di Antonio Mazzeo - 7 aprile 2010
Sarà in libreria ad aprile il libro di Antonio Mazzeo. Un lavoro dettagliato che documenta gli interessi mafiosi sulla costruzione della grande opera sullo Stretto di Messina.
Da aprile sarà in libreria il lavoro di Antonio Mazzeo I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina (Edizioni Alegre, Roma, 14 euro). Un libro che sulla base di un’attenta documentazione giudiziaria denuncia gli interessi criminali che ruotano attorno alla costruzione del Ponte sullo Stretto. left, in anteprima, pubblica alcuni passaggi.
«Era il 12 febbraio 2005 e gli agenti di Pubblica sicurezza bussavano alle porte di un lussuoso appartamento ai Parioli di Roma. Portavano con sé un’ordinanza di custodia cautelare per un anziano ingegnere. La Procura della capitale lo accusava di essere prestanome di mafia e ’ndrangheta per portare a compimento l’affare del nuovo secolo: riciclare cinque miliardi di euro, proventi del traffico di stupefacenti, e realizzare il collegamento stabile tra Sicilia e Calabria. Il professionista non era l’unico indagato. C’erano, con lui, altre quattro persone. Alcune risiedevano all’estero. Un’altra era già in carcere in attesa di essere giudicata per un triplice omicidio.
Secondo le risultanze dell’inchiesta, gli indagati, avvalendosi dell’impresa appositamente creata da un consociato, avevano partecipato alla fase di prequalifica per la scelta del general contractor, il soggetto che dovrà progettare e costruire il Ponte. Contestualmente avevano avviato i contatti con altre società partecipanti alla gara, per essere certi in ogni caso, di partecipare al finanziamento e all’esecuzione dei lavori. L’indagine aveva preso il via da una segnalazione della polizia canadese risalente all’ottobre del 2002 e relativa alle operazioni finanziarie di un’organizzazione criminale di stampo mafioso capeggiata dal boss Vito Rizzuto. Una cellula del sodalizio operava anche in Italia con lo scopo di acquisire il controllo di importanti attività economiche: il referente, stando agli inquirenti nordamericani, sarebbe stato un anziano imprenditore apparentemente “pulito”, con una pregressa esperienza internazionale nel campo delle opere pubbliche. Giuseppe “Joseph” Zappia il nome del professionista chiamato a fare da “schermo” ad una delle più imponenti operazioni di riciclaggio di denaro della storia di Cosa Nostra. Un ingegnere nato nel 1925 a Martingues (Francia), ma di origini calabresi, figlio di emigranti che avevano abbandonato il comune di Oppido Mamertina per far fortuna prima in Francia e poi in Canada [...]».
«[...] Nel 1976 Zappia conquistava il vertice di una delle più importanti società canadesi, partecipando alla costruzione di complessi immobiliari, ospedali e cliniche per migliaia di posti letto e, fiore all’occhiello, le due piramidi del villaggio olimpico di Montreal. Un’opera, quest’ultima, dal design certamente futurista e originale, ma che alla fine era costata 68 milioni di dollari in più di quanto preventivato.
Da lì l’arresto di mister Zappia per estorsione e truffa. Scarcerato dietro cauzione, nell’aprile 1980 l’ingegnere decideva di lasciare il Canada per trasferirsi negli Emirati Arabi. [...]».
«[...] Ma Giuseppe Zappia non era riuscito a sfuggire alla sindrome che colpisce tanti degli emigranti e dei figli di emigranti. Il timore, cioè, di morire senza radici, soli, lontani. Il bisogno di tornare e invecchiare respirando gli odori ancestrali. E il sogno di fare qualcosa di grande, di eterno, per la terra propria e degli avi. “Mi ricordo - ha raccontato l’ingegnere - che quand’ero ragazzo la gente anziana, emigrata in America nei primi anni del 1900, mi ripeteva che un giorno anche Calabria e Sicilia verranno unite da un ponte come quello di Brooklyn. Ho deciso di concludere la mia vita qui e vorrei tanto veder realizzato quel ponte sullo Stretto di Messina”. Un desiderio che spingeva Zappia a farsi in quattro in vista del preannunciato bando per la scelta del soggetto unico a cui affidare, chiavi in mano, progetto, finanziamento e lavori. Per concorrere alla fase di preselezione, Zappia fondava una modestissima società a responsabilità limitata (appena trenta mila euro di capitale), la Zappia International, la cui sede veniva fissata a Milano negli uffici dello studio legale Pillitteri-Sarni, titolare Stefano Pillitteri, consigliere comunale di Forza Italia e figlio dell’ex sindaco socialista di Milano, Paolo. Collega di studio del Pillitteri è Cinzia Sarni, moglie del giudice Ersilio Sechi, che ha assolto Marcello Dell’Utri e Filippo Rapisarda per il crack Bresciano. Era a lei che Giuseppe Zappia confidava i suoi propositi. “È al corrente che io voglio fare il ponte di Messina?”, rivelava l’ingegnere in un colloquio telefonico del 13 giugno 2003. “Io se faccio il ponte lo faccio perché ho organizzato 5 miliardi di euro… e questi 5 miliardi furono organizzati da tempo, mi comprende? Da tempo!”. Contemporaneamente l’ingegnere italo-canadese allestiva un team di professionisti internazionali che lo affiancavano nella gestione degli aspetti economici e finanziari dell’operazione. Veniva nominato consulente legale il noto avvocato romano Carlo Dalla Vedova, mentre i contatti con i potenziali finanziatori esteri venivano affidati al mediatore cingalese Sivalingam Sivabavanandan.
