lunedì 18 luglio 2011

Agrigento, riapre una chiesa con dedica a Cuffaro. E mezzo Pd non vota la censura. - di Antonio Condorelli


A Raffadali l'inaugurazione dell'edificio è l'occasione per celebrare l'ex senatore ed ex presidente della Sicilia, finito in carcere per favoreggiamento a Cosa Nostra. In Comune tre consiglieri del Pd su cinque si astengono sulla mozione di condanna. Associazione AdEst: "Inconcepibile, a pochi giorni dall'anniversario della morte di Borsellino".


Al cospetto di vescovi, militari e politici, l’inaugurazione della nuova Chiesa Madre di Raffadali (Agrigento) si trasforma nell’elogio di Totò Cuffaro, l’ex governatore siciliano in carcere per favoreggiamento a Cosa Nostra. Tutti ad applaudire, il caso finisce in Consiglio comunale, dove tre esponenti del Partito democratico su cinque non votano la mozione di censura.

Salvatore Cuffaro, i compaesani di Raffadali lo chiamano “Totò” da quando era piccolo. E’ una cittadina nota per il paesaggio splendido, per le centinaia di autobus turistici gestiti da “Peppuccio” Cuffaro, il fratello di Totò, e per il Comune amministrato da “Silviuccio” Cuffaro, il terzo fratello di Totò. Qui, la riapertura dopo 14 anni della Chiesa Madre si è trasformata nell’elogio del compaesano incarcerato e quando il presidente del Consiglio comunale ha pronunciato il nome “Totò”, tra le navate della cattedrale è scoppiato l’applauso. Vera testimonianza di fede e devozione.

Ad Agrigento, appena un anno fa, è stata dedicata al boss di Palma di Montechiaro la vittoria di una squadra locale nel campionato di eccellenza. “A Raffadali – spiega Gaetano Alessi, dell’associazione AdEst – hanno pensato bene di dedicare a un carcerato per fatti di mafia l’inaugurazione della Chiesa Madre al cospetto di vescovi, carabinieri e dell’intera rappresentanza politica, anche di centrosinistra”.

In provincia di Agrigento ci sono le radici del potere di Totò, che è stato assessore regionale all’Agricoltura del governo guidato per due anni (1998-2000) da Angelo Capodicasa, uno dei fondatori del Partito democratico, aderente alla mozione di Piero Fassino. Nessuno così si è meravigliato quando, due giorni fa, la questione dell’elogio a Cuffaro è finita in Consiglio comunale e i tre consiglieri del Pd non hanno votato la censura, lasciando quasi solo il capogruppo del partito Aldo Virone (è stato lui a presentare la mozione di censura), che sulla dedica dell’inaugurazione a Cuffaro ha commentato: “Siamo in una terra difficile, dove chi rappresenta le Istituzioni deve fare una scelta chiara e non ingenerare dubbi o equivoche interpretazioni con le proprie parole: o sta con chi la mafia la combatte ogni giorno o sta con quel sistema di potere che ha fiancheggiato la criminalità organizzata fino ad esserne condannato”. E ancora: “Capisco che l’ex presidente della Regione è il padrino politico di molti dei presenti in Consiglio comunale, ma l’affetto non può far dimenticare i doveri connessi alla rappresentanza istituzionale, né tanto meno l’insegnamento di Cuffaro che ha accettato la condanna in silenzio e con rispetto delle istituzioni”.

Durante la discussione in municipio, il consigliere Claudio Di Stefano, coordinatore dell’Udc, ha verbalizzato una dichiarazione di voto che sposava l’elogio a Cuffaro sottolineando il ringraziamento e la vicinanza dell’intera cittadinanza e di tutti i consiglieri di maggioranza.

