giovedì 20 giugno 2019

Roma, arrestato imprenditore grazie all’infiltrato sotto copertura: ha cercato di corrompere un funzionario delle dogane. - Vincenzo Bisbiglia

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Ciro Laurenza, 58 anni della provincia di Napoli, e Enzo Cesarini, 47 anni, speravano di comprare la complicità del pubblico ufficiale per iniziare una esportazione di beni fittizia, tabacchi ed alcolici in particolare, per la successiva rivendita in nero sul mercato estero. L'uomo ha denunciato e ha fatto arrestare i corruttori.

Per la prima volta dall’entrata in vigore della legge Spazzacorrotti, approvata dal Parlamento alla fine del 2018, una operazione sotto copertura contribuisce in maniera determinante a un arresto. A Roma, un tentativo di corruzione a un funzionario delle dogane undercover ha permesso alla Squadra Mobile di arrestare un imprenditore e il suo intermediario. Ciro Laurenza, 58 anni della provincia di Napoli, e Enzo Cesarini, 47 anni, speravano di comprare la complicità del pubblico ufficiale per iniziare una esportazione di beni fittizia, tabacchi ed alcolici in particolare, per la successiva rivendita in nero sul mercato estero.
Nel corso di una cena in un noto ristorante del litorale romano, i due hanno offerto al funzionario 5 milioni di euro per ottenere il via libera e la collaborazione necessaria a permettere che tutto filasse liscio. La prima denuncia del funzionario doganale ha consentito l’avvio degli accertamenti, che hanno consegnato ai pm di Roma, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, indizi chiari sulla effettiva serietà e concretezza della proposta corruttiva, figlia di una ben collaudata modalità d’azione e di un sistema illecito di frode sulle accise strutturato e molto redditizio. A quel punto, grazie alla nuova normativa, è stato possibile organizzare la “trappola”. Durante la cena, una volta perfezionata l’istigazione, il personale di polizia presente ha potuto immediatamente intervenire, arrestando i due corruttori.
Le successive perquisizioni effettuate presso abitazioni e uffici, hanno permesso di ottenere altri indizi importati, specie grazie alle chat e alle telefonate memorizzate negli smartphone sequestrati. Inoltre sono state rinvenute schede telefoniche che, tra l’altro, dovevano essere consegnate al funzionario di dogana. 
Nei giorni scorsi, la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale sulla legge spazzacorrotti, inviando gli atti alla Corte Costituzionale. In realtà, il punto messo in discussione non riguarda il funzionamento in se, ma la possibile non retroattività della legge, che dal 31 gennaio manda obbligatoriamente in carcere i condannati definitivi per reati contro la pubblica amministrazione, senza poter chiedere, in stato di libertà, una misura alternativa.

Governo, nella lettera di Conte all’Ue attacchi ai partner che fanno concorrenza fiscale e alla Germania per il surplus.

Governo, nella lettera di Conte all’Ue attacchi ai partner che fanno concorrenza fiscale e alla Germania per il surplus

La missiva è stata inviata agli altri 27, al presidente della commissione Juncker e al presidente del Consiglio Ue Tusk: è la prima risposta politica nel percorso per evitare la procedura d'infrazione. Il presidente del Consiglio promette il rispetto dei vincoli ma aggiunge: "Necessità di ridefinire la governance economica dell'Eurozona". E critica la gestione della crisi greca, i Paesi che "si adoperano per attrarre base fiscale" (leggi Olanda e Irlanda) e quelli le cui "politiche macroeconomiche sono dirette a conseguire ampi surplus di parte corrente e di bilancio": riferimento diretto a Berlino.


