sabato 10 aprile 2010

'Guai a Santoro e a Travaglio se toccano ancora Dell'Utri' - Enrico Fierro


10 aprile 2010

Le elezioni del 2008 e le minacce di Aldo Micciché, socio del senatore e "consigliori" della 'ndrangheta: "Se mi rompono..."

Aldo Miccichè, il faccendiere calabrese riparato in Venezuela, amico e socio di Marcello Dell’Utri in business petroliferi e in commercio di medicinali, era ossessionato dai giornali e dai giornalisti. Soprattutto da chi scriveva contro il "suo senatore", Dell’Utri, ovviamente. "Travaglio, quello di Annozero. Guarda che se mi rompe i coglioni sul senatore, veramente gli faccio s... un petardo nel culo". Miccichè è al telefono – un'ossessione pure quella, assieme al computer e Internet, il suo contatto fisso con l’Italia – e parla con Massimo De Caro, amico pure lui di Dell’Utri e interessato al business del petrolio e del gas in Venezuela. Parlano di Marco Travaglio e dei suoi libri su Berlusconi & soci. Pagine evidentemente sgradite al mondo che circonda Miccichè. De Caro lo tranquillizza. "È tanto che non ne parla più (di Dell’Utri, evidentemente, ndr)". Miccichè: "Ah, e già, lo hai capito, no? Io gliel’ho detto al senatore oggi, non mi deve rompere i coglioni, gli ho mandato un messaggio, non a lui, al suo capo. Che non rompa le palle...cercherà soldi, dai, te lo dico io". Massimo De Caro: "Quel libro che ha fatto è veramente assurdo". Ma non era solo Travaglio a disturbare i sonni dell’uomo che aveva contatti quotidiani con la famiglia Arcidiaco, Lorenzo, il padre, e Gioacchino, suoi soci in affari, e imparentati con i Piromalli, una delle cosche più ricche e potenti della Piana di Gioia Tauro.

C’è posto anche per Michele Santoro e Annozero. Primo giorno dell’anno del 2008, Marcello Dell’Utri chiama Miccichè. Si fanno gli auguri. Ma Miccichè ha la testa rivolta agli affari e alla politica: "Questo, caro Marcello, deve essere il tuo anno. L’ho fatto sapere anche a un mio nobile amico di Annozero (Santoro, annotano i poliziotti che trascrivono l’intercettazione telefonica, ndr)". I due amiconi ridono. Miccichè, però, diventa serio e continua il discorso sul giornalista tv: "Gli ho detto che non deve rompere le palle, gli ho mandato un messaggio al quale non può dire di no". Il senatore, notano i poliziotti trascrittori, "acconsente a tutto quello che dice Aldo". "Guarda che ce li ho veramente sulle palle quei due diAnnozero, guarda che io ho mandato una nota che non mi rompano i coglioni con Marcello Dell’Utri, gliel’ho mandata direttamente a chi di dovere, proprio ai suoi personalmente...hai capito, no?". Dell'Utri: "Sì, sì, il giornalista”. Miccichè: "Quello mi ha rotto i coglioni, gli faccio succedere qualcosa di brutto, io sono buono e caro, però non mi toccano le cose mie e io non tocco loro, a me non interessa come si guadagnano da vivere, basta che non rompano i coglioni a me. Quindi gliel’ho detto chiaro, vedi che è difficile che Annozero ripeta il tuo nome...se no vedrai che gli succede...".

Il senatore, notano i poliziotti che trascrivono le registrazioni telefoniche, annuisce. E come può fare diversamente? Il rapporto tra Dell’Utri e il faccendiere calabrese è strettissimo. Di affari per sé e per uno dei suoi figli, e politico, per i voti in Venezuela, nel collegio di Milano e tra Calabria e Sicilia, Miccichè e le sue relazioni mafiose potevano muovere. E’ prodigo di attenzioni il caro Miccichè quando parla del futuro del suo senatore. Parlando con Dell'Utri il 2 dicembre 2007, esprime tutto il suo dissapore per l’atteggiamento di
Berlusconi. Marcello ha i suoi guai giudiziari e al faccendiere calabrese l'atteggiamento di Forza Italia sembra tiepido. “Non hanno capito le dimensioni tue e vanno dietro a quello che vanno dicendo questi uomini di merda, la magistratura, le cose ecc. È chiaro? Ricordati che l’amicizia è la vera sincerità. A te non si può negare una certa crescita e questo lo deve capire soprattutto Silvio, parliamoci chiaro... a me non è piaciuto l’atteggiamento di Berlusconi nei tuoi confronti". Dell’Utri è quasi commosso: “Sì, ma non lo so, io non lo vedo, è più facile che la vedano dall’esterno. Però la politica è così".

