venerdì 17 gennaio 2020

PALAZZI & POTERE “Io sono un onorevole, un intoccabile, voi siete morti. Chiamo il prefetto e la faccio sbattere fuori”. Le minacce del renziano Librandi ai finanzieri.

“Io sono un onorevole, un intoccabile, voi siete morti. Chiamo il prefetto e la faccio sbattere fuori”. Le minacce del renziano Librandi ai finanzieri

L'ANTICIPAZIONE DEL SETTIMANALE L'ESPRESSO - La reazione del deputato di Italia Viva (all’epoca ancora nel Pd) durante una verifica fiscale della Guardia di finanza alla sua azienda elettronica da oltre 200 milioni di fatturato. Nelle relazioni di servizio vengono annotate le parole pronunciate dal parlamentare: “Voi non fate un c… dal mattino alla sera, io lavoro”, “pago le tasse e quindi anche il vostro stipendio”. Quindi, rivolto a chi comandava l’operazione: “Sarà un leghista di m…”. E a uno dei militari: “Non avrai la pensione”.
“Sono un intoccabile”. Mentre “voi non fate un c… dal mattino alla sera io lavoro”, “pago le tasse e quindi anche il vostro stipendio”. E’ il 24 luglio 2019, il deputato renziano Gianfranco Librandi riceve un’ispezione della Guardia di Finanza presso la sua società Tci Telecomunicazioni, azienda elettronica da oltre 200 milioni di fatturato l’anno. I finanzieri, come ricostruito in alcune “relazioni di servizio” che l’Espresso, in un articolo di Emiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian, pubblica nel numero in edicola da domenica, si presentano nelle sedi di Saronno e Roma per una normale verifica fiscale, ma al loro arrivo vengono insultati e minacciati dal parlamentare. Sia per telefono che di persona. Librandi, ex berlusconiano entrato in Parlamento con Scelta civica, che a fine settembre scorso ha lasciato il Pd per aderire a Italia Viva, se la prende con i finanzieri e i loro superiori: “Lei sarà un leghista di m…”, dichiara. Ma pure attacca il “tenente dicendo che non avrebbe più percepito la pensione”. Infine li saluta: “Siete morti”.
La ricostruzione è scritta nel documento ufficiale della Guardia di finanza. Ma il deputato, dopo l’articolo del settimanale, nega tutto: “Mi ricordo”, dice all’agenzia Adnkronos, “mi ricordo benissimo la visita della Guarda di Finanza, ma questa storia non esiste proprio. E’ tutta fantasia e ovviamente agirò in giudizio perché questa è diffamazione”. La relazione dei finanzieri, in generale, segnala “la reazione durissima del deputato di Italia Viva davanti ai militari che dovevano iniziare una normale ispezione fiscale”.
Il primo contatto tra i finanzieri e Librandi avviene al telefono. La mattina del 24 luglio, scrivono i finanzieri, il parlamentare viene avvisato dell’ispezione per evitare l’intervento in eventuali locali dedicati alla sua “attività da parlamentare”. A quel punto, si legge nel documento, “il dottor Librandi con tono alterato incalza il maggiore Pirrazzo dicendogli che, vista la sua assenza, doveva andare via e tornare solo quando lui fosse stato presente. Che stava commettendo un abuso di potere e che i militari non potevano occupare un’azienda che lavora senza prima avvisarlo”. Il finanziere spiega che invece è possibile procedere anche in sua assenza. Il renziano allora insiste: “Non ha capito, ve ne dovete andare… lei pagherà le conseguenze di quello che sta facendo violando le leggi. Ora chiamo i generali e le faccio vedere io se sta facendo bene! Andrà a finire male”. E, mentre il maggiore tenta la mediazione, aggiunge: “Ve ne dovete andare! Non ha capito, io sono onorevole, e sto in Commissione Finanze ha capito? Ora chiamo il prefetto e la faccio sbattere fuori”. Alla domanda di chi possa fornire i documenti in azienda, Librandi risponde ancora: “Lei non ha capito, voi ve ne andare e tornate quando sarà possibile perché state violando i miei diritti e intralciando la mia attività di parlamentare. Io non mi faccio assistere da nessuno… lei ne pagherà le conseguenze… le farò causa e le farò pagare le conseguenze dell’occupazione militare che ha fatto questa mattina nei miei uffici di Saronno… io sono intoccabile, avete violato i miei diritti garantiti, io le avevo detto di tornare venerdì perché oggi erano presenti anche dei clienti tedeschi… Ci divertiremo in tribunale, vedrà. Mi saluti i suoi amici leghisti“.
