lunedì 1 ottobre 2012

GDF denuncia casa famiglia. La retta quotidiana era di 223 euro, beni sequestrati per 980.000 euro.




Questa vicenda di cronaca ci aiuta a capire meglio il pianeta case famiglia, dove spesso operatori senza scrupoli ricavano grossi guadagni sulla pelle di bambini a cui necessita un aiuto. Si è sempre parlato delle rette giornaliere che queste strutture lucrano su ogni bambino, ma lo spaccato fornito dal caso di Biella informa meglio di ogni immaginazione.
Il Nucleo di Polizia Tributaria di Biella, congiuntamente alla polizia giudiziaria presso la Procura della Repubblica, dopo indagini durate diversi mesi ha denunciato 6 persone che hanno commesso gravi irregolarità (riscontrate durante un controllo effettuato la scorsa estate) presso una Comunità Terapeutica per Minori affetti da gravi problemi neuro psichiatrici. I finanzieri hanno, inoltre, sottoposto a sequestro preventivo per equivalente più di 230.000 euro di crediti commerciali che la cooperativa vantava verso ASL e comuni delle Regioni Piemonte, Valle d'Aosta e Lombardia.
Le complesse indagini hanno permesso di provare che la comunità biellese, fin dal 2009 presentava gravi ed endemiche carenze organiche in quanto gli operatori non erano né numericamente, né professionalmente, sufficienti a garantire sicurezza ed adeguata vigilanza sui minori ricoverati nella struttura, così come previsto dalla rigorosa normativa di riferimento (DGR regione Piemonte n. 41/2004).
La comunità terapeutica per minore, che era gestita da una Cooperativa sociale, prestava, di fatto, cure ben lontane dagli standard contrattuali previsti, con una forte carenza di figure professionali quale quella dello psicologo, dello psicoterapeuta e del neuropsichiatra. Tutto ciò con la piena consapevolezza del Direttore Sanitario della struttura che, nonostante fosse a conoscenza della grave e cronica inadeguatezza numerica del personale operatore, richiedeva alle ASL competenti un aggravio della già elevata retta giornaliera pari a 223 euro più IVA per ospite, con la motivazione di "dover supervisionare più accuratamente" i minori.
Il Direttore Sanitario ed il Presidente della Cooperativa che gestiva la struttura, sono stati denunciati per i reati previsti dagli artt. 640 bis, 591 e 356 del C.P. per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, abbandono di minori o incapaci e frode nelle pubbliche forniture.
Anche la posizione di due membri della Commissione di vigilanza delegata dall'ASL e di un direttore e di un ex direttore sanitario del distretto ASL è stata posta al vaglio della magistratura inquirente per omissione d'atti d'ufficio, in quanto in sede di visite ispettive le gravi carenze organiche/strutturali della comunità terapeutica non venivano rilevate, mentre quelle più lievi venivano in parte evidenziate, senza però far osservare le prescrizioni impartite, permettendo, così, la continuazione, da parte del gestore della struttura sanitaria, nel reato di truffa aggravata ai danni della sanità pubblica.
Il Pubblico Ministero, accogliendo la richiesta avanzata dalle Fiamme Gialle biellesi, ha avanzato al G.I.P., istanza di sequestro preventivo per equivalente di beni per un importo complessivo di 980.000 € che è stato reso esecutivo su 230.000 € di crediti commerciali della cooperativa. 

Pierfischiettando Casini. - Marco Travaglio



Carta Canta - l'Espresso, 28 settembre 2012.

Siccome in Italia il rinnovamento della politica si fa conservando gli stessi politici, che però cambiano continuamente idea e nome ai loro partiti, Pierferdinando Casini si crede il non plus ultra del nuovo che avanza: infatti ha 57 anni e ne ha trascorsi più in Parlamento (29) che fuori, essendo entrato alla Came

ra nel 1983 per non uscirne più. Ha militato nella Dc, nel Ccd con Berlusconi e nell'Udc contro Berlusconi, ma ora ha sciolto l'Udc per traghettarla nel “Partito della Nazione” che si propone una grande coalizione col Pd e con Berlusconi per un bel Monti-bis.

E dire che, nel dicembre '94, quando il primo governo del Cavaliere cadde per la sfiducia di Bossi, i governi tecnici gli davano l'orticaria: infatti rifiutò di appoggiare quello di Lamberto Dini, antesignano di Monti, perché era “la versione raffinata, tecnico-universitaria, del ribaltone politico”, un “gioco scorretto” contro “il bipolarismo che abbiamo costruito”, per “far dimenticare il voto popolare” e negare “la parola agli elettori” (17 gennaio '95). Quando poi, un anno dopo, Dini si candidò con una sua lista nel centrosinistra, Casini tuonò: “Se c'è una persona inaffidabile è Dini: ha fatto un governo tecnico che doveva restare neutrale e invece è diventato un partito” (24 marzo '96). Ora naturalmente patrocina una “Lista Monti” con dentro un bel po' di ministri tecnici, da Corrado Passera ad Andrea Riccardi (Monti, purtroppo per lui, è già senatore a vita), tutti invitati alla sua convention diuretica di Chianciano. E guai a chi dà loro degli “inaffidabili” per le loro fregole ben poco tecniche e molto politiche.

Nel dicembre 2005, quand'era presidente della Camera per grazia berlusconiana ricevuta, Casini minacciò di ritirare l'appoggio al secondo governo Berlusconi se il centrodestra non avesse subito cambiato la legge elettorale. Naturalmente fu accontentato: il nuovo sistema di voto lo scrisse il ministro Roberto Calderoli sotto dettatura di Casini. E fu subito Porcellum: proporzionale senza preferenze, ma con liste bloccate e soprattutto con un mostruoso premio di maggioranza alla coalizione vincente. Pierferdy, tutto contento, regalò al Cavaliere il suo Follini come vicepremier.

