venerdì 12 novembre 2010

Telefonate pericolose. - di Marco Lillo




La Genovesi, arrestata per narcotraffico, aveva un filo diretto con la casa di Berlusconi. Quarantotto chiamate solo con la villa del Caimano. Centinaia anche con Bondi e Brunetta

Altro che assistente sfigata di un oscuro senatore di periferia. Altro che sconosciuta centralinista della Regione Emilia Romagna. Perla Genovesi, la ragazza parmense di 32 anni, già portaborse del senatore Enrico Pianetta di Forza Italia, fermata nel 2007 e poi arrestata nel luglio scorso con l’accusa di traffico di stupefacenti insieme a un gruppo di siciliani, era entrata davvero nel cuore del potere berlusconiano. Questa giovane dalla doppia vita a cavallo tra i politici romani che oggi occupano le poltrone più importanti del Governo e i narcotrafficanti siciliani era arrivata a parlare con Villa San Martino. Il Fatto Quotidiano ha visionato i tabulati telefonici della ragazza nei quattro anni che hanno segnato la sua ascesa dall’Emilia alla Capitale e ha scoperto ben 48 contatti (in entrata e in uscita, tra telefonate e messaggi sms) con il telefono di Arcore. Nello stesso periodo Perla Genovesi aveva contatti e collaborava con i narcotrafficanti Vito Faugiana e Paolo Messina, arrestati con lei nel luglio scorso. Una circostanza che dimostra ancora una volta la permeabilità dei vertici del Pdl da parte di personaggi, spesso di sesso femminile, legati alla criminalità organizzata. Dopo Barbara Montereale, l’amica di Patrizia D’Addario fidanzata con un rampollo del clan Parisi di Bari, dopo il caso Ruby e la pubblicazione da parte di Oggi delle foto di Lele Mora, indagato per favoreggiamento della prostituzione, che recapita in villa pacchi di ragazze al premier, le telefonate ad Arcore di una ragazza in rapporti con narcotrafficanti siciliani ripropone il problema della ricattabilità e della possibile infiltrazione da parte della criminalità dei vertici del Pdl. Non solo il premier ma, come dimostra questo caso, anche il suo entourage e i suoi uomini più fidati sono a rischio per le loro spericolate frequentazioni.

Quando hanno visto i 48 contatti con Arcore, inizialmente gli investigatori hanno pensato al Cavaliere. Era naturale accoppiare l’utenza 039 6013… di Arcore, intestata all’Immobiliare Idra (società proprietaria di gran parte delle ville di Berlusconi) al padrone di casa. Quel numero era stato rinvenuto tanti anni fa nella memoria del cellulare di Marcello Dell’Utri come recapito riservato per contattare l’amico Silvio. In realtà, esaminando alcune telefonate intercettate sull’utenza di Perla Genovesi, si è scoperto che quando chiamava quel numero la ragazza cercava non Silvio ma Sandro. Il 16 aprile 2005, al centralinista che risponde “Villa San Martino”, infatti, secondo i Carabinieri, “Perla chiede del Dott. Giuseppe Villa che però non c’è. E chiede anche di tale Bondi ma non c’è neanche quest’ultimo”. Questo è l’unico contatto con Arcore segnalato dai Carabinieri nella loro informativa nella quale si annotano anche 13 contatti con l’attuale ministro della difesa Ignazio La Russa, “tutte attinenti al suo compito ufficiale e prive di interesse investigativo”.

I contatti con Arcore tracciati dai tabulati cominciano nel 2003. Sono molte le telefonate in partenza dalla magione del Cavaliere: il 19 settembre del 2003 alle 13 e 32, per esempio, il telefono di Arcore chiama il cellulare di Perla Genovesi e la conversazione dura 8 minuti. Il giorno dopo c’è un’altra chiamata più breve sempre in partenza dalla villa e poi ancora il 3 ottobre, il 27 ottobre, il 9 novembre, il 25 dicembre, il primo marzo del 2004 e così via. Sono in tutto undici le chiamate in uscita mentre molte di più sono le volte che è Perla a chiamare il suo ignoto interlocutore di Arcore. Una volta, forse per sbaglio e per un solo secondo, Perla chiama anche alle 6 di mattina. Non è possibile sapere (a parte l’unico caso citato nell’informativa dei Carabinieri visionata dal
Fatto) chi e cosa cercasse la ragazza parmense ad Arcore. Fin quando non saranno rese pubbliche le trascrizioni delle conversazioni (e non solo i tabulati che indicano solo il chiamante e il chiamato oltre alla durata della conversazione) si possono fare solo dei ragionamenti basati sulle altre telefonate che precedono e seguono quelle di Villa San Martino.