La promessa di Giuseppe Conte era quella di un Consiglio dei ministri “interessante”. E al termine della riunione di governo fonti di Palazzo Chigi hanno annunciato che è stata inviata la lettera del premier indirizzata agli altri 27 Paesi membri Ue, al presidente della commissione Ue Jean Claude Juncker e al presidente del Consiglio Ue Donald Tusk. Un testo dai contenuti politici, come aveva anticipato Conte, che nel piano del governo è il primo passo per cercare di evitare la procedura d’infrazione per debito eccessivo. Il premier sottolinea ai leader europei la necessità di aprire “una ‘fase costituente‘ per ridisegnare le regole delle nostre società e delle nostre economie”. Tradotto: l’Italia contrariamente alle rivendicazioni del vicepremier Matteo Salvini si impegnerà a rispettare i vincoli attuali, ma ora vanno cambiati.
Conte in premessa spiega che l’Italia “non intende sottrarsi” alle regole del Patto di stabilità e crescita “né intende reclamare deroghe o concessioni rispetto a prescrizioni che, finché non saranno modificate, sono in vigore ed è giusto che siano tenuto in conto dai Governi di tutti gli Stati membri”. Allo stesso tempo però il governo italiano “con la medesima determinazione” avverte “l’urgenza e la necessità di stimolare una discussione che miri a ridefinire la governance economica dell’Eurozona e dell’Unione, che non si è dimostrata adeguata ad assolvere i compiti per i quali era stata pensata”, si legge ancora nella lettera del premier.
E per evidenziarne le pecche non mancano un riferimento polemico alla gestione della crisi greca e accuse ai partner europei che fanno una “accentuata concorrenza fiscale” e “si adoperano per attrarre base fiscale” (leggi Olanda e Irlanda) oltre che a quelli le cui “politiche macroeconomiche sono prevalentemente dirette a conseguire ampi surplus di parte corrente e di bilancio, piuttosto che ad attivare politiche di investimento, di innovazione, di protezione sociale e di tutela ambientale”. E’ l’identikit della Germania. “L’Italia e l’Europa sono tanto più danneggiate se questi surplus istigano reazioni protezionistiche da parte dei nostri più importanti partner commerciali“. Come gli Usa.
“L’Italia in quanto Paese fondatore della casa comune” europea, “avverte la piena responsabilità di coltivare un dialogo aperto e costruttivo con la commissione Ue“, scrive il premier all’Ue. “Lo ha dimostrato anche nel dicembre 2018, allorché un intenso negoziato ha consentito di chiarire i dettagli della nostra manovra“, si legge. “Ritengo nostro dovere aprire adesso, senza ulteriore indugio una fase costituente per ridisegnare le regole di governo delle nostre società e delle nostre economie riconsiderando modelli di sviluppo e crescita che si sono rivelati inadeguati di fronte alle sfide poste da società impoverite, attraversate da sfiducia, rancore e delusione“. “Prima che l’Ue si trovi a dover affrontare nuove crisi finanziarie sistemiche e globali occorre una riflessione approfondita su come assicurare un effettivo equilibrio tra stabilità e crescita, tra riduzione e condivisione dei rischi. Come l’esperienza ha dimostrato se per assicurare la piena realizzazione dell’uno si sacrifica l’altro si rischia di pagare un prezzo molto alto per la coesione sociale ed economica dei Paesi membri e per la credibilità stessa del progetto europeo“, sottolinea il premier in un altro passaggio della lettera.



