero nel Sud dell'Italia: Sibari, Napoli, Messina, Selinunte, Agrigento, Gela, Megara-Iblea, Crotone, Paestum, Taranto, Metaponto, Locri, Reggio, Taormina, Catania, Siracusa e costituirono la Magna Grecia.

Esse, come la madre patria, furono "poleis", ciascuna indipendente.

Tutto in quelle città fu greco: la religione, la cultura, i templi, i dipinti, le statue, il modo di abitare, l'acropoli, l'agorà, il calendario, il sistema di pesi e misure.

Cinque secoli di storia straordinaria che costituirono un modello perenne di civiltà che s'irradiò pian piano nel resto della Penisola e in Europa. E fu proprio quella parte della Magna Grecia – oggi Calabria – a regalare il nome storico di "Italia" e porsi, insieme a tutte le altre città come luogo d'incontro tra Oriente ed Occidente.

Era nato un "nuovo uomo". Era nata una nuova grande civiltà. Era nata nel Sud dell'Italia.

Vennero da lontano, anzi da molto lontano i padri fondatori di quell'incredibile "fabbrica politica del Sud".

I loro antenati Vichinghi partirono dalla Scandinavia, "regno di Odino e dei mostruosi Kroll", e scesero verso ovest fermandosi sulle coste settentrionali della Francia che assunse il nome di Normandia.

Quei barbari, rozzi e incolti, nella loro discesa verso Ovest e verso Sud, seppero però, in breve tempo, accettare il credo cristiano, sostituire il primitivo linguaggio con la lingua d'oïl di origine latina e, in poche generazioni, formarono una perfetta società feudale con i loro cavalieri e i loro nobili
I Normanni, dunque, ormai cavalieri, pragmatici ed animati da ideali, scesero nelle nostre terre, cavalcando per pianure e città, addobbati con i loro elmi, i loro spadoni, le loro calzamaglie di fil di ferro, istillando pian piano la loro straordinaria capacità a raggruppare e organizzare popoli e terre, affari e ricchezze, rapporti e modi di vita, in qualcosa che essi chiamarono regno e che noi, oggi, chiamiamo stato.
E saranno gli Altavilla ad avviare quella "fabbrica del Regno"che con alterne vicende durerà molti secoli. Così, Ruggero I cominciò a gettare le fondamenta di uno stato plurietnico e poliglotto, nel quale Normanni e Greci, Saraceni e Latini avrebbero, sotto un controllo centralizzato, conservato le proprie fedi e tradizioni culturali, in perfetta armonia e reciproco vantaggio.

Il "Regno di Napoli" o "delle Due Sicilie" o "Sud" che dir si voglia era diventato nei secoli indipendente da chi lo governava, un vitalissimo organismo geopolitico.
Il Sud disponeva oramai di una sostanziale autonomia, di un'identità forte, fatta di popolazioni amalgamate, di un'economia agricola e marinara, di un vernacolo "consonantico" che era la lingua mediterranea, di tradizioni e costumi.
E sarà proprio Ruggero II, incoronato re nella notte di Natale del 1130, con la sua saggezza e determinazione, a compiere il passo qualitativo più importante nell'opera di edificazione del Regno e, cioè, la definizione di quelle norme valide per tutte le regioni del Sud (Assise di Ariano).

I Normanni, dunque, operarono la "reductio ad unum" sul modello greco-romano, di regioni poste all'incrocio di tre specchi del Mediterraneo. La capacità in altre parole, di edificare un regno sottratto alla parcellizzazione e alla dispersione dei poteri, tipica dell'età feudale, un regno via via più strutturato, un organismo politico con i suoi popoli, le sue lingue destinate a far "koinè", le sue città ricche di storia e d'arte, la sua economia mista tra agricola e mercantile e, ovviamente, le sue leggi e istituzioni.
Un regno, insomma, sganciato dal destino dei suoi re e governatori. Questi passano, il regno resta.

Venne dalla Spagna il giovane Carlo III di Borbone, figlio di Filippo V e di Elisabetta Farnese, con l'incarico di ricomporre il Sud, il Regno delle Due Sicilie.

E così, nel luglio del 1734 iniziò l'avventura dei Borbone del Sud. Un'avventura durata 126 anni, fino al 1860, che creò uno stato indipendente con le sue leggi, la sua economia, il suo esercito, le sue tradizioni, la sua bandiera, la sua dignità.

