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domenica 28 marzo 2021

Cartabia copiativa. - Marco Travaglio

 

Allacciate le cinture, perché “nelle stanze della ministra Marta Cartabia sta prendendo corpo la giustizia che verrà”, cioè “il Piano Cartabia: rivoluzione digitale e 16 mila assunzioni” (La Stampa). Un ciclone. 

E poi dicono che il cambio di passo non c’è. In un mese SuperMarta ha già scoperto che “occorrono grandi investimenti, migliaia di assunti, ristrutturazioni edilizie e massiccio ricorso al digitale”. E ha subito “destinato alla Giustizia circa 3 miliardi” di Recovery, mica bruscolini: per la precisione 2.750 milioni. 

Vista la cifra, ci ha assaliti il tipico déjà-vu che ti ricorda qualcosa ma non sai bene cosa. Fortuna che c’è Google: ma sì, era la relazione che l’ex ministro – parlando con pardon – Alfonso Bonafede doveva leggere in Parlamento il 28 gennaio, ma le opposizioni e Iv gli garantirono il voto contrario prim’ancora di ascoltarlo. E Conte si dimise. Si dirà: quelli erano i Peggiori, ora i Migliori ci avranno aggiunto un surplus di competenza. Infatti SuperMarta “stanzia 2,29 miliardi per 16.500 nuovi assunti a tempo determinato” nell’“Ufficio del Processo”. Invece quel pirla di Bonafede stanziava “2,3 miliardi in assunzioni a tempo determinato… di 16.000 addetti all’‘Ufficio per il Processo’”. 

Vabbè, dài, sarà una coincidenza. Infatti la Cartabia, furba, ha in mente “gli assistenti del giudice sul modello dei ‘clerks’” per “supportare il giudice” nella “ricerca dei precedenti giurisprudenziali e dei contributi dottrinali pertinenti”. Quel somaro di Bonafede, viceversa, s’era messo in testa di “supportare il giudice nello studio dei precedenti giurisprudenziali e della dottrina pertinente, sul modello dei ‘clerks’”. Ma vi rendete conto in che mani eravamo? 

Poi la Cartabia mette “426 milioni per ammodernare, ristrutturare o addirittura costruire palazzi di giustizia”. Fortuna che è arrivata lei, perché quel ciuccio di Bonafede metteva “circa 470 milioni” per “la realizzazione di nuove cittadelle giudiziarie e la riqualificazione delle esistenti”. L’abbiamo scampata bella. Il modello Cartabia prevede poi “83 milioni per la digitalizzazione degli archivi” con “data-center nazionali”, più “217 milioni per lo smart-working” e altri 50 in “intelligenza artificiale”. 

Figurarsi se veniva in mente a quel pirla di Bonafede, che infatti buttava le stesse somme per “digitalizzare gli archivi”, “data center (senza trattino, nda) nazionali”, “smart working (senza trattino, nda)” e “intelligenza artificiale”. I soliti malmostosi diranno che Cartabia copia Bonafede e la giustizia che verrà è quella che c’era prima. Ma ignorano le due leggi dei Migliori. La legge del cuculo, che s’imbuca nei nidi altrui e se ne fa bello. E la legge Chlorodont-Virna Lisi: la signora, con quella bocca, può dire ciò che vuole.

IlFattoQuotidiano

lunedì 8 febbraio 2021

I 2 Matteo, FI e i dem vanno già all’assalto: torna la prescrizione. - Giacomo Salvini

 

Gli emendamenti - Tutti vogliono cancellare la riforma Bonafede: la settimana prossima il voto in Aula. Il M5S, dopo il caso Renzi, chiede lo stop a incarichi pagati da altri Stati.

Il governo Draghi non è ancora nato e rischia già di spaccarsi proprio sul tema che ha provocato la caduta del Conte 2: la giustizia. E in particolare la prescrizione, tema che da sempre scatena gli appetiti di Silvio Berlusconi, Matteo Renzi e Matteo Salvini che faranno parte della prossima maggioranza. L’assalto alla riforma Bonafede, approvata dal governo Lega-M5S e che dal 1° gennaio 2020 ha bloccato la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, si trova nel fascicolo di emendamenti al decreto Milleproroghe in discussione in commissione Affari Costituzionali della Camera e che dovrà essere convertito entro il 1° marzo.

Gli emendamenti per cancellare la “Spazzacorrotti” e tornare alla vecchia legge Orlando – che bloccava (inutilmente) la prescrizione per un anno e mezzo dopo il primo grado e l’appello, ma solo in caso di condanna – sono stati presentati da quasi tutti i partiti della prossima maggioranza: Enrico Costa (avvocato eletto con Forza Italia e passato ad Azione) e il radicale Riccardo Magi chiedono che la norma Bonafede sia cancellata per far rivivere la legge Orlando. Anche tre deputati di Italia Viva – Lucia AnnibaliMarco Di Maio e Mauro Del Barba – chiedono l’immediata sospensione della norma almeno fino al 31 dicembre 2021 in attesa di una riforma del processo penale, mentre i forzisti Francesco Paolo Sisto e Pierantonio Zanettin e nove deputati della Lega hanno firmato due emendamenti per spazzare via la legge Bonafede fino al 2023 e tornare alla normativa precedente.

Anche se il Pd non ha presentato emendamenti, i dem hanno fatto capire che vorrebbero il superamento della norma sulla prescrizione visto che, a pochi giorni dalla presentazione della relazione sulla Giustizia di Bonafede alle Camere (mai avvenuta perché nel frattempo Conte si era dimesso), lo stesso Orlando aveva iniziato a riscrivere il testo indicando nella prescrizione uno dei punti da modificare: i dem difficilmente non voteranno un emendamento per tornare a una legge voluta dal Guardasigilli del governo Renzi e oggi vicesegretario del partito. “Vedremo, non c’è ancora il governo”, glissa un deputato dem. Resta contrario solo il M5S che ha fatto dello stop alla prescrizione una delle proprie bandiere. Già prima della caduta del governo Conte, in commissione Affari Costituzionali di Montecitorio i giallorosa non erano più autosufficienti (24 a 24) ma, con la nuova maggioranza con tutti dentro, gli emendamenti contro la legge Bonafede potrebbero avere la strada spianata.