Lo scontro dal municipio si è trasferito sulla Rete e su Facebook. “A due giorni dal ricordo dell’uccisione di Paolo Borsellino – spiega Gaetano Alessi – quello che è accaduto è inconcepibile. Di Stefano farebbe bene a tacere e non confondere i raffadalesi con la stretta cerchia dei cuffariani che ha devastato il nostro paese negli ultimi 10 anni. La stessa cerchia che non si sta facendo scrupolo di passare di partito in partito per avere sempre un posto al sole. Il voto in Consiglio comunale conferma ancora una volta che a Raffadali c’è chi sta dalla parte delle vittime di mafia e chi invece ‘onora’ i condannati”.

L’amministrazione che elogia Cuffaro è la stessa che sino ad oggi si è rifiutata di dedicare una via a una delle vittime più illustri di Cosa Nostra: Peppino Impastato. “In questo contesto – conclude Alessi – vorremmo sapere con chi sta il Pd: con il suo capogruppo che ricorda a tutti che i valori sono fondamentali per la crescita culturale o con gli esponenti dell’Udc e del cosiddetto Terzo polo che difendono i condannati per fatti di mafia?”.



Cesenatico: Crozza racconta Italialand, dal fisco al Trota e Minetti. - di Enrico Bandin


"La Rai si tiene Paragone e manda via Santoro? Come se i Beatles avessero sostituito John Lennon con Pupo". "Alfano vuole un partito di onesti. Ci piacciono le cose impossibili". "Giovanardi? Mandiamolo a Mykonos".


È un one man show quello di Crozza, protagonista assoluto della notte di Cesenatico. La manifestazione Ribalta marea, alla sua ventesima edizione, ospita un artista la cui graffiante ironia non risparmia nessuno. Questa volta in compagnia di Crozza sul palco ci sono gli italiani, un popolo di“Fenomeni”, così si chiama il suo nuovo spettacolo. Altro che Disneyland! La prima parte dello show si apre sulla Tav e poi Crozza passa in rassegna come un attento fenomenologo tutte le storture diItalialand, un Paese che assicura divertimenti ben maggiori del celebre parco giochi americano. Nel suo fitto monologo ce n’è per tutti: leghisti mangiaorsi che si esprimono a suoni gutturali, un governo che è ormai da tempo oltre la caricatura di se stesso e un’opposizione che sa esserlo solo a parole. Su tutto la sopportazione rassegnata del popolo italiano che dal ’94 si ritrova “una simpatica canaglia” in sella a un Paese che corre verso la recessione a briglia sciolta. Nella carrellata di personaggi interpretati sfilano i classici del repertorio di Crozza: ci sono Bersani, Napolitano, Marchionne, Ratzinger, Zichichi e Giacobbo, un miracolato di viale Mazzini che conduce “Kazzenger” e indaga sulla sua misteriosa nomina a vicedirettore di Rai2. Prende le canzoni Crozza, le più celebri e le rifà a modo suo. La vecchia hit di Johnny Dorelli diventa: “Aggiungi un posto alla Tav che c’è una cricca in più, se allunghi la tempistica guadagnerai di più, gli amici a questo servono: a fare la ferrovia, sorridi al nuovo appalto e non farlo andare via, se scavi nell’amianto poi raddoppia l’allegria”. Un affare per i tanti faccendieri nostrani quello della Tav: “22 miliardi di euro in un cantiere che durerà 15 anni: i calcoli sono giusti perché li ha fatti la mafia e mi fido, ma poi si sa come andrà a finire, ci costerà 80 miliardi di euro e durerà 40 anni. Per che cosa? Per un tunnel di 70 km. Ma da un tunnel così non ci esci più, neanche se vai da Muccioli”.

Insomma a noi italiani ci piacciono le imprese impossibili. “Ricordate cosa ha detto Alfano nel discorso di investitura a segretario del Pdl: “Voglio un partito di onesti”. “Ci piacciono le cose impossibili, è evidente!”. Di meraviglie ne accadono tante a Italialand e la sua televisione di Stato ne regala in continuazione: “Come fai a disfarti di Santoro e tenere Paragone? È come se i Beatles avessero detto “John Lennon vaffanculo, Pupo vieni qui! E cosa avrebbero scritto? Hey Jude al cioccolato, dolce un po’ salato”.