Ora, fischiettando come se niente fosse, si batte come un leone contro il Porcellum che aveva dettato lui e addirittura promuove una raccolta di firme per reintrodurre le preferenze che aveva bocciato lui. E se nel '95 osteggiava il governo Dini nemico del “bipolarismo che abbiamo costruito”, oggi il nemico del bipolarismo è lui, Pierfischiettando: infatti sogna la grande coalizione e non vuol saperne di una legge elettorale che costringa i partiti a dichiarare prima del voto con chi si alleeranno. Un uomo tutto d'un pezzo. O d'un prezzo. Dopo aver votato una trentina di leggi vergogna in favore dei corrotti, invoca un giorno sì e l'altro pure la legge anticorruzione. E promette, ça va sans dire, liste pulite: “Riteniamo sia giusto presentare un'offerta politica composta da persone perbene”. Fantastico.

Ma forse chi, come il Pd, vuole portarlo all'altare dovrebbe pretendere qualche garanzia più precisa, visti i precedenti. Stiamo pur sempre parlando del formidabile talent scout che portò in Parlamento Totò Cuffaro, Calogero Mannino e Saverio Romano quand'erano imputati per storie di mafia (il primo fu poi condannato e gli altri due assolti, però Mannino è di nuovo sotto processo per la trattativa fra lo Stato e Cosa Nostra). Ora non vorremmo che Pierfischiettando ci ricascasse, visto che ai suoi raduni sfilano abitualmente Paolo Cirino Pomicino (due condanne definitive: finanziamento illecito e corruzione), Giorgio La Malfa (una condanna per finanziamento illecito), Lorenzo Cesa (reo confesso di una dozzina di tangenti e salvato per un vizio di forma), Emma Marcegaglia (la cui azienda di famiglia ha patteggiato per corruzione), lo stesso Passera (indagato per frode fiscale) e alcuni emissari di Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo (condannato in primo grado per abusi edilizi).

Urge chiarimento sul concetto di “persone perbene”.

domenica 30 settembre 2012

QUEI 45 IMPRENDITORI CHE CHIEDEVANO LA DEPENALIZZAZIONE DEL FALSO IN BILANCIO.

OGGI IN PARLAMENTO

Milena Gabanelli, durante la puntata di Report appena andata in onda:

La corruzione la scopri guardando la contabilità. Da dove vengono i soldi? Da dentro l’impresa, dove taroccando le voci di spesa puoi frodare il fisco o far saltar fuori i soldi che ti servono per oliare chi vuoi. Tutti pensiamo che il papà, l’ispiratore della legge che fa sparire il reato di falso in bilancio è Berlusconi. In realtà Berlusconi non ha fatto altro che ascoltare quello che la spina dorsale del Paese gli chiedeva. La prova è in questa lettera datata 17 aprile 1997, pubblicata dal Sole 24 Ore e firmata dalla migliore imprenditoria italiana. Siamo nei periodi… verso l’uscita di Tangentopoli, quindi un periodo duro. Di che cosa si lamentano gli imprenditori italiani? Del fatto che sono costretti a pagare le tangenti e che questo altera il mercato perché premia i più bravi a corrompere e non i più bravi a produrre? No. Il mondo dell’imprenditoria e della finanza, il migliore, esprime solidarietà al presidente della Fiat Cesare Romiti, appena condannato per falso in bilancio, frode fiscale, finanziamento illecito ai partiti e questa lettera è una accorata richiesta di depenalizzazione del falso in bilancio.
Questo è il passaggio cruciale: “si chiede di escludere dal perimetro delle responsabilità operative i fatti che abbiano una rilevanza marginale rispetto alle dimensioni dei conti delle imprese”. Cioè in sostanza vuol dire, per esempio: se un’impresa ha un patrimonio netto di qualche miliardo, non puoi trascinarla in
tribunale perché ha falsificato le carte per qualche decina di milioni. L’imprenditoria dice: “smettetela di guardare dentro le nostre carte che a noi va bene di continuare a pagare.
Seguono 45 firme, fra le quali: Piero Antinori, Antoine Bernheim, Enrico Bondi, Giancarlo Cerruti, Enrico Cuccia, Diego Della Valle, Ennio Doris, Giuseppe Gazzoni, Luigi Lucchini, Achille Maramotti, Alfio Marchini, Vittorio Merloni, Leonardo Mondadori, Letizia Moratti, Giannola Nonino, Umberto Nordio, Sergio Pininfarina, Andrea Riffeser Monti, Aldo Braghetti Peretti, Gianmario Rossignolo, Gianfranco Zoppas. Una solidarietà che diventerà legge perché nel 2003, la condanna a Romiti sarà revocata perché il fatto non costituisce più reato, non è più previsto come reato dalla egge.
Val la pena di ricordare un altro episodio che avveniva proprio nei giorni in cui veniva pubblicata questa lettera: un imprenditore onesto che fabbricava autobus e non voleva saperne di pagare tangenti, perde una gara per la fornitura all’ATM di Milano.
Aveva investito molto, si era indebitato perché le caratteristiche del bando le aveva soltanto lui; l’appalto se lo porterà a casa l’Iveco della Fiat. Ambrogio Mauri, per non affrontare la difficoltà di licenziare i suoi dipendenti, si spara al cuore. Alla famiglia
non è mai arrivata una lettera di solidarietà dalla spina dorsale del paese, che continua a fare corpo unico con questa classe politica. E finché questo corpo unico non si spezzerà, il cuore della corruzione nessuno lo toccherà. 


