Rappresentazione artistica di un esaquark di tipo dibarione. Ci sono due quark costituenti per ciascuna delle tre cariche di colore. Crediti: Linfoxman/Wikimedia Commons
Se l’indagine sulla componente oscura del nostro universo fosse un giallo, si potrebbe dire che il colpevole abbia lasciato numerose e inequivocabili tracce di sé, senza però far trapelare il minimo indizio circa la sua identità. Quale particella si nasconda dietro (o dentro) la ormai pluriprovata esistenza della materia oscura rimane infatti a oggi un mistero.
La materia oscura, così chiamata per la sua caratteristica di non assorbire né emettere radiazione elettromagnetica e interagire con la materia luminosa solo tramite l’interazione gravitazionale, è presente nell’universo in proporzione cinque volte superiore rispetto alla materia barionica ordinaria, quella di cui sono composte tutte le cose che osserviamo e di cui abbiamo esperienza. Lo dicono innumerevoli osservazioni di sorgenti e fenomeni astrofisici, dalla curva di rotazione delle galassie a spirale al lensing gravitazionale. Eppure, nonostante decenni di tentativi, nessuno è ancora riuscito a incastrarla.
Uno studio pubblicato a metà febbraio su Journal of Physics G, condotto da due fisici dell’Università di York (Regno Unito), Mikhail Bashkanov e Daniel Watts, propone un nuovo indiziato alla soluzione del caso: il nome è d-star hexaquark, ed è una particella che costituirebbe la materia oscura trovandosi confinata in uno stato chiamato condensato di Bose-Einstein.
Agli occhi degli addetti ai lavori, è un nome – soprattutto nella sua forma completa: d*(2380) hexaquark – che fa immediatamente intuire la struttura e le proprietà della particella. Si tratta di una particella della classe dei deuteroni (da cui la lettera ‘d’), composta cioè dalla somma di un protone e un neutrone, ciascuno dei quali a sua volta è composto di tre particelle elementari dette ‘quark’ (da cui ‘hexaquark’: 6 quark). Il numero ‘2380’ si riferisce alla massa, espressa in MeV (megaelettronvolt). E la stella ‘*’ indica che essa si trova in uno stato eccitato, ovvero a un livello di massa-energia più elevato.
Mikhail Bashkanov, del Dipartimento di fisica della University of York, primo autore dell’articolo “A new possibility for light-quark dark matter”. Crediti: M. Bashkanov
«Questo stato eccitato», spiega a Media Inaf il primo autore dell’articolo, Mikhail Bashkanov, «rende tali particelle estremamente instabili: il loro tipico tempo di vita nel vuoto infatti è di soli 10-24 secondi, il che significa che se esse vengono prodotte nel vuoto decadono immediatamente. Ma se si crea uno stato della materia che le contenga, come un condensato di Bose-Einstein, l’energia di legame compensa il beneficio energetico che queste particelle avrebbero nel decadere, e si crea un equilibrio stabile».
La possibilità di creare questo stato della materia estremamente favorevole è insita nella natura di queste particelle: i deuteroni infatti rientrano nella categoria dei bosoni, particelle con spin unitario non soggette al principio di esclusione di Pauli, che quindi non si respingono reciprocamente a piccole distanze, e possono anzi collassare insieme. «Possiamo immaginare questo condensato come un frammento di stella di neutroni, in cui la carica dei quark è compensata dagli elettroni. Avremo quindi piccoli agglomerati di materia di dimensione inferiore a un atomo, con carica neutra – che dunque non interagiscono elettromagneticamente – e una dimensione sufficientemente grande da produrre un segnale di tipo gravitazionale». In altre parole, il ritratto del candidato ideale a particella di materia oscura. Un candidato di cui già si hanno tracce sperimentali: la particella d-star hexaquark è stata scoperta nel 2011 da un team di scienziati all’acceleratore di particelle di Juelich, in Germania, facendo collidere fasci di protoni con neutroni, ed è stata in seguito completamente caratterizzata attraverso tutti i suoi possibili canali di decadimento.
«La forza di questa ipotesi», sottolinea Bashkanov, «sta nel fatto che non servono nuove teorie fisiche per spiegare come sia avvenuta la formazione della materia oscura, né come mai essa sia predominante rispetto alla materia barionica. Inoltre, questa teoria risolve naturalmente il problema della asimmetria fra materia ed antimateria».
«Si può infatti immaginare l’universo negli istanti successivi al Big Bang», prosegue Bashkanov, «come una zuppa di quark e anti-quark (la loro anti-particella) i quali, man mano che la temperatura del cosmo diminuiva per effetto della sua stessa espansione, formavano protoni, neutroni e anche il condensato di d-star hexaquark. Dal momento che quest’ultimo stato della materia è energeticamente favorevole, la maggior parte dei quark e antiquark tenderà a esso, e molti meno verranno invece impiegati nella generazione della materia normale. Ecco perché abbiamo cinque volte più materia oscura che materia barionica. Inoltre, materia e antimateria si comportano gravitazionalmente in modo analogo, pertanto se tutta l’antimateria creata condensa in (anti-) materia oscura, non abbiamo più il problema di dover spiegare come mai non la vediamo, l’antimateria».
La domanda a questo punto sorge spontanea: si può scovare, nell’immenso e multiforme laboratorio dell’universo, la presenza di questo condensato di d-star hexaquark? Forse sì. Sembra che i raggi cosmici di elevatissima energia siano in grado di rompere tale condensato, e generare un inequivocabile fascio di fotoni di uguale energia provenienti da una regione spaziale estremamente circoscritta in un intervallo temporale ristretto. La rarità di questo evento e l’energia di interazione necessaria per rompere l’energia di legame del condensato sono ancora sconosciute, e sono oggetto di uno studio sinergico fra laboratorio, teoria e osservazioni astrofisiche.
«La determinazione dell’energia di interazione dei d-star hexaquark fra loro e con la materia barionica consentiranno di stimare le dimensioni fisiche del condensato di Bose-Einstein, il numero di particelle che lo compongono e la temperatura alla quale questo si è formato – ovvero quanti secondi dopo il Big Bang», conclude Bashkanov. «Stiamo attualmente analizzando i dati sulle interazioni presi in laboratorio, con un esperimento condotto all’acceleratore Mami di Magonza – dove i d-star hexaquark sono creati facendo collidere fasci di fotoni su target di deuteroni, per misurarne la forma e la dimensione – e contiamo di avere una risposta entro i prossimi due anni e mezzo».