E così, una volta nato, il governo Draghi si troverà subito una gatta da pelare: il suo primo atto sarà quello di dare il parere sugli emendamenti del Milleproroghe e la maggioranza rischia di spaccarsi. Conterà molto chi sarà il ministro della Giustizia che però, come hanno chiesto IV-FI-Lega, dovrà mostrare discontinuità rispetto a Bonafede. Il voto dovrebbe essere all’inizio della prossima settimana.

Ma a creare un altro grattacapo nella nuova maggioranza potrebbe essere anche una proposta di legge presentata sabato dal M5S a prima firma Francesco Berti e sostenuta da una trentina di deputati grillini che, se approvata, vietererebbe a chi ha incarichi politici di fare conferenze all’estero pagato da stati stranieri. Una norma che andrebbe a colpire Renzi che durante la crisi di governo è volato a Riad per intervistare Mohammed Bin Salman pagato da una fondazione saudita. Il ddl vieta “a premier, ministri, sottosegretari, deputati e senatori” di ricevere “contributi e prestazioni” da governi o enti pubblici di Stati esteri “superiori a 5.000 euro annui”. Chi lo fa decade dalle proprie funzioni dopo un voto della Camera di appartenenza . Una bomba che rischia di esplodere nella prossima maggioranza.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/02/08/i-2-matteo-fi-e-i-dem-vanno-gia-allassalto-torna-la-prescrizione/6093700/

venerdì 29 gennaio 2021

Ecco la relazione sulla giustizia di Bonafede: “I fondi del Recovery sono legati alle riforme dei processi e alla prevenzione della corruzione”. - Giuseppe Pipitone

 

Nella relazione del guardasigilli trasmessa al Parlamento si sottolinea come "non soltanto gli investimenti richiesti dal Ministero della Giustizia, ma l'intero Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sarà scrutinato tenendo conto della capacità di affrontare con riforme normative, investimenti e misure organizzative i problemi del processo civile e penale e di apprestare un’efficace prevenzione della corruzione".

Non solo i tre miliardi di euro destinati alla giustizia, ma tutti i 209 miliardi del Recovery fund sono vincolati a una riforma della giustizia che velocizzi i processi. E alla lotta alla corruzione. È il concetto sottolineato nella relazione del guardasigilli Alfonso Bonafede. Il documento avrebbe dovuto essere illustrato dal ministro alla Camera e al Senato. Il Parlamento avrebbe poi dovuto votare una relazione a favore e una contro. Alla prova della giustizia, però, il governo di Giuseppe Conte avrebbe seriamente rischiato di andare sotto: è per questo motivo che il premier si è dimesso. Con l’esecutivo in carica solo per gli affari correnti, dunque, la relazione è stata soltanto trasmessa al Parlamento e non sarà né discussa e neanche votata. Depurato dalle polemiche politiche, che esplodono puntualmente ogni volta che si discute di riforme giudiziarie, il contenuto del dossier preparato da via Arenula è d’interesse fondamentale visto che in oltre duecento pagine, il ministro analizza lo stato della giustizia nel 2020, ed espone le linee guida del 2021. Significa, essenzialmente, in che modo verranno utilizzati i fondi del Recovery. Un piano d’aiuti che è tutto legato alla capacità del nostre Paese di operare riforme di sistema per velocizzare i processi. Senza un sistema giudiziario efficente, infatti, è impossibile progettare una ripresa economica post emergenza. Ma andiamo con ordine.

LEGGI LA RELAZIONE SUL SITO DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

“I soldi del Recovery e le riforme” – “La proposta di Regolamento Next Generation EU (NGEU) e le linee guida in corso di elaborazione evidenziano come la soluzione delle questioni poste in risalto dalle cosiddette “Raccomandazioni Paese” costituisca il primo e più importante banco di prova dell’ammissibilità dei progetti candidati ad ottenere il Recovery fund. Non soltanto gli investimenti richiesti dal Ministero della Giustizia, ma l’intero Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sarà scrutinato tenendo conto della capacità di affrontare con riforme normative, investimenti e misure organizzative i problemi del processo civile e penale e di apprestare un’efficace prevenzione della corruzione“, scrive il guardasigilli nella sua introduzione. Come ha spiegato più volte ilfattoquotidiano.it è stata l’Europa a chiedere al nostro Paese di operare le riforme sulla giustizia. ” Nelle Country Specific Recommendations indirizzate al nostro Paese negli anni 2019 e 2020, pur dando atto dei progressi compiuti negli ultimi anni, la Commissione Europea esorta: ad aumentare l’efficienza del sistema giudiziario civile; a favorire la repressione della corruzione, anche attraverso una minore durata dei procedimenti penali; ad attuare tempestivamente e a favorire l’applicazione dei decreti di riforma in materia di insolvenza, al fine di velocizzare i procedimenti di esecuzione forzata e di escussione delle garanzie e a rafforzare ulteriormente la resilienza del settore bancario”, ricorda il ministero.

“Combattere la corruzione assicura la ripresa economica” – La relazione dell’anno 2020 della Commissione Europea sottolinea la particolare rilevanza di questi fattori di criticità nel contesto dell’emergenza pandemica, osservando che “un sistema giudiziario efficiente è fondamentale per un’economia attraente e propizia agli investimenti e all’imprenditoria e sarà fondamentale nel processo di ripresa, anche mediante l’attivazione di quadri efficienti per il salvataggio e il rilancio. L’efficacia nella prevenzione e nella repressione della corruzione può svolgere un ruolo importante nell’assicurare la ripresa dell’Italia dopo la crisi. In particolare, la trasparenza nel settore pubblico e il rafforzamento dei controlli per contrastare la corruzione possono evitare i tentativi della criminalità organizzata di infiltrarsi nell’economia e nella finanza, di turbare le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici e, più in generale, di distrarre le risorse pubbliche necessarie per gli investimenti”. Nel documento di via Arenula si sottolinea come soffermandosi sullo stato dell’arte, la Commissione Europea evidenzia che “i tempi di esaurimento dei procedimenti penali presso le corti di appello continuano a destare preoccupazione, ma sono attualmente in discussione al Parlamento riforme globali volte a snellire le procedure penali”.