Conte ha voluto accelerare i tempi, non solo inviando la lettera, ma anche portando al Consiglio dei ministri insieme al ministro dell’Economia, Giovanni Tria, una prima bozza del ddl di assestamento di bilancio, “in modo da certificare il monitoraggio positivo dei conti pubblici, del quadro di finanza e in modo da avere un ulteriore documento ufficiale da portare ai nostri interlocutori”. L’intenzione di Conte è quella di preparare anche in vista del Consiglio europeo del 20 e 21 giugno un’ulteriore risposta più concreta all’Europa e certificare che l’indebitamento netto del 2019 sarà quantomeno intorno al 2,1/2,2% del Pil, sotto il 2,5% stimato dalla Commissione Ue. Il testo è stato discusso ma non approvato, perché prima serve il giudizio di parificazione della Corte dei Conti atteso per mercoledì prossimo. Nel comunicato si legge solamente che Tria “ha informato il Consiglio dei ministri degli andamenti tendenziali di finanza pubblica in conformità a quanto previsto dall’art. 1, commi 1119 e 1120, della legge di bilancio per il 2019. Il Consiglio ha deliberato in merito”.
Lo scontro M5s-Lega sul decreto Crescita. Il Cdm è iniziato con un’ora di ritardo. Il premier non aveva fatto i conti con il nuovo scontro tra M5s e Lega che si è consumato alla Camera. Il Carroccio voleva inserire nel decreto Crescita un emendamento sui fondi europei per il Sud. Il M5s si è messo di traverso con la ministra Barbara Lezzi. La discussione a Montecitorio è rinviata a giovedì su richiesta del relatore pentastellato Raphael Raduzzi. Al termine del Cdm, fonti della Lega hanno annunciato che un accordo è stato trovato e che il testo tornerà in commissione per modifiche meramente tecniche. E le stessi fonti del Carroccio sottolineano che “la prossima settimana” il testo sulle Autonomie approderà in Consiglio dei ministri,  oltre a essere stilato un impegno a tutelare i 15mila lavoratori Ilva. Fonti del Movimento 5 stelle precisano che l’emendamento della Lega al dl Crescita verrà “stralciato” e che il testo sulle Autonomie approderà in Cdm solo dopo la discussione della riforma in un tavolo politico ad hoc, dove bisognerà sciogliere i nodi ancora presenti.
Approvato il ddl Cantierambiente voluto da Costa. Intanto questo Cdm, terminato poco dopo le 22.15, ha approvato anche il ddl Cantierambiente, ovvero le disposizioni per il potenziamento e la velocizzazione degli interventi su dissesto idrogeologico e sulla salvaguardia del territorio. Il provvedimento, voluto fortemente dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa, realizza gli obiettivi indicati nel Piano ‘Proteggi Italia’, consentendo di spendere i 6,5 miliardi di euro che costituiscono il Piano Marshall contro il dissesto. L’obiettivo del provvedimento, si legge in una nota del ministero dell’Ambiente, è quello “di ridurre la burocrazia, semplificare i passaggi amministrativi, anticipare i fondi per la progettazione, affiancare le regioni, programmare cicli di interventi per la messa in sicurezza del territorio”.
Approvata riorganizzazione di cinque ministeri. Via libera del Cdm anche alla nomina, su proposta del ministro della Difesa Elisabetta Trenta, dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone come nuovo capo di stato maggiore della Marina e di Franco Bettoni a presidente dell’Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro. Inoltre la riunione di governo,  su proposta di Conte e dei rispettivi ministri, ha approvato cinque regolamenti, da adottarsi con altrettanti decreti del presidente del Consiglio dei ministri, “che introducono norme di modifica all’organizzazione del ministero per i Beni e le attività culturali, del ministero della Giustizia, del ministero dell’Ambiente e del ministero dello Sviluppo economico, compresi gli Uffici di diretta collaborazione dei Ministri e gli Organismi indipendenti di valutazione della performance”. Lo riferisce il comunicato di Palazzo Chigi. “Le riorganizzazioni approvate – si spiega – mirano a potenziare l’efficienza, contenere la spesa e razionalizzare la governance dei ministeri coinvolti, eliminando alcune distribuzioni di competenze, il frazionamento di funzioni, la sovrapposizione e la duplicazione di attività e calibrando le dotazioni in termini di uffici e personale sull’entità dei compiti assegnati”.
Il vertice sulla Giustizia con Bonafede e Buongiorno. Tempi dei processi dimezzati e sanzioni per i magistrati che non li rispettano, ma anche interventi sul Consiglio superiore della magistratura, con una stretta sulla meritocrazia come criterio per le nomine e per gli avanzamenti di carriera e un tetto al compenso dei togati. Questi i principali argomenti sul tavolo del vertice sulla giustizia, iniziato in tarda serata a Palazzo Chigi e a cui partecipa il premier, i vice Salvini e Di Maio, assieme ai ministri Bonafede e Buongiorno. Oltre alla riforma dei processi civile e penale, su cui da tempo lavora il Guardasigilli, entrano nel dossier dunque anche i temi legati allo scandalo che ha coinvolto il Consiglio superiore della magistratura, con gli incontri tra toghe e politici per distribuire i posti ai vertici delle principali procure italiane, emersi dall’inchiesta di Perugia.
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/20/governo-nella-lettera-di-conte-allue-attacchi-ai-partner-che-fanno-concorrenza-fiscale-e-alla-germania-per-il-surplus/5267936/

Sono orgogliosa del nostro premier e ugualmente orgogliosa di quanto sta facendo l'attuale governo. Siamo solo all'inizio, ma se l'Italia darà spazio e fiducia ai ragazzi del m5s, con il tempo, riuscirà a riconquistare il prestigio che aveva e che le spetta di diritto.

Altro che voto anticipato: è l’estate dell’incubo trojan. - Antonio Padellaro

Altro che voto anticipato: è l’estate dell’incubo trojan

La lotta alla corruzione - Il Guardasigilli Bonafade ha introdotto il trojan con la Spazzacorrotti - Ansa