Terminata la telefonata, continua il documento citato da l’Espresso, Librandi si reca negli uffici romani della srl. Arrivato sul posto, dove erano intervenuti altri quattro finanzieri, il parlamentare “si rifiutava di stringere la mano ai finanzieri che si presentavano intenti a rappresentare i motivi dell’intervento”. E, anche di persona, ritorna all’attacco: “Io lavoro, non come voi che non fate un cazzo dalla mattina alla sera, pago le tasse e anche il vostro stipendio”. Poi ancora, scrivono sempre i finanzieri, “inveiva contro i verbalizzanti asserendo che non avrebbe fornito il proprio documento richiesto per l’identificazione, che il tenente Cerra probabilmente a causa delle operazioni in corso non avrebbe percepito la pensione, che gli operanti avrebbero potuto considerare finita la propria carriera professionale pronunciando le parole ‘siete morti'”. Al tentativo di spiegare i motivi dell’intervento, Librandi avrebbe interrotto dicendo: “Il maggiore Pirrazzo sarà un leghista di merda”. E poi, “Fuori, andate via, aria! Fuori da casa mia!”.
Ma lo scontro non si esaurisce nei due contatti. Due giorni dopo Librandi prepara e consegna alla Finanza una dichiarazione scritta. “Il 24 luglio i militari irrompevano in azienda in nove, come all’assalto, creando il panico generale, al punto che gli stessi militari si compiacevano dello stato di agitazione e timore dicendosi tra loro ‘li abbiamo militarizzati’. Entravano senza titolo nel Laboratorio Progetti, causando la sorpresa e il blocco della attività… Impaurendo i dipendenti ed asserendo suggestivamente di avere il potere di controllare ed acquisire i computer e i telefoni personali”. Secondo Librandi, “violando l’articolo 68 della Costituzione”. Il parlamentare avrebbe annunciato al maggiore Pirrazzo la nota, e lui avrebbe risposto “chiudendo la telefonata”.
Il settimanale ricorda che Librandi è finito al centro delle cronache nelle scorse settimane, dopo che l’Espresso ha rivelato che risulta tra i maggiori finanziatori della fondazione Open, l’ente renziano su cui indaga la procura di Firenze. E’ stata Bankitalia a inviare una segnalazione tra febbraio 2017 e giugno 2018 sugli 800mila euro di donazioni verso l’organismo guidato da Alberto Bianchi. I bonifici, scrive ancora il settimanale, erano emessi proprio tramite l’azienda di Librandi, la Tci, al centro della verifica fiscale. La finanza di Varese sta appunto indagando su una serie di anomalie che riguardano l’impresa. In particolare, l’indagine, scrive l’Espresso, riguarda alcune operazioni legate al rientro di capitali dalla Svizzera: 800mila euro “arrivati dall’estero” ad esempio, risultano essere stati utilizzati per l’acquisto di due appartamenti a Saronno e Porto Cervo; altri 3,5 milioni siano stati investiti per “riscattare un leasing immobiliare”; un patrimonio immobiliare di 44,5 milioni di euro. Soprattutto si segnala che l’azienda dal 2012 non era stata sottoposto a “ispezione fiscale generale” e, anche per questo, si sarebbe deciso di fare “una verifica extraprogramma”. Un intervento che invece il parlamentare ha ritenuto “un affronto inaccettabile”.
Librandi nel merito, in seguito alla pubblicazione dell’articolo, ha replicato dicendo che, dopo le verifiche, non sono state riscontrate irregolarità: “L’esito della verifica fiscale fu che le operazioni dell’azienda risultarono tutte regolari”, ha detto all’agenzia Adnkronos. “Sì ho comprato degli immobili, un’operazione per rinforzare la mia azienda e continuare a lavorare negli anni. Operazioni regolari, pagate con conti regolari anche se esteri. Invece leggo una ricostruzione tesa a dipingermi come un evasore. La mia è un’azienda seria che paga le tasse”.