“Investimenti credibili solo senza lunghi contenziosi giudiziari”- Per questo motivo, continua la relazione, “la confidence delle istituzioni europee verso le prospettive di rilancio del nostro Paese è dunque fortemente condizionata dall’approvazione di riforme e investimenti efficaci nel settore della giustizia. Non può del resto sfuggire come qualsiasi progetto di investimento – anche estraneo al settore giustizia strettamente inteso – per essere reputato credibile dev’essere immunizzato dal rischio che un lungo contenzioso giudiziario ne ostacoli la realizzazione entro le scadenze stabilite dal Regolamento Next Generation EU “. Il guardasigilli ricorda poi che “i progetti di riforma del processo penale, del processo civile e dell’ordinamento giudiziario”, cioè quelle chiesti da Bruxelles, sono stati “approvati dal Consiglio dei Ministri nell’anno 2019 e nel 2020, sono attualmente all’esame del Parlamento. Si tratta, quindi, di misure elaborate prima della pandemia, della crisi economica e sociale che ne è conseguita e, dunque, prima che si aprissero le prospettive di ripresa incarnate dal Next Generation EU”. L’inquilino di via Arenula spiega che la riforma “del processo penale “risponde principalmente alla esigenza di assicurare la ragionevole durata del processo penale e la piena garanzia del contraddittorio nell’ottica del migliore equilibrio tra accusa e difesa. È ovviamente necessario assicurare un accertamento il più possibile ravvicinato rispetto al fatto reato in modo da soddisfare, con strumenti appropriati: il valore costituzionale e convenzionale (Cedu) della ragionevole durata del processo; la difesa dell’imputato dal rischio di perpetuazione della servitus iustitiae; la coerenza della pena, eventualmente irrogata, con le sue finalità rieducative; la credibilità del sistema in chiave general-preventiva”.

Col Recovery 16mila assunzioni – Chiaramente, si spiega nel dossier, “nessuna riforma può essere efficace senza l’immissione di risorse umane e strumentali adeguate, senza mettere benzina nella macchina della giustizia“. A questo serviranno i fondi del Recovery. “Dei circa 3 miliardi di euro attribuiti dalla bozza di PNRR – continua la relazione – trasmessa al Parlamento al settore della giustizia, 2,3 miliardi sono destinati ad assunzioni a tempo determinato dedicate in larga parte al rafforzamento e alla riqualificazione dell’Ufficio per il processo”. Ufficio che “potrà ora essere alimentato da 16.000 addetti con contratto a tempo determinato e da 2.000 magistrati onorari aggregati”. L’obiettivo è “assorbire, nell’orizzonte previsto (2026), l’arretrato che rappresenta il principale fattore di rallentamento dei processi e l’ostacolo pratico all’attuazione del diritto alla ragionevole durata”. Altri 4.200 operatori a tempo determinato saranno chiamati a rafforzare la capacità amministrativa del sistema. E un contingente di 100 magistrati onorari ausiliari supporterà la sezione tributaria della Corte di Cassazione, “che è gravata da un numero di pendenze superiore al dato globale di tutte le altre sezioni civili della Corte di legittimità”. Sempre sul fronte degli investimenti, un capitolo è dedicato all’edilizia carceraria: “Altro settore di particolare attenzione attiene all’obsolescenza degli edifici, al degrado degli spazi della giustizia e all’inadeguatezza dimensionale delle strutture, esasperata dalle esigenze di distanziamento imposte dalla pandemia. Una delle linee di finanziamento, dell’ammontare di circa 470 milioni di euro, è perciò dedicata alla realizzazione di nuove cittadelle giudiziarie e alla riqualificazione delle strutture esistenti, in un’ottica green e di sicurezza sismica”.

“Rallentamento con la pandemia, ma attività mai interrotta” – Chiaramente la gran parte della relazione è dedicata allo stato della giusizia nel 2020, anno segnato dall’emergenza coronavirus. “La pandemia ha determinato un rallentamento dell’attività e i dati appena riportati testimoniano, tuttavia, che essa non si è mai interrotta. L’amministrazione ha affrontato la gravissima emergenza epidemiologica seguendo una duplice direttiva: preservare la salute degli operatori; garantire che i servizi di giustizia risentissero il meno possibile delle disfunzioni collegate alle misure di ‘confinamentò succedutesi nelle diverse fasi della crisi”, scrive Bonafede. “I Tribunali e le Corti di appello nel settore civile hanno definito più di quanto sia stato iscritto: sia in primo che in secondo grado le pendenze del civile al 31.12.2020 sono diminuite anche rispetto al dato del 2019 (229.959 nel 2020 contro i 241.673 del 2019 per la Corte e 1.988.477 contro i circa 1.989.905 per i Tribunali)”, riporta la relazione, evidenziando che “soprattutto nel secondo semestre dell’anno (fase 2 dell’emergenza sanitaria) la produzione degli uffici del settore civile è stata tale da determinare un indice di smaltimento dell’arretrato (clearance rate) di segno positivo: 1,12 nelle Corti d’appello; 1,08 nei Tribunali”. Per combattere il contagio il ministero ricorda che “alla fornitura di dispositivi di protezione ha fatto seguito una nuova regolamentazione del lavoro da remoto, che ha permesso un impiego ridotto della forza lavoro ‘in presenza’, in modo da limitare le occasioni di contagio sul posto di lavoro e nel corso degli spostamenti dei lavoratori da e verso gli uffici”. E riguardo agli investimenti “ammonta a 31 milioni la spesa degli uffici per acquisto di dispositivi di protezione (mascherine, barriere para-fiato, sanificazioni, materiale igienizzante)”.

Stabili i processi pendenti, con la pandemia +4,3% – Nel corso dell’ultimo anno il numero complessivo di procedimenti penali pendenti presso gli Uffici giudiziari è rimasto stabile, attestandosi al 30 settembre 2020. Nei primi nove mesi del 2020, quando l’attività giudiziaria è stata rallentata dall’emergenza epidemiologica, il totale dei procedimenti penali pendenti presso gli uffici giudicanti è cresciuto del 4,3%. Nello stesso periodo si è, invece, ridotto il numero di procedimenti pendenti dinanzi agli uffici requirenti (-2,7%). Rispetto all’anno precedente, a un generalizzato calo del numero delle nuove iscrizioni (-11,71% sul totale), corrisponde un altrettanto generale calo delle definizioni (pari al -16,40%). “Globalmente, si registra un aumento delle pendenze pari all’1,51%. Per quanto riguarda le procure il trend delle definizioni, fortemente influenzato dalla situazione pandemica, evidenzia una generalizzata riduzione pari, rispettivamente, al 17,59% per i reati di competenza della Direzione distrettuale antimafia, al 10,74% per i reati ordinari e al 17,29% per i reati di competenza del giudice di pace. Per gli uffici di Tribunale, nel complesso, l’anno giudiziario 2019/2020, rispetto al precedente, evidenzia una diminuzione delle iscrizioni (in calo del 14,35%) e delle definizioni (in calo del 19,43%). Stesso discorso per la Corte di Cassazione (diminuite iscrizioni e definizioni, rispettivamente nella misura del 18,62% e del 28,78%).E per le Corti di Appello (ad un calo delle iscrizioni pari al 15,79% corrisponde una riduzione delle definizioni nella misura del 25,08%)”.