Da
il Fatto Quotidiano del 10 aprile

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2470317&title=2470317

giovedì 8 aprile 2010

USA: GREENSPAN RICONOSCE ERRORI MA DIFENDE SUO RUOLO NELLA CRISI


(AGI/AFP/REUTERS) - Washington, 7 apr. -


L’ex numero uno della Fed, Alan Greenspan, sotto accusa per non aver previsto la grande crisi finanziaria iniziata nel 2008, ha riconosciuto di aver compiuto degli errori, ma ha anche difeso la sua politica e il suo ruolo, nel corso di un’audizione tenuta davanti alla commissione d’inchiesta governativa, incaricata dal presidente Barack Obama di esaminare le cause della crisi. “La recente crisi - ha detto - ci consegna alcuni importanti messaggi su quello che si puo’ e non si puo’ fare in termini di supervisione e di valutazione della situazione”. “La storia ci insegna - ha aggiunto - che non si puo’ identificare con esattezza i tempi di una crisi e non si possono anticipare esattamente i suoi confini, o quanto costera’ in termini di perdite e di ricadute”. Greenspan ha poi detto che la questione chiave a cui le autorita’ dovranno dare una risposta per evitare in futuro crisi come quella che si sta faticosamente cercando di superare e’ di decidere l’adeguato livello di capitalizzazione delle banche e delle grandi societa’ finanziarie. “Qual e’ la quota adeguata di capitali? - si e’ domandato, senza dare una risposta in termini di cifre - E’ questa la domanda chiave che si devono porre le autorita’ di controllo”.

A puntare pesantemente il dito contro Greenspan e’ stato il presidente della commissione, Phil Angelides, ex tesoriere democratico della California, il quale ha accusato l’ex numero uno della Fed di non essere riuscito a prevenire un “massiccio ed ingannevole” afflusso di prestiti nel settore dei mutui subprime dal causare il collasso del settore immobiliare. Greenspan pero’ ha difeso la politica dei controlli e dei bassi tassi d’interesse della Fed, sostenendo che non e’ dipeso da cio’ se i risparmiatori hanno assunto dei rischi eccessivi. “La bolla speculativa immobiliare - ha spiegato - la piu’ grande da molte generazioni a questa parte, e’ stata generata dai bassi tassi d’interesse, ma… sono stati i tassi a lungo termine sui mutui e non i tassi interbancari delle banche centrali, a galvanizzare i prezzi”.

Greensapan, un tempo considerato una specie di oracolo infallibile della finanza mondiale, ha ammesso di aver compiuto “un gran numero di terribili errori” nei 21 anni di permanenza alla guida della Fed, ma ha anche aggiunto che il 70% delle sue decisioni si sono rivelete azzeccate. Poi ha ammesso che alcune delle scelte prese nella fase che ha contribuito ad avviare la crisi, potrebbero essere incluse nel 30% di iniziative sbagliate. (AGI) Gaa

http://www.economia-oggi.it/archives/00046421.html


Palermo, 8 aprile 2010

PALERMO - Tante le notizie sulle prime pagine dei giornali di oggi e i quotidiani decidono di aprire con notizie differenti. Le principali notizie riguardano la spesa per le ambulanze, la Fiat di Termini Imerese, il processo Mori, la discussione al Comune di bilancio e Tarsu, le minacce a Ciancimino, i binari a Cardillo e i lavori del passante ferroviario.

Processo Mori e Ciancimino. Il processo Mori di ieri lo trovate sulle prime pagine di La Sicilia, con un box a metà pagina, che titola con una frase dell'ex ministro Martelli ascoltato ieri in aula "Anomali contatti tra Ros e Ciancimino", sul Giornale di Sicilia con un piccolo richiamo in fondo alla pagina "Martelli: Ros scorretto ma non ci fu trattativa" e su EPolis Palermo che a seguire all'apertura titola "L'ex guardasigilli ascoltato dai giudici al processo Mori". L'apertura di Epolis è infatti dedicata ai proiettili inviati a Massimo Ciancimino e di cui si è avuta notizia ieri: "Ciancimino, nuove minacce con proiettili di kalashnikov".

