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sabato 7 marzo 2020

Superquark ai tempi del Big Bang. - Valentina Guglielmo









              Due scienziati dell’Università di York hanno identificato una nuova particella – scoperta nel 2011 e chiamata d-star hexaquark – che potrebbe aver dato origine alla materia oscura nelle prime fasi della vita dell’universo dopo il Big Bang. Un‘ipotesi – spiega a Media Inaf Mikhail Bashkanov, primo autore dello studio pubblicato su Journal of Physics – in grado di rendere conto anche dell’asimmetria materia-antimateria.
Rappresentazione artistica di un esaquark di tipo dibarione. Ci sono due quark costituenti per ciascuna delle tre cariche di colore. Crediti: Linfoxman/Wikimedia Commons
Se l’indagine sulla componente oscura del nostro universo fosse un giallo, si potrebbe dire che il colpevole abbia lasciato numerose e inequivocabili tracce di sé, senza però far trapelare il minimo indizio circa la sua identità. Quale particella si nasconda dietro (o dentro) la ormai pluriprovata esistenza della materia oscura rimane infatti a oggi un mistero.
La materia oscura, così chiamata per la sua caratteristica di non assorbire né emettere radiazione elettromagnetica e interagire con la materia luminosa solo tramite l’interazione gravitazionale, è presente nell’universo in proporzione cinque volte superiore rispetto alla materia barionica ordinaria, quella di cui sono composte tutte le cose che osserviamo e di cui abbiamo esperienza. Lo dicono innumerevoli osservazioni di sorgenti e fenomeni astrofisici, dalla curva di rotazione delle galassie a spirale al lensing gravitazionale. Eppure, nonostante decenni di tentativi, nessuno è ancora riuscito a incastrarla.
Uno studio pubblicato a metà febbraio su Journal of Physics G, condotto da due fisici dell’Università di York (Regno Unito), Mikhail Bashkanov e Daniel Watts, propone un nuovo indiziato alla soluzione del caso: il nome è d-star hexaquark, ed è una particella che costituirebbe la materia oscura trovandosi confinata in uno stato chiamato condensato di Bose-Einstein.
Agli occhi degli addetti ai lavori, è un nome – soprattutto nella sua forma completa: d*(2380) hexaquark – che fa immediatamente intuire la struttura e le proprietà della particella. Si tratta di una particella della classe dei deuteroni (da cui la lettera ‘d’), composta cioè dalla somma di un protone e un neutrone, ciascuno dei quali a sua volta è composto di tre particelle elementari dette ‘quark’ (da cui ‘hexaquark’: 6 quark). Il numero ‘2380’ si riferisce alla massa, espressa in MeV (megaelettronvolt). E la stella ‘*’ indica che essa si trova in uno stato eccitato, ovvero a un livello di massa-energia più elevato.
Mikhail Bashkanov, del Dipartimento di fisica della University of York, primo autore dell’articolo “A new possibility for light-quark dark matter”. Crediti: M. Bashkanov
«Questo stato eccitato», spiega a Media Inaf il primo autore dell’articolo, Mikhail Bashkanov, «rende tali particelle estremamente instabili: il loro tipico tempo di vita nel vuoto infatti è di soli 10-24 secondi, il che significa che se esse vengono prodotte nel vuoto decadono immediatamente. Ma se si crea uno stato della materia che le contenga, come un condensato di Bose-Einstein, l’energia di legame compensa il beneficio energetico che queste particelle avrebbero nel decadere, e si crea un equilibrio stabile».
La possibilità di creare questo stato della materia estremamente favorevole è insita nella natura di queste particelle: i deuteroni infatti rientrano nella categoria dei bosoni, particelle con spin unitario non soggette al principio di esclusione di Pauli, che quindi non si respingono reciprocamente a piccole distanze, e possono anzi collassare insieme. «Possiamo immaginare questo condensato come un frammento di stella di neutroni, in cui la carica dei quark è compensata dagli elettroni. Avremo quindi piccoli agglomerati di materia di dimensione inferiore a un atomo, con carica neutra – che dunque non interagiscono elettromagneticamente – e una dimensione sufficientemente grande da produrre un segnale di tipo gravitazionale». In altre parole, il ritratto del candidato ideale a particella di materia oscura. Un candidato di cui già si hanno tracce sperimentali: la particella d-star hexaquark è stata scoperta nel 2011 da un team di scienziati all’acceleratore di particelle di Juelich, in Germania, facendo collidere fasci di protoni con neutroni, ed è stata in seguito completamente caratterizzata attraverso tutti i suoi possibili canali di decadimento.
«La forza di questa ipotesi», sottolinea Bashkanov, «sta nel fatto che non servono nuove teorie fisiche per spiegare come sia avvenuta la formazione della materia oscura, né come mai essa sia predominante rispetto alla materia barionica. Inoltre, questa teoria risolve naturalmente il problema della asimmetria fra materia ed antimateria».
«Si può infatti immaginare l’universo negli istanti successivi al Big Bang», prosegue Bashkanov, «come una zuppa di quark e anti-quark (la loro anti-particella) i quali, man mano che la temperatura del cosmo diminuiva per effetto della sua stessa espansione, formavano protoni, neutroni e anche il condensato di d-star hexaquark. Dal momento che quest’ultimo stato della materia è energeticamente favorevole, la maggior parte dei quark e antiquark tenderà a esso, e molti meno verranno invece impiegati nella generazione della materia normale. Ecco perché abbiamo cinque volte più materia oscura che materia barionica. Inoltre, materia e antimateria si comportano gravitazionalmente in modo analogo, pertanto se tutta l’antimateria creata condensa in (anti-) materia oscura, non abbiamo più il problema di dover spiegare come mai non la vediamo, l’antimateria».
La domanda a questo punto sorge spontanea: si può scovare, nell’immenso e multiforme laboratorio dell’universo, la presenza di questo condensato di d-star hexaquark? Forse sì. Sembra che i raggi cosmici di elevatissima energia siano in grado di rompere tale condensato, e generare un inequivocabile fascio di fotoni di uguale energia provenienti da una regione spaziale estremamente circoscritta in un intervallo temporale ristretto. La rarità di questo evento e l’energia di interazione necessaria per rompere l’energia di legame del condensato sono ancora sconosciute, e sono oggetto di uno studio sinergico fra laboratorio, teoria e osservazioni astrofisiche.
«La determinazione dell’energia di interazione dei d-star hexaquark fra loro e con la materia barionica consentiranno di stimare le dimensioni fisiche del condensato di Bose-Einstein, il numero di particelle che lo compongono e la temperatura alla quale questo si è formato – ovvero quanti secondi dopo il Big Bang», conclude Bashkanov. «Stiamo attualmente analizzando i dati sulle interazioni presi in laboratorio, con un esperimento condotto all’acceleratore Mami di Magonza – dove i d-star hexaquark sono creati facendo collidere fasci di fotoni su target di deuteroni, per misurarne la forma e la dimensione – e contiamo di avere una risposta entro i prossimi due anni e mezzo».

