lunedì 18 luglio 2011

Dal bollo al forfettone del 5% Chi vince e chi perde con il Fisco. - di Enrico Marro

Il prelievo sul conto titoli fino a 680 euro, l'Irap al 4,2%, la tassa sulle stock option: che cosa cambia.

ROMA - Più tasse per le società concessionarie, per le banche e per le assicurazioni. Più tasse per i risparmiatori, ma anche per i manager sui bonus e sulle stock option e per le auto di lusso. Vantaggi fiscali, invece, per l'imprenditoria giovanile e per il finanziamento delle nuove aziende. Infine, procedure semplificate per chiudere rapidamente e a condizioni vantaggiose il contenzioso col Fisco e una sanatoria sulle partite Iva non attive. La parte strettamente fiscale della manovra è corposa e concorre in maniera decisiva alla correzione dei conti pubblici. Basti dire che, nel 2014, ben 29 dei 48 miliardi di euro necessari per azzerare il deficit di bilancio verranno da maggiori entrate e solo 19 da tagli di spesa. Ma vediamo più da vicino le norme approvate.

Aumenta l'Irap
Salirà dal 3,9% al 4,2% l'aliquota Irap per le società concessionarie ad esclusione di quelle autostradali, già dall'anno di imposta 2011. Viene, inoltre, incrementata di 0,75 l'aliquota Irap applicata alle banche e alle società finanziarie, che sale così al 4,65%, e di due punti quella sulle assicurazioni, che diventa quindi del 5,9%. Anche qui a decorrere dal periodo d'imposta 2011. L'operazione frutterà allo Stato 889 milioni nel 2012 e 480 sia nel 2013 sia nel 2014. Viene infine consentito alle Regioni di variare le aliquote addizionali fino a un punto percentuale.

Più caro il deposito titoli
La manovra inasprisce l'imposta di bollo sul deposito titoli, sia pure in maniera più lieve di quanto inizialmente previsto. In particolare gli importi vengono modulati per fasce di valore complessivo dei titoli depositati presso l'intermediario finanziario. Il bollo è pari a 34,2 euro per un valore di titoli non superiore a 50 mila euro. Sale a 70 euro per depositi tra 50 mila e 150 mila euro, a 240 euro per quelli tra 150 mila e 500 mila euro e a 680 per i volumi superiori a 500 mila euro.

Fisco per i manager
L'articolo 23 del decreto legge modifica le norme del 2010 per il trattamento degli emolumenti variabili percepiti da dirigenti e collaboratori di imprese del settore finanziario. Quelle norme fissavano un'aliquota addizionale del 10% sui bonus e le stock option per la quota degli stessi superiore al triplo della parte fissa della retribuzione. Per effetto della manovra, sui compensi erogati a decorrere da oggi, l'addizionale del 10% si applica alla quota di bonus e stock option che eccede l'importo della retribuzione fissa. Saranno quindi molti di più i manager colpiti. Il maggior gettito previsto ammonta a 5,4 milioni nel 2011 e a 21,6 milioni nel 2012 e per gli anni successivi.

Salgono le accise
Diventa permanente l'aumento delle accise di 4 centesimi stabilito il 28 giugno per benzina e gasolio da autotrazione. Dalla norma deriveranno consistenti entrate, quantificate dalla relazione tecnica in circa 1,7 miliardi di euro.

Superbollo auto
Per i veicoli di potenza superiore a 225 chilowatt scatta un bollo aggiuntivo di 10 euro per ogni chilowatt oltre 225. Sono 418 le supercar colpite. In qualche caso per importi notevoli. Per esempio per le Ferrari 599 GTB e per le nuove FF si pagheranno rispettivamente altri 2.310 e 2.600 euro.

Agevolazioni per i giovani
Il nuovo regime prevede l'applicazione di un'imposta sostitutiva del 5%. Nel testo finale l'agevolazione è stata estesa oltre il quarto periodo di imposta successivo a quello di inizio dell'attività, ma non oltre il compimento del trentacinquesimo anno di età. Sono così incentivati ad aprire una azienda anche i giovani sotto i 30 anni. Ma la concessione del beneficio è condizionata al fatto che l'attività sia effettivamente nuova e non una prosecuzione di precedenti imprese.

Finanziamenti alle imprese
Per favorire l'accesso al capitale di rischio e la crescita di nuove imprese è prevista l'esenzione dai proventi derivanti dalla partecipazione ai fondi di venture capital per le società che abbiano determinati requisiti: 1) Investano almeno il 75% dei capitali raccolti in società non quotate nella fase di sperimentazione, di costituzione, di avvio dell'attività o di sviluppo del prodotto; 2) Non siano quotate; 3) Svolgano attività di impresa da non più di tre anni; 4) Abbiano un fatturato precedente all'investimento nel fondo di venture capital non superiore a 50 milioni di euro.