Ambulanze. L'apertura di Repubblica-Palermo è dedicata alla decisione della Corte dei conti in merito al 118 "Troppe ambulanze, pagate voi" dove il voi è riferito all'ex governatore Cuffaro, ai suoi assessori e ai membri della commissione sanità dell'Ars. Quando potrebbero essere costretti a sborsare? 39 milioni. Ad accompagnare l'apertura l'articolo "Quando la Regione assunse in un giorno 2.500 barellieri e autisti soccorritori".

Comune. "'Blitz' a Sala delle Lapidi" è il titolo di apertura di La Sicilia-Palermo sull'elezione a sorpresa di Fracconte (Udc) come presidente della prima commissione al Consiglio comunale. Consiglio su cui pesano il bilancio e la Tarsu, la tassa sui rifiuti, che promettono scintille: secondo quanto si legge sul giornale sarebbe in programma un altro blitz ovvero togliere 30 milioni dalle entrate Tarsu per costringere la Giunta a rivedere il bilancio tagliando le spese flessibili, cioè quelle che sono a discrezione dell'amministrazione. Intanto sulla piazza del Comune la situazione non si placa "I rottamai tornano in piazza Pretoria" è il titolo con foto di Repubblica-Palermo.

Fiat di Termini. A metà pagina di La Repubblica-Palermo troviamo la notizia "Arrivano i primi compratori alla Fiat di Termini Imerese" notizia che xcittà aveva anticipato già la scorsa settimana. Ieri sono arrivati i tecnici dell'imprenditore Cimino, oggi si aspettano altre due delegazioni di cinesi e probabilmente dell'imprenditore Rossignolo, si legge sul giornale.

Cardillo e passante ferroviario. La grande foto in prima pagina di EPolis Palermo è dedicata alla ferrovia che passa da Cardillo e la gente del quartiere che non vuole in superficie il passante ferroviario altrimenti "il quartiere morirà". Il titolo è "Binario dei veleni". Passante ferroviario anche sul Gds (che oggi in prima pagina tratta soprattutto notizie nazionali come il rincaro della benzina - apertura anche di La Sicilia - lo sport, Bossi-Berlusconi e mette una foto della Gregoracci in costume per informarci che è la più cliccata sul sito del Gds) ma sui problemi che creerà a piazza Indipendenza "Palermo, a piazza Indipendenza otto mesi di disagi" è il titolo a metà pagina sul nuovo piano che dovrebbe iniziare oggi.

http://palermo.xcitta.it/20100407/rassegna_stanca/processo_mori_ciancimino_ferrovia_fiat_118

Mafia: Massimo Ciancimino consegna a pm lettera padre a Berlusconi


Palermo, 7 apr. - (Adnkronos) -

Nuovi documenti sono stati consegnati oggi da Massimo Ciancimino ai magistrati della Procura di Palermo che lo hanno nuovamente interrogato.

Diversi i manoscritti del padre, Vito Ciancimino, l'ex sindaco di Palermo che nel '92 avrebbe avviato la trattativa con il Ros per fare terminare le stragi di Cosa nostra.

Uno dei manoscritti e' una lettera, a firma di Vito Ciancimino, che aveva come destinatario Silvio Berlusconi.

La lettera e' stata scritta nel '94 subito dopo l'avviso di garanzia arrivato al premier, durante il G7 di Napoli.



Mafia, quella 'trattativa' per salvare 7 politici - Peter Gomez




Dopo la deposizione dell'ex Guardasigilli Martelli, al processo di Palermo contro il generale Mori, emerge una storia inconfessata e inconfessabile. Nel 1991 Cosa Nostra è pronta a uccidere su indicazione di Riina. Ma qualcuno le fa cambiare strategia.