Nel Civile -5% in Appello – Sul fronte civile, invece, il numero totale di fascicoli pendenti era pari a 3.292.218. Un dato complessivamente stabile rispetto al 2019 e che vede la conferma di un trend decrescente nelle Corti d’appello (-4,8%), ma un aumento invece presso la Corte di Cassazione (+2,9%). “Nel 2020 – si legge nel dossier – il rapporto tra procedimenti definiti e iscritti è stato pari a 1,01, un valore di sostanziale stabilità. Tuttavia, occorre considerare che l’andamento è il risultato di una riduzione sia dei procedimenti sopravvenuti (-18%) che di quelli definiti (-20%) rispetto al dato del 2019. L’erosione dell’arretrato cosiddetto “patologico” o “a rischio Pinto” si arresta nel 2020, con un incremento marcato in Corte di Cassazione, pari al 12,2%, una crescita evidente anche in Tribunale (+3,1%) e più contenuta in Corte d’Appello (+1,1%). Rispetto al 2013, tuttavia, la contrazione è pari al 46% in primo grado ed al 50% in secondo grado”.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/01/28/ecco-la-relazione-sulla-giustizia-di-bonafede-i-fondi-del-recovery-sono-legati-alle-riforme-dei-processi-e-alla-prevenzione-della-corruzione/6081660/

domenica 24 gennaio 2021

Bonafede: "Renzi? Vota no a relazione giustizia senza averla letta".

 

Il Guardasigilli all'Adnkronos: "Nel documento anche ciò che è stato fatto con Italia Viva".

“Non commento le parole del senatore Renzi, che ormai non perde occasione per parlare di me. Mi limito a osservare che, nonostante Renzi parli sempre di contenuti e di merito dei temi, ha preannunciato il voto contrario a una relazione che non ha ancora letto. Il paradosso, fra l’altro, è che la Relazione verterà anche su quello che è stato fatto dal governo in tema di giustizia nel 2020 insieme a Italia Viva”. Così il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, intercettato dall'Adnkronos in uno dei corridoi della Camera, poco prima che iniziasse il voto sullo scostamento di bilancio che è stato approvato con 523 sì, tre voti contrari e 2 astenuti.

Matteo Renzi ieri sera, subito dopo il voto del Senato sulle comunicazioni del premier Conte, aveva detto di sentirsi libero dal vincolo di maggioranza e aveva annunciato il no di Iv alla relazione sulla Giustizia, che andrà in Aula mercoledì prossimo, 27 gennaio.

https://m.adnkronos.com/bonafede-renzi-vota-no-a-relazione-giustizia-senza-averla-letta_2lS5jwM9EFHmKnBhDaKyXw?refresh_ce&fbclid=IwAR0ikwL6yslLgfX7JfJQjqmpNycuUWWGFNAsDUj5GxfPPmij7StnTKqpmE4

Prescrizione e Bonafede: Renzi ci prova, ma rischia la scissione. - Giacomo Salvini

 

Lodo Annibali. Il 28 gennaio tornerà l’emendamento per lo stop alla riforma del guardasigilli: i ribelli renziani non sono d’accordo.

Il calendario, per il governo, non è stato fortunato. Non bastavano le dimissioni delle ministre di Italia Viva, la fiducia traballante al Senato (156 voti) e i “costruttori” che latitano. Il primo ostacolo del governo Conte senza i renziani è proprio sul tema che scatena da sempre gli appetiti delle opposizioni e di Matteo Renzi: la giustizia. E l’uno-due dei prossimi dieci giorni rischia di mettere ko il governo, tant’è che non si esclude l’ipotesi di un Conte ter prima di mercoledì. Quel giorno alla Camera e probabilmente giovedì al Senato si voterà sulla relazione del ministro Alfonso Bonafede sullo stato della Giustizia italiana e il 28 in commissione Affari Costituzionali a Montecitorio scade il termine per presentare emendamenti al dl Milleproroghe: qui il deputato di Azione Enrico Costa ripresenterà il “lodo Annibali” per fermare la norma sulla prescrizione introdotta con la legge Spazzacorrotti. I renziani non potranno non votarlo.

La relazione sullo stato della Giustizia di solito è una formalità: il Parlamento vota su risoluzioni a maggioranza semplice che vengono sempre approvate. Peccato che stavolta proprio contro Bonafede – tanto bistrattato da Renzi che avrebbe voluto sfiduciarlo già a maggio – potrebbe consumarsi la vendetta di Iv. Il ministro parlerà soprattutto di come spendere i 2,3 miliardi del Recovery Plan per assumere personale e snellire i processi, ma Luciano Nobili e il capogruppo al Senato Davide Faraone hanno già annunciato che il partito renziano voterà contro, insieme alla destra. Un voto tutto politico.

E, visto che anche i nuovi “responsabili” Riccardo Nencini, Sandra Lonardo (e forse l’ex berlusconiana Mariarosaria Rossi) in nome del “garantismo” potrebbero già disertare, il rischio che il governo vada sotto è concreto. Sfiduciare politicamente il ministro della Giustizia e capodelegazione del M5S avrebbe un effetto immediato: Conte salirebbe al Colle per dimettersi. Così è scattata la corsa contro il tempo per trovare “costruttori” che neutralizzino i renziani, ma non è detto che i giallorosa ci riescano. Rinviare la relazione non è possibile e anche l’idea di “rimettersi all’aula” (il governo non dà un parere per tenersi fuori dalla contesa) non sembra fattibile: il dato politico resterebbe. Intanto il voto al Senato potrebbe slittare a giovedì mattina: mercoledì alle 16 il ministro sarà alla Camera mentre il voto a Palazzo Madama dovrebbe tenersi qualche ora più tardi. La decisione spetterà alla conferenza dei capigruppo di martedì, dove Iv e la destra hanno la maggioranza.