mercoledì 30 settembre 2015

STUDIO SCIENTIFICO STATUNITENSE CONFERMA LE OPERAZIONI DI GEOINGEGNERIA CLANDESTINA. - Mssimiliano Di Benedetto

Herndon

Un’importante novità dagli Stati Uniti: un recente studio, condotto dallo scienziato J. Marvin Herndon, per conto dell'”Enviromental research and public health“, conferma che la biosfera è oggetto di pesanti e dannosi interventi tramite la diffusione di particelle nanometriche di metalli (in primis alluminio) e di letali elementi radioattivi. La ricerca mette la parola fine alla diatriba sulla questione “scie chimiche” (alias geoingegneria clandestina) che sono, come sosteniamo da tempo, una realtà incontestabile.
Le risultanze del luminare impongono l’incriminazione per reati ambientali di vario genere, per omicidio etc. ai danni di coloro che organizzano ed attuano le operazioni chimico-biologiche, per favoreggiamento nei confronti di chi (negazionisti-persecutori), a vario livello, in questi anni, ha pervicacemente occultato la verità e diffamato i ricercatori e fra questi il Ministero della Giustizia.
Il documento, pubblicato sulla rivista scientifica “International journal of environmental research and public health”, si intitola “Evidence of coal-fly-ash toxic chemical geoengineering in the troposphere: consequences for public health”. Nel testo l’esperto non esita a chiamare le cose con il loro nome, usando termini come “chemtrails” e “geoengineering”, sgomberando il campo, anche sotto il profilo lessicale, da qualsiasi, residuo dubbio in merito al problema vigorosamente denunciato.
Di seguito la sintesi dello studio.
The widespread, intentional and increasingly frequent chemical emplacement in the troposphere has gone unidentified and unremarked in the scientific literature for years. The author presents evidence that toxic coal combustion fly ash is the most likely aerosolized particulate sprayed by tanker-jets for geoengineering, weather-modification and climate-modification purposes and describes some of the multifold consequences on public health. Two methods are employed: (1) Comparison of 8 elements analyzed in rainwater, leached from aerosolized particulates, with corresponding elements leached into water from coal fly ash in published laboratory experiments, and (2) Comparison of 14 elements analyzed in dust collected outdoors on a high-efficiency particulate air (HEPA) filter with corresponding elements analyzed in un-leached coal fly ash material. The results show: (1) the assemblage of elements in rainwater and in the corresponding experimental leachate are essentially identical. At a 99% confidence interval, they have identical means (T-test) and identical variances (F-test); and (2) the assemblage of elements in the HEPA dust and in the corresponding average un-leached coal fly ash are likewise essentially identical. The consequences on public health are profound, including exposure to a variety of toxic heavy metals, radioactive elements, and neurologically-implicated chemically mobile aluminum released by body moisture in situ after inhalation or through transdermal induction.
Leggi qui l’intero articolo. Qui lo studio in formato PDF e qui le immagini, cliccando sulla voce relativa.
http://www.losai.eu/studio-scientifico-statunitense-conferma-le-operazioni-di-geoingegneria-clandestina/