Questa è una storia inconfessabile. Fatta di sangue, polvere da sparo e paura. Non prendetela per la verità. Perché per ora è solo una verità possibile. Una ricostruzione verosimile che si è affacciata nelle menti degli investigatori dopo la deposizione dell’ex Guardasigilli, Claudio Martelli, davanti ai giudici che stanno processando per favoreggiamento aggravato l’ex comandante del Ros, generaleMario Mori. Ridotta a una frase – ma come si sa, quando si parla di mafia le cose sono molto più complicate – suona più o meno così. Nel 1992 lo Stato trattò conCosa Nostra per salvare la vita a un lungo elenco di politici: i ministri o ex ministriCalogero Mannino, Salvo Andò, Martelli, Giulio Andreotti e Carlo Vizzini, il deputato regionale Sebastiano Purpura e il presidente della regioneRino Nicolosi. Sette nomi eccellenti, considerati a torto o ragione dai clan dei traditori, ai quali si deve aggiungere la lista, compilata come la prima in più fasi, dei nemici a tutto tondo: i magistrati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e PieroGrasso e i poliziotti Arnaldo La Barbera, Gianni De Gennaro e Rino Germanà. Per capire come si giunge a questa ipotesi, bisogna però cominciare dai fatti certi.

Vediamoli. A partire dal febbraio del 1991, mese in cui Falcone, osteggiato dai colleghi, lascia Palermo per diventare di fatto il braccio destro di Martelli, la situazione per
Cosa Nostra precipita. Da una parte arriva nelle mani dei magistrati (ma subito dopo degli uomini d’onore e dei politici) un rapporto, redatto proprio dai carabinieri di Mori, su mafia e appalti in Sicilia che rischia di far saltare affari per mille miliardi di lire. Dall’altra, con Falcone al ministero, le cosche capiscono che la musica è cambiata. Subito il governo (presidente del Consiglio Andreotti) vara un decreto per rimettere in prigione 16 importanti boss scarcerati per decorrenza termini. Poi Martelli si muove per evitare che in Cassazione i processi per mafia finiscano sempre alla prima sezione presieduta da Corrado Carnevale, il giudice allora soprannominato ammazzasentenze.

Totò Riina, all’epoca capo incontrastato di Cosa Nostra, diventa una belva. All’improvviso capisce che le garanzie ricevute sul buon esisto del maxi-processo, istruito negli anni ‘80 da Falcone e Paolo Borsellino, in cui lui stesso è stato condannato all’ergastolo non valgono niente. Anche in terzo grado il verdetto sarà sfavorevole. Nella seconda parte dell’anno, raccontano le sentenze, si svolgono così una serie di vertici tra capi-mafia in cui Riina annuncia la decisione di "pulirsi i piedi". Cioè di ammazzare, non solo i nemici, ma anche chi nei partiti aveva fatto promesse e non le manteneva. Si discute dei nomi dei personaggi da eliminare e intanto parla di fare guerra allo Stato con attentati a poste, questure, tralicci dell’Enel, caserme dei carabinieri e alle sedi della Democrazia cristiana (quattro verranno colpite in Sicilia).

"Si fa la guerra per fare la pace", spiega a tutti il
boss corleonese, in quel momento già alla ricerca di una nuova sponda politica con cui stringere un nuovo accordo. Poi, il 31 gennaio del ‘92, come pronosticato, la Cassazione priva di Carnevale, conferma le condanne del maxi. E così il 12 marzo, a campagna elettorale appena iniziata, l’eurodeputato Salvo Lima, da anni proconsole di Andreotti, in Sicilia muore sotto i colpi dei killer. E’ un messaggio diretto al divo Giulio che sarebbe dovuto giungere nell’isola l’indomani. Falcone intuisce quanto sta accadendo. E, come scriverà La Stampa, commenta: "Il rapporto si è invertito: ora è la mafia che vuole comandare. E se la politica non obbedisce, la mafia si apre la strada da sola".

I politici siciliani cominciano davvero a tremare. Il 20 febbraio, ma questo lo si scoprirà solo molti anni dopo, in casa di
Girolamo Guddo (un amico dell’ex fattore di Arcore, Vittorio Mangano) si è tenuta un riunione operativa in previsione della “pulizia dei piedi”: si è parlato della morte di Lima, di quella diIgnazio Salvo (18 settembre ‘92), dell’attentato a Falcone e di molte delle altre persone da eliminare. Il programma prevede che a essere colpito, dopo Falcone, sia l’ex ministro dell’Agricoltura e leader siciliano della sinistra Dc, Mannino. Quale sia la forza della mafia gli italiani se ne rendono conto il 23 maggio osservando le centinaia di metri asfalto divelti dal tritolo a Capaci.