Proroga del bonus sul salario di produttività
Il governo, sentite le parti sociali, provvederà entro il 31 dicembre 2011 alla determinazione del sostegno fiscale e contributivo alle quote di salario legate alla produttività. Nel 2011 la detassazione al 10% è stata concessa per i redditi fino a 40 mila euro.

Mediazione fiscale
La manovra prevede anche una sanatoria sulle liti fiscali pendenti al primo maggio 2011 di valore non superiore a 20 mila euro, al netto di sanzioni e interessi, che costituiscono oltre la metà di quelle instaurate presso le commissioni tributarie. Il contribuente potrà presentare un reclamo per l'annullamento totale o parziale della lite (tranne che riguardi il recupero di aiuti di Stato). Se l'ufficio non ritiene di accogliere il reclamo, scatta la mediazione sulla base della proposta avanzata dallo stesso contribuente al quale l'Agenzia delle entrate può opporre una controproposta.
Se il valore della lite è di importo fino a 2.000 euro il contribuente potrà chiudere la vertenza pagando 150 euro. In caso di valore superiore a 2.000 euro, si aprono tre possibilità. Il contribuente dovrà pagare il 10% del valore della lite qualora a soccombere nell'ultima pronuncia sia stata l'amministrazione fiscale, il 50% qualora a perdere sia stato il contribuente, il 30% qualora la lite penda ancora nel primo grado di giudizio. Infine, la manovra estingue di diritto i processi in materia previdenziale che vedono coinvolto l'Inps, se sono pendenti nel primo grado di giudizio alla data del 31 dicembre 2010 e il cui valore non superi complessivamente i 500 euro. L'estinzione assicura la vittoria al ricorrente.



Bossi show a Piacenza: “Secessione” “Bombe sulla Libia? Colpa di Napolitano”. - di Massimo Paradiso


Il senatur su Papa: "Niente manette in Parlamento, ma voteremo l'arresto". "Alemanno? Farà la fine della Moratti". "Guerra in Libia? Berlusconi non c'entra, colpa del capo dello Stato". "Stipendi ai parlamentari? I miei voterebbero per ridurli, gli altri no". In realtà il Carroccio ha sempre votato contro...

“Questa è stata una settimana difficile, faceva caldo in strada e c’erano 40 gradi dentro la politica. Sono queste le premesse del leader della Lega, Umberto Bossi, che in serata ha arringato la folla di piacentini alla ventesima festa del Carroccio diPodenzano, località alle porte di Piacenza.

Il Senatur non nasconde, infatti, il difficile clima che si è respirato in maggioranza in quest’utlima settimana di passione per il governo Berlusconi, alle prese da una parte con la difficile manovra economica da approvare in tempi record e la decisione di procedere con l’arresto del deputato Pdl, Alfonso Papa. Sul quale torna a essere per l’arresto, con una posizione piuttosto confusa. Ma quando sente che il suo popolo vuole tornare alle origini ecco Bossi che torna Senatur e abbandona il federalismo: “Si, meglio fare la secessione, è la miglior medicina contro la crisi”.

STIPENDI AI PARLAMENTARI, “QUESTI NON VOTANO CONTRO I PROPRI INTERESSI”. Da sotto il palco del giardino Hawaii, i militanti della Lega hanno chiesto al Capo a più riprese rassicurazioni sulla propria pensione, comparandola a quella “d’oro” dei parlamentari. “Gli stipendi dei parlamentari sono stati ridotti di molto – risponde Bossi alla base – e ora sono stati portati nella media europea. E’ dura però convincere questi a votare contro i propri interessi, ma so già che se dico ai miei di tagliarsi gli stipendi – mette la mano sul fuoco il Senatur – i miei dicono che va bene mentre gli altri oggi ci sono e domani non vengono più”. Un particolare Bossi lo dimentica: nelle proposte di legge per la riduzione degli stipendi dei parlamentari presentate negli ultimi anni, la Lega ha sempre votato contro.

Bossi ha quindi parlato a lungo di economia, puntando l’indice contro “l’euro troppo forte che va bene per comprare il petrolio, ma ci danneggia e danneggia i nostri imprenditori”, ma sul possibile default dell’Italia, incrocia le dita: “Spero di no, anche perché Tremonti ha il braccino molto corto“.