Se alla Camera i numeri non sono un problema, al Senato sì: il governo si salverebbe solo nel caso in cui si materializzasse un cospicuo numero di responsabili o se i renziani decidessero di astenersi. In questo modo Renzi continuerebbe a trattare con il governo ma è un’ipotesi improbabile. Dal Pd sperano che appena il leader di Iv comunicherà il suo “no” a Bonafede, un gruppo di renziani potrebbe mollarlo: “Qualcosa da qui a mercoledì si muoverà” dice un pontiere dem.

Nel caso in cui il governo uscisse indenne dal voto di mercoledì, già giovedì si ripresenterebbe un altro ostacolo: alla Camera saranno presentati gli emendamenti del decreto Milleproroghe da convertire in legge entro l’1 marzo. E i renziani torneranno all’attacco sulla prescrizione: l’ex FI e passato con Calenda, Enrico Costa, ripresenterà il cosiddetto “lodo Annibali” (come la responsabile Giustizia di Iv Lucia Annibali) per spazzare via la riforma Bonafede entrata in vigore il 1° gennaio 2020 e rinviarla di un anno. I deputati renziani lo voteranno. L’emendamento era già stato presentato un anno fa nel Milleproroghe ma era stato bocciato: adesso, con l’uscita dal governo di Iv, in commissione Affari Costituzionali i giallorosa non hanno più la maggioranza.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2021/01/24/prescrizione-e-bonafede-renzi-ci-prova-ma-rischia-la-scissione/6076344/

sabato 23 gennaio 2021

E insomma anche questo Bonafede!! - Viviana Vivarelli

 

E leva la prescrizione!
E lascia le intercettazioni!
E metti la legge spazzacorrotti!
E rimetti in carcere i mafiosi liberati!
E velocizza i processi penali! E difendi le vittime domestiche! E vuole pure riformare il CSM! E processi più veloci ed efficienti! E non se ne può più....!

Vuoi mettere i bei tempi quando alla Giustizia c'erano Conso, Bondi, Mancuso o i meravigliosi Castelli, Mastella, Alfano, Nitto Palma!
Quelli sì che erano dei gran bei Ministri della Giustizia!

C'era molta più allegria nel Paese.

Sai mafiosi o corrotti quanto ridevano!
Ma ve lo ricordate quando Maroni raccoglieva le firme su Libero per protestare contro chi diceva che c'era la mafia in Lombardia?? Uno spasso!
Ma povero amore, anche Maroni, il tastierista, che fine avrà fatto?

Quando poi portava le scope verdi! 🙂 Che ridere!! Ora Salvini i mafiosi nel suo partito con cosa li spazza? Con la ruspa?

Viviana Vivarelli 

https://www.facebook.com/photo?fbid=4252750138073251&set=a.107740685907571

domenica 9 agosto 2020

“È una riforma coraggiosa che stronca le spartizioni”. - Luca De Carolis

“È una riforma coraggiosa che stronca le spartizioni”

Giustizia - Le nuove regole per il Csm dopo lo scandalo Palamara: “Basta girarsi dall’altra parte, ora nuovo sistema di voto e sorteggio”.
Le agenzie battono al ritmo delle critiche, quelle delle associazioni della magistratura alla riforma del Csm. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede fa una pausa e risponde: “Ogni opinione è legittima, ma io chiedo a tutti di non girarsi dall’altra parte. Il cambiamento non si può più rinviare”.
Si aspettava queste reazioni?
In queste settimane ho letto e ascoltato tutte le proposte, con attenzione. Quando le ritenevo meritevoli le trasmettevo al mio ufficio legislativo. Ma a un certo punto bisogna fare sintesi. e questa è una riforma coraggiosa. Andava fatta, perché la magistratura deve recuperare credibilità agli occhi dei cittadini.
In diversi obiettano che il nuovo sistema di elezione a doppio turno, ripartito in 19 collegi, porterà comunque ad accordi tra correnti. Possibile, no?
Coloro che lo sostengono non lo motivano. Tutti chiedevano che l’elezione dei membri del Consiglio andasse circoscritta nei territori, e noi lo abbiamo fatto, cosicché i magistrati apprezzati a livello locale possano essere votati. In un voto nazionale, chi non apparteneva a correnti non aveva possibilità.
Ma gli scambi tra correnti si potranno sempre fare….
Con il nuovo sistema di voto è praticamente impossibile prevedere l’esito delle votazioni. Saranno possibili fino a quattro preferenze, con obbligo di alternanza di genere e valore ponderato applicato al voto. Così si stroncano i metodi spartitori.
Meglio il sorteggio integrale, dicono alcuni. Di certo più semplice, no?
Chi lo afferma non vuole che la riforma vada avanti. Per istituire l’elezione solo tramite sorteggio servirebbe una riforma della Costituzione, ed è evidente che non ci siano le condizioni per farla in Parlamento.
Una forma di sorteggio peraltro ci sarà, ma per l’Anm è incostituzionale.
La riforma prevede che il numero minimo di candidati debba essere di 10 in ogni collegio, con alternanza di genere. Abbiamo previsto il sorteggio per arrivare a questa quota in caso qualcuno abbia premura di far scarseggiare candidati in base a vecchie logiche.
Sempre l’Anm la esorta a evitare “la negazione del vitale pluralismo culturale e della identità politico-amministrativa che la Costituzione assegna al Csm”.
Il pluralismo culturale è andato a farsi benedire con il correntismo. Rispetto le associazioni dei magistrati, leggo gli atti dei loro convegni e le consulto. Ma le associazioni non possono comportarsi nel Csm come i partiti si comportano in Parlamento. Nel Consiglio superiore della magistratura non si fa politica.
Per l’Unione Camere penali però il testo consegnerà il Csm ai pubblici ministeri. Perché lei ha fatto saltare la quota di quattro pm dentro il Consiglio?
Sa in quanti si sono presentati per quei quattro posti nella precedente elezione? Quattro, in tutta Italia. Saranno i magistrati a decidere per chi votare.
C’è lo stop alle porte girevoli tra politica e magistratura. Se eletti, non si potrà più fare il giudice o il pm. Quanti malumori ha suscitato nella maggioranza?
È stato uno dei punti più semplici della riforma, uno dei più condivisi. Di questa norma sento parlare da quando andavo al liceo…
L’ha fatta in solitudine?
Ho fatto 10 o 12 riunioni di maggioranza sul testo. E mi sono avvalso della collaborazione di alcuni studiosi, i professori Renato Balduzzi, Roberto Romboli e Daniela Piana. Ho recepito molti dei loro suggerimenti e voglio ringraziarli.
Il caso Palamara le ha permesso di avviare questa riforma. Senza non avrebbe mai potuto, no?
Il caso Palamara ha impedito di rinviare tutto a chi avrebbe avuto voglia di farlo. Non è stato più possibile buttare la palla in tribuna.
L’ex presidente dell’Anm ha indicato come testi a sua difesa magistrati e politici. Non crede che potrà creare problemi al governo?
Assolutamente no. Non entro nel merito, perché io sono titolare del potere disciplinare. Ma le dinamiche politiche vanno distinte da quelle della magistratura.
La riforma prevede che per accedere a incarichi direttivi si debba essere in ruolo da almeno due anni. Ma non si applica a coloro già fuori ruolo. È un favore?
No, è una scelta di politica legislativa. Per tutti i casi di incompatibilità si applicheranno norme transitorie, cioè la riforma varrà per il futuro.

