Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 29 gennaio 2015
Auto blu, la legge le dà agli agenti. Votata da tutti, dopo 9 mesi inapplicata. - Thomas Mackinson
Nel decreto "stadi" di agosto il M5S era riuscito a inserire un emendamento che obbliga le amministrazioni a trasferire le vetture ancora utili a forze di sicurezza e vigili del fuoco. Tutti lo votano, diventa legge, ma non sarà mai rispettato. Di Maio accusa Alfano. E il carico di berline resta sul groppo dei contribuenti.
Quando l’emendamento è passato, con la sigla AC2616-8.8, tutti si spellavano le mani: che gioiello, saliamo a bordo anche noi! Un minuto dopo, come nulla fosse, è stato parcheggiato a bordo strada e lì è rimasto per quattro mesi, senza che nessuno battesse ciglio. L’indirizzo? Piazza Montecitorio. Si parla ancora di auto blu. Il fattoquotidiano.it ha raccontato come la riduzione promessa la scorsa primavera dal governo vada avanti col freno a mano, tanto che le amministrazioni contano ancora 55.286 mila auto pubbliche, 1.153 auto blu solo nei ministeri. Ora si scopre che da tempo la Camera aveva disposto strumenti di legge per svuotare rapidamente i parchi auto degli enti statali. In particolare una proposta emendativa al cosiddetto “decreto stadi” (AC 2616) convertito in agosto come legge 119/2014.
In quattro righe prevedeva di assegnare alle forze dell’ordine le auto pubbliche di proprietà delle amministrazioni statali dismesse o da dismettere, previa valutazione di convenienza. Piuttosto che distruggerle, svenderle o tenersele a caro prezzo – questo il senso dell’emendamento – prendiamo il buono e diamolo alle forze di pubblica sicurezza che sempre lamentano la scarsità di mezzi e risorse. Mica tutte, certo. II comma 1-ter all’articolo 8 precisava: “Sono assegnate, previa valutazione di convenienza, alle forze del comparto della pubblica sicurezza le automobili di proprietà delle amministrazioni pubbliche statali dismesse o da dismettere”.
A presentare l’emendamento è stato il vicepresidente della Camera Luigi di Maio. Non stupisce tanto l’iniziativa, che rientra a pieno titolo nelle battaglie pentastellate contro i privilegi, quanto il fatto che al momento di votare l’emendamento e approvarlo ci sia stata la convergenza di tutti componenti delle commissioni riunite della Camera. Pd, Fi, Ncd votano all’unanimità. Tutti d’accordo con l’iniziativa, l’emendamento passa e diventa poi legge. Ma allo stato attuale, non è altro che carta. “Dall’entrata in vigore della legge – spiega Di Maio a ilfattoquotidiano.it – sono trascorsi novanta giorni e quale sia il risultato della ricognizione o il risultato dell’attuazione della norma non è dato sapere”.
La cosa dà fastidio al Movimento, vista l’imputazione costante al M5S di non riuscire a concretizzare in Parlamento le battaglie anticasta che sono state il suo biglietto d’ingresso. “Questa è la nascita e spero non la morte di un emendamento che potrebbe essere molto utile, e che magari potrebbe aprire gli occhi a quelli che dicono che il Movimento 5 Stelle è una forza politica ingessata e improduttiva all’interno del Parlamento”.
Da qui l’attacco diretto al ministro Alfano che – secondo il dettato della legge – avrebbe dovuto effettuare la ricognizione del parco auto entro fine novembre. Il secondo comma specifica infatti: “Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il ministro dell’Interno, d’intesa con i ministri competenti, effettua la ricognizione delle automobili di cui al presente comma e illustra alle Camere le risultanze di tale ricognizione”.
Di giorni ne sono passati tre volte di più. “Alfano ha fatto finta di niente” accusa di Maio, che il 9 gennaio ha presentato un’interrogazione per avere chiarimenti. “Per ora non ho avuto nessuna risposta. Ho contattato il ministero dell’Interno e sono in attesa di avere un appuntamento dallo staff del ministro”.