Giorni fa, un deputato di un partito che non dico a cui chiedevo novità sulla durata del governo, mostrandosi scarsamente interessato all’argomento mi ha interrotto citando un articolo sull’uso investigativo del trojan pubblicato sul Fatto (penso si riferisse all’intervista di Vincenzo Iurillo all’esperto informatico Gioacchino Genchi). Voleva conferme che il virus che trasforma i telefonini in microspie ambientali surriscalda l’apparecchio e scarica rapidamente la batteria. “È vero che esiste un congegno che misura la temperatura dei cellulari?”, ha chiesto con voce speranzosa.
Ho risposto che non lo sapevo ma ho capito che mentre noi giornalisti ci affanniamo a vaticinare su elezioni anticipate a settembre, o nella primavera prossima o chissà quando, non teniamo conto delle conseguenze imprevedibili che il subdolo bacillo elettronico potrebbe scatenare nel mondo politico, e in quello del potere diffuso, dopo aver devastato la magistratura con il caso Palamara-Csm. Sarà l’estate del trojan? Neanche a farlo apposta proprio ieri, il ministro grillino della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha pronunciato tre frasi davvero poco tranquillizzanti per il nostro deputato, e per tutti coloro interessati al riscaldamento indotto dei loro cellulari. 
La prima: “La legge Spazzacorrotti ha introdotto il trojan e da cinque mesi stiamo scoprendo tantissimi casi che non avremmo scoperto”. 
La seconda: “Noi non possiamo riportare le lancette indietro nel tempo, a quando la politica pensava che fosse giusto che il popolo italiano non doveva sapere cosa accadeva in certi contesti. La lotta alla corruzione non deve arretrare di un millimetro”. 
La terza: “Sulla pubblicazione delle intercettazioni il governo seguirà il principio della Cassazione: si possono diffondere i dialoghi che hanno ‘preminente interesse pubblico’”.
Alla luce della dottrina Bonafede, non è difficile immaginare i pensieri che frulleranno nella testa di coloro che agiscono “in certi contesti”. Per esempio: cinque mesi sono un’eternità e se sono nel mirino di qualche pm vai a sapere cosa ha registrato nel frattempo quel cz di telefonino che tengo sempre in tasca. Oppure: non mi ricordo se quella volta che… lo avevo spento o era rimasto acceso? Il problema però potrebbe allargarsi a dismisura poiché, come dimostra l’inchiesta Csm, grazie all’implacabile trojan le intercettazioni ambientali sono come la pesca a strascico: chi piglia piglia, e soltanto dopo si vede se ci sono o no reati. Come ha sperimentato a sue spese il consigliere Corrado Cartoni che, malgrado si fosse assopito sul divano durante una riunione notturna sulle nomine, è stato lo stesso individuato da una innocente frase di Cosimo Ferri: “Si è svegliato Corrado”. 
E patatrac. Naturalmente, diamo per scontato che la stragrande maggioranza, anzi la totalità di coloro che ricoprono incarichi pubblici siano persone perbene che nulla hanno da temere dal trojan. E che, dunque il futuro del governo sarà influenzato dalle consuete dinamiche di maggioranza, giammai dalla lotta alla corruzione, “che non arretrerà di un millimetro”.
Un deputato mi ha interrotto citando un articolo sull’uso investigativo del telefonino
Senza contare che il ministro Bonafede ha precisato che si agirà sulla “fuga di notizie che riguardano terzi citati nelle intercettazioni da parte di indagati, o fatti della vita privata che vanno tutelati”. Subito ho cercato di rassicurare la mia fonte: vedi, se non hai fatto nulla di male non hai nulla da temere, e poi sicuramente Bonafede vigilerà. 
Mi sono informato, ha replicato lui pimpante: il trojan smette di funzionare se stacchi la batteria o se ficchi il telefonino nel frigorifero.