mercoledì 20 maggio 2020

Castigo senza delitto. - Marco Travaglio

I ministri Luigi Di Maio, Alfonso Bonafede e Roberto Speranza, arrivano a palazzo Madama per la seduta del Senato © ANSA/ALESSANDRO DI MEO
Oggi il Parlamento promette di battere il record di ridicolaggine stabilito con la mozione “Ruby nipote di Mubarak”. Infatti voterà su due mozioni di sfiducia al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che dicono l’una l’opposto dell’altra: quella del centrodestra lo accusa di aver fatto uscire troppa gente dalle patrie galere; quella di Più Europa (Bonino&C.) lo accusa di aver tenuto troppa gente dentro. E Italia Viva, decisiva per la loro approvazione o bocciatura, è tentata di votarne almeno una. A caso. Il fatto che l’una dia a Bonafede dello scarceratore e l’altra del carceriere è un dettaglio che non tange questi buontemponi, perché hanno letto solo il titolo. E non le motivazioni, del tutto superflue per un non-partito animato da non-idee e pieno di non-elettori. Noi siamo andati a leggere le due mozioni, scoprendo particolari davvero avvincenti.
La mozione Bonino imputa a Bonafede di non aver ancora portato “in Parlamento la riforma del processo penale”. Il che è vero, ma solo perché il ddl, pronto dal giugno 2019, fu bloccato prima da Salvini e poi da Iv. Altra accusa: “un’idea puramente afflittiva della pena”. Niente indulti né amnistie. Ora, l’ultima autorevole proposta di indulto e amnistia venne dal presidente Napolitano, d’intesa con il premier Letta, nell’ottobre 2013. E sapete chi la bloccò? L’Innominabile, neosegretario in pectore del Pd: “Sarebbero un autogol e un clamoroso errore”. La terza accusa è il decreto che “ha imposto la revisione, con effetto retroattivo” delle scarcerazioni di mafiosi: decreto appena approvato da tutta la maggioranza giallorosa, Iv compresa. La quarta accusa è “la soppressione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio”: coerente dal pulpito boniniano, ma da quello renziano proprio no, visto che il primo a lanciare l’idea nel 2014-2015 fu l’Innominabile e poi i suoi uomini in commissione Giustizia. Quindi, se i renziani votano la mozione di Più Europa, si danno almeno quattro zappe sui piedi. Ma potrebbero pure votare la mozione Lega-Fratelli d’Italia, cui s’è subito associata Forza Italia. E qui, se possibile, si ride ancor di più. Cogliamo fior da fiore: “Bonafede ha iniziato ad accettare il principio, indimostrato e scientificamente falso, del nesso di causalità tra detenzione in carcere e contagio”. Poco sotto, oplà: “da parte del Dap, a fronte dell’emergenza sanitaria nazionale, non sono state predisposte, all’interno degli istituti, adeguate misure di prevenzione sanitaria e anti-contagio Covid-19 a tutela di detenuti, operatori e visitatori… mettendoli tutti a grave rischio della loro salute”.
Oh bella: ma se è “falso” il “nesso di causalità tra detenzione in carcere e contagio”, che bisogno c’era di “misure di prevenzione sanitaria e anti-contagio”? La verità è che le carceri sono rimaste il luogo più sicuro d’Italia (e non solo) proprio perché Bonafede e il Dap del famigerato Basentini intervennero subito con pre-triage e misuratori di febbre per detenuti e agenti, reparti isolati per i “nuovi giunti”, blocco delle visite personali (sostituite con colloqui via Skype), mancati rientri serali per i semiliberi e snellimento della Svuotacarceri di Alfano (votata nel 2010 da tutto il centrodestra) che consente di scontare ai domiciliari le pene residue di 18 mesi, con braccialetto elettronico sopra i 6 mesi, salvo per i mafiosi e condannati per altri reati gravissimi. Ma non è finita, perché i tre partiti di centrodestra rimproverano a Bonafede anche di non aver affidato il Dap a Nino Di Matteo, cioè al pm che hanno passato gli ultimi 15 anni a insultare a difesa degli imputati del processo Trattativa, da Dell’Utri a Mori (se lo amavano tanto, in gran segreto, perché non gli han proposto il Dap, anziché affidarlo all’indimenticabile Tinebra?). Ora sarebbe davvero strepitoso se i renziani votassero quel documento, visto che l’Innominabile, non più tardi di tre mesi fa, tuonò contro i magistrati che osano sospettare B. e Dell’Utri di rapporti con la mafia e con le stragi (indovinate un po’ con chi ce l’aveva). E, quando era premier, prese le proposte della commissione Gratteri-Davigo-Di Matteo sulla riforma del processo e le imboscò in un cassetto.
Ma c’è di meglio e di più: se la Bonino accusa Bonafede di ostacolare scarcerazioni, indulti e amnistie, il centrodestra lo dipinge come un furbacchione che scatena le rivolte nelle carceri “finalizzate ad alimentare la discussione su indulti, amnistie e provvedimenti che avrebbero potuto alleggerire il carcere per gli uomini della criminalità organizzata” e poi “avanza ipotesi di interventi normativi volti incredibilmente ad accogliere le richieste dei rivoltosi”. Infatti, quando i giudici ne mettono fuori qualche centinaio fra lo scandalo generale (anche di Iv), Bonafede fa subito un decreto per tentare di riportarli dentro (votato anche da Iv). Naturalmente il Parlamento è sovrano e ogni partito può votare come gli pare: ma sarebbe interessante sapere quale terribile delitto (a parte le leggi anticorruzione e antiprescrizione, le manette agli evasori e la riforma del voto di scambio) avrebbe commesso Bonafede per meritare un simile castigo. E, soprattutto, se sia un carceriere o uno scarceratore: che sia entrambe le cose è altamente improbabile.