Voce del verbo cuccare. - Marco Travaglio

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Da quando è nato il partito-ossimoro Italia Viva, abortito ancor prima del parto, tutti si domandano che senso abbia, chi ne sentisse la mancanza e chi mai lo voterebbe. Ora però che la sventurata creaturina ha compiuto tre mesi di vita (anzi di morte), la risposta ai tre quesiti è chiara a tutti: siccome la politica è di una noia mortale, Iv serve a farci divertire un po’. Ha funzioni di svago, come i giullari nelle corti reali. Il primo partito che unisce l’inutile al dilettevole.
Il capocomico è Renzi, che si sta impegnando allo spasimo per scendere nei sondaggi dal 3 allo zero per cento e, per quanto ardua sia l’impresa, ce la può fare. Per lui la politica è come il tressette, dove chi ha più punti perde e chi ne ha meno vince. Infatti, non bastando la sua faccia, pur utilissima come sfollagente, ci mette pure le parole: ogni volta che apre bocca, se ne vanno 10 mila elettori. L’altro giorno, per dire, ha dichiarato che Craxi era “un gigante” e fu “condannato perché non poteva non sapere”. Una minchiata che ormai non osano ripetere nemmeno i figli di Craxi. Figurarsi l’entusiasmo dei suoi eventuali elettori, in un Paese che si beve di tutto, persino che B. era un perseguitato (tesi ovviamente sostenuta anche da Renzi per le accuse di mafia e strage), ma almeno i ladroni di Tangentopoli non li ha mai perdonati, specie se latitanti.
Tre giorni fa, con mirabile scelta di tempo, Renzi ha dipinto il sindaco Pd di Bibbiano come un perseguitato solo perché la Cassazione aveva annullato le sue misure cautelari (piuttosto blande: arresti domiciliari e obbligo di dimora, mai il carcere): un minuto dopo la Procura di Reggio ha depositato gli atti dell’indagine, confermando e anzi rincarando le accuse. Che solo in minima parte riguardano il sindaco e in massima parte la galleria degli orrori di una terrificante setta di presunti assistenti sociali e sedicenti psicologi protetti dal “sistema Emilia” che rubavano i bambini ai genitori inducendoli ad accusarli di abusi inesistenti con ogni sorta di violenza psicologica. Se il sindaco tenuto a casa per qualche settimana è un martire, cosa sono quei poveri padri, madri e bambini?
Poi, l’altroieri, il capolavoro: il voto di Iv alla controriforma della prescrizione del forzista Costa, a braccetto con FI, Lega e FdI che ha battezzato l’ingresso trionfale dei renziani nel centrodestra. Per giunta gratis, visto che la legge Costa è stata bocciata comunque, relegando i renziani al rango di pelo superfluo della politica italiana. Ora però, senza offesa per il Cazzaro di Rignano, il suo primato di cialtroneria è insidiato da una nuova stella che brilla nel firmamento italo-vivo.
È il senatore Giuseppe Luigi Salvatore Cucca, avvocato cassazionista di Nuoro. Entrato in Parlamento nel 2013 col Pd e ora trasmigrato in Iv, non ha lasciato nelle cronache alcuna traccia di sé, fuorché per una meritoria impresa: nel maggio del 2016 firmò con l’ex pm Felice Casson un emendamento che tagliava drasticamente la prescrizione, prima delle indagini e dopo il processo di primo grado. In pratica, la aboliva.
Già, perché il Pd, allora guidato dal segretario Matteo Renzi, voleva bloccarla addirittura alla richiesta di rinvio a giudizio, o al massimo al rinvio a giudizio. Il 18 febbraio 2015 il capogruppo in commissione Giustizia, Giuseppe Lumia, aveva fatto mettere a verbale testuali parole: “La posizione ufficiale del Pd è che la prescrizione deve cessare di decorrere dopo l’emanazione del decreto di rinvio a giudizio”. E nessuno s’era adontato, sostenendo magari che così il processo diventa eterno e si viola la Costituzione (queste stronzate le dicevano Schifani, ancora in Ncd, e i forzisti). Infatti tutti i senatori pidini che si occupavano di giustizia, da Casson a Cucca, dalla Capacchione a Lo Giudice, dalla Cirinnà alla Filippin alla Ginetti, avevano firmato emendamenti fotocopia. Poi, il 26 maggio 2016, per non urtare troppo alfaniani e verdiniani, si era optato per il blocco alla sentenza di primo grado. Ma con un formidabile freno anche in fase d’indagine, facendo decorrere la prescrizione non più dalla consumazione, ma dalla scoperta del reato.
Sentite che meraviglia. Comma 1: “La prescrizione cessa comunque di operare dopo la sentenza di primo grado”. Comma 2: “Il termine della prescrizione decorre dal giorno in cui la notizia di reato viene acquisita o perviene al pubblico ministero”. Firmato: “Casson e Cucca”. Roba che, al confronto, la legge Bonafede è acqua fresca. Infatti i 5Stelle si affrettarono ad applaudire e ad annunciare voto favorevole, pur preferendo l’alt al rinvio a giudizio.
Alfaniani e verdiniani alzarono le barricate insieme ai forzisti, Cucca fu costretto a ritirare la firma dal suo doppio emendamento e non se ne fece più nulla (la riformicchia Orlando della prescrizione era, appunto, il nulla). Dopodiché, un anno fa, la maggioranza giallo-verde approvò la riforma Bonafede che copiava il comma 1 della norma Casson-Cucca, ma non il 2, e ammorbidiva di parecchio quella che ancora nel 2015 era “la posizione ufficiale del Pd”. Ma il Pd votò contro insieme a FI. E il pidino Cucca, con faccia tosta ai limiti dell’autofagia, tuonò: “Sulla prescrizione si fanno errori che puniscono tutte le parti in causa nel processo, con rischi di incostituzionalità”.
Errori e rischi che, ove mai fossero fondati, sarebbero identici a quelli della legge firmata da lui. Ora il renziano Cucca partecipa ai vertici di maggioranza in quota Iv, assieme alle onorevoli avvocate Boschi e Annibali. E chiede, pancia in dentro e petto in fuori, di riesumare la vecchia prescrizione plenaria che solo quattro anni fa il pidino Cucca e il suo partito volevano cancellare molto più drasticamente della legge Bonafede.
Resta a questo punto da stabilire che differenza passi fra un senatore renziano e un giullare.
FQ 17 gennaio

giovedì 16 gennaio 2020

Il reddito di cittadinanza è servito. E lo dico da volontario di un centro d’ascolto. - Mariano Turigliato

Il reddito di cittadinanza è servito. E lo dico da volontario di un centro d’ascolto