E continua Crozza, martellando sulle metastasi di un Paese che non sa reagire a malcostumi endemici: In Italia “l’evasione fiscale supera il 38 per cento, un italiano su tre non paga le tasse. Da noi –continua- c’è così tanto sommerso che siamo diventati l’Atlantide del fisco, il sud ha un’evasione del 66 per cento. In questo Paese nessuno si riconosce nello Stato”.

È il turno del Carroccio. “I leghisti devono farsi notare, hanno bisogno di delimitare il territorio come i gatti: loro pisciano in giro, i leghisti fanno cagate in giro. Si vedono tutti nel grande prato di Pontida. Ci sono due tipi di cose che vengono organizzate sui prati: i rave party e il raduno di Pontida, in uno c’è della gente ubriaca vestita in modo strano che canta stravaccata bevendo sostanze assurde, nell’altro ascoltano musica techno”.

Il ricordo va alla scuola di Adro, tappezzata coi simboli padani: “Ma che bisogno c’era di mettere quei simboli? –si chiede Crozza. Una scuola leghista ha 3 caratteristiche: le cartine dell’Italia tagliate a metà, la lingua straniera è l’italiano e nell’ufficio del preside c’è una foto con scritto “studia o diventi così” (campeggia sullo schermo il faccione del Trota).

Come spiegare le bizzarrie di Italialand? “E se tutti noi fossimo vittime di un esperimento scientifico? Stanno testando il nostro livello di sopportazione. È tutto così assurdo che potrebbe essere possibile: hanno preso un eccentrico pianista e lo hanno messo al governo: barzellette con bestemmia, bunga bunga, processo per corruzione, escort, concussione, minorenni, cucù alla Merkell. E noi sopportiamo! Siamo come Tromb Raider. È lui la più grande attrazione d’Italia, dice sempre le stesse cose: toghe rosse, comunisti (e mima l’accento lümbard). È un premier d’autogrill: parla come gli alberelli di Natale che compri sull’autostrada. Ha un bottone dietro la schiena, spegnetelo! Occhio però a non spingere quello davanti”. “Un anno e mezzo fa ha detto –prosegue Crozza su Berlusconi: “Abbiamo introdotto un nuovo elemento nella politica italiana: la moralità”. Si fosse almeno fermato a “abbiamo introdotto”, allora l’avremmo creduto. Lo capite che se le va a cercare, che è strano, perché di solito gliele portano”. La Minetti ha detto che il premier ha il culo flaccido e Fede in risposta: “Io non mi sono accorto mai di nulla”.

Si fa un attimo serio Crozza: “Io vorrei recuperare un senso di appartenenza che non abbiamo più”. “Ci vorrebbe un tema che creasse un dialogo fra destra e sinistra. Ecco l’ho trovato: quando vanno in pensione i lavoratori italiani? Boh, mettiamo a 65 anni. I parlamentari basta che durino per una legislatura di 5 anni e possono prendere un vitalizio, da subito, di più di 3000 euro”. “Un parlamentare dell’Idv ha proposto di abolirlo. Su 520 votanti 22 si sono espressi a favore, 498 contrari”: ecco quello che accomuna destra e sinistra. Abbiamo il doppio dei parlamentari degli Usa, mandiamone almeno la metà a casa. Ci si è messa anche la Lega a dirlo, perché non lo fa? È come se un muratore minacciasse i mattoni”.

C’è spazio anche per il mito: appare sullo sfondo “l’Ignaziotauro, una figura mitologica, metà uomo, metà citofono”. “Adesso che siamo in guerra con la Libia gli appare Badoglio in sogno ogni notte. Il ministro della Difesa non sapeva neanche chi fosse Aleksandr Lukašenko: a Ballarò mi è scappato di dirgli che non sa quasi un cazzo, poi il giorno dopo l’ho chiamato per chiedergli scusa e lui mi ha risposto: “No, ma io mi diverto, mi dica quello che vuole”. Dopo La Russa tocca a “Crudelia de MonSantanchè”. Crozza non ha dubbi: “È una straordinaria statista: dito medio agli studenti, Boccassini-metastasi e Maometto pedofilo”.