Ma, stando a Bossi, Pontida ha influito molto sulla manovra approvata dal parlamento questa settimana, “li ha spaventati” dice a fianco a Rosy Mauro “e questa volta Tremonti ha tagliato sul serio”. Ma i tagli dovevano andare anche nella direzione delle “missioni di pace”, cosa non avvenuta.

MISSIONI DI PACE: “NAPOLITANO HA IMPOSTO A B. IL BOMBARDAMENTO DELLA LIBIA”.Appena si nominano le guerre in cui è impegnata l’Italia all’estero, i primi militanti cominciano a fischiare, ma il leader frena: “Quando è venuta la Clinton, Berlusconi ha detto che voleva far tornare gli uomini a casa perché non ci sono soldi, e l’ha detto Berlusconi - scherza il Senatur- che quando si tratta dell’America…” e fa il verso di inginocchiarsi. “Ma su questa cosa qui – continua- è il presidente della Repubblica che ha imposto a Berlusconi di bombardare“. Un concetto, che è stato ripreso almeno due volte durante la serata: “Sulla guerra Berlusconi non ha colpa – rimarca il leader della Lega – il presidente della Repubblica lo ha imposto, per non fare nomi, e Berlusconi ha dovuto dire di sì”.

PAPA? “NON VOGLIO LE MANETTE IN PARLAMENTO, MA VOTEREMO PER L’ARRESTO”.Dopo diversi cambi d’opinione nall’arco di dieci ore, Bossi sembra aver scelto la strada da seguire per non inciampare più sull’affaire Papa, una situazione in cui “può capitare di dire cose sbagliate, ma le manette in Parlamento, mai”. Insomma, sull’arresto di Papa ci si va cauti: “Prima si faccia un processo – riferisce Bossi – ma non si mettano manette prima della condanna” anche se la linea del partito è “quella di votare per l’arresto“.

RIFIUTI DI NAPOLI, “SERVE UNA STANGATA”. Durante il comizio piacentino, Bossi ha anche parlato dei rifiuti campani. La settimana scorsa il gruppo della Lega in consiglio provinciale aveva infatti promosso una mozione per impegnare la giunta targata centrodestra a mettere in atto tutte le misure per scampare l’arrivo dei rifiuti napoletani a Piacenza. “Dei rifiuti napoletani non ce ne può fregare di meno – urla Bossi dal palco incassando l’ennesimo applauso – ma mi fanno pena i ragazzi in mezzo alla spazzatura, ai topi. Una stangata lì va data, sennò il problema si ripete ciclicamente”.

“ALEMANNO COME LA MORATTI, CON B. VEDREMO SE ANDARE DA SOLI”. Prima del termine del comizio, durato più di un’ora, Bossi ragiona anche di elezioni vede nero per Alemanno. “Alemanno farà la fine della Moratti a Milano. Dimenticato”, facendo caput con la mano. Mentre l’alleanza con Berlusconi, osteggiata dalla base leghista, è in forse: “Vediamo se fare l’accordo con lui o andare da soli”. Ma dai militanti, il grido è chiaro: “Soli!”.



Tutte le accuse a Saverio Romano. - di Giuseppe Lo Bianco

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Alla base delle accuse per mafia al Ministro per le politiche agricole Saverio Romano ci sono le dichiarazioni dei pentiti Francesco Campanella, Nino Giuffrè Angelo Siino e le testimonianze di Salvatore Aragona, Mimmo Miceli e Giuseppe Acanto. C'è poi l'informativa della polizia con decine di pagine di intercettazioni telefoniche.

Il suo principale accusatore e' Francesco Campanella, un giovane e rampante prodotto del vivaio democristiano, cresciuto all'ombra di Clemente Mastella, che fu suo testimone di nozze, insieme con Toto' Cuffaro, l'ex presidente della Regione che sta scontando a Rebibbia una condanna a sette anni per favoreggiamento alla mafia. Per Saverio Romano, primo ministro imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, i guai principali arrivano da questo personaggio a cavallo tra politica e mafia, che da presidente del consiglio comunale forni' a Bernardo Provenzano la carta d'identita' per il suo ''viaggio della speranza'' sanitaria a Marsiglia, dove fu operato per un tumore alla prostata. Ma oltre a Campanella, che ai pm di Palermo ha indicato il ministro come uomo politico ''a disposizione'' della cosca di Villabate, ci sono i pentiti Nino Giuffre' e Angelo Siino, le dichiarazioni dei medici Salvatore Aragona e Mimmo Miceli, entrambi condannati, degli esponenti politici Giuseppe Acanto, Giuseppe Bruno e Rosario Enea.