domenica 26 luglio 2015

LHCb OSSERVA I PENTAQUARK, PARTICELLE ESOTICHE A CINQUE QUARK.




LHCb, uno dei quattro grandi esperimenti del Large Hadron Collider LHC, il superacceleratore del CERN a Ginevra, ha riportato la scoperta di una classe di particelle esotiche note come pentaquark. La collaborazione ha pubblicato oggi sul sito open access arXiv.org lo studio che descrive questi risultati, sottomesso per la pubblicazione alla rivista Physical Review Letters.


“Il pentaquark osservato non è soltanto una nuova particella - ha spiegato Alessandro Cardini, responsabile dell’esperimento LHCb per l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare INFN – ma anche un nuovo modo in cui i quark, che rappresentano i costituenti fondamentali di neutroni e protoni, possono combinarsi tra loro, in uno schema mai osservato prima in oltre cinquant'anni di ricerche sperimentali. Ulteriori studi delle proprietà dei pentaquark ci permetteranno di comprendere meglio la natura di neutroni e protoni, i costituenti della materia di cui siamo fatti noi e tutto ciò che ci circonda”, conclude Cardini.


La nostra comprensione della struttura della materia è stata rivoluzionata nel 1964, quando il fisico americano, Murray Gell-Mann, ha proposto che una categoria di particelle, note come barioni, e che comprende protoni e neutroni, fossero composti di tre oggetti chiamati quark, e che un’altra categoria, i mesoni, fossero invece formati di coppie quark-antiquark. Gell-Mann fu insignito per questo lavoro del Premio Nobel per la fisica nel 1969. Ma il modello a quark elaborato da Gell-Mann permette anche l'esistenza di altri stati di aggregati di quark, come il pentaquark, appunto, composto da quattro quark e un antiquark. Fino ad ora, tuttavia, nonostante una ricerca serrata durata mezzo secolo e condotta da parte di molti esperimenti in tutto il mondo, non era mai stata portata nessuna prova conclusiva dell’esistenza del pentaquark.


I ricercatori di LHCb hanno cercato stati di pentaquark esaminando il decadimento di un barione, conosciuto come Λb (Lambda b), in altre tre particelle: una J/ψ (J-psi), un protone e un kaone carico. Lo studio della distribuzione dell'energia della J/ψ e del protone ha rivelato che stati di aggregazione di materia intermedi, i pentaquark appunto, si formano a volte nel corso del decadimento di questi barioni.

"Approfittando della grande mole di dati forniti da LHC, e potendo contare sull'eccellente precisione del nostro rivelatore, abbiamo esaminato tutte le possibilità per questi segnali, e abbiamo concluso che si può spiegare solo con stati di pentaquark", spiega il fisico della collaborazione internazionale LHCb Tomasz Skwarnicki, della Syracuse University negli Stati Uniti, che ha coordinato lo studio. "Più precisamente gli stati devono essere formati da due quark up, un quark down, un quark charm e un anti-quark charm", conclude Skwarnicki.