Si poteva dimenticare Giovanardi? “È ossessionato dall’omosessualità. Ha detto che lo spot dell’Ikea, con due ragazzi che si tengono per mano, contrasta a gamba tesa la Costituzione, che De Magistris è per i femminielli e poi ha detto che non vuole i gay nell’esercito. Carlo devi dirci qualcosa? Uno così non lo mandiamo a casa? No, meglio mandarlo a Mykonos”.

È la volta di un flash su Scajola. “In conferenza stampa ha detto: “Se becco chi mi ha pagato la casa a mia insaputa gliela faccio pagare!” “Ma di nuovo?!”

Crozza per tirare le orecchie al Pd va a un’immagine dell’infanzia: “Da piccolo mettevo il cartone nei raggi della bici per farle fare casino. Faceva tanto rumore ma non serviva a niente: ecco mi ricorda il Pd!”. “L’Idv ha presentato in Parlamento una legge costituzionale per abolire le province. Il Pd si è astenuto e la proposta di legge non è passata. Potevano far cadere il governo Berlusconi ma si sono astenuti, perché è scritto proprio nel loro statuto che possono far cadere solo il loro governo”.

Dulcis in fundo Bersani. “Io ho cominciato a prenderlo in giro per le metafore, non pensavo che le avrei trovate sul Corriere della Sera come il pensiero di Bersani: ‘Siamo mica qui a smacchiare i giaguari’ è mia! Se le mie battute fossero diventate dibattito politico non avrei passato mesi a sparare cazzate, avrei imitato Berlusconi e avrei detto: “Mi costituisco”.

Il video è di Giulia Zaccariello



domenica 17 luglio 2011

Fuga dall'università: iscritti a picco nel 2011. - di Mariagrazia Gerina


universitari inchiesta logo box

«Figlio di un operaio o figlio di un petroliere fa lo stesso», scrive Roger Abravanel, già consulente della McKinsey & Company e ora consigliere del ministro Mariastella Gelmini: quello che conta è il merito.

Vallo a raccontare a Girolamo, figlio di un camionista e di una casalinga, nato e cresciuto a Palmi, Calabria. Girolamo ha vent'anni, è perito informatico e vorrebbe laurearsi. Lo scorso settembre, appena diplomato, si è messo a inseguire la chimera di una borsa di studio e di un alloggio alla Casa dello studente di Cosenza.

Alla fine, anche se aveva superato il test a numero chiuso, si è scoraggiato. E non si è più iscritto. Quest'anno ci riproverà, in proprio: «Facendo un po' il cameriere, un po' il meccanico ho messo da parte 700 euro». Per mantenersi all'università da fuori sede, in un anno ce ne vogliono 7mila. Storie di ordinaria esclusione dall'università italiana.