Carlo – "il re perpetuo" – fu uno dei più saggi, autorevoli ed illuminati sovrani d'Europa. Si circondò di uomini illustri ed esperti, a cominciare da Bernardo Tanucci, sostenne la cultura, migliorò le leggi, costruì grandi opere come la Reggia di Caserta dotata di un acquedotto di ventisette miglia e il Teatro San Carlo, massimo d'Europa. Si avviarono gli scavi di Ercolano e Pompei, si costruì l'Albergo dei Poveri, commissionato a Ferdinando Fuga, dove furono accolti gli indigenti di tutto il Regno e che rimane oggi il più grande edificio del settecento esistente. Commissionò la stesura di un codice ad autorevoli giuristi, fondò nelle province scuole ed accademie, tutelò le arti e il commercio, incentivò l'agricoltura ma, soprattutto, limitò i privilegi dei baroni.
Carlo III, dunque, seppe continuare, rafforzandola, quell'identità nazionale iniziata nel 1130, regalando al Sud e a Napoli uno di periodi più splendidi della loro storia, con una definitiva indipendenza ed autonomia che sarebbe continuata , con alterne vicende, con luci e ombre, anche con gli altri sovrani fino al 1860, quando il processo di unità nazionale italiano pose fine a quella straordinaria vicenda storica durata quasi otto secoli.

Vennero dall'ostile Piemonte i liberatori sabaudi, i fratelli d'Italia che, tradendo gli ideali democratici e risorgimentali che pur avevano animato tenaci, convinte e tal volta eroiche minoranze intellettuali, imposero la loro logica di annessione e di ampliamento territoriale.
E fu l'Inferno!

Una feroce guerra civile lunga quasi dieci anni. Migliaia di morti. Migliaia di prigionieri rinchiusi nei lager del Nord Italia. Intere città rase al suolo. Atti di barbarie, come le avvisaglie prenaziste del generale Cialdini. Il saccheggio dell'intera ricchezza di quello che era stato, in assoluto, il più ricco degli stati italiani.
Per Mafia e Camorra, poi, cui fu affidato subito l'ordine pubblico e la gestione del plebiscito, si aprì una nuova epoca: il potere pubblico – nella nascente Italia unita – aveva bisogno "istituzionalmente" dei loro servizi e pagava…pagava bene, come nel caso dei trentaquattro miliardi (a valore di oggi) girati alla Camorra.
Venne, poi, l'emigrazione forzata. Nel solo periodo che va dal 1876 al 1920, circa un milione e ottocentomila meridionali furono costretti ad emigrare in lontane terre, con il loro carico di dolore e di nostalgie.
Ma venne soprattutto l'incomprensione. La demonizzazione del meridionale, la "razza maledetta", "la palla al piede", le teorie razziste, giunte come si sa fino ai giorni nostri.
Ma sia ben chiaro: tutto ciò è potuto accadere anche grazie alle gravi responsabilità di molti meridionali presenti nella politica, nelle istituzioni, nell'economia, nell'informazione, che hanno tradito il loro popolo, svendendo per i propri tornaconti la dignità di milioni di persone. Ignobili figure da relegare nella discarica della storia.

Il Sud, però, dato più volte per spacciato è sempre riuscito a sopravvivere, a rialzarsi anche nei momenti più drammatici della sua lunga vicenda storica.
È rimasto vivo e geloso della propria identità, rigettando spesso inconsciamente, ogni sostanziale forma di adattamento estranea alla sua tradizione.

Una lunga storia quella della nazione meridionale che deve ritornare a guardare al futuro con la consapevolezza di aver avuto un grande passato.
Nuovi uomini, nuove donne, nuove sane energie che debbono oggi unirsi per costruire una "Comunità Politica" del Mezzogiorno, sviluppando un progetto di rinascita e di ricostruzione dell'identità territoriale.
Un esercito delle coscienze motivato e determinato pronto a marciare verso i sentieri delle future generazioni.



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Una spiaggia per tutti? Irruzione nel giardino vista mare di Alfredo Romeo.