E poi un'informativa di decine di pagine della polizia, centinaia di intercettazioni telefoniche e le sentenze dei processi Cuffaro, Aragona e Micelli completano il quadro delle accuse riassunto in circa tre pagine della richiesta di rinvio a giudizio firmata dal procuratore aggiunto Ignazio De Francisci e dal sostituto Nino Di Matteo. Secondo i pm, che hanno firmato la richiesta dopo l'ordinanza del gip che ha imposto loro di sollevare l'imputazione, il ministro delle Politiche Agricole ha ''consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno ed al rafforzamento dell'associazione mafiosa Cosa Nostra''. Come? ''Intrattenendo, anche al fine della ricerca dell'acquisizione di sostegno elettorale rapporti diretti o mediati con numerosi esponenti di spicco'' dell'organizzazione mafiosa, tra cui Angelo Siino, allora definito, per ironia della sorte, ''ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra'', a cui Romano nel 2001 chiese sostegno elettorale per Cuffaro, quell'anno candidato alle regionali (e poi eletto con un plebiscito).

Ed intrattenendo rapporti anche con i medici Giuseppe Guttadauro, Domenico Miceli e Salvatore Aragona, tutti condannati per reati collegati alla mafia, e i presunti mafiosi Antonino Mandala', Francesco Campanellae Nicola Notaro, ''mettendo a disposizione di Cosa Nostra il proprio ruolo cosi' contribuendo alla realizzazione del programma criminoso tendente all'acquisizione di poteri di influenza sull'operato di organisni politici e amminisrativi''. Nella richiesta di rinvio a giudizio i magistrati indicano due episodi, entrambi legati alla formazione delle liste elettorali: Romano, scrivono i pm, ''responsabile delle liste per le regionali del 2001 del Cdu, in concorso con Cuffaro e nel contesto di un dialogo di disponibilita' reciproche tra Romano e Guttadauro(ritenuto il capomafia di Brancaccio, ndr), contribuiva ad inserire Mimmo Miceli nelle liste del Cdu per esaudire i desideri di Guttadauro''. Un rapporto proseguito anche dopo, proseguono i pm, visto che Romano ''in esito allo svolgimento delle elezionali regionali continua ad accreditare Miceli ed il suo referente Guttadauro quali interlocutori da ascoltare e soggetti da considerare nella gestione degli equilibri del Cdu''.

E sempre '' in concorso con Cuffaro, nella sua veste di responsabile per la formazione delle liste Biancofiore, assecondando le richieste provenienti da Mandala' e rappresentate da Campanella (Romano,ndr) si adoperava per inserire Giuseppe Acanto nelle liste dei candidati del Biancofiore.
Saverio Romano ha sempre negato ogni accusa, ha parlato di corto circuito giudiziario sottolineando la lunghezza del procedimento e la difformita' di vedute tra gip e pm (che nella richiesta di archiviazione avevano comunque parlato di una sua ''evidente e duratura contiguita' con ambienti mafiosi di alto livello'') ed ha annunciato che non intende dimettersi.



Agrigento, riapre una chiesa con dedica a Cuffaro. E mezzo Pd non vota la censura. - di Antonio Condorelli


A Raffadali l'inaugurazione dell'edificio è l'occasione per celebrare l'ex senatore ed ex presidente della Sicilia, finito in carcere per favoreggiamento a Cosa Nostra. In Comune tre consiglieri del Pd su cinque si astengono sulla mozione di condanna. Associazione AdEst: "Inconcepibile, a pochi giorni dall'anniversario della morte di Borsellino".


Al cospetto di vescovi, militari e politici, l’inaugurazione della nuova Chiesa Madre di Raffadali (Agrigento) si trasforma nell’elogio di Totò Cuffaro, l’ex governatore siciliano in carcere per favoreggiamento a Cosa Nostra. Tutti ad applaudire, il caso finisce in Consiglio comunale, dove tre esponenti del Partito democratico su cinque non votano la mozione di censura.

Salvatore Cuffaro, i compaesani di Raffadali lo chiamano “Totò” da quando era piccolo. E’ una cittadina nota per il paesaggio splendido, per le centinaia di autobus turistici gestiti da “Peppuccio” Cuffaro, il fratello di Totò, e per il Comune amministrato da “Silviuccio” Cuffaro, il terzo fratello di Totò. Qui, la riapertura dopo 14 anni della Chiesa Madre si è trasformata nell’elogio del compaesano incarcerato e quando il presidente del Consiglio comunale ha pronunciato il nome “Totò”, tra le navate della cattedrale è scoppiato l’applauso. Vera testimonianza di fede e devozione.