Riina, il racconto del ‘pizzo’ di Berlusconi: “Ci dava 250 milioni ogni 6 mesi”. - Giuseppe Lo Bianco
Lo scorso 22 agosto, nell’ora d’aria nel carcere di Opera, il boss spiegava al co-detenuto Alberto Lorusso la sua verità sul rapporto tra l’ex presidente del Consiglio e Cosa Nostra fin dagli anni 80: il pagamento di milioni di lire a fronte di un patto per ottenere reciproci e futuri vantaggi. Conversazioni depositate agli atti del processo per la trattativa Stato-mafia.
Berlusconi? “…si è ritrovato con queste cose là sotto, è venuto, ha mandato là sotto a uno, si è messo d’accordo, ha mandato i soldi a colpo, a colpo, ci siamo accordati con i soldi e a colpo li ho incassati’’. Quanti soldi? “A noialtri ci dava 250 milioni ogni sei mesi”. Parola di Totò Riina, che il 22 agosto dello scorso anno nell’ora d’aria nel carcere di Opera smette di parlare di Berlusconi in termini politici, generici o rancorosi (“È un buffone’’) e racconta al co-detenuto Alberto Lorusso la sua verità sul rapporto tra l’ex presidente del Consiglio e Cosa Nostra fin dagli anni 80, ormai consacrato in una sentenza della Cassazione: il pagamento di un “pizzo” milionario a fronte di un patto per ottenere reciproci e futuri vantaggi. La conversazione depositata agli atti del processo per la trattativa Stato-mafia, parte dalla sorte giudiziaria di Berlusconi, in bilico in quei giorni di agosto dell’anno scorso, e il discorso cade subito sulle somme versate dall’imprenditore milanese ai boss palermitani e sulle analoghe richieste provenienti dai catanesi.
Era la fine degli anni 80, e partendo dalle rivelazioni di un testimone oculare, Salvatore Cancemi, i giudici hanno accertato che dal 1989 era Pietro Di Napoli, uomo d’onore della famiglia di Malaspina, a ricevere da Dell’Utri le somme di denaro per poi “girarle” a Raffaele Ganci, reggente del mandamento della Noce(cui fa capo la famiglia di Malaspina), e infine al destinatario ultimo delle somme, Totò Riina. Che il 22 agosto dell’anno scorso rivela a Lorusso: “I catanesi dicono, ma vedi di… – dice il capo dei capi –. Non ha le Stande, gli ho detto, da noi qui ha pagato. Così, così li ho messi sotto, gli hanno dato fuoco alla Standa. Minchia, aveva tutte le Stande della Sicilia, tutte le Stande erano di lui. Gli ho detto: bruciagli la Standa. A noialtri ci dava 250 milioni ogni sei mesi, 250 milioni ogni sei mesi’’.
Dal capo di Cosa Nostra arriva dunque la conferma delle parole del pentito Salvatore Cancemi, che per primo parlò della consegna del denaro proveniente da Milano: “Sicuramente più volte… due, tre volte io ero presente – ha detto Cancemi –. Lui (Di Napoli, ndr) veniva in via Lancia di Brolo, proprio con un pacchettino in un sacchetto di plastica e ci diceva: ‘Raffaele, questi i soldi delle antenne’, e loro poi… Raffaele Ganci questi soldi li metteva da parte, da parte nel senso che non li portava subito a Riina, diciamo per questa minima cosa andare a disturbare Riina… Appena il primo appuntamento, che c’era il primo incontro con Riina, ce li portava e capitava… è capitato più volte che c’ero anch’io… e ci diceva: ‘Zu’ Totuccio, questi sono… Pierino ha portato i soldi delle antenne’”.
Il racconto si fa dettagliato anche nella conversazione di Riina con Lorusso del 22 agosto: “È venuto il palermitano – continua Riina – mandò a lui, è sceso il palermitano, ha parlato con uno… si è messo d’accordo… dice, vi mando i soldi con un altro palermitano, c’era quello a Milano. Là c’era questo e gli dava i soldi ogni sei mesi a questo palermitano. Era amico di quello… il senatore”. E a questo punto Riina chiede: “Il senatore si è dimesso?”. “Sì, sì”, risponde Lorusso. La replica è un attestato di stima per Marcello Dell’Utri: “È una persona seria’’, dice il boss che di Berlusconi sembra non nutrire la stessa considerazione. “È un buffone”, aveva detto sempre a Lorusso nella conversazione del 6 agosto 2013, dopo che il detenuto pugliese lo aveva informato che a Roma“stanno vedendo come fare per salvarlo”.
mercoledì 28 gennaio 2015
quando l'amore diventa poesia - Demis Roussos
Omaggio a chi ha accompagnato tanti momenti della mia vita con la sua musica
INU, lo scooter elettrico che si ripiega su se stesso. - Duccio Fumero
Presentato al CES di Las Vegas il motorino ecologico che occupa pochissimo spazio.
