Il nuovo metodo apre le porte alla diagnosi prenatale di malattie genetiche senza esami invasivi.
ROMA
Nuovi passi avanti nella diagnostica prenatale. I ricercatori della Stanford University School of Medicine hanno mappato per la prima volta il genoma di un bebè ancora nella pancia della mamma, usando solo un campione di sangue materno. Dunque senza alcun contributo del papà. E senza analisi invasive e rischiose.
I risultati del nuovo studio, descritto su Nature, sono legati alla ricerca che è stata condotta solo un mese fa presso l'Università di Washington e che ha usato una tecnica - già sviluppata a Stanford - per sequenziare il genoma del feto utilizzando un campione di sangue dalla madre, oltre a campioni di Dna materni e paterni.
L'intero genoma mappato nel nuovo studio di Stanford tuttavia, non ha richiesto il contributo del Dna del padre, «un vantaggio significativo quando la paternità di un bambino non può essere conosciuta - rilevano gli autori - o il padre potrebbe non essere disponibile, o non vuole fornire un campione».
Insomma, questa nuova tecnica fa fare ai test genetici del feto un passo avanti verso l'uso clinico di routine. «Siamo interessati a individuare condizioni che possono essere trattate prima della nascita o subito dopo» ha spiegato Stephen Quake, autore della ricerca. «Senza queste diagnosi, neonati con malattie metaboliche curabili o disturbi del sistema immunitario soffriranno finché i sintomi diventano evidenti» dice lo studioso. Convinto che, poiché il costo di questa tecnologia continuerà a scendere, diventerà sempre più comune diagnosticare malattie genetiche entro il primo trimestre di gravidanza.
I ricercatori hanno mappato il genoma fetale usando materiale genetico circolante nel sangue materno, dunque azzerando il ricorso a tecniche invasive, che espongono a rischi per la salute di mamma e bebè.
Nel nuovo studio, i ricercatori sono stati in grado di utilizzare le sequenze di interi genomi e hanno potuto scoprire che un feto aveva ereditato la sindrome di DiGeorge, una malattia rara caratterizzata da una serie di diverse malformazioni, mappando l'intero genoma prenatale o l'esoma, la porzione del genoma che contiene le istruzioni per fabbricare le proteine. Cosa che può permettere di eseguire degli screening per individuare le varianti genetiche associate ad alcune patologie.
I risultati del nuovo studio, descritto su Nature, sono legati alla ricerca che è stata condotta solo un mese fa presso l'Università di Washington e che ha usato una tecnica - già sviluppata a Stanford - per sequenziare il genoma del feto utilizzando un campione di sangue dalla madre, oltre a campioni di Dna materni e paterni.
L'intero genoma mappato nel nuovo studio di Stanford tuttavia, non ha richiesto il contributo del Dna del padre, «un vantaggio significativo quando la paternità di un bambino non può essere conosciuta - rilevano gli autori - o il padre potrebbe non essere disponibile, o non vuole fornire un campione».
Insomma, questa nuova tecnica fa fare ai test genetici del feto un passo avanti verso l'uso clinico di routine. «Siamo interessati a individuare condizioni che possono essere trattate prima della nascita o subito dopo» ha spiegato Stephen Quake, autore della ricerca. «Senza queste diagnosi, neonati con malattie metaboliche curabili o disturbi del sistema immunitario soffriranno finché i sintomi diventano evidenti» dice lo studioso. Convinto che, poiché il costo di questa tecnologia continuerà a scendere, diventerà sempre più comune diagnosticare malattie genetiche entro il primo trimestre di gravidanza.
I ricercatori hanno mappato il genoma fetale usando materiale genetico circolante nel sangue materno, dunque azzerando il ricorso a tecniche invasive, che espongono a rischi per la salute di mamma e bebè.
Nel nuovo studio, i ricercatori sono stati in grado di utilizzare le sequenze di interi genomi e hanno potuto scoprire che un feto aveva ereditato la sindrome di DiGeorge, una malattia rara caratterizzata da una serie di diverse malformazioni, mappando l'intero genoma prenatale o l'esoma, la porzione del genoma che contiene le istruzioni per fabbricare le proteine. Cosa che può permettere di eseguire degli screening per individuare le varianti genetiche associate ad alcune patologie.