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Così va l'Italia.



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Telefonata choc in tribunale: "Ingroia morirà". - Salvo Palazzolo


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Rafforzata la scorta al procuratore aggiunto. Una chiamata anonima ha fatto scattare misure di sicurezza straordinarie attorno al magistrato che coordina l'inchiesta sulla trattativa mafia-Stato.
Telefonata choc in tribunale: "Ingroia morirà" Rafforzata la scorta al procuratore aggiunto Il procuratore aggiunto Antonio Ingroia
Lunedì mattina, una telefonata anonima al centralino del palazzo di giustizia di Palermo ha annunciato: "Ingroia morirà".
Un uomo, dal marcato accento siciliano, ha parlato di un progetto di attentato nei confronti del procuratore aggiunto che coordina l'inchiesta sulla trattativa mafia-Stato. L'allarme è scattato immediatamente: la questura ha deciso un rafforzamento delle misure di sicurezza attorno al magistrato, che segue anche le indagini su uno dei clan mafiosi più potenti della città, quello di San Lorenzo-Resuttana.
Secondo quanto risulta a Repubblica, la scorta del procuratore aggiunto sarebbe stata potenziata anche con un apposito servizio di bonifica antibomba. Ingroia ha annunciato ieri pomeriggio di aver chiesto una proroga alle Nazioni Unite, per posticipare ancora di quindici giorni l'inizio del suo incarico in Guatemala: il magistrato resterà in Sicilia sino a fine mese, anche per partecipare alla prima udienza davanti al gup Piergiorgio Morosini, per l'inchiesta trattativa mafia-Stato. Poi, dovrebbe trasferirsi in Sud America per ricoprire l'incarico di responsabile di una unità investigativa che opera all'interno di una commissione Onu.
di Salvo Palazzolo - 26 settembre 2012

Tratto da: palermo.repubblica.it
Tutta la redazione di ANTIMAFIADuemila, nell'apprendere dell'ennesimo inquietante episodio di minaccia nei confronti del procuratore Antonio Ingroia, esprime la vicinanza, la solidarietà e tutto il proprio sostegno al pm.

Marco Travaglio - Il F.Q. 30/9/2012


"Siccome ormai indignarsi è una moda trendy,
già immaginiamo gli alti lai e gli stracciar di
vesti che seguiranno alla puntata di stasera di
Report con la carrellata dei condannati,

imputati, indagati e prescritti del Parlamento italiano:
100 in tutto"

NELLA PROSSIMA PUNTATA DI REPORT

Quanti sono, e chi sono, i parlamentari con un rinvio a giudizio, o condanna di primo grado, o condanna definitiva per reati contro la pubblica amministrazione? Ora dovranno approvare una legge che decida la loro sorte.

Vito Guarrasi -

Molti non conoscono questo personaggio, vediamo di scoprire chi è, incominciando da Wikipedia, per poi passare a quanto si sa di lui.



Vito Guarrasi (Alcamo22 aprile 1914 – Mondello31 luglio 1999) è stato un avvocato e imprenditore italiano.
Figlio di una agiata famiglia di possidenti di Alcamo introdotta negli ambienti nobiliari dell'isola, Vito Guarrasi è stato un controverso avvocato e manager . Era un lontano cugino di Enrico Cuccia (una zia di Guarrasi era sposata con uno zio di Cuccia).

A Cassibile

Nel 1943, con il grado di sottotenente di complemento del servizio automobilistico fu presente alla firma dell'Armistizio di Cassibile assieme al generale Giuseppe Castellano, in qualità di suo aiutante di campo. In un rapporto del 27 novembre 1944 indirizzato al Segretario di Stato USA, il console generale americano a Palermo Alfred Nester affermò che Vito Guarrasi, assieme ad altre personalità dell'isola, fu presente ad una riunione con alti ufficiali americani in cui si discusse se la Sicilia dovesse separarsi dall'Italia e dichiarare l'indipendenza. Il rapporto del console è significativamente intitolato: Formation of group favoring autonomy of Sicily under direction of Mafia. (formazione di un gruppo che favorisca l'autonomia della Sicilia sotto la direzione della Mafia).[1]
Dal 2 ottobre 1947 Guarrasi è socio fondatore della società cooperativa La voce della Sicilia, di ispirazione socialista. Dal 7 luglio 1948 al 19 ottobre 1964 è consigliere di amministrazione della società mineraria Val Salso, dedita all'estrazione e alla commercializzazione dello zolfo e dei suoi derivati.