Per stringere relazioni e alleanze con ministri, sottosegretari e imprenditoria capitolina, Zappia avrebbe ottenuto la collaborazione di un ex attore televisivo di origini agrigentine, Libertino Parisi, noto al grande pubblico per aver fatto l’edicolante nella trasmissione Rai I fatti vostri. Parisi diventava l’uomo di fiducia dell’ingegnere Zappia. Con lui venivano programmati appuntamenti e riunioni ai massimi vertici istituzionali, finanche con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e con il ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi. “Ho parlato con quelle persone che erano molto interessate del fatto che un’impresa con capitali arabo-canadesi intende costruire il ponte finanziando l’opera per intero”, rivelava confidenzialmente l’ingegnere a Libertino Parisi, in una telefonata del 5 marzo 2004. “Ho ricevuto indicazioni di mandare un fax con la proposta alla segreteria del presidente della società Stretto di Messina”.
Il 24 marzo, giorno in cui il consiglio d’amministrazione della Stretto spa approvava il bando di gara proposto dall’amministratore delegato Pietro Ciucci per la selezione del general contractor, l’ingegnere era intercettato mentre dava le ultime istruzioni a Parisi in vista di una riunione con i vertici della concessionaria per il collegamento stabile Calabria-Sicilia. “Quello che io ho bisogno - affermava Zappia - è di uscire dalla riunione di questo pomeriggio con la facoltà di sedersi con il Governo e di fare l’accordo a cui posso io arrivare con i miei finanzieri. Perché, i miei finanzieri, non li svelerò a loro… Io, ho due finanzieri, uno separato dall’altro, tutti e due sono pronti a mettere non 4.500, insomma quant’è questo, 4 miliardi e mezzo? So’ pronti a mettere cinque miliardi di euro! È una cosa che loro non hanno, e che spero che la guarderanno un po’ fuori limite”. Il 22 aprile 2004 Zappia informava l’avvocato Dalla Vedova dell’esito di una lunga riunione con gli ingegneri e gli avvocati della Stretto di Messina e di un’altra riunione con Salvatore Glorioso, segretario particolare del ministro Enrico La Loggia ed assessore provinciale di Forza Italia a Palermo.
L’ingegnere aggiungeva: “Per la legge italiana devono fare una presentazione d’offerta, ma è solo una formalità perché loro già sanno chi farà il ponte ed è un loro amico che si chiama Joe Zappia!”. “Sono in possesso dei documenti di analisi di fattibilità finanziaria, di finanziabilità del mercato”, riferiva l’avvocato romano. Zappia però lo interrompeva: “Sono già stato alla sede romana della Stretto di Messina con Sivabavanandan. Non ti posso riferire adesso quello che ci siamo detti in quelle ore, ma hanno deciso che l’uomo che farà il ponte sarò io perché posso gestire i problemi in quell’area del Paese. Sono calabrese!”.
L’essere calabrese, il sapersi muovere in un ambiente notoriamente “difficile”, la disponibilità di grandi capitali da offrire per i lavori del Ponte, facevano di Giuseppe Zappia un uomo fermamente convinto di poter imporre le proprie regole, senza condizionamenti di sorta. Del resto, società concessionaria e potenziali concorrenti manifestavano già qualche difficoltà a reperire i fondi necessari per avviare il progetto».
Antonio Mazzeo
Il libro
I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina
Di Antonio Mazzeo, edito da Alegre, 208 pagine di inchiesta.
Costo 14 euro.