martedì 12 maggio 2020

L’agguato a Bonafede. - Tommaso Merlo

Violenza donne: Bonafede, aumenteremo indennizzi per vittime

La lotta alla mafia non c’entra nulla, l’obiettivo è Bonafede e quindi il Movimento. Siamo alle solite. Vogliono far fuori l’unica forza politica che ha osato dire di no al partito di Berlusconi e Dell’Utri. Tutti gli altri ci sguazzano da sempre. A destra come a sinistra ai tempi degli inciuci. Il parlamento italiano è sempre stato zeppo di mafiosi e di loro referenti anche ad altissimo livello. Mentre i magistrati morivano in nome della legge, la vecchia politica ha fatto sempre il doppio gioco. A Roma come nei comuni di provincia dove i vecchi partiti non hanno mai schifato soldi e i pacchetti di voti sporchi di mafia. Un rapporto consolidato e basato sul mutuo interesse. Dal profondo sud fino al profondo nord. Il virus della mafia ha infettato ogni angolo dello stivale. Per combatterlo serve un rigoroso distanziamento sociale soprattutto da parte della politica. Ma l’unica forza che ha avuto il coraggio di farlo davvero è stato il Movimento 5 Stelle. Selezionando accuratamente i suoi portavoce, cacciando i collusi e rifiutando ogni opacità. Un essere antimafia a fatti, non a chiacchiere. Tutti i giorni. Una linea legalitaria e di assoluta trasparenza portata avanti al governo dal ministro Bonafede, questo mentre Salvini e Meloni sono alleati con Berlusconi che ha pagato la mafia per anni e il cui braccio destro Dell’Utri è stato condannato per associazione mafiosa. Roba che in una democrazia sana Berlusconi e il suo seguito non dovrebbero più mettere nemmeno piede nelle istituzioni. Ed invece sono ancora tutti lì, come nulla fosse. Il suo partito, il suo impero mediatico e i suoi alleati politici Salvini e Meloni che hanno anche il coraggio di spacciarsi come “nuovi” e paladini della legalità. Ogni tanto pizzicano per mafia qualche loro esponente ma ormai la notizia dura qualche oretta. Dal profondo sud come al profondo nord. Mele marce. Normalità. L’antimafia a chiacchiere in attesa che tutto torni presto come prima. A causa della pandemia è scoppiato un caos scarcerazioni a cui Bonafede sta cercando di porvi rimedio. Senza nemmeno leggere le carte, le destre si sono scatenate. Ormai si attaccano a tutto per far cagnara, figurarsi se si facevano sfuggire questa ghiotta occasione. E così siamo al paradosso farsesco, Berlusconi e i suoi alleati che sfiduciano Bonafede con l’appoggio dei giornalai delle lobby. Ovviamente il merito della questione non c’entra nulla, vogliono riprendersi le poltrone e ogni scusa è buona. Quanto alla lotta alla mafia c’entra ancora meno, l’obiettivo è colpire il ministro e quindi il Movimento. L’obiettivo è boicottare il cambiamento e tornare ai bei tempi dell’antimafia a chiacchiere. Davvero un paradosso. Invece di prendere l’esempio e distanziare socialmente la mafia, la vecchia politica vuole far fuori il Movimento. L’unica forza politica che ha osato dire di no al partito di Berlusconi e Dell’Utri.