Sempre più ragazzi rinunciano in partenza. Se nel 2002, il 74,5% degli Under 20, presa la maturità, correva a iscriversi all’università, sperando in un futuro e un lavoro migliore, nel 2009 (ultimo dato disponibile) quella percentuale è scesa al 65,7%, facendo passare da 330mila a 293mila le matricole under 20. Nove punti percentuali persi in 8 anni: 38mila ragazzi che, usciti dalla scuola superiore, non ci hanno neppure provato. E la parabola discendente precipita letteralmente in certe province del Sud. A Catania, per esempio, dove appena il 46,4% dei maturi si iscrive all’università. Oppure a Cagliari, dove la percentuale è del 56,8%. Ma anche il Nord ha i suoi abissi. A Sondrio, il rapporto tra diplomati e matricole è del 46,7%; a Bolzano, non va oltre il 37,3%. E chi si iscrive spesso resta indietro fin dal primo metro. In più, una buona fetta delle matricole - circa il 13,3% -, al termine del primo anno non ha superato neppure un credito e da matricola finisce direttamente nel limbo degli «inattivi». Mentre ancora di più, il 16,7%, sono quelli che gettano la spugna dopo il primo anno. Cronaca di un’emorragia che dovrebbe essere in cima alle preoccupazioni di chi governa il paese. Chi sono questi ragazzi che rinunciano all’università? Perché invece di proseguire gli studi decidono di fermarsi? L'ultimo rapporto Almalaurea lo dice esplicitamente. Tra le cause del calo di immatricolazioni, c'è «la crescente difficoltà di tante famiglie a sopportare i costi diretti e indiretti dell'istruzione universitaria» unita a «una politica del diritto allo studio ancora carente». Una sorta di tenaglia che si stringe attorno ai ragazzi. Da una parte, la crisi rende più severo il bilancio delle famiglie che non ce la fanno più a sostenere le spese universitarie. Dall'altra, il bilancio dello Stato, invece di potenziare le scarse risorse destinate alle borse per gli studenti, taglia i fondi per il diritto allo studio.

Mentre in Germania o in Francia uno studente su quattro riceve una borsa di studio, in Italia nemmeno 1 su 10 riesce ad ottenerla. Su una popolazione di 1,8 milioni di iscritti, appena 150mila nel 2010 ne hanno beneficiato. E peggio ancora va per gli alloggi universitari che sono appena 41mila in tutta la penisola. Gli sbarramenti di reddito sono molto bassi, escludono non solo il ceto medio, e variano da regione a regione: sotto gli 11mila euro in Abruzzo, meno di 14mila in Molise, fino a 19mila in Piemonte. E anche tra gli idonei, 1 ogni 6 resta fuori. Gli esclusi nel 2010 erano 29mila su 179mila aventi diritto (il 16,3%). Un’ingiustizia anche qui diversamente distribuita. Più di 2mila esclusi in Abruzzo, dove solo il 55% degli idonei ottiene la borsa; 7mila in Campania, dove la percentuale è del 56%; 4400 in Calabria, dove è beneficiato della borsa solo il 59%, etc. La domanda dovrebbe essere: come includere almeno loro? E invece il governo ha stanziato appena 26milioni per il prossimo anno, reintegrate a 97 milioni, dopo le proteste, per l'anno in corso. Comunque meno della metà dei 246milioni di euro stanziati nel 2009 e 50 milioni in meno della media degli anni precedenti. In compenso 10 milioni li ha destinati alla "Fondazione per il merito", istituita sulla scia dell'Abravanel-pensiero. Ma chi se la merita un’università così. se non chi può permettersi di sostenerne i costi anche senza borsa? A questo proposito sono illuminanti i dati Eurostudent. I laureati tra i 45 e i 64 anni sono appena l'11% della popolazione generale (il 10% tra le donne) ma se guardiamo alla popolazione universitaria il 20% degli studenti universitari ha un padre laureato (il 17% una madre). Mentre appena il 35-6% degli studenti hanno un padre o una madre con un titolo di studio medio-basso, percentuale che sale al 62% nella popolazione generale. E solo il 28% ha un padre operaio (44% della popolazione tra i 45 e i 64 anni).