I cittadini e i comitati napoletani che chiedono una spiaggia pubblica a Napoli inscenano una protesta sui lidi di Posillipo e irrompono nel giardino vista mare piantato davanti alla casa dell'imprenditore Alfredo Romeo, attualmente impiegato nella dismissione del patrimonio comunale di Napoli. L'occupazione del suolo demaniale ha visto l'imprenditore perdere una causa in primo grado e costretto dalla magistratura a rimuovere le barriere che impedivano l'accesso a una spiaggia pubblica totalmente abbandonata dall'amministrazione comunale della città.

http://youmedia.fanpage.it/video/T_hgYOSwvv3WPTso

INAUDITO!

Regione senza soldi ma arrivano cinque nuove assunzioni. - Filippo Passantino


Scatta così il turnover a Palazzo dei Normanni. Intanto, l’assessorato alle Risorse agricole ha nominato altri due consulenti, che si sommano ai 10 già in carica. Una nuova girandola di nomine riguarda i palazzi del potere siciliano, nonostante la crisi di liquidità


PALERMO. L’Ars non ha i soldi per pagare stipendi e pensioni del mese di giugno. Eppure stabilizzerà sette collaboratori dei gruppi parlamentari. Scatta così il turnover a Palazzo dei Normanni. Intanto, l’assessorato alle Risorse agricole ha nominato altri due consulenti, che si sommano ai 10 già in carica. Una nuova girandola di nomine riguarda i palazzi del potere siciliano, nonostante la crisi di liquidità che colpisce la Regione.  Il Consiglio di Presidenza dell'Ars ha deliberato l’assunzione a tempo indeterminato di alcuni collaboratori dei gruppi parlamentari. Sette, in tutto. Sostituiranno altrettanti dipendenti che andranno in pensione tra il 2012 e il 2013. Si tratta di Bernarda Costantino e Francesco Riti per il Pdl, Antonello Ravetto Antinori, Daniela Collarà e Nicola Cirincione per il Pd, Agostino Fragapane e Giovanni Cacioppo per l’Mpa. Secondo gli uffici, dovrebbe essere un turn over progressivo che non farà incrementare il numero dei dipendenti, che così resterebbero sempre 78.

L’individuazione dei nomi sarebbe avvenuta per anzianità. Le loro collaborazioni sono state avviate prima del 2006. Un requisito da dimostrare con versamenti Inps. Ma se da un lato all’Ars si andrà avanti con le stabilizzazioni, dall'altro gli stipendi del mese di giugno per i dipendenti restano un’incognita. Secondo gli uffici di Palazzo dei Normanni, continua a mancare un’ultima parte dei trasferimenti che la Regione versa mensilmente nelle casse dell'Ars. Si tratterebbe di 15 milioni, che servono per pagare non solo gli stipendi, ma anche pensioni, fornitori e contributi ai gruppi. Soldi che, invece, per l'assessorato all’Economia ci sono. Ma che non potranno essere erogati a lungo. Motivo per cui l’assessore all’Economia, Gaetano Armao, ha depositato all’Ars un emendamento per chiedere ai deputati di ridurre i costi. Tagli che, però, potranno essere disposti solo nel nuovo bilancio. Dagli uffici dell'Ars replicano che c’è già stato un adeguamento ai parametri imposti dal Senato. E quindi, un taglio del 5 per cento al compenso dei dipendenti che percepiscono più di 90 mila euro all'anno e del 10 per cento per chi guadagna più di 150 mila euro. «Avevamo avvertito che la Regione, nel giro di qualche settimana, non avrebbe avuto più liquidità per la sussistenza», ricorda il segretario regionale della Cisl, Maurizio Bernava. 

La mancanza di liquidità si ripercuote pure sugli insegnanti di scuola materna, stabilizzati dalla Regione nel 2001. Come i dipendenti dei gruppi dell'Ars, anche loro non hanno ricevuto stipendi. Sono già stati siglati, invece, due nuovi incarichi di consulenza all'assessorato alle Risorse Agricole. L’assessore Francesco Aiello ha scelto Santo Bono e Rosario Cavallo. Nessuno dei due è laureato ed entrambi hanno in comune esperienze nella formazione professionale. Il primo dovrà occuparsi di «supporto tecnico per le iniziative agricole e del raccordo con i soggetti operanti nel settore». 

Il secondo, invece, dovrà fornire assistenza «per lo sviluppo delle attività agricole». In particolare, al centro del suo lavoro vi saranno «azioni di informazione». Entrambi guadagneranno poco più di 3 mila euro. E i loro incarichi non dureranno per più di tre mesi. Per Rosario Cavallo si tratta della prima consulenza. Santo Bono, ex consigliere comunale di Sciacca, invece ha ottenuto il rinnovo di un incarico che aveva già svolto oltre un anno fa.