“Non so proprio come pagare la bolletta, stanno per togliermi la corrente”, “I miei figli hanno bisogno di materiale scolastico e trasporti, che il Comune non mi aiuta più, dicono che hanno finito i soldi”. “Trent’anni in una grande azienda, poi ha chiuso. Finiti gli ammortizzatori sociali e pure i risparmi. L’amministratore della casa che possiedo mi ha fatto scrivere dall’avvocato. Se non pago, me la pignorano, così oltre che senza soldi, saremo anche senza tetto”.
Sono alcune tra le più frequenti richieste d’aiuto con cui si confrontano i volontari e gli operatori di un centro d’ascolto che spende una parte significativa dell’8 per mille in attività di sostegno a situazioni “estreme”.
Parecchi arrivano al centro d’ascolto su indicazione dei servizi sociali, impegnati sempre più solo in attività di smistamento clienti: visto che le risorse a disposizione scarseggiano, i Comuni potrebbero riconvertire il personale in attività di accompagnamento e tutoraggio. Una moderna interpretazione dei servizi sociali.
C’è chi ci prova, ma sono ancora troppi gli enti che non affrontano la questione della riconversione del personale e dei servizi. Ci vogliono idee, progetti, volontà e capacità. Strumenti a disposizione dei volontari del centro d’ascolto per valutare i casi: intuizione personale, esame dell’Isee, documentazione sanitaria o economica.
Da un po’ si è avvertito forte l’impatto del reddito di cittadinanza: per l’istruttoria, che l’Inps ha compiuto e compie per tutti quelli che l’hanno richiesto, e per l’erogazione dell’ammontare mensile. I volontari chiedono sempre l’estratto conto del rdc e, se gli utenti non ce l’hanno, li inviano a un Caf perché provvedano; i benefici vengono sospesi in attesa della regolarizzazione. Se la persona non ritorna, spesso è perché non l’aveva raccontata giusta. Anche così si liberano risorse, prima destinate a interventi-tampone, a favore di misure più risolutive, come le borse-lavoro e i tirocini nelle imprese.
In genere, chi non ha il rdc non voleva dichiarare redditi e proprietà che ne avrebbero impedito l’erogazione, analogamente chi percepisce un rdc molto basso, coccolato dai mass media per dimostrarne l’inutilità, come ci ricordava Domenico De Masi venerdì 10 scorso sulle colonne de Il Fatto Quotidiano.
Al netto degli errori Inps, i redditi a cui si fa riferimento nel determinare il rdc sono quelli di due anni prima, quando magari l’interessato aveva lavorato per un po’. Si rimedia alla decurtazione del rdc con l’Isee corrente e si ripresenta domanda, i volontari lo spiegano a quelli che non lo sanno. La gran parte degli utenti, comunque, il rdc ce l’ha. Chi prima chiedeva aiuto scusandosi e vergognandosi dello stato di necessità, adesso è affrancato dall’emergenza quotidiana. Continua a cercare lavoro e a volte lo trova, così riprende una vita dignitosa e poco dipendente dagli aiuti esterni: al centro non viene più.
Chi vive da sempre barcamenandosi nell’assistenza – pubblica e privata – fra sussidi, contributi, aiuti, continua a farlo. Costa come prima alla collettività perché il suo rdc sostituisce le somme e il sostegno che ha ricevuto sotto varie forme, al netto del personale addetto a tutta quella che resta della macchina dell’assistenza pubblica, ora da riconvertire per adeguare la rete dei servizi alle mutate condizioni generali.
Qualcuno fa il furbo: c’è chi ci prova e spera di farla franca, proprio come ha sempre fatto, in sintonia con altri beneficiari di incentivi, esenzioni e facilitazioni. Imprenditori e prenditori che nel corso degli anni hanno usufruito di notevoli “redditi di cittadinanza” a spese della collettività. Dovevano servire a creare lavoro, a innovare: qualche volta è anche successo, ma quante truffe e baruffe, quanti soldi finiti in fondi e attività improduttive.
Eppure nessun esperto, politico, giornalista ha osato reclamare la fine delle misure a sostegno dell’impresa. Al massimo controlli più stretti e sanzioni più ficcanti. Come se a una parte della popolazione i benefici fossero dovuti e a un’altra no.
Anche su questo riflette un volontario – preoccupato dell’impoverimento del ceto medio, consapevole che, quando la diseguaglianza produce disperazione, la rivolta è prossima – mentre ascolta persone in difficoltà in un centro d’ascolto confessionale che sostiene sia chi ha bisogno di una mano per ripartire sia chi non riuscirà mai a emanciparsi, ma a cui finalmente si è cominciato a garantire la sopravvivenza. Quasi come alle banche fraudolente.
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Cornuti e mazziati. - Massimo Erbetti

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Il nuovo razzismo è anche contro i poveri.
In questo paese secondo alcuni, essere poveri è una colpa e se sei povero logicamente sei anche fannullone, la povertà non è una disgrazia, ma una scelta. Chi è povero è discriminato, come lo sono i gay, le lesbiche, gli immigrati, e tutti i diversi. Beh cosa possiamo aspettarci di diverso da chi ancora oggi considera colpevoli ad esempio le vittime di stupro?.. "e Vabbe se la è cercata...aveva la minigonna... Girava in una via isolata..." oppure da chi gioisce per i morti in mare, o come accaduto pochi giorni fa, il caso della "nonnina" che scriveva su Facebook: "si faccia rimborsare il biglietto" riferito a quel bambino morto assiderato in un carrello d'aereo. Il razzismo, l'intolleranza e l'odio, ora colpiscono anche i poveri:
"Non trovo operaie, non rinunciano al reddito di cittadinanza". La denuncia di un'imprenditrice.
Mihaela Rujoiu, di Senigallia, è alla ricerca di 16 operaie, ma non è così semplice: "C'è chi vuole lavorare solo pochi mesi per ottenere la disoccupazione"
La "signora" in questione si guarda bene però dal dire che tipo di contratto offre alle lavoratrici, si guarda bene dal dire quanto è la paga, si guarda bene anche dal dire, quanto dura quel contratto. Il più delle volte I contratti in questione, sono per un'ora e quindici minuti al giorno, per due tre volte la settimana, che tradotto in soldoni, sono circa otto o nove euro al giorno per dodici giorni al mese, a cui logicamente vanno sottratte le spese per recarsi sul posto di lavoro. È lavoro questo? È dignità questa? Facile, troppo facile puntare il dito sui poveri che non hanno voglia di lavorare, facile, facilissimo sparare sui poveri, sugli ultimi, tanto non possono difendersi, non ne hanno la forza e il più delle volte neanche le capacità... Donne e uomini senza un volto, additati come colpevoli, pur essendo vittime di una società incapace di dar loro un futuro.
Il reddito di cittadinanza, seppur migliorabile è la migliore norma per contrastare la povertà che sia stata mai introdotta in questo paese.. si può migliorare? Certo, va rivisto? Certo, tutto è migliorabile, ma parlarne come se fosse un flagello di Dio è da irresponsabili e chi lo fa è perché non può più sfruttare quella fascia di popolazione fragile che dovrebbe essere sostenuta, non colpevolizzata.