Continua a grande velocità la corsa a offrire nuove opzioni ecologiche per la mobilità urbana. L'ultimo arrivato è INU, uno scooter elettrico presentato al CES di Las Vegas nei giorni scorsi, che offre autonomia e, soprattutto, la possibilità di tenerlo in casa occupando pochissimo spazio.
Un motorino che pesa solo 18 chilogrammi, ha un'autonomia di 40 km e una velocità massima di 25 km/h (che può essere ridotta a 6 o 20 km/h, ndr.), con una ricarica completa che si effettua in 3 ore. Lungo 1,5 metri, alto 1,2 metri e largo 30 centimetri, la peculiarità di INU è la possibilità di richiuderlo su se stesso, come già avviene per alcuni tipi di bicicletta o (il parallelo è più calzante perché l'effetto è lo stesso) come i passeggini per bambini.
Con un semplice gesto, infatti, lo scooter si ripiega su se stesso, con una dimensione di 120 cm x 40 cm x 30 cm, comodo dunque da tenere anche in casa, ma anche da trasportare sui mezzi pubblici o mettere nel bagagliaio dell'auto per utilizzarlo anche in vacanza. Inoltre, ripiegato le due ruote possono venir utilizzate come un trolley, per spostare lo scooter senza difficoltà. Inoltre, lo scooter garantisce sia una connessione wifi sia quella – tramite app – al vostro smartphone, per tenere facilmente sotto controllo l'autonomia.
A produrre INU è Green Ride, azienda israeliana con sede ad Haifa, anche se il nome è giapponese e significa “cane”, perché INU è fedele e ti segue ovunque. Il prezzo di INU dovrebbe partire da circa 3.500 euro (per la versione ridotta, con autonomia di 20 km) fino a circa 5.500 euro per quella full optional.
Rent to buy, comprare casa pagando l’affitto. Ma sulle tasse restano dubbi. - Luigi Franco
Il decreto Sblocca Italia ha introdotto la nuova modalità di acquisto, che permette di chiedere un mutuo più basso alla banca e dovrebbe rilanciare il mercato immobiliare. Il futuro acquirente è tutelato dal rischio che sull'immobile vengano iscritte ipoteche o che sia ceduto ad altri. Manca però la circolare con i chiarimenti sul trattamento tributario in caso di rinuncia.
E’ una formula per comprare casa in tempo di crisi. Si chiama rent to buy: inizi ad abitare nell’alloggio che hai scelto pagando un canone più alto di un normale affitto, poi dopo un po’ di tempo acquisti l’immobile togliendo dal prezzo complessivo parte di quello che hai già versato. In banca potrai così chiedere un mutuo inferiore. L’acquirente ha una soluzione contro la stretta del credito, mentre i costruttori hanno maggiori opportunità di smaltire l’invenduto. “Ma i vantaggi ci sono anche per il privato che vuole vendere, senza avere un’esigenza immediata di fare il rogito – spiega Enrico Maria Sironi, consigliere nazionale del Notariato –. Con il rent to buy può rivolgersi anche ad acquirenti che al momento non sono in condizione di acquistare, ma lo saranno fra qualche anno”. Un sistema che per Enrico Seta, responsabile della segreteria tecnica del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, è utile a rilanciare il mercato immobiliare: “In Italia il 33% delle compravendite è di tipo sostitutivo, realizzate cioè da persone che decidono di cambiare casa, e il rent to buy favorisce queste soluzioni”. Fin qui le note positive. Solo che, da quando la nuova modalità è stata introdotta quattro mesi fa dal decreto Sblocca Italia, sono rimaste irrisolte alcune questioni di carattere giuridico e fiscale su come metterla in pratica. E il nuovo strumento non è ancora decollato. Così, per rilanciare l’attenzione sul tema, il Consiglio nazionale del notariato ha presentato uno schema contrattuale tipo e un decalogo informativo.