A leggere i tabulati, probabilmente era proprio Sandro Bondi, nominato nel 2005 coordinatore del partito Forza Italia, o qualche altro personaggio dell’entourage del Cavaliere, l’interlocutore misterioso della ragazza, che ha sempre detto di non essere mai andata ad Arcore. Perla Genovesi ha riferito solo in via indiretta i racconti dei festini nella villa di Silvio Berlusconi ai quali avrebbe partecipato la sua amica Nadia Macrì ma ha sempre aggiunto di non essere mai stata coinvolta in prima persona in quelle feste e di avere partecipato ad incontri con altri politici a Roma e a Palermo.

Nei tabulati della ragazza ci sono invece tantissime telefonate che, secondo gli investigatori, sono riferibili alle utenze di Sandro Bondi. Nei tabulati risultano 37 contatti tra Bondi e Perla Genovesi tra il 19 settembre del 2003 e il 2 ottobre di quell’anno. Poi l’apparecchio telefonico di Bondi cambia sim e comincia a usarne una intestata a Forza Italia, probabilmente concessa in uso al politico di Fivizzano.
Perla Genovesi intrattiene ben 570 contatti telefonici nel periodo monitorato, dal settembre del 2003 al settembre del 2007, con questa scheda di Forza Italia probabilmente in uso a Bondi. Nello stesso periodo ci sono un centinaio di contatti con utenze riferibili all’attuale ministro del Pdl Renato Brunetta, al quale poi Perla Genovesi presenterà Nadia Macrì.







mercoledì 10 novembre 2010

Feltri e Co., giornalismo suicida. - di Giorgio Bocca





Dove portano il dileggio, il fango, la ferocia con cui si distrugge l'avversario per conto del padrone? Al massacro generale, a una società in cui c'è un unico valore: il denaro-potere che ti mette al di sopra della legge

Mai il giornalismo italiano era sceso così in basso. Un fiume di diffamazioni reciproche, di attacchi personali, di finte rivelazioni su peccati veri o presunti anche se risalenti a trenta o a cinquant'anni fa del tipo "sei stato un fascista", "hai scritto lodi di Mussolini". In questa gara al reciproco dileggio i giornalisti sembravano voler apparire più accaniti, più feroci dei loro mandanti proprietari.
Il direttore del "Giornale", per dire, sembra impegnato in una gara con il proprietario di fatto Silvio Berlusconi a chi è più accanito nella diffamazione degli avversari politici. Che si tratti di un giornalismo suicida che vuole morire in mezzo ai miasmi e ai veleni che sprigiona lo capiscono tutti, anche nella parte di uno dei protagonisti del conflitto. Nicola Porro, vicedirettore del "Giornale", ha detto in televisione: il "Giornale" parte ogni mattino con due condizionamenti pesantissimi, uno di essere il giornale del padrone, l'altro di avere un direttore che appena sveglio pensa a quali argomenti trovare per aumentare il numero dei lettori. È una descrizione perfetta di ciò che non bisogna fare nel buon giornalismo. Il padrone che usa il giornale anche per i bassi affari, per i mediocri conflitti della lotta politica, e il direttore che cerca gli argomenti scandalosi che piacciono ai lettori non possono ignorare che così si fa del giornalismo giallo, non del buon giornalismo.

Il direttore editoriale del "Giornale" Vittorio Feltri non perde occasione per ricordare che con il suo modo di fare informazione ha diminuito i debiti e aumentato la vendita, ma ha fatto un giornale dichiaratamente fazioso, dichiaratamente punitivo degli avversari politici del suo padrone, un giornale che incute paura. Neppure negli anni della guerra fredda, dello scontro frontale con il comunismo staliniano si era arrivati a una simile violenza. Di De Gasperi, il leader democristiano, si scriveva al massimo che era un austriacante, un deputato di Trento al Parlamento viennese, di Togliatti che era l'uomo di Stalin, ma si rispettava la sua vita privata, la sua separazione dalla moglie, la sua relazione con la Iotti.