Ad Agrigento, appena un anno fa, è stata dedicata al boss di Palma di Montechiaro la vittoria di una squadra locale nel campionato di eccellenza. “A Raffadali – spiega Gaetano Alessi, dell’associazione AdEst – hanno pensato bene di dedicare a un carcerato per fatti di mafia l’inaugurazione della Chiesa Madre al cospetto di vescovi, carabinieri e dell’intera rappresentanza politica, anche di centrosinistra”.

In provincia di Agrigento ci sono le radici del potere di Totò, che è stato assessore regionale all’Agricoltura del governo guidato per due anni (1998-2000) da Angelo Capodicasa, uno dei fondatori del Partito democratico, aderente alla mozione di Piero Fassino. Nessuno così si è meravigliato quando, due giorni fa, la questione dell’elogio a Cuffaro è finita in Consiglio comunale e i tre consiglieri del Pd non hanno votato la censura, lasciando quasi solo il capogruppo del partito Aldo Virone (è stato lui a presentare la mozione di censura), che sulla dedica dell’inaugurazione a Cuffaro ha commentato: “Siamo in una terra difficile, dove chi rappresenta le Istituzioni deve fare una scelta chiara e non ingenerare dubbi o equivoche interpretazioni con le proprie parole: o sta con chi la mafia la combatte ogni giorno o sta con quel sistema di potere che ha fiancheggiato la criminalità organizzata fino ad esserne condannato”. E ancora: “Capisco che l’ex presidente della Regione è il padrino politico di molti dei presenti in Consiglio comunale, ma l’affetto non può far dimenticare i doveri connessi alla rappresentanza istituzionale, né tanto meno l’insegnamento di Cuffaro che ha accettato la condanna in silenzio e con rispetto delle istituzioni”.

Durante la discussione in municipio, il consigliere Claudio Di Stefano, coordinatore dell’Udc, ha verbalizzato una dichiarazione di voto che sposava l’elogio a Cuffaro sottolineando il ringraziamento e la vicinanza dell’intera cittadinanza e di tutti i consiglieri di maggioranza.

Lo scontro dal municipio si è trasferito sulla Rete e su Facebook. “A due giorni dal ricordo dell’uccisione di Paolo Borsellino – spiega Gaetano Alessi – quello che è accaduto è inconcepibile. Di Stefano farebbe bene a tacere e non confondere i raffadalesi con la stretta cerchia dei cuffariani che ha devastato il nostro paese negli ultimi 10 anni. La stessa cerchia che non si sta facendo scrupolo di passare di partito in partito per avere sempre un posto al sole. Il voto in Consiglio comunale conferma ancora una volta che a Raffadali c’è chi sta dalla parte delle vittime di mafia e chi invece ‘onora’ i condannati”.

L’amministrazione che elogia Cuffaro è la stessa che sino ad oggi si è rifiutata di dedicare una via a una delle vittime più illustri di Cosa Nostra: Peppino Impastato. “In questo contesto – conclude Alessi – vorremmo sapere con chi sta il Pd: con il suo capogruppo che ricorda a tutti che i valori sono fondamentali per la crescita culturale o con gli esponenti dell’Udc e del cosiddetto Terzo polo che difendono i condannati per fatti di mafia?”.



Cesenatico: Crozza racconta Italialand, dal fisco al Trota e Minetti. - di Enrico Bandin


"La Rai si tiene Paragone e manda via Santoro? Come se i Beatles avessero sostituito John Lennon con Pupo". "Alfano vuole un partito di onesti. Ci piacciono le cose impossibili". "Giovanardi? Mandiamolo a Mykonos".