Morto Falcone, tutto sembra perduto. Mentre nel nord infuria
Tangentopoli, gli apparati investigativi antimafia appaiono in ginocchio. È a quel punto che, secondo l’accusa, Mori e il suo braccio destro, Giuseppe De Donno, decidono di battere la strada che porta a don Vito Ciancimino, l’ex sindaco mafioso di Palermo, legato a doppio filo all’alter ego (apparente) di Riina: Bernardo Provenzano. A giugno, ha sostenuto due giorni fa Martelli, De Donno contatta un’importante funzionaria del ministero, Liliana Ferraro. L’ufficiale le spiega di essere in procinto di vedere don Vito "per fermare le stragi". E, secondo l’ex ministro, chiede una sorta di "supporto politico". Ferraro avverte di quanto sta accadendo Borsellino, amico fraterno di Falcone e favorito nella corsa alla poltrona di procuratore nazionale antimafia. Intanto Giovanni Brusca, il boss oggi pentito che ha azionato il telecomando di Capaci, si sta già muovendo con pedinamenti e sopralluoghi per far fuori Mannino. Ai primi di giugno il ministro Dc viene però avvertito da un colonnello dell’Arma (chi?) dei rischi che sta correndo. Visibilmente teso lo racconterà lui stesso in un colloquio dell’8 luglio con Antonio Padellaro, allora vicedirettore de L’Espresso(il settimanale lo pubblicherà in parte a fine luglio e integralmente nel 1995). Mannino dice: "Secondo i carabinieri c’è un commando pronto ad ammazzarmi". L’ufficiale gli ha consegnato un rapporto di sette pagine con sopra stampigliata la parola "segreto" in cui è riassunta tutta la strategia di morte di Cosa Nostra. Mannino - che oltretutto annovera nella sua corrente molti esponenti legati ai clan - sa dunque perfettamente cosa sta accadendo. E nella conversazione spiega pure che Lima è stato ucciso per non aver potuto rispettare i patti sul maxi-processo.

Le paure di Mannino sono però destinate a rientrare.
Salvatore Biondino, un colonnello di Riina, sempre a giugno comunica a Brusca che il progetto di omicidio è sfumato. La mafia ha cambiato strategia. Nel mirino all’ultimo momento è stato messo Borsellino che morirà il 19 luglio in via D’Amelio. Perché? Oggi gli investigatori riflettono su due episodi. I presunti incontri precedenti alla bomba di via D’Amelio tra Mori e don Vito Ciancimino in cui vennero avanzate le prime richieste allo Stato. E la nascita del governo Amato del 28 giugno. A sorpresa il ministro dell’Interno Vincenzo Scotti (durissimo con Cosa Nostra), viene sostituito da Nicola Mancino (sinistra Dc come Mannino). Mentre pure Martelli (contrario a ogni ipotesi di trattativa) per qualche giorno, su proposta di Bettino Craxi, rischia di perdere la poltrona di guardasigilli. "Ero preoccupato", ha spiegato l’ex ministro, "era come si fosse esagerato con la lotta alla mafia...Il messaggio pareva essere: ‘Troviamo una forma più blanda di contrasto, ci abbiamo vissuto per 50 anni’". Il risultato è comunque che Cosa Nostra lascia perdere i politici (tranne Martelli, intorno alla cui casa ancora il 4 dicembre si aggirano boss impegnati in sopralluoghi) e si dedica invece a Borsellino, notoriamente contrario ad ogni ipotesi di patto. La trattativa aveva dunque come obiettivo la loro sopravvivenza? O semplicemente i politici si sono salvati in conseguenza della trattativa? Il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, lo scorso dicembre, sembrava propendere per la seconda ipotesi: "Probabilmente", diceva, "i mafiosi cambiarono obiettivo perché capirono che non potevano colpire chi avrebbe dovuto esaudire le loro richieste". Oggi però sappiamo che quell’elenco di politici da ammazzare, già a giugno, era in gran parte noto. E la storia potrebbe cambiare. Di molto.

Da
il Fatto Quotidiano dell'8 aprile 2010