D'altra parte la laurea ha perso attrattiva anche, anzi, forse soprattutto per le classi più svantaggiate. La disoccupazione, per chi ha la laurea triennale, è passata dall'11,3% del 2007 al 16,2% del 2009. E chi trova lavoro in un caso su due è precario. Mentre gli stipendi passano dai 1210 euro del 2007 a 1149 euro del 2009. Il deterioramento della condizione occupazionale dei laureati, insomma, è l'altro grande fattore che rema contro quello che è stato fin qui uno dei principali obiettivi di crescita del paese: estendere la formazione universitaria anche alle fasce di popolazione che ne erano tradizionalmente escluse. Trent'anni fa i figli della «classe operaia» (così nella classificazione di Almalaurea) tra i laureati erano l'1,5%, nel 2004 erano il 22,4%, nel 2010 sono il 25,8%. Una tendenza che, a leggere i dati delle immatricolazioni, sembra destinata a invertirsi di nuovo. E mentre in Europa i figli di genitori con un titolo di studio basso che si laureano sono il 17%, in Italia la percentuale è ancora all'8%. Che vadano a scaricare la frutta ai mercati generali, ha suggerito Brunetta, a quanti tra i giovani sono esclusi dal mercato del lavoro. La riforma Gelmini, rispetto agli esclusi dall'università, non fa di meglio: non ha neppure provato ad analizzare il problema.



“Altro che megafono di Silvio, sono un eroe” Il “rapace” Minzolini si difende sul Giornale.

Il direttore del Tg1, sotto inchiesta per le spese fuori controllo a carico della Rai, spiega che alla Stampa lasciava conti ben più salati. Ma ormai pare averlo mollato anche il direttore Masi. E passata la par condicio, il premier ricomincia a dilagare.


“Altro che megafono, io sono un eroe”. Augusto Minzolini non delude mai. Quando non si dedica ai suoi ormai celebri editoriali dalla finestra del Tg1,rilascia interviste a Il Giornale in cui dà il meglio di sé. Il “rapace del Transatlantico”, come lo chiama l’intervistatrice, non ci sta a passare per “fazioso” e all’accusa di essere, come dice di Pietro, “l’Emilio Fede della Rai” rilancia: “Ah, giusto. Perché per loro pluralismo dell’informazione significa che c’è una scaletta di notizie che dai grandi quotidiani arriva ai telegiornali. Non vogliono giornalisti, ma megafoni».

La giornalista prova a metterlo in difficoltà, ma il Minzo ha una risposta per tutto, anche per quei “68mila eurini del nostro canone spesi in 15 mesi”. Innanzitutto, spiega, “le cose stanno così. Arrivo al Tg1, solo dopo l’accordo mi dicono che non posso più scrivere per Panorama“. La carta di credito aziendale diventa un “benefit per compensare” la mancata retribuzione da parte del settimanale di proprietà di Silvio Berlusconi. “Poi ci ripensano, dicono che non era un benefit ma una facility e mi chiedono i soldi indietro. Gli ho già restituito tutto, 65mila euro”.

Tra l’altro, nota scocciato il direttore, “alla Stampa avevo la stessa carta di credito e spendevo più che in Rai. Non da direttore, ma da inviato”. La differenza tra il servizio pubblico, pagato dai contribuenti, e un quotidiano di proprietà di un privato e quindi libero di spendere le risorse a piacimento, non lo sfiora neppure. E infatti, dopo la circolare emanata a novembre 2010 dall’ex dg Mauro Masi per tagliare le spese del 30 per cento in risposta allo scandalo delle spese pazze del direttorissimo, Minzolini ricomincia a collaborare con Panorama in barba al più elementare conflitto d’interessi. E sulle spese pazze sposa la tesi del complotto: “Guarda caso hanno tirato fuori questa storia a poche settimane dal famoso 14 dicembre in cui secondo qualcuno sarebbe dovuto cadere il governo».

In realtà, la notizia viene data la prima volta da Il Fatto Quotidiano il 12 novembre 2010. Un consigliere di minoranza aveva chiesto un consuntivo a Mauro Masi che si era visto costretto a snocciolare le cifre nel Cda di viale Mazzini facendo emergere che Minzolini da solo, per rappresentare l’azienda, aveva speso più del doppio della cifra consentita (35mila euro). La Corte dei Conti apre un’indagine per danno erariale, mentre la procura di Roma indaga per peculato. Minzolini si difende restituendo i soldi, ma Masi lo scarica. E due giorni fa, dalle carte dell’inchiesta trapela che il direttore generale della Rai ha messo nero su bianco, in un verbale del 16 giugno, di non avere mai autorizzato quelle spese.