È un one man show quello di Crozza, protagonista assoluto della notte di Cesenatico. La manifestazione Ribalta marea, alla sua ventesima edizione, ospita un artista la cui graffiante ironia non risparmia nessuno. Questa volta in compagnia di Crozza sul palco ci sono gli italiani, un popolo di“Fenomeni”, così si chiama il suo nuovo spettacolo. Altro che Disneyland! La prima parte dello show si apre sulla Tav e poi Crozza passa in rassegna come un attento fenomenologo tutte le storture diItalialand, un Paese che assicura divertimenti ben maggiori del celebre parco giochi americano. Nel suo fitto monologo ce n’è per tutti: leghisti mangiaorsi che si esprimono a suoni gutturali, un governo che è ormai da tempo oltre la caricatura di se stesso e un’opposizione che sa esserlo solo a parole. Su tutto la sopportazione rassegnata del popolo italiano che dal ’94 si ritrova “una simpatica canaglia” in sella a un Paese che corre verso la recessione a briglia sciolta. Nella carrellata di personaggi interpretati sfilano i classici del repertorio di Crozza: ci sono Bersani, Napolitano, Marchionne, Ratzinger, Zichichi e Giacobbo, un miracolato di viale Mazzini che conduce “Kazzenger” e indaga sulla sua misteriosa nomina a vicedirettore di Rai2. Prende le canzoni Crozza, le più celebri e le rifà a modo suo. La vecchia hit di Johnny Dorelli diventa: “Aggiungi un posto alla Tav che c’è una cricca in più, se allunghi la tempistica guadagnerai di più, gli amici a questo servono: a fare la ferrovia, sorridi al nuovo appalto e non farlo andare via, se scavi nell’amianto poi raddoppia l’allegria”. Un affare per i tanti faccendieri nostrani quello della Tav: “22 miliardi di euro in un cantiere che durerà 15 anni: i calcoli sono giusti perché li ha fatti la mafia e mi fido, ma poi si sa come andrà a finire, ci costerà 80 miliardi di euro e durerà 40 anni. Per che cosa? Per un tunnel di 70 km. Ma da un tunnel così non ci esci più, neanche se vai da Muccioli”.

Insomma a noi italiani ci piacciono le imprese impossibili. “Ricordate cosa ha detto Alfano nel discorso di investitura a segretario del Pdl: “Voglio un partito di onesti”. “Ci piacciono le cose impossibili, è evidente!”. Di meraviglie ne accadono tante a Italialand e la sua televisione di Stato ne regala in continuazione: “Come fai a disfarti di Santoro e tenere Paragone? È come se i Beatles avessero detto “John Lennon vaffanculo, Pupo vieni qui! E cosa avrebbero scritto? Hey Jude al cioccolato, dolce un po’ salato”.

E continua Crozza, martellando sulle metastasi di un Paese che non sa reagire a malcostumi endemici: In Italia “l’evasione fiscale supera il 38 per cento, un italiano su tre non paga le tasse. Da noi –continua- c’è così tanto sommerso che siamo diventati l’Atlantide del fisco, il sud ha un’evasione del 66 per cento. In questo Paese nessuno si riconosce nello Stato”.

È il turno del Carroccio. “I leghisti devono farsi notare, hanno bisogno di delimitare il territorio come i gatti: loro pisciano in giro, i leghisti fanno cagate in giro. Si vedono tutti nel grande prato di Pontida. Ci sono due tipi di cose che vengono organizzate sui prati: i rave party e il raduno di Pontida, in uno c’è della gente ubriaca vestita in modo strano che canta stravaccata bevendo sostanze assurde, nell’altro ascoltano musica techno”.

Il ricordo va alla scuola di Adro, tappezzata coi simboli padani: “Ma che bisogno c’era di mettere quei simboli? –si chiede Crozza. Una scuola leghista ha 3 caratteristiche: le cartine dell’Italia tagliate a metà, la lingua straniera è l’italiano e nell’ufficio del preside c’è una foto con scritto “studia o diventi così” (campeggia sullo schermo il faccione del Trota).

Come spiegare le bizzarrie di Italialand? “E se tutti noi fossimo vittime di un esperimento scientifico? Stanno testando il nostro livello di sopportazione. È tutto così assurdo che potrebbe essere possibile: hanno preso un eccentrico pianista e lo hanno messo al governo: barzellette con bestemmia, bunga bunga, processo per corruzione, escort, concussione, minorenni, cucù alla Merkell. E noi sopportiamo! Siamo come Tromb Raider. È lui la più grande attrazione d’Italia, dice sempre le stesse cose: toghe rosse, comunisti (e mima l’accento lümbard). È un premier d’autogrill: parla come gli alberelli di Natale che compri sull’autostrada. Ha un bottone dietro la schiena, spegnetelo! Occhio però a non spingere quello davanti”. “Un anno e mezzo fa ha detto –prosegue Crozza su Berlusconi: “Abbiamo introdotto un nuovo elemento nella politica italiana: la moralità”. Si fosse almeno fermato a “abbiamo introdotto”, allora l’avremmo creduto. Lo capite che se le va a cercare, che è strano, perché di solito gliele portano”. La Minetti ha detto che il premier ha il culo flaccido e Fede in risposta: “Io non mi sono accorto mai di nulla”.