Come funziona il rent to buy? - In un contratto di rent to buy si fondono un contratto di locazione e un preliminare di vendita di un immobile. Il proprietario consegna subito l’alloggio in cambio di un canone, costituito da due componenti: una quota è un canone di affitto versato dal futuro acquirente per il godimento del bene, un’altra quota verrà invece detratta dal prezzo al momento del rogito. Facciamo un esempio: proprietario e futuro acquirente si mettono d’accordo per un prezzo di 100mila euro e un canone mensile di mille euro, 500 dei quali vengono imputati al prezzo e sono quindi una sorta di acconto. Se il rogito si farà dopo cinque anni, all’acquirente resteranno da pagare 70mila euro, perché 30mila sono già stati versati con parte dei canoni.
E se il futuro acquirente cambia idea? - Dopo un periodo di “affitto”, chi ha firmato il contratto come futuro acquirente può cambiare idea e decidere di non comprare più l’immobile. Nel contratto di rent to buy si stabilisce entro quale termine questa scelta debba essere fatta, in ogni caso non oltre i dieci anni. L’acquirente mancato perde tutte le quote versate come acconto o può recuperarne una parte, a seconda delle condizioni del contratto. Per il venditore le quote trattenute sono un indennizzo per la mancata conclusione di altri affari. E se il mancato acquirente, divenuto inadempiente, non se ne va più via? A questo punto il proprietario non deve attivare una procedura di sfratto, ma di rilascio del bene, di solito più veloce e meno costosa.
Che tutele ha chi vuole comprare? - Il contratto di rent to buy va trascritto nei registri immobiliari: il futuro acquirente ha così la garanzia che durante la durata del contratto l’immobile rimarrà libero da ipoteche e non potrà essere venduto a qualcun altro. Se il proprietario è un imprenditore che fallisce, il futuro acquirente è tutelato rispetto ai creditori del venditore, che non potranno pignorare l’immobile.
E le tasse? - Fino al momento del rogito le imposte legate al possesso dell’immobile e le spese di manutenzione straordinaria sono a carico del proprietario dell’immobile, come nel caso di un normale contratto di locazione, mentre le spese condominiali e di manutenzione ordinaria sono a carico di chi abita nell’alloggio. Per quanto riguarda i canoni versati, la parte relativa al godimento del bene viene trattata come un normale affitto, che contribuisce al reddito da fabbricati: il proprietario privato, per esempio, può scegliere tra il regime con Irpef ordinaria e imposta di registro al 2% (da dividere tra proprietario e inquilino) o il regime di cedolare secca. La parte finalizzata all’acquisto viene invece tassata come un acconto sul prezzo di vendita: per esempio al futuro acquirente spetta un’imposta di registro al 3%, mentre le quote versate contribuiranno alla eventuale plusvalenza, su cui il proprietario dovrà versare le imposte nel caso di vendita entro i cinque anni dall’acquisto di un’abitazione non principale.
In attesa della circolare – Dal momento che il decreto Sblocca Italia non ha disciplinato il rent to buy dal punto di vista tributario, ulteriori chiarimenti, riguardanti soprattutto il caso in cui l’acquirente rinunci all’acquisto, arriveranno con una circolare che il vice direttore generale dell’Agenzia delle entrate Eduardo Ursilli ha annunciato per febbraio. Ursilli ha però dato alcune anticipazioni: “Potrebbe accadere che le parti gonfino la parte destinata ad anticipo per sottrarla alla tassazione del reddito da fabbricati. E che il proprietario si cauteli trattenendone una buona fetta a titolo di risarcimento danni. Come agenzia stiamo pertanto valutando la possibilità di considerare la parte trattenuta come parte del reddito da fabbricati”. Per quanto riguarda invece la possibilità che un proprietario scelga il rent to buy per posticipare il rogito dopo cinque anni dall’acquisto di un’abitazione non principale, in modo da non pagare imposte sulla plusvalenza, il vice direttore ha fatto sapere che l’orientamento è di non considerare tale operazione elusiva, ma una lecita opportunità prevista dalla nuova norma.
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