https://repubblicaeuropea.com/2020/05/09/lagguato-a-bonafede/

sabato 9 maggio 2020

L’ok giallorosa a Bonafede per il dl contro i boss liberi. - Antonella Mascali

L’ok giallorosa a Bonafede per il dl contro i boss liberi

Il testo - La maggioranza d’accordo su una legge “inattaccabile” che leghi le mutate esigenze antivirus al nuovo pronunciamento dei magistrati di sorveglianza.
Giorni fittissimi di confronto fra i tecnici del ministero della Giustizia e il decreto voluto da Alfonso Bonafede per provare a far tornare in carcere boss e loro gregari, finiti ai domiciliari in tempo di coronavirus, è in dirittura di arrivo. Forse già oggi in un consiglio dei ministri straordinario o domenica se ci sarà il consiglio dei ministri sul “Decreto rilancio”.
Il sigillo di tutta la maggioranza è stato messo poco prima delle 22 di ieri sera dopo una riunione di un paio d’ore in videoconferenza. Mai c’era stato un vertice così disteso, specie in tema di Giustizia. Basti pensare alle riunioni sula prescrizione sempre sull’orlo della rottura.
In collegamento ci sono il sottosegretario Andrea Giorgis, Walter Verini e Franco Mirabelli per il Pd, Piero Grasso e Federico Conte per Leu e Lucia Annibali per Iv. I renziani di Italia Viva hanno provato a porre qualche cavillo, ma almeno su questo provvedimento, che avviene dopo 376 scarcerazioni decise da giudici per l’emergenza Covid-19, il governo vuole dare un segnale univoco.
Tutti d’accordo sulla necessità di questo decreto e tutti attenti a che non violi il principio costituzionale dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura. Ecco perché il testo definitivo non c’è ancora, si sta limando riga per riga.
Durante la riunione è emerso che il testo avrà due direttive principali. Si vuole coniugare la volontà di far tornare dentro i boss e i gregari ma non si vuole andare contro la magistratura.
Ai magistrati competenti viene chiesta la rivalutazione perché si è nella cosiddetta fase 2 e i numeri dei contagi per coronavirus sono in calo. Tra i provvedimenti degli ultimi due mesi, la maggior parte sono stati presi dai giudici che hanno considerato troppo alto il rischio di contagio in strutture carcerarie per detenuti già malati per altre patologia. Quando si troveranno a dover riesaminare questi provvedimenti (o si troveranno di fronte a istanze nuove) c’è una novità che sarà contenuta nel decreto: il coinvolgimento decisamente maggiore del Dap, il dipartimento affari penitenziari che dovrà indicare quali sono i circuiti carcerari-sanitari consoni affinché sia coniugato il diritto alla salute dei detenuti a regime speciale (41 bis e alta sicurezza) e quello della sicurezza per i cittadini.
Al Fatto risulta che il ministro Bonafede abbia già parlato con Domenico Arcuri, Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, affinchè vengano individuate nuove strutture sanitarie che possano funzionare da reparti di medicina protetta come l’ospedale di Viterbo o il Pertini di Roma in grado di accogliere detenuti per mafia. È un modo, questo, perchè sia sempre possibile per il giudice, in caso di necessità di cure per il detenuto, fornire una soluzione diversa dai domiciliari. Il decreto, dunque, dovrebbe arrivare prima che Bonafede vada alla Camera, martedì, per una informativa su quanto successo intorno alle scarcerazioni. Il decreto che sta per essere varato, il ministro lo aveva annunciato mercoledì scorso alla Camera dove era andato per riferire sulla mancata nomina di Nino Di Matteo a capo del Dap, nel giugno 2018. È stata la sua risposta al centro-destra che lo ha accusato di essersi piegato alla mafia (in Senato, il centro-destra, ricompattato per l’occasione, ha comunque, presentato una mozione di sfiducia individuale contro il Guardasigilli). Il ministro, in Aula per un question time sulla vicenda Di Matteo, ha però lanciato un affondo: “Invito tutti a fare un’operazione di verità, che nella lotta alla mafia è fondamentale. È totalmente infondato il collegamento”tra i fatti relativi alla mancata nomina di Di Matteo al Dap nel 2018 e le scarcerazioni, frutto di decisioni di magistrati che hanno applicato leggi che nessuno aveva mai modificato fino al decreto approvato la scorsa settimana da questo governo, con il quale si stabilisce che, rispetto alle istanze di scarcerazione, è obbligatorio il parere della Dna e delle Dda”.
Lo stesso Bonafede ha confermato che con l’arrivo del vice capo Dap Roberto Tartaglia, il 2 maggio, è subito partita una circolare ai direttori delle carceri in modo che il Dipartimento fosse informato da loro su “qualsiasi istanza” di detenuti mafiosi . Contemporaneamente queste informazioni le deve ricevere anche la procura nazionale antimafia

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/05/09/lok-giallorosa-a-bonafede-per-il-dl-contro-i-boss-liberi/5796286/

mercoledì 6 maggio 2020

TARTAGLIA E PETRALIA AL DAP. - Viviana Vivarelli.

Auguri di buon lavoro a Petralia e Tartaglia
Dino Petralia e Roberto Tartaglia

Di Matteo sulla carica di direttore dei penitenziari ci contava troppo e il suo orgoglio è rimasto talmente ferito che dopo due anni non ha superato la ferita. E' un magistrato eccezionale ma non è un santo. Del resto ha sbagliato anche lui che doveva prendere al volo l'offerta e non procrastinarla. Dopo ha sbagliato ancora perché poteva accettare il ruolo di capo degli Affari penali dove avrebbe potuto incidere fortemente sulle leggi.
A sua volta, Bonafede ha sbagliato a preferire un oscuro magistrato coma Basentini, che di mafia non si era mai occupato e aveva fatto processi solo di rimborsopoli, al più grande nemico della mafia come Di Matteo che avrebbe impedito che dal carcere di massima sicurezza i boss della mafia continuassero a gestire i loro affari criminosi, persino con il 51 bis. La sua scelta non è comprensibile né accettabile. L'unica spiegazione possibile è che Basentini sia stato imposto dalla Lega, per non offendere Cosa nostra. Del resto, se la Lega vuole vincere al sud, deve ereditare il posto servente di Berlusconi e andare a patti con la criminalità organizzata che può darle un notevole bacino elettorale. Certo è che con Di Matteo non sarebbe mai avvenuto che con la scusa dal contagio e dopo l'esplosione delle rivolte nelle carceri e i 14 morti, ben 367 detenuti mafiosi fossero mandati ai domiciliari. La condotta di Basentini dovrebbe essere sottoposta a inchiesta e le sue dimissioni non bastano. Ma, se fosse così, quella soggetta alla mafia sarebbe la Lega, non certo Bonafede, che è riuscito ugualmente a realizzare leggi importantissime nella lotta alla mafia come la legge anticorrotti, la legge contro lo scambio dei voti mafioso, il decreto di indurimento al rilascio di detenuti mafiosi, il peggioramento del 51 bis, e infine la nomina di due degne persone ai penitenziari come Tartaglia e Petralia.
Roberto Tartaglia ha lavorato a Palermo presso la Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica, dove è stato titolare di importanti processi di criminalità organizzata, come quello sulla trattativa Statp-mafia o quelli contro imputati esponenti di primo piano di Cosa Nostra (Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella) insieme ad esponenti della politica e delle Istituzioni di sicurezza (Marcello Dell’Utri, Mario Mori, Giuseppe De Donno, Antonio Subranni), si è occupato degli omicidi di Piersanti Mattarella e di Peppino Impastato. Ha investigato Dell'Utri e ha permesso il sequestro del patrimonio occulto del tesoriere di Riina e Provenzano
Dal maggio 2019 è consulente della Commissione parlamentare antimafia.
Dino Petralia, amico di Falcone e da sempre toga antimafia, è il nuovo capo delle carceri scelto da Bonafede, ha lavorato a Trapani, Sciacca, Marsala, Palermo e Reggio Calabria. Al Csm ha contestato le leggi di Berlusconi. Una vita spesa nella lotta alle cosche e, nello stesso tempo, nell'approfondimento giuridico per garantire una giustizia giusta, vita che va tutta in una direzione, dalla parte dello Stato contro chi ne viola le leggi. Contro la mafia, senza indulgenze di sorta, ma nel pieno rispetto della Carta e delle leggi che ne originano.
Lavoreranno in team.Tra i due, Petralia e Tartaglia, il rapporto è ottimo, perché entrambi hanno lavorato a Palermo, Tartaglia pm e Petralia procuratore aggiunto. Di più: Tartaglia lavorava nel pool sulla corruzione, di cui Petralia era il diretto coordinatore. È la prima volta che la scelta di un vertice cade su due figure già in stretto rapporto tra di loro, che quindi possono garantire una guida concordata.


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