Il Caltagiro. - Marco Travaglio

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Ieri, in stereofonia, quei due bocciuoli di rosa di Francesco Gaetano Caltagirone e Matteo Salvini hanno notificato l’ingiunzione di sfratto a Virginia Raggi. Il primo l’ha fatto con editoriale a tutta prima pagina del suo Messaggero, dal titolo: “Raggi incapace, Roma muore. Perché la sindaca deve passare la mano dopo tre anni di non governo”. Il secondo, sincronizzato al minuto, ha annunciato il programma della Lega per prendersi Roma con due anni di anticipo sulla scadenza della sindacatura. Nulla di strano, intendiamoci. La Lega è all’opposizione della giunta dei 5Stelle, anche se governa con loro a livello nazionale. E il Messaggero, cioè Caltagirone, è all’opposizione della Raggi fin da prima che la Raggi fosse eletta. Il 20 marzo 2016, in campagna elettorale, la candidata M5S aveva detto a Sky che, se eletta, avrebbe “cambiato il management di Acea, composto da un’accozzaglia di nomi in gran parte scelti da Caltagirone con il lasciapassare del suo amico Renzi”. Quattro giorni dopo il Messaggero sparò in prima pagina: “Il caso Acea. La Raggi parla e i romani perdono 71 milioni. Dopo le imprudenti dichiarazioni della candidata-sindaco, le azioni Acea crollano del 4,7%. Bruciati 142 milioni. Il danno maggiore è per il Campidoglio, azionista al 51%”. Morale: cari romani, non votate per una tizia che pronuncia “parole demagogiche e irresponsabili”, di cui “non comprende assolutamente la portata distruttiva”, un’ignorante “inesperta” che “parla senza rendersi conto dei danni che fa”. Figurarsi “che succederà se diventerà sindaco”.
Nella fretta, le zelanti penne caltagironiche si scordarono di indicare i consoci del Comune in Acea: soprattutto il principale, col 15,8%, cioè Caltagirone che pagava loro lo stipendio. Quanto al crollo del titolo a causa della Raggi, era una fake news. L’intervista fu domenica 20 (a mercati chiusi) e il calo azionario mercoledì 23: difficile che in Piazza Affari se ne stiano tre giorni paralizzati a compulsare le frasi di una candidata prima di organizzare la fuga dal titolo. Ma soprattutto: il crollo del titolo non costò un euro (figurarsi 71 o 142 milioni) al Comune né ai “romani”: a meno che costoro non avessero venduto titoli Acea proprio in quei giorni. Purtroppo i romani non credettero al Messaggero e plebiscitarono la Raggi col 67,15%. L’ottavo re di Roma, abituato con gli altri sindaci a scriversi i piani regolatori a domicilio per riempire la città di capolavori come le Vele di Tor Vergata, i cantieri della MetroC, i quartieri-alveare nelle periferie e candidarsi al Premio Attila alla carriera, si listò a lutto.
Ma le provò tutte per convincere la Raggi a tradire l’impegno elettorale di ritirare la candidatura alle Olimpiadi 2024. Era chiaro che, se la sindaca avesse garantito ai palazzinari l’ennesima mangiatoia a spese nostre, avrebbe avuto cinque anni di buona stampa, anche se l’avessero beccata a rapinare le banche o a scippare le vecchiette. Invece la Raggi mantenne la promessa e salvò la città dal default che di solito segue ai Giochi (vedi Atene, Rio de Janeiro e figurarsi Roma con i suoi 15 miliardi di debiti). E si attirò addosso un bombardamento atomico permanente, quotidiano, preconcetto su tutti i media, a prescindere dai suoi errori (tanti) e dai suoi meriti (pochi). Una guerra senza quartiere che, se fosse stata ingaggiata prima contro i sindaci precedenti, avrebbe risparmiato a Roma quasi tutti i suoi guai. Prima l’assalto all’ottima assessora all’Ambiente Paola Muraro, dipinta come una Riina in gonnella fino alle dimissioni e poi prosciolta da tutto. Poi la mostrificazione della stessa Raggi, un giorno Messalina mangia-uomini, uno corrotta, uno riciclatrice di polizze, uno fascista, uno comunista, uno vecchia e racchia, sempre colpevole di tutto, anche dei topi ottuagenari, delle buche secolari, delle piogge autunnali.
La infilarono persino nel dossier prefettizio dei complici di Mafia Capitale, salvo poi scoprire (e nascondere) che i Casamonica vogliono farle la pelle per aver demolito i loro villini abusivi, sempre tollerati dai sindaci bravi e capaci, quelli che avevano consegnato le chiavi del Campidoglio a Buzzi&Carminati&C. e accumulato 15 miliardi di debiti. La Raggi e la sua giunta hanno colpe enormi: molti assessori e manager delle municipalizzate scelti male e cambiati come calzini, ritardi abissali su rifiuti, strade, trasporti, degrado e periferie. Ma, come sempre accade ai 5Stelle, pàgano i loro pochi meriti: l’onestà personale e la correttezza amministrativa, i bandi di gara (prima pressoché sconosciuti) per ogni appalto e iniziativa pubblica, il freno alla deriva poliziesca salviniana, la lotta agli affitti non pagati dai compagnucci de sinistra e dai camerati okkupanti di Casa Pound, il via libera allo stadio della Roma (purtroppo appannaggio di un concorrente di Caltagirone) ma senza speculazione, il salvataggio di Atac col concordato preventivo, le battaglie contro la privatizzazione dell’acqua (meraviglioso ieri, sul Messaggero del socio Acea, il peana all’“Acea gioiello dai conti floridi, a riprova che la cura e il controllo dei privati giova anche a chi vorrebbe addirittura l’acqua pubblica”). Ora infatti tutti, Messaggero in testa, lavorano indefessi per un bel sindaco leghista anche a Roma, e pretendono che la Raggi gli liberi la poltrona con due anni d’anticipo perché i caltagirini han deciso così. Salvini è pronto: non si dà pace che “la giunta neghi perfino il taser ai vigili come previsto dal Dl Sicurezza” (ecco cosa manca a Roma: il taser ai vigili!). E annuncia: “Stiamo lavorando in tutti i quartieri per un programma alternativo. L’obiettivo è rilanciare la città e confermare anche qui il buon governo della Lega”. Tipo alla Regione Lombardia o a Legnano, per dire.

mercoledì 19 giugno 2019

La Lumaca di Mare che sembra una Foglia è l’Unico Animale che produce Clorofilla. - Matteo Rubboli

Lumaca Mare Foglia Clorofilla 2

Il mimetismo nel mondo animale è un’arma preziosa, utilizzata sia in fase di attacco sia come strumento di difesa, da moltissime specie. La Elysia chlorotica, una lumaca di mare a forma di foglia, era già nota nel mondo della ricerca per essere in grado di sfruttare la fotosintesi per il proprio nutrimento, ma una recente ricerca a cura dell’università della Florida ha spiegato che non solo la lumaca è in grado di trattenere i cloroplasti delle alghe di cui si nutre, ma che possiede alcuni geni dell’alga stessa incorporati all’interno del proprio DNA.