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Recessione alle porte, il modello «solo export» non funziona più.- Alessandro Penati



La recessione dell’Eurozona sta diventando una quasi certezza. Già nel terzo trimestre Germania e Italia avevano avuto una crescita negativa del Pil. In Germania, alla caduta della domanda estera si è aggiunta la contrazione dei consumi interni. Ma il -0,2% del Pil sconta anche da un aumento consistente delle scorte (+0,7%); facile prevedere che la domanda nell’ultimo quarto 2018 venga soddisfatta più da una riduzione di queste che da un aumento della produzione.
In Italia, l’inversione di tendenza degli investimenti ha segnalato il deteriorarsi delle aspettative delle imprese. Corroborata, come in tutta l’Eurozona, da un calo degli ordinativi.
L’unica grande economia con Pil positivo nel terzo trimestre era la Francia, ma le forti tensioni sociali hanno fatto crollare l’indicatore della fiducia di consumatori e imprese. Ora, il rischio recessione riguarda tutta l’Eurozona. Definirla una recessione “tecnica”, una pausa temporanea in un trend di crescita, significa sottovalutare il problema: un modello di crescita non più sostenibile e politiche errate.
Germania (7,9%) ed Eurozona (3,4%), Italia compresa (2,4%), registrano da anni forti avanzi delle partite correnti rispetto al Pil, che ci si attende invariati anche nel prossimo triennio. Puntare sulla domanda esterna per uscire da una recessione è ragionevole in un mondo di economie aperte, ma fondare sull’export il modello di sviluppo è controproducente. In primis perché un avanzo delle partite correnti è un deficit di domanda interna, alla lunga foriero di tensioni sociali (per gli individui conta la possibilità di consumare, non di esportare).
Poi perché, a fronte di persistenti avanzi, qualcuno nel mondo deve avere persistenti disavanzi. Visto che anche Giappone e Cina hanno adottato uno sviluppo basato sulla domanda estera, l’Eurozona deve contare su un persistente eccesso della domanda interna degli Stati Uniti. La presidenza Trump insegna che questo non è scontato.

Infine perché espone maggiormente l’economia agli shocks esterni. Per l’export tedesco, il mercato inglese pesa come la Cina; per Francia e Italia è il doppio: la Brexit dunque potrebbe rappresentare uno shock per un’eurozona già in rallentamento.
La politica monetaria è ormai in un vicolo cieco. Inutile ridurre tassi già negativi (-0,4%). Il QE è terminato, e il reinvestimento dei titoli in scadenza detenuti dalla Bce oltre ad essere poca cosa (23 miliardi al mese) rischia di allargare gli spread. I Bundesrepublik infatti assorbiranno un quarto della domanda della Bce, a fronte di una riduzione della loro offerta per via dell’avanzo di bilancio tedesco; mentre, spinta dal deficit, aumenterà quella di titoli italiani, spagnoli e francesi. Un nuovo programma di finanziamenti alle banche non sarebbe un sostituto del QE: quest’ultimo immette direttamente liquidità nel sistema; mentre se fornita alle banche, probabilmente verrebbe tesaurizzata cautelativamente a fronte degli impegni di rifinanziamento del proprio debito e del peggioramento delle prospettive economiche.
Dovrebbe essere la politica fiscale a sostenere la domanda interna, con tagli di imposte e progetti di investimento che massimizzino il moltiplicatore. Ma Italia e Francia fanno l’opposto: aumentano la spesa corrente, che ha impatto ridotto sulla crescita, per inseguire il facile consenso nell’illusione di comprare la pace sociale.
La vera svolta per l'Eurozona sarebbe la rinuncia tedesca all’avanzo di bilancio per sostenere la domanda interna con investimenti pubblici e minori tasse. Sembra una follia. Ma le nubi minacciose di recessione dovrebbero allertare la Germania e l’Eurozona intera che è arrivato il momento di ripensare modello di sviluppo e gestione della politica economica.

https://www.ilsole24ore.com/art/recessione-porte-modello-solo-export-non-funziona-piu-AEuaLjEH?fbclid=IwAR3QPKvNPqStxy37mbkI8q06BfpzTBYEPOQ2Ryg8UeleY4Cpni-8FQ736To

Non ci vuole molto a capire che mettere sul mercato le aziende ha creato un buco profondo nella produzione locale e nazionale in quanto rappresentata in modo teorico e non reale a causa delle speculazioni borsistiche. Il risultato è quello che si sta verificando: recessione nazionale alle porte e singoli capitalisti sempre più ricchi.
Cetta.