Tra politica e impresa 

Nel 1948 Guarrasi si candidò nelle liste del Fronte Popolare. Negli anni Cinquanta entrò nel consiglio di amministrazione del giornale comunista L'Ora di Palermo. Avvocato civilista, risulta iscritto all'albo presso il foro di Palermo il 2 maggio 1949.
Dal 20 marzo 1949 al 30 marzo 1952 fu presidente della Cassa Agricola e Professionale Don Rizzo di Alcamo, una piccola banca orientata verso il credito agricolo e privato. Guarrasi, nel corso della gestione della cassa dovette fronteggiare un iniziale flessione dei depositi e un aumento della richiesta di prestiti dovuta al periodo di crisi in cui versava l'economia Italiana nel 1950 e anche una serie sempre più accesa di rivendicazioni sindacali da parte dei dipendenti della cassa.
Guarrasi ideò e promosse un'iniziativa, poi divenuta la legge n 4 del 13 marzo 1959 che istituì presso il Banco di Sicilia un fondo di rotazione delle miniere di zolfo che trasferì alla regione 12 miliardi di debiti contratti da diversi proprietari delle miniere con il Banco di Sicilia stesso. Fu uno dei promotori insieme a Graziano Verzotto e Domenico La Cavera della nascita della So.Fi.S (Società per il Finanziamento dello Sviluppo in Sicilia), società finanziaria della Regione Siciliana, che fu il primo esempio di società pubblica regionale. Nei primi mesi del 1960 Guarrasi divenne anche consigliere di Enrico Mattei, in particolare in merito alla costruzione di un metanodotto sottomarino che collegasse l'Africa alla Sicilia. La collaborazione fu di breve durata e l'incarico di Guarrasi era terminato già all'epoca della morte di Mattei (27 ottobre 1962). Negli anni Vito Guarrasi è stato azionista, presidente o consigliere di amministrazione di più di 25 differenti società (spesso pubbliche) i cui ambiti spaziano dallo sport (presidente del Palermo Calcio dal 1952 al 1960) all'immobiliaristica, al settore minerario e dell'estrazione di idrocarburi, al turismo e alla commercializzazione di medicinali.

Procedimenti giudiziari

Il pentito Gioacchino Pennino ha affermato nel 2007 che Guarrasi svolse un ruolo nella morte del giornalista dell'Ora Mauro De Mauro, scomparso il 16 settembre 1970 e il cui corpo non è mai più stato ritrovato. All'epoca il giornalista stava raccogliendo informazioni sulla morte di Mattei e sul fallito golpe del principe Junio Valerio Borghese. Pennino ritiene che Guarrasi abbia riferito indirettamente le informazioni in possesso di De Mauro ad alcuni capimafia, che avrebbero così deciso di eliminarlo[2]
Il 10 luglio 1971 Guarrasi è stato condannato a quattro anni di reclusione per bancarotta fraudolenta dalla 1ª Sezione Penale del Tribunale di Roma.[3]
Nel rapporto del 1976 del senatore Luigi Carraro, relatore della commissione parlamentare antimafia si legge che: L'attività pubblica di Guarrasi è stata caratterizzata da rapidi successi e dalla ricerca costante di posizioni di potere... Non c'è stato settore di qualche importanza della vita economica siciliana che non ha visto impegnato in prima persona l'avvocato Guarrasi... Non sempre però queste iniziative andarono a buon fine.[4]
Nel 1986 Guarrasi è risultato anche iscritto alla loggia della "Massoneria universale di rito scozzese antico e accettato. Supremo Consiglio d'Italia" di via Roma a Palermo, insieme al'esattore di Salemi Nino Salvo e al boss mafioso Salvatore Greco.[5]
Guarrasi è stato interrogato nel 1998 come testimone al processo per mafia a carico di Giulio Andreotti.[6]