Grazie a questa combinazione di caratteristiche biologiche, la piccola Elysia chlorotica è il primo animale scoperto in grado di produrre la clorofilla come una pianta, e sfruttare quindi il sole in modo analogo ad un vegetale per produrre l’energia necessaria alla vita.

Già nel 1970 gli scienziati avevano scoperto che la lumaca era in grado di acquisire i cloroplasti della Vaucheria litorea, l’alga di cui si nutre, e che era in grado di trattenerli all’interno del proprio complesso sistema digerente. Sino ad oggi però, nessuno era stato ancora in grado di comprendere il meccanismo per cui i cloroplasti venivano trattenuti dalla lumaca per lunghissimi periodi. Lo studio dell’Università della Florida ha spiegato che i cromosomi della lumaca contengono i geni che codificano le proteine dei cloroplasti acquisiti dalle alghe.

Ogni lumaca deve quindi mangiare i cloroplasti dalle alghe, ma è già dotata dei geni necessari a farli funzionare con il meccanismo della fotosintesi clorofilliana. 

La lumaca infatti è di colore bruno/rosso durante la giovane età, e diventa di colore verde durante l’età più adulta. La Elysia chlorotica deve infatti acquisire con il tempo i cloroplasti che le donano il color verde smeraldo tipico delle foglie, ma ha già i geni nel DNA che le consentono di processarli correttamente. Questo sistema le consente di utilizzare la fotosintesi per un periodo fino a 10 anni dopo essersi nutrita.

https://www.vanillamagazine.it/la-lumaca-di-mare-che-sembra-una-foglia-e-l-unico-animale-che-produce-clorofilla/?fbclid=IwAR2HNXsErkSKM7t4rwim-uStOGcYV7M7QN8MmemPbDtSvh3nlXsb8xNOCuc

