da Cannes –
I giornalisti riportano i minuti di applausi piovuti dal buio in sala sulla pelle di Sabina Guzzanti alla fine del suo “Draquila”.
Saranno tre o saranno quattro i minuti poco importa.
Perche’ cio’ che conta in quella sala e’ il sapore di quel battere le mani, pieno di terra, detriti, luci lasciate accese fuggendo in quella notte da terremoto d’aprile, sangue e dolore.
E macerie.
E il pubblico si alza con lo stomaco chiuso, con rabbia e profonda tristezza esce dalla sala di proiezione in silenzio, dopo aver visto un paese, l’Italia, descritto come venduto alla mafia e alla corruzione e una citta’ d’arte di gente orgogliosa, l’Aquila, messa in ginocchio prima dal terremoto poi dalla ricostruzione e dall‘ assedio mediatico.
E dall’avidita’ di chi vede in un terremoto solamente possibilita’ di lucro.
Svetta l’abito d’argento da sera di Guzzanti in mezzo a un pubblico impegnato, attento e poco simile a quel « barnum » che e’ il festival di Cannes.
Il direttore del festival, Thierry Fremauux, sostiene Guzzanti dall ‘inizio del film «inconcepibile l’atteggiamneto della politica italiana verso la liberta’ di espressione » e poi sulle scale rosse di moquette nel finale tra gli applausi, mentre ragazze italiane urlano « Sabina se non c’ e’ bondi con te ci siamo noi ».
Come un grande ufficio stampa il ministro fa salire gli incassi del film con le sue dichiarazioni e forse promuove proprio un passa parola che non si potra’ piu’ fermare : cosa e’ stata realmente la ricostruzione in Abruzzo.
Con la sua gente felice di entrare nelle case consegnate lo scorso settembre e con quelle persone disperate di non poter entrare piu’ nel centro antico, nella vita centenaria della propria, bella citta’.
La vita nelle tende regolata da una protezione eccessiva : no caffe’ no coca cola, no alcol.
Gli accampati non si possono agitare.
Ne possono entrare da una tendopoli all’altra, non possono uscire dal campo quando e come vogliono.
Né possono protestare.
Chi scrive e’ un terremotato friulano, un abitante della « piccola patria » di Pasolini che ha visto cadere interi paesi e poi in vent’anni ha visto un territorio assistito, aiutato e ricostruito pietra su pietra.
Giorni in cui non esisteva nemmeno la protezione civile.
Giorni in cui, nel 1976, lo stato affidava ai sindaci dei comuni crollati il 6 maggio l’incarico di decidere « come » ricostruire il proprio paese.
« Draquila » racconta questo : l’impossibilita’ di decidere cosa fare della propria casa e del vivere insieme, solidale, di una comunita’ che ha vissuto tanto, tanto dolore.
Un mese fa a Udine ho sentito un ingegnere sessantenne esclamare : « il periodo piu’ bello della mia vita ? quello dopo il terremoto, vivevamo tutti insieme, ci aiutavamo gli uni con gli altri.
Ci volevamo bene, ci eravamno perdonati tutto ».
A l’ Aquila forse hanno rubato anche questo.
http://www.articolo21.org/1140/notizia/sabina-se-non-ce-bondi-con-te-ci.html