G8 di Genova, la storia di Mark Covell Un sopravvissuto della scuola Diaz. - Roberta Zunini





Il cronista inglese accusa: "Nessuno ha mai pagato". In un video ha ricostruito le aggressioni da parte delle forze dell'ordine. "Non tutti gli agenti sono stati identificati. Chi sa, parli".

Cittadino onorario di Genova “per la forza e il coraggio dimostrati nell’espletamento della sua funzione di informazione e divulgazione giornalistica su quanto visto e vissuto durante gli eventi del G8 2001, rappresentando tutti coloro che si pongono al servizio della libertà di stampa anche a rischio della propria incolumità”. L’inglese Mark Covell, una delle vittime dell’assalto alla scuola Diaz, è stato insignito della cittadinanza onoraria dal sindaco Marta Vincenzi a dieci anni dalla notte in cui le sue costole furono fratturate, i polmoni perforati e fu ricoverato in fin di vita per emorragie interne con danni alla spina dorsale e 16 denti in meno.
Mark Covell non ride mai: non solo non gli riesce psicologicamente a causa di un disturbo psicologico da stress post traumatico ancora molto forte, ma per non mostrare la sua dentiera sgangherata, da vecchio indigente. Peccato che questo uomo piccolo e scheletrico non sia anziano : ha 43 anni. Quella del giornalista indipendente inglese Mark Covell, è la storia di una vita andata male. Presa a calci dal populismo becero di una classe politica tanto arrogante quanto priva di morale, in grado di orientare, con una dose di cinismo senza possibilità di mediazione, tutto ciò che da lei dipende, comprese le forze dell’ordine. Se a sfigurargli il volto e a mandarlo in coma – la notte tra il 21 e il 22 luglio del 2001, a Genova, davanti al cancello della scuola Diaz – furono gli scarponi, i manganelli e i pugni della polizia, non c’è dubbio che il clima politico di allora avesse contribuito a far sentire onnipotenti le forze di sicurezza. L’assalto alla sede del Social Forum fu anche la traduzione con tecniche da “macelleria messicana” (come disse il comandante Michelangelo Fournier) della visione dispotica del potere da parte del governo di allora e specialmente di alcuni suoi esponenti.
Sospensioni, non promozioni
“A distanza di 10 anni, ciò che fa male è vedere che dirigenti della polizia, come Spartaco Mortola, condannati in appello per i pestaggi di quella notte, sono stati promossi – dice con una smorfia di disgusto – e Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini sono ancora ai vertici delle istituzioni italiane. Con il loro atteggiamento hanno creato il clima affinché alla Diaz e a Bolzaneto venissero violati i trattati internazionali, ratificati peraltro dall’Italia, a protezione delle libertà civili degli individui, come il diritto di esprimersi, di non venire puniti fisicamente, di non essere torturati, di avere una difesa legale, di non essere detenuti arbitrariamente”. Mark Covell ragiona da cittadino del mondo anglosassone, dove i politici si dimettono per questioni di opportunità, di etica, non solo per aver commesso un crimine. Il giornalista prima di andare a Genova, la settimana scorsa è andato a Roma per cercare di incontrare i rappresentanti sindacali della polizia e chiedere loro di fare pressione affinché vengano sospesi gli ufficiali e gli agenti della pubblica sicurezza, che nella sentenza d’appello del 2008, furono condannati. “L’Inghilterra non è certo un paese perfetto ma, come potete vedere anche da ciò che sta accadendo in questi giorni, i vertici della polizia si sono dimessi ancor prima di andare a processo”. Sono rimasto scioccato quando ho saputo che Mortola era stato promosso addirittura questore. Non chiedo, come avviene nel mio paese, che un alto ufficiale, condannato in secondo grado di giudizio, venga sospeso, ma che almeno non venga promosso”.