Allora io facevo un giornalismo di inchiesta che suscitava scandalo presso i conservatori, ma scrivendo della famiglia del re del cemento Pesenti non andavo più in là dal rivelare che in casa chiudeva il frigorifero con un lucchetto e si faceva pagare l'usura come dagli amici cui imprestava l'automobile.
Ma si dice: Berlusconi è stato sottoposto dalla stampa di sinistra a una persecuzione inaudita, a migliaia di attacchi, a volte di calunnie. Sì, ma come risposta a una sua ostilità senza precedenti verso la democrazia italiana, verso la magistratura, ad una sovraesposizione dei suoi piaceri e dei suoi amorazzi.
Ma c'è sempre una ragione più profonda. Questa durezza polemica, questo colpire l'avversario senza esclusione di colpi derivano anche dal cambiamento della società e dal declino, se non dalla scomparsa, dei valori etici. Nel mondo industrializzato dopo la seconda guerra mondiale valori come l'onore, la fedeltà, il buon nome, la rispettabilità si sono affievoliti sino a scomparire, sostituiti da un unico dominante valore: il denaro-potere, la ricchezza che ti mette al di sopra delle leggi e dei giudizi. Chi fa bancarotta non si toglie più la vita per la vergogna, i colpevoli dei fallimenti dolosi non si nascondono ma continuano a godere dei privilegi della ricchezza. In questo deserto degli antichi valori, in questa società dell'homo homini lupus non ci sono più limiti al generale massacro.




Il furto generale. - di Giorgio Bocca




Furto generale, indifferenziato, continuo e crescente fra chi sta al potere e chi dal potere è escluso ma al potere aspira. Giustificato dai dotti e astuti al servizio del potere. Nel silenzio rassegnato delle minoranze che anche in un recente passato davano stile e dignità al Paese, i moralisti disprezzati dagli uomini del fare. La loro assenza, il loro silenzio sono da società afasica, inerte. È questo distacco totale fra le minoranze e le masse che toglie il respiro.

Le cronache della corruzione dilagante sono ripetitive e di basso livello. Si tratti dello scandalo della Protezione Civilecome delle violenze della democrazia autoritaria, l'indignazione è assente, la voce degli onesti soffocata sotto un mare di volgarità.

Se si pensa al rapporto tra minoranze e masse negli anni del fascismo, della guerra partigiana, del ritorno alla democrazia, e il presente pubblicitario e consumistico, la svolta appare grande e forse irreversibile. I maestri dell'Italia povera, progressisti o conservatori che fossero, comunisti o liberal-socialisti, pensavano la politica, il governo della città, come qualcosa d'inseparabile da un comportamento morale, persino casto. Da Norberto Bobbio il filosofo a Giancarlo Caselli il giudice, da Piero Gobetti a don Ciotti ritornava l'aspirazione a una politica pulita, casta, non da bacchettoni, ipocriti, ma nel senso della serietà, della disciplina.

Il giudice Giancarlo Caselli a chi gli domandava se era preoccupato per i rischi che correva negli anni di piombo rispondeva: "Credo che i rischi facciano parte della mia funzione di giudice". Ma oggi della castità di Gobetti e di Bobbio, del desiderio di rigenerare il mondo dei primi comunisti sembra non sia rimasta traccia.

Lo scandalo della Protezione Civile SPA, inteso come tentativo si sottrarre ai controlli la salute pubblica, l'ordine pubblico, si riduce alla curiosità da voyeur sugli amori dei politici con segretarie e massaggiatrici, e sui rapporti di do ut des di una società di libero e spesso sfrenato scambio senza capire che è proprio il nostro modo mercantile di concepire la società a incoraggiare e spesso a imporre la corruzione.


C'è in questa modernità un grande, logorante conflitto fra i due modi di concepire il modo di vivere associati. La filosofia degli uomini del fare, di cui è capintesta il presidente del consiglio, del fare tutto e subito per ottenere con il consenso dei cittadini nuovo potere e nuova ricchezza, e la filosofia della legge eguale per tutti e dei suoi continui controlli, di quanti hanno capito che l'attuale modernità è una macchina surriscaldata che corre troppo veloce, che necessita di freni ai suoi meccanismi impazziti, ai suoi desideri smodati.

Il sociologo Latouche ha detto che si sente la necessità di 'buttar sabbia' in questo processo vorticoso. Ma invece che discutere di questi problemi decisivi, invece che tradurre in politica queste scelte per la sopravvivenza, ecco che ci perdiamo negli scontri da voyeur, rumorosi e vani, sui pettegolezzi, sulle massaggiatrici cubane, sulle escort, sui gay, sui trans. Chi se ne duole passa per un moralista ipocrita, ma è solo uno che ha conservato un minimo di serietà, e se volete di decenza, se il mondo in cui viviamo è ancora un mondo pazzo e crudele in cui si continua a morire di fame o di guerre.

Non è un caso se il signore che ci governa è l'editore del più diffuso foglio della stampa rosa. E non per dabbenaggine e cattivo gusto, come si dice, ma perché da politico spregiudicato e abile ha capito che il consenso lo si ottiene anche alla maniera di Circe, trasformando gli uomini in porci.