Movimento 5 Stelle, Di Maio è un problema ma non il problema. - Andrea Scanzi

Che si dimetta o meno da leader a ridosso dell’ennesimo disastro elettorale, ovvero quelle Regionali dove i 5 Stelle rischiano a) di superare a fatica il 5% e di far vincere Salvini, Luigi Di Maio pare al capolinea. Parlare di lui è difficile perché spesso lo si critica a prescindere, bastonandolo odiosamente sotto la cintura. Per esempio chiamandolo “bibitaro” (non lo è mai stato e non sarebbe comunque un’onta esserlo stato). Oppure alludendo vilmente al suo essere un “omosessuale della lobby gay grillina con la fidanzata di cartone”, accusa (?) mossa da chi pensa ancora che dare a caso del gay a un altro sia un insulto, quando è quasi sempre l’ultima mossa dei prostatici omofobi a fine corsa (ogni riferimento alle spoglie mortali di Sgarbi e Feltri non è forse casuale). Luigi Di Maio non è il colpevole unico dell’agonia grillina. E resta probabilmente il meno peggio tra i (non) leader presenti nel Movimento. Cambiare il vertice è lecito, ma rischia di sortire l’effetto che ebbe il sacrosanto esonero di Giampaolo al Milan: puoi anche mettere in panchina Giosafatte in persona, ma se la rosa è moscia esonerare l’allenatore serve a poco.
Il problema del M5S è che, oggi, non è né carne né pesce: non ha una visione, non è né di lotta né di governo, non incarna la protesta e nemmeno la dirigenza. Si è come condannato a una lenta implosione al rallentatore, tra scazzi personali e faide bambinesche, e Di Maio è un problema ma non il problema. Ciò detto, il leader 5 Stelle ha sbagliato tanto.
– Se fino a febbraio 2018 ha indovinato ogni mossa, da giugno 2018 Di Maio è diventato un Calimero condannato all’autogol. Prima oscenamente assoggettato a Salvini, ora odiosamente malmostoso con Zingaretti. Le non poche cose buone fatte, unite al coraggio di non essere presidente del Consiglio (gli sarebbe bastato baciare la pantofola a Berlusconi o accettare le sirene di ritorno del Cazzaro Verde), sono naufragate di fronte ai troppi harakiri.
– A proposito di harakiri: l’incontro con le frange estreme dei gilet gialli. La baracconata della “santa teca” dentro la quale c’era la tessera numero 1 del reddito di cittadinanza. La scenetta surreale dal balcone. Il tragicomico “aboliremo la povertà”. Il delirante “mandato zero”. Eccetera.
– Di Maio si è sistematicamente sopravvalutato. Si è preso due dicasteri difficilissimi (Ilva, Whirlpool) e poi, dal nulla, si è inventato Churchill andando alla Farnesina. Con quale competenza?
– Andando agli Esteri, Di Maio ha lasciato sguarnito il Movimento, che – col capo lontano – ha cominciato a mugugnare e congiurare. Di Maio ha reagito tardi, con livore e tagliando teste a caso.
– Quando si è trovato in difficoltà, è ricorso troppo spesso alla mitologica “piattaforma Rousseau” per buttare la palla in tribuna. La frittata è stata completata dalla cosiddetta “base”, che prima ha salvato Salvini sulla Diciotti (il punto più basso del M5S) e poi ha varato il suicidio in Emilia-Romagna e Calabria, decidendo di correre (si fa per dire) da soli. Un leader vero si sarebbe preso la responsabilità di lasciare Salvini al suo destino (come sulla Gregoretti) e di star fermo un giro nelle due regioni ora al voto.
– Di Maio ha subito la decisione di Grillo di governare col Pd. Tra un Di Battista fermamente contrario e un Fico apertamente a favore, è stato nel mezzo. Indossando il muso lungo dei bambini bizzosi.
In estrema sintesi: Di Maio è (stato) un ottimo oppositore nella precedente legislatura; un (triplo) ministro onesto e tutto sommato decente; e un leader dal fiato corto.
Qui sotto il commento di un lettore all'articolo:
Per carita’, c’e’ del vero nel quadretto dipinto nell’articolo.
DiMaio ha fatto degli errori, e il movimento ha sbagliato mille cose.
Ma onestamente credo che la colpa principale di DiMaio sia quella di non avere la bacchetta magica.
Visto che siamo in vena di liste puntate, io rilancio:
– Straordinario risulatato alle elezioni del 2018: il Movimento e’ pronto ed e’ desideroso di prendersi le responsabilita’ di governo. Come ampiamente dichiarato in campagna elettorale, cerca un accordo con chiunque ci stia. E qui la prima scelta: Lega o PD? Il PD non si siede al tavolo quindi resta poco di cui discutere. Ma e’ cruciale la parola scelta: quando si governa si deve decidere e, a meno di avere la bacchetta magica, si devono fare delle scelte. Per forza di cose si va incontro a critiche e malcontento: ognuno di noi ha priorita’ e sensibilita’ diverse.