La giustizia non è uguale per tutti. - Anna Lombroso



C’è stato un tempo cui oggi guardiamo come a una età di Pericle nel quale in molti illuminati pensarono che la democrazia conquistata con il riscatto di un popolo dovesse essere sottoposta a una continua e pervicace manutenzione, perché non era bastata una lotta di liberazione dallo “straniero” per stabilire e consolidare condizioni di uguaglianze, giustizia e libertà. E che la Costituzione non doveva restare una pagina di straordinario valore morale e perfino letterario, ma un elenco di propositi e responsabilità alla cui realizzazione  tutti dovevano concorrere.
Nascevano allora delle organizzazioni che volevano affrancarsi da principi e legami di carattere corporativo per impregnare dello spirito democratico istituzioni, corpi e strutture dello stato e professioni che erano incaricate di svolgere funzioni di servizio. Accadeva una cinquantina di anni fa, quando  Giulio A. Maccacaro fondò “Medicina Democratica” che nel rifarsi a valori universali della scienza ne indicava i limiti quando si mettevano al servizio del mercato,  se avevano il sopravvento ” quelle statiche e sonnolenti interpretazioni dell’articolo 32, 1° comma della Costituzione”, se non diventava patrimonio sociale e culturale comune il diritto alla salute, oggetto di una lotta collettiva capace “di contestare alla radice non solo come produrre ma anche cosa, per chi e dove produrre”.
E in quegli stessi anni nasceva Magistratura Democratica (era il 1964) che si caratterizzava per un’ispirazione ideologica  improntata alla difesa dell’autonomia ed indipendenza del potere giudiziario rispetto agli altri poteri dello Stato,   impegnata nello “sviluppo di una cultura giurisdizionale europea fondata sul rispetto, in ogni circostanza, dei principi dello Stato di diritto democratico, tra i quali spiccano in primo luogo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.”
Ci vuol poco a capire quanto servirebbe oggi la lezione di Maccacaro applicata, tanto per dire, alla città di Taranto dove si è saputo di controllori comprati e venduti, dove star bene è incompatibile col salario, dove la bandiera italiana si alza a mezz’asta per ricordare il +21% di mortalità infantile rispetto alla media regionale ,il +54% di tumori in bambini da 0 a 14 anni, il +20% di eccesso di mortalità nel primo anno di vita e il +45% di malattie iniziate già durante la gestazione.  E quanto sarebbe utile quella di Marco Ramat, uno dei padri di Magistratura Democratica, per rivedere quelle radici fondanti alla luce del tramonto europeo e della dispersione di quella radiosa visione convertita in fortezza dalla quale partono gli imperativi della cancellazione di democrazie, diritti, indipendenza e autodeterminazione e  quando l’auspicata autonomia dai poteri dello stato non sembra annoverare  quella dal potere economico, dalla ingerenza partitica e dalla subalternità ai  vari “comitati di affari della borghesia” come li chiamava Lenin.
Secondo gli archivi dell’associazione stessa aderiscono a Magistratura democratica circa 900 degli 8.886 magistrati italiani in servizio, ovvero circa un magistrato su dieci. Non sono molti ma con quelle premesse sarebbe lecito  aspettarsi che da loro venisse qualcosa di più ragionato e incisivo delle letterine a babbo natale impregnate di un vago umanitarismo prodotte in occasione dei congressi e che sembrano adattarsi alla falsariga delle mozioni elettorali del Pd, o del blando comunicato emesso mentre fuori divampa la fiamma dello scandalo: … ribadiamo che Magistratura democratica – neppure presente in CSM come sigla autonoma – è del tutto estranea a tali vicende.
Come denunciava il Simplicissimus,  (qui: https://ilsimplicissimus2.com/2019/06/16/la-giustizia-e-cosa-troppo-seria-per-lasciarla-ai-magistrati/) la giustizia avrebbe bisogno di essere officiata da ben altri sacerdoti.
Non tutti devono essere Falcone e Borsellino, per carità, vorremmo non aver bisogno di martiri, ma non bastano di certo le mozioni congressuali intrise di buoni sentimenti e spirito umanitario e compassionevole  per rassicurarci sulla separazione oltre che dai poteri interni da quelli europei e sovranazionali con i quali partecipiamo a imprese belliche e coloniali, non è sufficiente un comunicato sul caso Diciotti per confortarci che nei tribunali non si assecondi la volontà del legislatore che per legge ha stabilito che lo straniero non possa difendersi come il cittadino italiano in tutti i gradi di giudizio, così come non tranquillizza che in nome della rivendicata autonomia insieme a Montesquieu nella relazione di apertura dell’ultimo congresso sia citato Ezio Mauro in veste di politologo e costituzionalista a conferma  dell’allarme per il radicalismo del nuovo sovranismo alla pari con  il radicalismo egualitario e camaleontico dell’antipolitica, colpevoli di aver  sancito la sconfitta della sinistra rappresentata dal Pd, o che si metta in guardia dalla fascistizzazione della nuova destra (che per la verità tanto nuova non è se è stata la governo vent’anni producendo per esempio la Bossi Fini, la legge Maroni e quelle ad personam), dando credito che il problema cruciale del  paese sia la percezione indotta  dell’invasione straniera, in linea con il negazionismo che bollando la marmaglia posseduta da rigurgiti reazionari,  nazionalistici,  protezionistici, smentendo l’ovvio: le disuguaglianze crescenti, la falcidia di posti di lavoro e la dequalificazione dell’occupazione che ancora c’è, la riduzione dei redditi e del potere d’acquisto prodotta dai processi di globalizzazione e finanziarizzazione.
E se i magistrati democratici proprio volessero riguadagnare la buona reputazione nel contesto geografico europeo meglio sarebbe che ricercassero l’approvazione della Corte di Strasburgo, impegnandosi in prima persona per reclamare e garantire l’attuazione dei principi che condannano il reato di tortura, quelli commessi da industrie criminali contro la sicurezza sul lavoro e l’ambiente.
Loro e gli altri quasi 9000 li vorremmo vedere esprimersi e applicare le leggi (che ci sono e sono anche troppe) sugli stati di necessità, per reprimere quelli fasulli di chi commette abusi e fare giustizia per quelli che riguardano i senza tetto che occupano gli alloggi   vuoti frutto di speculazioni immobiliari colpiti dalla sospensione dei servizi, distinguendo tra chi reclama il diritto primario alla casa da Casa Pound, tanto per fare un nome a caso. E quello stesso nome insieme ad altri della stessa fatta viene alla mente, quando vorremmo vedere che un magistrato applicasse con la doverosa severità le leggi che proibiscono l’apologia di reato, senza bisogno di farne di nuove, che basterebbe prendere alla lettera quella che già ci sono mai eseguite a memoria d’uomo post-resistenziale.
Perché il fascismo quello di ieri e quello di oggi si combatte così,  non applicando le leggi come se fossero teoremi aritmetici o peggio algoritmi, si tratti di uso privato delle armi, di decoro urbano compromesso dai poveracci di qualsiasi etnia la cui visione turba e va limitata, colpendo gli ultimi per rassicurare i primi e pure i penultimi. Perché di quello parliamo quando i grandi truffatori, i grandi corruttori, i grandi speculatori, le grandi multinazionali sfuggono alle maglia della giustizia a differenza del ladruncolo della proverbiali due mele,  perché le regole e i principi di legalità vengono confezionati dalla lobby dei grandi studi legali internazionali, e poi eseguite sciorinando il repertorio di scappatoie offerte generosamente dai “tempi dell’amministrazione della giustizia”, anche quelli discrezionale e arbitrari, veloci coi deboli, lenti coi forti che così possono entrare e uscire dalle porte girevoli di tribunali e patrie galere.
Si la giustizia è una cosa seria ma complicata. E per quello se la comprano quelli che se la possono permettere, quelli che possono farsela da soli, quelli che la aggiungono al tanto che hanno già togliendola a quelli che ne avrebbero più bisogno.