Si fa un attimo serio Crozza: “Io vorrei recuperare un senso di appartenenza che non abbiamo più”. “Ci vorrebbe un tema che creasse un dialogo fra destra e sinistra. Ecco l’ho trovato: quando vanno in pensione i lavoratori italiani? Boh, mettiamo a 65 anni. I parlamentari basta che durino per una legislatura di 5 anni e possono prendere un vitalizio, da subito, di più di 3000 euro”. “Un parlamentare dell’Idv ha proposto di abolirlo. Su 520 votanti 22 si sono espressi a favore, 498 contrari”: ecco quello che accomuna destra e sinistra. Abbiamo il doppio dei parlamentari degli Usa, mandiamone almeno la metà a casa. Ci si è messa anche la Lega a dirlo, perché non lo fa? È come se un muratore minacciasse i mattoni”.

C’è spazio anche per il mito: appare sullo sfondo “l’Ignaziotauro, una figura mitologica, metà uomo, metà citofono”. “Adesso che siamo in guerra con la Libia gli appare Badoglio in sogno ogni notte. Il ministro della Difesa non sapeva neanche chi fosse Aleksandr Lukašenko: a Ballarò mi è scappato di dirgli che non sa quasi un cazzo, poi il giorno dopo l’ho chiamato per chiedergli scusa e lui mi ha risposto: “No, ma io mi diverto, mi dica quello che vuole”. Dopo La Russa tocca a “Crudelia de MonSantanchè”. Crozza non ha dubbi: “È una straordinaria statista: dito medio agli studenti, Boccassini-metastasi e Maometto pedofilo”.

Si poteva dimenticare Giovanardi? “È ossessionato dall’omosessualità. Ha detto che lo spot dell’Ikea, con due ragazzi che si tengono per mano, contrasta a gamba tesa la Costituzione, che De Magistris è per i femminielli e poi ha detto che non vuole i gay nell’esercito. Carlo devi dirci qualcosa? Uno così non lo mandiamo a casa? No, meglio mandarlo a Mykonos”.

È la volta di un flash su Scajola. “In conferenza stampa ha detto: “Se becco chi mi ha pagato la casa a mia insaputa gliela faccio pagare!” “Ma di nuovo?!”

Crozza per tirare le orecchie al Pd va a un’immagine dell’infanzia: “Da piccolo mettevo il cartone nei raggi della bici per farle fare casino. Faceva tanto rumore ma non serviva a niente: ecco mi ricorda il Pd!”. “L’Idv ha presentato in Parlamento una legge costituzionale per abolire le province. Il Pd si è astenuto e la proposta di legge non è passata. Potevano far cadere il governo Berlusconi ma si sono astenuti, perché è scritto proprio nel loro statuto che possono far cadere solo il loro governo”.

Dulcis in fundo Bersani. “Io ho cominciato a prenderlo in giro per le metafore, non pensavo che le avrei trovate sul Corriere della Sera come il pensiero di Bersani: ‘Siamo mica qui a smacchiare i giaguari’ è mia! Se le mie battute fossero diventate dibattito politico non avrei passato mesi a sparare cazzate, avrei imitato Berlusconi e avrei detto: “Mi costituisco”.

Il video è di Giulia Zaccariello



domenica 17 luglio 2011

Fuga dall'università: iscritti a picco nel 2011. - di Mariagrazia Gerina


universitari inchiesta logo box

«Figlio di un operaio o figlio di un petroliere fa lo stesso», scrive Roger Abravanel, già consulente della McKinsey & Company e ora consigliere del ministro Mariastella Gelmini: quello che conta è il merito.

Vallo a raccontare a Girolamo, figlio di un camionista e di una casalinga, nato e cresciuto a Palmi, Calabria. Girolamo ha vent'anni, è perito informatico e vorrebbe laurearsi. Lo scorso settembre, appena diplomato, si è messo a inseguire la chimera di una borsa di studio e di un alloggio alla Casa dello studente di Cosenza.

Alla fine, anche se aveva superato il test a numero chiuso, si è scoraggiato. E non si è più iscritto. Quest'anno ci riproverà, in proprio: «Facendo un po' il cameriere, un po' il meccanico ho messo da parte 700 euro». Per mantenersi all'università da fuori sede, in un anno ce ne vogliono 7mila. Storie di ordinaria esclusione dall'università italiana.