– Primo impegno: Caso Ilva. Il programma del Movimento era chiaro: chiudere perche’ la salute viene prima di tutto. Appena DiMaio si e’ avvicinato a Taranto gli sono saltati al collo perche’ non osasse pronunciare la parola chiusura. Ma cosa aveva votato il 60% dei Tarantini? E gli operai per cosa avevano bocciato a fare il piano di Calenda?
DiMaio prende atto della cambiata sensibilita’ della citta’ e rispolvera l’accordo di Calenda.
A questo punto gli saltano di nuovo al collo perche’ c’e’ inquinamento. Pazientemente prova a spiegare il piano di risanamento ambientale con il Ministo Costa (uno che la sua materia la conosce e lo ha dimostrato sul campo). Eppure si da voce solamente agli insulti di un insegnante di lettere ambientalista a cui viene assegnato il titolo di professore.
– Con il decreto dignita’ riduce i contratti a termine stimolando la conversione in contratto a tempo indeterminato. Viene massacrato da chi ha paura di non essere riconfermato e dagli industriali a cui fa comodo tenere gente con contratti di 3 mesi. Dopo un anno pero’ si vedono i buoni risultati (per carita’, non ha creato un milione di posti di lavoro).
– Con il decreto dignita’ vieta la pubblicita’ del gioco di azzardo. Viene massacrato da chiunque guadagni due soldi con la pubblicita’: giornali, siti internet, lega calcio, ecc.
– Con il decreto dignita’ voleva anche regolarizzare i riders che fino al giorno prima chiedevano piu’ garanzie. Passati dalla bicicletta al tavolo ministeriale i riders fanno sapere che preferiscono lo status quo. Con il senno del poi e delle inchieste su quel mondo viene da dire che in realta’ preferiscono avere contratti non regolati per poter subappaltare le consegne a migranti irregolari.
– Sui migranti appoggia le politche di Salvini contro le ONG. Non una sorpresa visto le parole usate in campagna elettorale (i famosi taxi del mare). Una posizione principalmente basata sulle dichiarazioni del procuratore Zuccaro in parlamento.Salvini va un pochino oltre le posizioni del Movimento andando ad intaccare anche il processo di integrazione. Qui DiMaio non ha potuto o saputo tenere botta, ma d’altra parte non governando da soli si devono fare compromessi.
– La legge di bilancio e’ a forte impronta 5 stelle con l’introduzione del reddito di cittadinanza in forma ridotta. Massacrato di chi voleva di piu’ e massacrato da chi si lamenta per la natura assistenziale del provvedimento. Massacrato da chi vuole prima la riforma dei centri per l’impiego e massacrato da chi lamenta ritardi nell’erogazione del denaro.
– Appoggia la riforma della prescrizione di Bonafede. Nel programma del movimento la prescrizione si sarebbe dovuta interrompere a fine indagine, non dopo la sentenza di primo grado. Di nuovo un compromesso. Scandaloso e vergognoso per molti. Per alcuni perche’ manettaro, per altri perche’ troppo morbido. Intanto fa a spallate con la Lega prima e con il PD poi per provare a realizzare la proposta di riforma del processo penale di Bonafede per rendere piu’ veloce il processo. Questa si basa principalmente su alcune delle proposte della commissione Gratteri. 
– E cosi via, ogni cosa che il Movimento ha provato a fare o a toccare e’ stata la scusa per attaccare DiMaio e accusarlo delle peggiori nefandezze. E quando non veniva accusato DiMaio ci si accaniva su Toninelli. Reo di non volere le grandi navi a Venezia e di non considerare la caduta del ponte Morandi un incidente inevitabile.
In realta’ DiMaio e quei poveracci al governo con lui sono stati finora a testa bassa a spalare letame come pochi in questo paese sarebbero riusciti a fare.
Cosa avrebbero dovuto o potuto fare di diverso?
Forse fare qualche tweet o diretta facebook diversamente.
Forse migliorare la comunicazione. Sicuramente evitare qualche uscita sopra le righe.
Forse avere un rapporto migliore con i media lottizzando la rai invece cha lasciarla in mano alla Lega.
Forse usare la loro posizione al governo per fare campagna elettorale permanente.
Forse curare il rapporto con la base, anche in maniera clientelare patrocinando eventi con soldi pubblici.
Invece hanno badato solo a portare avanti i temi del programma. Facendo compromessi e trovando mediazioni con forze politiche che rappresentano chi legittimamente ha posizioni diverse dal Movimento. Hanno fatto politica, con la P maiuscola. E hanno portato a casa dei risultati importanti.
In 20 mesi non hanno cambiato l’Italia, ma hanno seminato qualcosa di tutto sommato buono.
E se alla fine di questa esperienza i Movimento sparira’ avra’ comunque lasciato delle impronte indelebili nella societa’ italiana.