“Altro che megafono”, s’indigna Minzolini sul Giornale, ma i freddi numeri lo contraddicono platealmente: a maggio e giugno il suo Tg1 ha dedicato al governo il 41,3 per cento del tempo di parola, quasi il doppio rispetto al 22,7 per cento del periodo elettorale, in cui era in vigore la par condicio. Lo rivelano gli ultimi dati dell’Osservatorio di Pavia, pubblicati oggi da Il Sole-24 Ore. Mettendo insieme l’esecutivo e il Pdl, il direttorissimo ha dedicata all’area di stretta osservanza berlusconiana quasi il 60 per cento dello spazio dedicato al dibattito politico. Al Pd, il maggiore partito d’opposizione, è rimasto il 12 per cento.

La concomitanza tra l’intervista di Minzolini e la pubblicazione dei dati dell’Osservatorio, commentaCarlo Rognoni, presidente del Forum del Pd per la riforma televisiva, “sembra uno scherzo”.


La casta scoppia di salute (e privilegi). - di Lidia Ravera


Lidia Ravera

Lo sapevate che i nostri 630 deputati con i loro 1109 familiari, pur percependo uno stipendio mensile di 25.000 euro, non pagano il dentista, né il fisioterapista né lo psicoterapeuta? Lo sapevate che dalle carie del nipotino alla protesi mobile dell’onorevole nonno abbiamo finanziato denti per 3 milioni e 92 mila euro? Lo sapevate che esiste un “fondo di solidarietà sanitaria” che prevede, sempre gratuitamente, per questi poveri lavoratori del dito (la maggior parte si guadagna lo stipendio cliccando su un pulsante, e neanche tutti i giorni) perfino la “balneoterapia” (leggi: vacanze al mare) e la elettroscultura (leggi: ginnastica passiva)? Io non lo sapevo. Non sapevo che questo ulteriore sconto per ricchi ci è costato, nel 2010, 10 milioni e 117 mila euro. Avrei voluto continuare a non saperlo.

Come preferirei non sapere che è pratica comune, quando si fa parte della crema della classe dirigente di questo Paese, abitare in lussuosi appartamenti senza pagare l’affitto. Penso che a Roma un posto letto in periferia uno studente fuori sede lo paga anche 800 euro al mese… penso che se hai un problema ai denti e non hai soldi sorridi con la mano davanti alla bocca e ti vergogni. Penso che se hai un problema psichico e non hai soldi te lo tieni e muori un po’ tutti i giorni, mentre in Germania, hai un tot di sedute gratuite e, se il terapeuta dimostra il tuo effettivo bisogno di cure, lo Stato paga per te. Per te cittadino, che non puoi permetterti la spesa, non per te deputato, che potresti benissimo provvedere di persona. Penso che quello è un Paese civile e il nostro meno. Penso che, se fossi una onorevole rappresentante di qualsiasi partito, lo rifiuterei, questo privilegio per privilegiati, non potendolo estendere a tutti i cittadini.



Viaggi gratis, portaborse e barbiere Ecco i 'privilegi' dei deputati.


ROMA
- Li abbiamo appena eletti e già ci sentiamo in diritto di frugargli nelle tasche, alla ricerca dei 'benefit' dei nostri rappresentanti alla Camera. Che godano di privilegi, non c'è dubbio: dai viaggi gratuiti in treno e in aereo, all'assistenza sanitaria fino ai corsi di lingua e informatica. Ecco il lungo elenco di agevolazioni per deputato (e relativa famiglia).

Banca. I servizi bancari sono offerti dal Sanpaolo Banco di Napoli. Ci sono quattro uffici, di cui uno riservato esclusivamente ai deputati, i quali godono di condizioni di favore sia per i conti correnti sia per i mutui.