E cosa le hanno risposto? “Che non dovevo rivolgermi a loro ma al ministro dell’Interno ”. Lo farà? “Non ho molta fiducia, il ministero dell’Interno, in quanto istituzione, non ha mai collaborato attivamente. L’amministrazione della polizia che dipende dal ministero durante le indagini mandò alla Procura una lista incompleta dei nomi dei poliziotti che assaltarono la Diaz. La stessa amministrazione successivamente ne mandò un’altra con nuovi nomi, ma sempre incompleta”. Enrico Zucca, il pubblico ministero che condusse le indagini, ricorda al Fatto che nelle liste non c’era nemmeno il nome di Troiani, il poliziotto che portò le molotov nella scuola. Il ministero peraltro (sia durante il governo Berlusconi sia in quello Prodi) non ha mai voluto riconoscere il diritto al risarcimento di Covell. Che in questo decennio ha dovuto scegliere se indebitarsi per farsi impiantare i denti o per non morire di depressione. “Ho deciso di spendere i pochi soldi che avevo e di chiedere un prestito per fare una ricostruzione video, il più possibile precisa, di quanto accadde quella notte. Ho dovuto acquistare computer e software sofisticati. Ho messo assieme un documentario di due ore, dove attraverso i punti di vista di sei telecamere, si riesce a capire meglio quanto gli ufficiali di polizia fossero stati vicini a me mentre venivo picchiato a più riprese dai loro agenti. Non potevano dunque non sapere”.
Il corpo inerme di Covell fu lasciato per venti minuti senza soccorso, pur essendo circondato da decine di funzionari di pubblica sicurezza. “Che hanno sempre negato di avermi mai visto. Ma la sentenza d’appello, attraverso le ricostruzioni video, ha dimostrato che mentivano”. Nessuno ancora oggi sa chi ha massacrato Covell. Questa storia però ha distrutto la sua vita. I genitori e la sorella hanno creduto ai resoconti della polizia italiana, anziché a lui e hanno tagliato tutti i contatti Indymedia, e stavo andando alla Diaz per dormire, con il mio regolare accredito stampa appeso al collo”.
Covell è una persona molto fragile ma determinata. “Spero che attraverso il video dove si vedono alcuni agenti dei quali gli inquirenti non hanno scoperto i nomi, qualcuno che li conosce si faccia vivo”. Quest’uomo provato e sfiduciato, spera ancora che qualche agente o in generale i testimoni, finora rimasti in silenzio, dicano quel che sanno. “Spero che entro 24 anni, ne sono già passati 10 purtroppo, la magistratura riesca a istruire un nuovo processo per tentato omicidio nei miei confronti. Sono stato picchiato in quattro momenti senza motivo. Ho perso conoscenza e sono vivo solo perché, mentre ero disteso a terra svenuto, qualcuno ha avuto pietà e mi ha trascinato via per poi caricarmi su un’ambulanza. Sono stato in ospedale per giorni e hanno tentato di arrestarmi e portarmi a Bolzaneto. Per fortuna l’ambasciata inglese lo ha impedito. Lo so che sarà difficile, ma vorrei che Spartaco Mortola e tutti gli alti dirigenti presenti venissero indagati per tentato omicidio nei miei confronti. Altro che promossi questori”.
“Criminiancora coperti”
Mark Covell si stanca facilmente, non è più riuscito a trovare un lavoro fisso, vive del sussidio di disoccupazione in una casa popolare nella periferia di Londra. Non ha ancora ricevuto alcun risarcimento. E beffa delle beffe, per molti anni, dopo essere rientrato in Inghilterra ha avuto la polizia inglese alle calcagna: nessuno in Italia probabilmente si era ricordato di avvisarla che Covell non aveva commesso alcun reato e che il suo arresto per associazione a delinquere, utilizzo di armi da guerra (le molotov) e resistenza, era illegittimo. Enrico Zucca ha detto al Fatto: “Ancora oggi il riscatto dell’immagine e della autorevolezza della polizia è nelle mani della stessa polizia. Occorre che chi ha salvato dalla furia dei colleghi Mark Covell prenda le distanze da quel fatto criminoso. Altrimenti sarà difficile ricostruire il rapporto di fiducia con un’istituzione che spesso fa appello al senso civico dei cittadini e al loro coraggio di denunciare. Ma sarà possibile quando le coperture di quei crimini provengono dai vertici di quel corpo? E quando nessun’altra istituzione richiede la trasparenza? Una cosa è chiara: il solo accertamento giudiziario non basta né alla diagnosi completa dei mali né alla loro cura. La prevenzione e la repressione delle violazioni dei diritti umani infatti, come richiedono gli standard della Corte di Strasburgo, chiamano alla responsabilità e alla salvaguardia dei diritti inviolabili tutte le istituzioni dello Stato”.
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