Chiamate la neuro - di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 16 Gennaio:

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Immaginate se un giorno il ministro della Salute si affacciasse ai teleschermi e annunciasse: “L’aspirina non serve a combattere il cancro e la chemioterapia è inutile nella cura del raffreddore, dunque abbiamo deciso di vietarle”. Due infermieri lo porterebbero via per accompagnarlo in un repartino psichiatrico, prima che dica altre cazzate e faccia altri danni, essendo universalmente noto che l’aspirina non cura il cancro, ma il raffreddore, e la chemioterapia viceversa. Pare fantascienza, invece è il livello medio del dibattito pubblico in Italia, dove tutti parlano a vanvera, sommando le mele con le pere o scambiando le cause con gli effetti.
1. Va di gran moda prendersela col Reddito di cittadinanza perché non crea nuovi posti di lavoro. Il Giornale titola: “Anche l’Inps ammette: il reddito di cittadinanza non crea occupazione. Per il presidente Tridico impatto quasi nullo. Anche Gualtieri si è convinto: va cambiato”. Ma fosse solo la stampa umoristica, poco male. La sottosegretaria al Lavoro del Pd, Francesca Puglisi, dice al Corriere che, col Rdc, “chi non lavora è favorito”. Oh bella: sarebbe strano il contrario, visto che il Rdc è stato pensato appunto per chi non trova lavoro e non ha di che campare. Se uno lavora e – si spera – viene retribuito, per definizione non ha bisogno del sussidio. Con la stessa (il)logica, la sottosegretaria potrebbe alzare il ditino e censurare il sussidio di disoccupazione perché favorisce i disoccupati. O i permessi di maternità perché favoriscono le mamme. Che senso ha, dunque, dire che il reddito va cambiato perché non va ai lavoratori e non crea posti di lavoro, cioè fa ciò per cui è stato pensato? Se poi i navigator e i Centri per l’impiego, una volta a regime, faranno incontrare la domanda (altissima) e l’offerta (bassissima) di lavoro, tanto meglio. Ma i posti di lavoro si creano con gli investimenti pubblici e privati e, se arriveranno, avremo meno poveri assoluti che chiederanno il reddito. Ma intanto il reddito garantisce loro di non sprofondare nella miseria più nera, facili prede della criminalità e altre tragedie sociali. Purché un lavoro lo cerchino e non lo rifiutino se viene loro offerto. Ma, per valutare il successo o l’insuccesso del Rdc, i dati da esaminare sono altri: non il numero dei posti di lavoro, ma quello dei poveri assoluti col reddito. Che, dopo 8 mesi, è altissimo: 2,5 milioni su 5 censiti (di cui 1 milione sono finti perché lavorano in nero) ricevono ogni mese in media 520 euro. Così in pochi mesi (stime Inps) il tasso di povertà si è ridotto dell’8%, l’indice di diseguaglianza dell’1,2% e il numero dei poveri assoluti di circa il 60%.
2. Il martellamento quotidiano contro la blocca-prescrizione che “allunga i processi” fino a renderli “eterni”. Anche questa è una panzana (i processi sono già eterni, anche perché molti avvocati li allungano per arrivare alla prescrizione) e una scemenza in sé (i primi effetti del blocco si avranno fra 7-8 anni, visto che vale per i reati perpetrati dal 1° gennaio 2020, che devono ancora essere scoperti o addirittura commessi, e si prescriveranno quasi tutti fra 5 o 7 anni e mezzo, dando al Parlamento tutto il tempo per abbreviare – volendo – i tempi dei processi). Ma soprattutto è una polemica insensata, perché nessuno ha mai chiesto di bloccare la prescrizione per accorciare i processi (quello è un effetto collaterale, non il movente della legge Bonafede). La riforma serve a evitare che ogni anno centinaia di migliaia di imputati colpevoli – di solito ricchi e potenti, i più pericolosi – restino impuniti facendosi beffe dello Stato, della Giustizia e delle vittime. E, fra 7-8 anni, nei primi processi con la prescrizione bloccata dopo il primo grado, nessun colpevole la farà più franca perché è scaduto il tempo.
3. Ieri Repubblica apriva così: “Cancellare Salvini”. Vasto programma. Per carità, è confortante che il giornale che per due anni ha gonfiato Salvini come un tacchino, il padrone dell’Italia, il vero premier, il ministro unico che fa il bello e il cattivo tempo (anche se non faceva una mazza), “chiude i porti” (ovviamente sempre aperti), pilotava masse sterminate di discepoli a suon di fake news della formidabile Bestia e del retrostante Putin, il campione del Sovranismo, il nuovo Mussolini, il genio del male responsabile di qualunque disgrazia sull’orbe terracqueo, abbia deciso un bel mattino di “cancellarlo”. Poi però uno gira pagina e rimane deluso: il titolo tonitruante, abolite inspiegabilmente le virgolette, riassume un’intervista al capogruppo Pd Graziano Delrio. Il quale, come i geni di Repubblica, non vuol cancellare Salvini, ma i suoi decreti Sicurezza, in barba al programma di governo che parla solo di correggerlo sulle critiche di Mattarella alle multe eccessive alle navi delle Ong che entrano nei porti italiani senz’autorizzazione (condotta vietata e sanzionata in qualunque Paese civile). Il guaio è che questo è proprio quello che sogna ogni notte Salvini, per poter dire che il Conte2 ha riaperto i porti che lui finge di avere chiuso (con la collaborazione straordinaria di Repubblica) e riguadagnare i consensi perduti. Chi volesse davvero “cancellare Salvini”, o almeno sgonfiarlo un po’, dovrebbe lasciar lavorare l’ottima ministra Lamorgese e pensarci non una, ma mille volte prima di abolire le sanzioni (certamente eccessive, ma per principio sacrosante) per chi entra senza permesso in casa nostra e moltiplicare gli sbarchi che non Salvini, ma Minniti prima di lui aveva ridotto al minimo possibile.
Ma questo è il discorso pubblico nell’Italia del 2020: il sussidio ai disoccupati non va bene perché va ai disoccupati. La blocca-prescrizione non va bene perché sfavorisce i colpevoli. Salvini si cancella rianimando Salvini. E gli infermieri non arrivano mai.