Piero Melati per "il Venerdì di Repubblica"
VITO GUARRASIVITO GUARRASI
Di sicuro c'è solo che è morto. L'ultimo giorno di luglio del 1999. Liquidato in tre righe sul Corriere della Sera. Di sicuro c'è solo che il suo nome non si poteva nemmeno pronunciare. Era inteso Mister X. Si diceva nei bar: «Se il Palermo vince, in schedina scrivi uno. Se perde scrivi due. Se pareggia scrivi Guarrasi». Vito Guarrasi. Di lui si sussurrava che era più potente di Cuccia, più influente di Agnelli, più ricco di Berlusconi, più astuto di Andreotti, più segreto di Fatima.
Tra le sue mani di «consulente dei potenti» sono passati i misteri d'Italia: i retroscena dello sbarco degli americani in Sicilia, la morte di Mattei, la scomparsa di De Mauro, il golpe Borghese, l'ascesa di Cefis, l'affare Sindona, la morte di Calvi, gli omicidi politici, i rapporti tra Andreotti e la mafia.
VITO GUARRASIVITO GUARRASI
In mezzo, nel crocevia del diavolo, sempre lui. Sempre Guarrasi. Eppure mai un processo, un concorso esterno, un favoreggiamento, un 41 bis. Mai nessuna visibilità, nessuna «esposizione». Sempre nell'ombra. Ha mandato all'opposizione in Sicilia la Dc di don Sturzo e Fanfani, boss di Cosa Nostra del calibro di Calogero Vizzini e Genco Russo diventavano umili al suo cospetto, i capi della Cia in visita a Palermo andavano a trovarlo nello studio in via Segesta o nella villa di Mondello. Era amico di Nino e Ignazio Salvo, i potenti esattori legati alla mafia, ma per cinque mesi fu anche consigliere di amministrazione dell'Ora, il quotidiano antimafia di Palermo.
LA FIRMA DELL ARMISTIZIO A CUI AVREBBE PARTECIPATO VITO GUARRASILA FIRMA DELL ARMISTIZIO A CUI AVREBBE PARTECIPATO VITO GUARRASI
Un enigma. Che ora viene risistemato da una biografia (L'avvocato dei misteri, Castelvecchi, pp. 190, euro 16,50) di Marianna Bartoccelli e Francesco D'Ayala, che contiene ampi stralci dal diario privato di Guarrasi. Un libro critico verso l'Antimafia. Ma non per questo meno ricco di dettagli. Anche privati. Guarrasi sposa la bellissima Simonetta Biuso Greco, appena diciottenne, e sarà lei a fornirgli le chiavi di accesso allo studio del padre, l'avvocato più importante del Banco di Sicilia.
Sua moglie fu poi per sedici anni l'amante del suo migliore amico, Domenico La Cavera, detto Mimì, presidente degli industriali siciliani, conosciuto tra i banchi del Gonzaga, un'avventura politica condivisa (anche con il Pci di Emanuele Macaluso), quella del milazzismo. Poi Mimì sposò a sua volta la diva del cinema degli anni Sessanta Eleonora Rossi Drago, che aveva appena troncato una storia d'amore con Alfonso di Borbone, fratello del re di Spagna.
avvocato dei misteri di bartoccelli e dayalaAVVOCATO DEI MISTERI DI BARTOCCELLI E DAYALA
Una soap opera alla Dynasty. Dal padre Raffaele (sposato con Luigia Dagnino) Guarrasi eredita l'azienda vinicola Rapitalà. È amico per la pelle di Galvano Lanza Branciforti di Trabia, per conto del quale amministra il feudo di Villa Trabia. Dirà La Cavera: «Le Terre rosse di Villa Trabia erano un mito».
Il futuro Mister X, da semplice ufficiale di complemento del servizio automobilistico dell'esercito, non ancora trentenne, viene spedito dal generale Giuseppe Castellano, insieme all'amico Lanza di Trabia, in missione segreta ad Algeri. Incontreranno il generale Dwight «Ike» Eisenhower, futuro presidente degli Stati Uniti, comandante dell'esercito alleato. Lo scopo, trattare la resa dell'Italia, che verrà firmata il 3 settembre a Cassibile e resa nota il fatidico 8 settembre.
Michele SindonaMICHELE SINDONA
Guarrasi smentirà la sua presenza alla firma dell'armistizio. Lui aveva trattato con Ike, ma quel giorno era nella villetta del barone Vincenzo Valenti, in via Dante, a Palermo, a rassicurare i nobili siciliani che lo sbarco alleato in Sicilia non avrebbe comportato derive comuniste. «Quella stessa casa che per eredità è poi pervenuta al sindaco Leoluca Orlando...».
C'erano mafiosi alla riunione? Guarrasi nega: «Figurarsi se mi sarei riunito con la manovalanza. Noblesse oblige». Fatto sta che quella fu la madre di tutte le trattative: appoggio logistico delle «famiglie» allo sbarco, in cambio di impunità e posti di comando. Rapporti spericolati. Ma Guarrasi era solito camminare con le mani basse dietro la schiena, come Enrico Cuccia, il patron di Mediobanca di cui era parente. «Per evitare che qualcuno me lo metta in quel posto».
Con quello stesso spirito affronta l'avventura di Silvio Milazzo: dal ‘58 al ‘60 l'ex deputato dc di Caltagirone mette insieme comunisti e fascisti e taglia fuori lo scudocrociato di Fanfani dal governo. Guarrasi è responsabile del piano di sviluppo.
ENRICO MATTEIENRICO MATTEI
I Salvo appoggiano Milazzo, don Paolino Bontate (padre di Stefano, il «principe di Villagrazia» ucciso dai corleonesi nella successiva guerra di mafia) schiaffeggia personalmente i deputati monarchici dubbiosi. Padri e figli. Ma non solo quelli delle dinastie mafiose. A diverso titolo, giocheranno un ruolo Bernardo Mattarella (padre di Piersanti, il presidente della Regione Sicilia ucciso dalla mafia nell'81), Salvatore Orlando Cascio (padre del quattro volte sindaco di Palermo Leoluca), Giuseppe La Loggia (padre del leader del Pdl Enrico), Francesco Pignatone (padre del capo della Procura di Roma Giuseppe).
Roberto CalviROBERTO CALVI
E ancora, Gerlando Miccichè, fratello del defunto Luigi, che fu segretario particolare di Mimì La Cavera, e padre dell'ex sottosegretario berlusconiano Gianfranco, del banchiere Gaetano, del manager del Palermo calcio Guglielmo. O Aldo Profumo, padre dell'ex presidente di Unicredit Alessandro, direttore, ai tempi in cui La Cavera era in auge, della Elettronica Sicula, collegata alle grandi imprese Usa, azienda che inventò i tubi catodici per le tv a colori. La Sicilia vola. Enrico Mattei, presidente dell'Eni, vuole industrializzare l'Isola. Usa i partiti come taxi, sfida le sette sorelle del petrolio. Ma muore in un incidente aereo a Bescapè (27 ottobre ‘62).
Un attentato? Gli succede Eugenio Cefis. Guarrasi è consulente di Mattei, lo resta anche di Cefis nei decenni successivi. Ma intanto, caduto Milazzo, fa approvare una legge che scarica sulla Regione i debiti mostruosi delle industrie minerarie. «Io non faccio le leggi. Le scrivo» dirà. Si cominciano a mangiare la Sicilia. Otto anni dopo scompare il cronista dell'Ora De Mauro, al tempo di Salò legato alla X Mas del principe nero Junio Valerio Borghese. De Mauro lavorava come consultente al film del regista Francesco Rosi sul giallo di Mattei. Il capo della squadra Mobile Boris Giuliano (ucciso dalla mafia nel ‘79) batte la pista che porta a Guarrasi.
EMANUELE MACALUSOEMANUELE MACALUSO
Palermo scommette: stanno per futtiri Mister X. Lo definisce così, sull'Espresso, il questore dell'epoca, Angelo Mangano, lo sbirro che arrestò Luciano Liggio. Ma la palude inghiotte tutto. Qualche lume verrà 27 anni dopo. Un giudice a Pavia, Vincenzo Calia, riapre l'inchiesta. E ascolta il pm Ugo Saitto, che rivela: Boris Giuliano gli confidò di un summit nella panormita Villa Boscogrande, presieduto dal capo dei servizi, il piduista Vito Miceli. Qui, tra zagare, gelsomini e fette di cassata, si era deciso di insabbiare tutto. Poi ci si mette Graziano Verzotto, ex partigiano e braccio destro di Mattei, latitante per 16 anni, ad accusare Guarrasi.
EISENHOWEREISENHOWER
Dice al giudice Calia che le mani di Mister X sono lorde del sangue di Mattei e De Mauro. Ne esce un intrigo che finisce nei soldi riciclati dalle banche di Sindona. Ma dell'inchiesta non si parlerà (fino a Rizza e Lo Bianco, Profondo nero, Chiarelettere, 2009). Il fantasma di Michele Sindona lo tira fuori al processo Andreotti il pentito Angelo Siino, che fu l'autista di papa Giovanni Paolo II in Sicilia. Siino sostiene di aver accompagnato Sindona da Guarrasi. L'accusa cita un rapporto della Finanza del ‘93, che parla di «occulta regia» dell'anziano Guarrasi nei mutamenti in corso dentro Cosa Nostra.
junio valerio borgheseJUNIO VALERIO BORGHESE
La prima Repubblica era crollata un anno prima. E Guarrasi morirà un anno dopo quel processo. Oggi tre inchieste (Il caso De Mauro, Giuseppe Pipitone, Editori Riuniti, pp. 191, euro 16; L'eretico, Nino Amadore, Rubbettino, pp. 115, euro 12; Alfio Caruso, I siciliani, Neri Pozza, pp. 671, euro 18) scavano sul personaggio. E sui misteri mai chiariti nelle quattro interviste rilasciate da Guarrasi in vita (nella prima, a Giuseppe Sottile sull'Espresso, sostenne che De Mauro era stato eliminato per complicità nel golpe Borghese).
Nell'ultima, a Claudio Fava, figlio del giornalista ucciso dalla mafia, plaudì Berlusconi. Lo paragonò a Milazzo. Disse che, più che una rivoluzione, la fine della prima Repubblica era stata una «mareggiata». «Perché?» chiese Fava. «Mancava una cosa: la ghigliottina».