La ricerca di questi nuovi agglomerati di quark dura da cinquant’anni e conta numerosi risultati che inizialmente erano sembrati positivi ma che successivamente, sottoposti a ulteriori verifiche, si sono rivelati invece inconcludenti. Ora, il risultato dell’esperimento LHCb è forte di un’analisi dei dati estremamente accurata a rigorosa, basata su un’elevatissima statistica, mai raggiunta prima, e su un’altissima precisione del rivelatore. LHCb è stato così in grado di studiare i pentaquark da molte prospettive, e tutte puntano alla stessa conclusione. È come se gli studi precedenti avessero individuato delle silhouette nel buio e le avessero associate ai pentaquark, mentre LHCb ha condotto la sua ricerca a luci accese e da tutte le angolazioni.
"L'esistenza di particelle esotiche, quelle che non riusciamo a inquadrare nei modelli che descrivono mesoni e barioni, è ormai un fatto sperimentalmente accertato: ad esempio, stati con quattro quark sono già stati scoperti in diversi esperimenti, incluso LHCb”, approfondisce Pierluigi Campana, a capo della collaborazione internazionale LHCb dal 2011 al 2014. “Però adesso abbiamo una forte indicazione di qualcosa di equivalente per i cinque quark. E questo grazie alla capacità di LHCb di riconoscere la natura delle particelle, in mezzo a quella tempesta di tracce che ci è generosamente offerta dalle collisioni a LHC”, conclude Campana.
Ma questo risultato non è conclusivo, perché i pentaquark sono una classe di particelle che ci può aprire le porte a una comprensione molto più approfondita della materia. Infatti, se noi conosciamo bene la forza elettromagnetica che tiene legati assieme gli atomi, cioè i nucleoni e gli elettroni, non altrettanto possiamo dire della forza forte, che tiene legati sia i protoni e i neutroni all’interno del nucleo, sia i quark che li compongono tra di loro.
“La scoperta della collaborazione LHCb, di uno stato composto da cinque quark, se sarà confermata, arriva gradita, ma non inattesa”, commenta Luciano Maiani, fisico teorico fra coloro che hanno maggiormente contribuito agli studi sui quark. “Nel lavoro in cui introduceva i quark, Gell-Mann aveva anche suggerito che, oltre ai mesoni noti fatti da una coppia quark-antiquark, potessero esistere particelle mesoniche composte da due coppie quark-antiquark (tetraquark) e che, oltre alle particelle barioniche composte da tre quark, potessero esserci dei pentaquark. Ci attende adesso l’esplorazione di un nuovo mondo di particelle, al CERN e ai collisori elettrone-positrone in Giappone e in Cina. Speriamo di trovare, nei pentaquark, quella “pistola fumante” che convinca anche gli scettici dell’esistenza di una nuova serie di particelle subnucleari, che ci daranno informazioni cruciali sulle, ancora misteriose, interazioni forti”, conclude Maiani.
Quindi, si apre ora tutto un nuovo filone di ricerca. Il passo successivo per l'analisi sarà perciò studiare come i quark sono legati all'interno dei pentaquark. I quark, infatti, potrebbero essere strettamente vincolati, oppure potrebbero essere tenuti assieme più debolmente in una sorta di molecola mesone-barione, in cui il mesone e il barione risentono del residuo dell’interazione forte, la stessa forza che lega protoni e neutroni a formare i nuclei. Saranno quindi necessari ulteriori studi per distinguere tra queste possibilità, e per vedere che cosa i pentaquark possono insegnarci. I nuovi dati che LHCb raccoglierà durante il RUN2 di LHC consentiranno di compiere progressi in questo campo.
Approfondimento
di Luciano Maiani
Idee sulla struttura di tetra e pentaquark sono state avanzate da diversi autori a partire dagli anni ’70 del secolo scorso (R. Jaffe, poi G. Rossi e G. Veneziano e successivamente R. Jaffe e F. Wilczeck), ma nessuna prova sperimentale indicava allora la presenza di particelle più complicate del minimo necessario. La situazione è cambiata con la scoperta di particelle costituite da quark “pesanti”, il quark charm e il quark beauty. Nel decadimento di una particella con quark pesanti, questi ultimi non possono “sparire”: li possiamo rintracciare nelle particelle dello stato finale e vedere se nella particella iniziale non ce ne dovessero essere degli altri. L’idea che alcuni mesoni, osservati a partire dal 2003 e non interpretabili nello schema tradizionale fossero tetraquark formati da una coppia di quark pesanti e una di quark leggeri, è stata avanzata nel 2005 dal nostro gruppo (L. Maiani, A. Polosa, F. Piccinini, V. Riquer) e approfondita negli anni successivi, tra gli altri da S. Weinberg e da S. Brodsky, negli USA. Mesoni contenenti una coppia di quark beauty sono stati interpretati come tetraquark da A. Ali e altri collaboratori del laboratorio DESY, in Germania. Nel 2007, la scoperta del mesone Z+, da parte della collaborazione BELLE in Giappone, è stata confermata nel 2014 da LHCb. Oltre a una coppia charm-anticharm, che ha nel complesso carica elettrica zero, lo Z+ “deve” contenere una coppia di quark leggeri, per arrivare alla carica elettrica positiva osservata, proprio come previsto dai nostri tetraquark. I pentaquark osservati sono di questo tipo: decadono in un mesone charm-anticharm e in un protone, quindi devono contenere, in aggiunta, due quark up e un quark down. L’esistenza dei pentaquark è una logica conseguenza dell’esistenza dei tetraquark.