Portaborse. E' il collaboratore più fidato del rappresentante del popolo, la sua ombra. Ciascun deputato ha diritto ad accreditarne due, naturalmente stipendiati con fondi della Camera. Gli uffici sono ben attrezzati - postazioni informatiche connesse a internet, telefoni e tv per seguire le sedute dell'Aula; hanno sede a Palazzo Marini e sono assegnati dal presidente del gruppo di appartenenza.

Trasporti. Alla Camera ci sono tre agenzie di viaggi, gestite dalla Carlson Wagon lits. A ciascun deputato vengono rilasciate speciali tessere per usufruire gratuitamente del trasporto aereo e ferroviario. Per chi preferisce spostarsi in auto, il pedaggio autostradale è gratuito. Agevolazioni anche per il parcheggio: posti riservati, anche se in numero limitato, in Piazza del Parlamento. A tutti spetta inoltre il permesso per l'accesso alla zona a traffico limitato di Roma.

Sanità e fisco.
I deputati e i loro familiari possono iscriversi a un fondo per l'assistenza sanitaria integrativa. Non solo: a Montecitorio c'è un ambulatorio della Asl RMA e un'ambulanza è sempre pronta per le emergenze. I nostri rappresentanti non vengono lasciati soli neanche al momento della dichiarazione dei redditi: un apposito ufficio li assiste nella compliazione dei modelli di denuncia fiscale.

Comunicazioni. Per quanto riguarda la posta, a ciascun deputato spetta un plafond per le spese; può servirsi di due uffici senza spostarsi troppo: uno all'interno di Montecitorio, l'altro nel palazzo dei gruppi in via Uffici del Vicario. Quanto all'uso del telefono, da tutti gli apparecchi nelle sedi della Camera si possono chiamare i numeri della zona di Roma: ciascuno dispone di un certo numero di scatti telefonici.

Informazione. Le agenzie di stampa italiane e le principali agenzie straniere sono tutte consultabili dai computer interni al palazzo e anche dall'esterno, tramite intranet. Nella sala di lettura attigua al Transatlantico sono disponibili i maggiori quotidiani e periodici italiani, i cui arretrati sono consultabili su richiesta. Ogni giorno viene predisposta una rassegna stampa via internet. I deputati possono usufruire di una sala stampa per incontrare, se richiesto, i giornalisti.

Beauty e relax
. La barberia di Montecitorio è riservata ai deputati, ma quando non c'è seduta possono usufruirne anche i giornalisti parlamentari. Per le deputate, la Camera mette a disposizione buoni da utilizzare nei saloni convenzionati. Nei sotterranei della Camera, inoltre, c'è una sauna riservata ai parlamentari.

Cultura.
I deputati amanti della lettura possono accedere a un patrimonio bibliografico di oltre un milione di volumi e 5mila periodici raccolti nella biblioteca di San Macuto. Hanno inoltre diritto a corsi gratuiti e personalizzati di informatica e di lingue straniere. Disponibile anche un servizio di interpreti.

Pausa pranzo.
A Montecitorio c'è un intero ristorante a loro riservato. Per il caffè e uno spuntino veloce si può optare invece per la buvette in Transatlantico. In alternativa, sono in funzione anche i self service di Montecitorio, di Palazzo Marini e di palazzo San Macuto.

Archivio. Distribuisce tutti gli atti e le pubblicazioni di Camera e Senato che su richiesta vengono spediti al domicilio del deputato.

(26 aprile 2006)



Pericle - Discorso agli Ateniesi, 461 a.C.


Qui ad Atene noi facciamo così.

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.

Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.

Qui ad Atene noi facciamo così.

La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.

Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.

Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.

E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.

Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.

Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.

Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.

Qui ad Atene noi facciamo così.

Pericle - Discorso agli Ateniesi, 461 a.C.


http://www.avvocatoandreani.it/documenti/varie/Pericle-discorso-agli-ateniesi-461-AC.htm