"Era un uomo intelligente e chiacchierato": così lui stesso si definisce dettando il suo necrologio in un'intervista esclusiva. Questo è stato Vito Guarrasi: avvocato e persona dai consigli indispensabili per chiunque volesse fare affari dalla Sicilia in su. Personaggio controverso e sfuggente, a soli ventisette anni - durante la Seconda Guerra Mondiale - diventa il referente di Eisenhower in Algeria, per poi essere tra i protagonisti nell'armistizio segreto di Cassibile. Su quegli incontri redige un diario giornaliero pubblicato per la prima volta in queste pagine. In pochi anni il suo potere si rafforza, Guarrasi diventa uomo cardine e guida imprescindibile per le trasferte petrolifere (e non solo)] di Enrico Mattei nel Meridione. Viene indagato e prosciolto per essere uno dei mandanti dell'omicidio del giornalista Mauro De Mauro, scomparso nei gorghi di Cosa nostra, proprio perché vicino alla verità sulla morte del presidente dell'Eni. "Don Vito" così viene soprannominato l'avvocato Guarrasi - è anche cugino di Enrico Cuccia e cervello economico del governo di Silvio Milazzo, quello che mette alle corde la Dc di Amintore Fanfani anticipando la stagione del Centrosinistra. Infine, per così dire, è mente giuridica dei discussi cugini Salvo, gli esattori democristiani che foraggiano a lungo tutta la classe politica siciliana, senza eccezioni. In questo libro sono lui e la sua vita a raccontare il lato oscuro dell'Italia.
Per capirne di più leggi anche i due articoli allegati:

La politica siciliana è sempre stata un teatrino dei pupi a tratti comico, a tratti drammatico. Nella sua lunga storia i siciliani hanno potuto osservare sempre la stessa scena: centinaia di burattini recitare e pochi pupari dietro le quinte tirare le fila. Tra quest’ultimi c’è ne uno che merita la nostra attenzione. Non soltanto perché è un alcamese “doc” che è stato il più famoso burattinaio di Sicilia, ma soprattutto perché il suo nome appare in decine e decine di misteri d’Italia ancora oggi irrisolti.
Vito Guarrasi nasce ad Alcamo il 22 aprile del 1914. È figlio di un benestante proprietario terriero di Alcamo (da cui erediterà i vigneti del Rapitalà) e di una Hugony, una famiglia di ricchi commercianti palermitani. Non è però una persona comune Vito Guarrasi e non è nemmeno il classico figlio addormentato e viziato di una nobiltà aristocratica da salotto buono. L’alcamese ama bruciare le tappe e ha un’intelligenza fuori dal comune che presto lo porterà lontano.
Lo dimostra subito nel 1943. A soli 29 anni, non si sa bene con quale ruolo preciso, lui che è un giovane capitano del servizio automobilistico, si ritrova tra i protagonisti delle trattative per l’armistizio di Cassibile con gli anglo-americani. Assiste addirittura alla firma del documento insieme al generale Giuseppe Castellano, in qualità di suo aiutante di campo.
Ma Guarrasi non è un militare, è un avvocato civilista. Non è pratico di armi e munizioni ma al contrario sa usare molto bene le parole, le leggi e le amicizie che contano. Passano pochi anni è diventa subito un consigliere indispensabile, un abile mediatore e il pilastro necessario di poche e ben selezionate fortune economiche. In pochi anni è già nei consigli di amministrazione di una trentina di società, ha amici di tutti i colori politici e nessuno, tra quelli che contano, sembra possa fare a meno di lui.
Dal 1949 al 1952 diventa presidente dell’attuale banca Don Rizzo di Alcamo mentre dal 1952 al 1960 è il presidente del Palermo Calcio. Ma i veri obiettivi di Guarrasi sono le società ad elevata capitalizzazione e soprattutto le società pubbliche di cui sarà l’inventore in Sicilia.
All’inizio della sua brillante carriera si impegna direttamente in politica, poi però decide di presidiare quella zona grigia tra politica e affari che lo farà diventare uno degli uomini più potenti d’Italia. Perché stare sotto i riflettori quando nell’ombra si può controllare tutto? E di fatti i politici e gli imprenditori saranno i principali clienti dell’avvocato, gli ospiti fissi di “Villa Guarrasi” a Mondello.
Da posizioni politiche moderate, collabora prima alla stesura dello “statuto autonomistico” della Sicilia, poi, alla fine degli anni ‘50, è tra i registi del “milazzismo”, operazione politica guidata da Silvio Milazzo, presidente della regione siciliana nel 1958, che estromise per circa tre anni la DC dal governo regionale, costituendo una maggioranza anomala che comprendeva tutte le altre forze politiche dal PCI all’MSI. Il milazzismo ancora oggi evidenzia però non poche ombre. Infatti, come ha scritto Alfio Caruso*, l’operazione rappresentò l’ ennesimo accordo tra il Pus (Partito unico siciliano) e Cosa Nostra e fu proprio Guarrasi ad attrarre nella sua tela di ragno anche il vecchio amico Emanuele Macaluso, segretario regionale del Pci, e don Paolino Bontà, il boss di Villa Grazia padre di Stefano Bontate. I soldi per comprare i voti dei partiti furono invece forniti dai cugini Salvo, i quali in cambio ebbero la concessione di molte esattorie. Silvio Milazzo, che aveva visto in Guarrasi l’uomo giusto al momento giusto, lo nomina anche segretario generale del piano quinquennale per la ricostruzione della Sicilia. La nostra regione non ottenne però i risultati sperati mentre molti degli enti economici e finanziari creati in quel periodo diventarono presto dei veri e propri carrozzoni pieni solo di debiti.
La sua molteplice attività ora di legale, ora di consulente, ora di socio in affari di alcune società (immobiliari, turistiche, agro-industriali) ora di membro di consigli di amministrazione di enti pubblici, gli riserva in un paio di occasioni la sgradita sorpresa di trovarsi nei panni dell’ inquisito (una volta viene condannato a 4 anni per bancarotta fraudolenta, ma poi puntualmente prosciolto). Le disavventure con la giustizia non sono però terminate…
In seguito alla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro Guarrasi fu costretto a difendere in tribunale il suo prestigio, quando – in occasione delle indagini sul grumo che faceva da sfondo al caso De Mauro- venne descritto giornalisticamente come il misterioso Mister X , che conduceva la regia del sequestro. De Mauro, prima di essere rapito, stava indagando sulle ultime ore in Sicilia di Enrico Mattei, il presidente dell’ENI che precipitò con il suo aereo in circostanze davvero misteriose a Bascapè. Sempre casualmente, come per tutte le vicende che lo riguardano, Guarrasi era un consulente dell’ente nazionale idrocarburi e amico del cavalier Buttafuoco, personaggio sospetto della vicenda De Mauro, accusato di avere delle relazioni con i mandanti del rapimento. Il giornalista Giorgio Bocca, in un acceso articolo** sulla fine di Mattei, disse apertamente: “Dove c’è l’avvocato Guarrasi c’è puzza di mafia. E la cosa inquietante è che di lui non si parla mai. Anche dopo la morte è caduto un silenzio retrospettivo. Io andavo in Sicilia e sentivo parlare di lui. Lo descrivevano come l’eminenza grigia di tutta la Sicilia. Personaggi come l’avvocato Guarrasi sono i tipici consiglieri dei mafiosi… Rappresentano il quarto livello, quello fa da trait d’union tra politica e mafia”. L’avvocatissimo, così era chiamato da tanti suoi clienti e amici, intanto rafforzava sempre più la sua fama e il suo nome incuteva rispetto, paura e prudenza dato che non esitava a sporgere querela contro tutti quei giornalisti che ficcavano il naso nelle sue cose. 