Salario minimo, un fronte ampio vuole farlo saltare. - Salvatore Cannavò

Salario minimo, un fronte ampio vuole farlo saltare


Dall’Ocse a Confindustria, dai dem ai sindacati fino alla Lega. In ballo c’è la tutela degli utili aziendali.

Poche battaglie politiche, come quella sul salario minimo, riescono a catalizzare fronti così ampi. E a lasciare sostanzialmente isolato il M5S che della proposta di legge è il principale artefice. Luigi Di Maio l’ha capito e infatti ieri ha cercato di alzare la voce per dire che la misura verrà presa. Ma non sarà facile.


Nel fronte contrario, infatti, si annoverano oltre alle opposizioni, anche i sindacati, tranne la piccola Usb, la Confindustria, le varie associazioni di categoria, in ultimo anche l’Aran, l’Agenzia per il contratto pubblico che ha paventato l’aumento della spesa pubblica. E poi l’Ocse la cui audizione dell’altroieri, per bocca dell’italiano Andrea Garnero, ha contestato il valore del salario minimo, 9 euro lordi, ritenuto troppo alto.


Ma nel fronte opposto c’è anche la Lega che, in ossequio alle ragioni di impresa solidamente codificate nel suo Dna, punta a prendere tempo. Da segnalare anche l’incontro tra Maurizio Landini, segretario della Cgil, e il presidente della Camera, Roberto Fico, che è sembrato molto attento alle ragioni della Cgil.


Tra le questioni sul tavolo c’è l’importo orario che il progetto di legge in esame al Senato, stabilisce in 9 euro lordi. Una cifra che collocherebbe il salario italiano all’incirca al quarto posto in Europa accanto al Belgio. Nella sua audizione alla Camera di lunedì, il rappresentante dell’Ocse, Andrea Garnero, aveva definito questo valore “tra i più alti dell’Ocse” non in termini assoluti, ma in rapporto al salario mediano. La posizione Ocse sembra trascurare il fatto che i salari italiani siano tra i più bassi d’Europa. Secondo l’ultimo rilevamento Eurostat del 2014, si collocano al tredicesimo posto dietro Danimarca, Irlanda, Svezia, Lussemburgo, Belgio, Finlandia, Olanda, Germania, Francia, Austria e, fuori dalla Ue, Svizzera e Norvegia.


A salario mediano basso si deve per forza avere un salario minimo altrettanto basso, oppure l’importo di quest’ultimo può contribuire a un generale rialzo? Lo scontro verte su questo punto anche perché, come spiega l’Istat nella sua audizione al Senato, il salario minimo legale “porterebbe a una compressione di circa l’1,6% del margine operativo lordo” delle imprese, cioè una riduzione degli utili. Si tratterebbe di una chiara redistribuzione di reddito dalle imprese ai lavoratori.


Non è detto che i benefici arriverebbero subito a tutti. Certamente quelli più interessati sono in quel 22% di forza lavoro che, secondo l’Inps, ha retribuzioni inferiori ai 9 euro l’ora: si tratta soprattutto di donne (26%), under 35 (38%), lavoratori del Sud (31%) del settore artigianale (52%) o del terziario (34%).


Difficile immaginare una ricaduta negativa sulla contrattazione, una “fuga dal contratto”, come l’ha definita Andrea Garnero il quale ha ricordato che, laddove il salario minimo è stato introdotto di recente, ad esempio in Germania nel 2015, la forza contrattuale dei sindacati tedeschi, che è notoriamente alta, non ne ha risentito. Un dato che dovrebbe far tacere i timori espressi sia da Confindustria sia da Cgil, Cisl e Uil. Il problema di preservare la struttura contrattualistica italiana esiste, e ieri Maurizio Landini si è raccomandato di non diminuire alcun diritto, ma non c’è alcuna prova che il salario minimo possa intaccarla. Mentre la sua istituzione potrebbe rappresentare un utile antidoto a un’altra tentazione che emerge costantemente nel dibattito: le gabbie salariali. Ci si è riferito, pur parlando di “flessibilità nel contratto nazionale” il rappresentante dell’Ocse e sappiamo bene, fin dai tempi di Umberto Bossi, che il tema sta a cuore alla Lega. Un salario minimo per legge potrebbe fugare anche questa tentazione.


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