Il pentito Angelo Siino disse più volte ai giudici di aver accompagnato Sindona nell’estate del 1979, durante la simulazione del suo sequestro, nella villa dell’avvocato a Mondello. Un episodio ovviamente negato da Guarrasi:“Escludo che Sindona abbia potuto pensare a me: ero considerato amico di Enrico Cuccia, grande avversario di Sindona”. Enrico Cuccia effettivamente si incontrava spesso con Guarrasi perché, ironia della sorte, erano cugini. Numerosi erano gli incontri fra questi due sacerdoti del potere delle due Italie. L’uno un omino grigio in eterno fumo di Londra, l’ altro invece in regolamentare lino chiaro, panama e sigaro. Si vedevano, si consultavano, scherzavano persino, con l’ autoironia dei veri potenti, sul loro potere e sulla reciproca cattiva fama, come ha dichiarato l’avvocatissimo in un’intervista prima di morire.
L’attività pubblica di Guarrasi è stata caratterizzata da rapidi successi e dalla ricerca costante di posizioni di potere, si legge nella relazione del 1976 della Commissione parlamentare antimafia. Non c’è stato settore di qualche importanza della vita economica siciliana – proseguiva il senatore Luigi Carraro, relatore di maggioranza – che non ha visto impegnato in prima persona l’avvocato Guarrasi. Il Pci non gradì le conclusioni della commissione e presentò una controrelazione nella quale era scritto che Guarrasi era il tipico professionista abituato a rendere i suoi servizi ad alto livello tecnico e professionale. Ma come lui ci sono decine di uomini in Sicilia con la differenza che Guarrasi ha reso servizi anche alle sinistre. Sta di fatto che l’avvocato riuscì a dividere persino la commissione antimafia. 
Tra i mille affari in cui (sempre per ragioni professionali) viene fuori il nome di Guarrasi, quello delle miniere è forse il più vergognoso. Si tratta della vicenda dell’Italkali***, una strana società a capitale misto (i soldi li metteva la Regione mentre le decisioni le prendeva un socio privato, un certo Morgante) che lascia meglio intravedere di che specie fosse il potere dietro cui, discreto ed evanescente, si muoveva Guarrasi. Il settore dei sali alcalini, sotto la guida ufficiale di Morgante, è arrivato ai primi posti d’Europa per produttività. A un certo punto, però, si è scoperto che le miniere potevano fruttare molto di più se si fosse riusciti a licenziare gli operai ed a scaricare sulla Regione la colpa del mancato funzionamento degli impianti, ricevendo da essa, di conseguenza, svariati miliardi d’indennizzo. L’Italkali, così, divenne una macchina succhia-soldi come ce ne sono poche al mondo, ed è riuscita a fare, insieme, la disperazione di migliaia di minatori e la fortuna di Morgante, il padre padrone delle miniere siciliane . I suoi intrallazzi però l’hanno portato in galera. Guarrasi invece, che di Morgante era stato il consigliere, non è stato nemmeno sfiorato dall’inchiesta. 
Si vuole che anche Graziano Verzotto, il discusso senatore dc, presidente dell’ Ente minerario siciliano, fuggito all’ estero per non incappare nelle manette dopo lo scandalo Sindona, sia una sua creatura. Ma Guarrasi lo nega: “se avessi potuto influire su Verzotto, gli avrei evitato alcuni errori e forse la latitanza”.
I cugini Salvo di Salemi? Ovviamente li ha conosciuti. Anche se amava sottolineare che era “conoscenza d’aeroporto”. Almeno fino al 1982, quando accettò di patrocinare Nino Salvo in una difficile controversia col governo regionale. D’altra parte lui era solito definirsi “artigiano del diritto”. Nell’ambito di questa inchiesta la Procura ordinò il sequestro di oltre 6 miliardi di lire depositati in vari conti correnti di Guarrasi, ritenendoli provento di attività illecite commesse dall’avvocato durante la transazione tra Ente minerario, socio di maggioranza e una società mista. 
Guarrasi nel corso della sua deposizione al processo a Giulio Andreotti ammise inoltre di avere conosciuto, ma da avversario, don Calo’ Vizzini e Genco Russo, due boss storici di Cosa Nostra. “A Vizzini tolsi il feudo della baronessa Trabia – sottolineò Guarrasi – a Genco Russo il feudo Polizzello”.
Il comunista Emanuele Macaluso, spesso attaccato per la sua amicizia con l’avvocato, rispondeva in un processo: “Io l’ avvocato Guarrasi lo conobbi negli anni Quaranta, quando lo incontrai insieme al giovane principe Lanza di Trabia, i cui feudi erano gestiti dalla mafia. Poi continuai ad avere rapporti con lui finché non me andai dalla Sicilia per assumere incarichi di partito a Roma. Da allora non ebbi più contatti politici con lui, e anche i rapporti personali si raffreddarono”. Come si evince da questa dichiarazione non era facile essere amico di un tale personaggio!
Di fronte alle pressanti domande circa il suo ruolo nella storia della Sicilia, l’avvocato ha ammesso di essere soltanto il medico dei casi disperati, l’ esperto che i potenti di Palermo invocavano per tirarsi fuori dai guai e siano essi guai politici, economici o giudiziari. In una rara intervista televisiva Guarrasi appare invece come un vecchio signore dall’ aria un po’ curiale e dal parlare forbito ma che non riesce a celare l’alone di potenza e di mistero che lo ha contraddistinto fino alla sua morte, il 31 luglio del 1999. 
Questo era l’avvocato Guarrasi, o meglio questo è quello che è noto della sua lunga e misteriosa vita. Nel 1998 parlando con un cronista a cui illustrava le importanti conoscenze che aveva nel mondo politico ed economico, aveva aggiunto: “Mi onoro di aver ricevuto, anche in tempi recenti, la visita di alcuni degli ultimi responsabili del Servizio segreto americano”. La sua frase più famosa però è la seguente:“Liquideranno la mia morte con due parole molto siciliane: fu un uomo intelligente e chiacchierato”. 
FONTI
in evidenza:
* Lettere al Corriere (2003) Lettera di Alfio Caruso. Corriere della Sera, 19/12
** Carlo Gariboldi (2002) Caso Mattei, Bocca: sento odore di mafia. La Nuova Sardegna, 27/10
*** Sebastiano Gulisano, Elvira Fusto (1996) I Siciliani nuovi, Febbraio 2006
altre:
- Alfio Caruso (2005) Da Cosa nasce Cosa. Longanesi & C.
- Alberto Stabile (1998) Le vittorie e gli amici di Vito Guarrasi. Repubblica, 20/01
- AA.VV. (2007 ) Palermo il potere del partito del nulla. Repubblica, 27/01
- Bianconi Giovanni (2006) Macaluso: né carte né segreti su Mattei. Corriere della Sera, 05/04
- Sandra Bonsanti (1988) In quei dossier dell’antimafia le ultime ore di Mattei. Repubblica, 01/11