Sempre più ragazzi rinunciano in partenza. Se nel 2002, il 74,5% degli Under 20, presa la maturità, correva a iscriversi all’università, sperando in un futuro e un lavoro migliore, nel 2009 (ultimo dato disponibile) quella percentuale è scesa al 65,7%, facendo passare da 330mila a 293mila le matricole under 20. Nove punti percentuali persi in 8 anni: 38mila ragazzi che, usciti dalla scuola superiore, non ci hanno neppure provato. E la parabola discendente precipita letteralmente in certe province del Sud. A Catania, per esempio, dove appena il 46,4% dei maturi si iscrive all’università. Oppure a Cagliari, dove la percentuale è del 56,8%. Ma anche il Nord ha i suoi abissi. A Sondrio, il rapporto tra diplomati e matricole è del 46,7%; a Bolzano, non va oltre il 37,3%. E chi si iscrive spesso resta indietro fin dal primo metro. In più, una buona fetta delle matricole - circa il 13,3% -, al termine del primo anno non ha superato neppure un credito e da matricola finisce direttamente nel limbo degli «inattivi». Mentre ancora di più, il 16,7%, sono quelli che gettano la spugna dopo il primo anno. Cronaca di un’emorragia che dovrebbe essere in cima alle preoccupazioni di chi governa il paese. Chi sono questi ragazzi che rinunciano all’università? Perché invece di proseguire gli studi decidono di fermarsi? L'ultimo rapporto Almalaurea lo dice esplicitamente. Tra le cause del calo di immatricolazioni, c'è «la crescente difficoltà di tante famiglie a sopportare i costi diretti e indiretti dell'istruzione universitaria» unita a «una politica del diritto allo studio ancora carente». Una sorta di tenaglia che si stringe attorno ai ragazzi. Da una parte, la crisi rende più severo il bilancio delle famiglie che non ce la fanno più a sostenere le spese universitarie. Dall'altra, il bilancio dello Stato, invece di potenziare le scarse risorse destinate alle borse per gli studenti, taglia i fondi per il diritto allo studio.

Mentre in Germania o in Francia uno studente su quattro riceve una borsa di studio, in Italia nemmeno 1 su 10 riesce ad ottenerla. Su una popolazione di 1,8 milioni di iscritti, appena 150mila nel 2010 ne hanno beneficiato. E peggio ancora va per gli alloggi universitari che sono appena 41mila in tutta la penisola. Gli sbarramenti di reddito sono molto bassi, escludono non solo il ceto medio, e variano da regione a regione: sotto gli 11mila euro in Abruzzo, meno di 14mila in Molise, fino a 19mila in Piemonte. E anche tra gli idonei, 1 ogni 6 resta fuori. Gli esclusi nel 2010 erano 29mila su 179mila aventi diritto (il 16,3%). Un’ingiustizia anche qui diversamente distribuita. Più di 2mila esclusi in Abruzzo, dove solo il 55% degli idonei ottiene la borsa; 7mila in Campania, dove la percentuale è del 56%; 4400 in Calabria, dove è beneficiato della borsa solo il 59%, etc. La domanda dovrebbe essere: come includere almeno loro? E invece il governo ha stanziato appena 26milioni per il prossimo anno, reintegrate a 97 milioni, dopo le proteste, per l'anno in corso. Comunque meno della metà dei 246milioni di euro stanziati nel 2009 e 50 milioni in meno della media degli anni precedenti. In compenso 10 milioni li ha destinati alla "Fondazione per il merito", istituita sulla scia dell'Abravanel-pensiero. Ma chi se la merita un’università così. se non chi può permettersi di sostenerne i costi anche senza borsa? A questo proposito sono illuminanti i dati Eurostudent. I laureati tra i 45 e i 64 anni sono appena l'11% della popolazione generale (il 10% tra le donne) ma se guardiamo alla popolazione universitaria il 20% degli studenti universitari ha un padre laureato (il 17% una madre). Mentre appena il 35-6% degli studenti hanno un padre o una madre con un titolo di studio medio-basso, percentuale che sale al 62% nella popolazione generale. E solo il 28% ha un padre operaio (44% della popolazione tra i 45 e i 64 anni).

D'altra parte la laurea ha perso attrattiva anche, anzi, forse soprattutto per le classi più svantaggiate. La disoccupazione, per chi ha la laurea triennale, è passata dall'11,3% del 2007 al 16,2% del 2009. E chi trova lavoro in un caso su due è precario. Mentre gli stipendi passano dai 1210 euro del 2007 a 1149 euro del 2009. Il deterioramento della condizione occupazionale dei laureati, insomma, è l'altro grande fattore che rema contro quello che è stato fin qui uno dei principali obiettivi di crescita del paese: estendere la formazione universitaria anche alle fasce di popolazione che ne erano tradizionalmente escluse. Trent'anni fa i figli della «classe operaia» (così nella classificazione di Almalaurea) tra i laureati erano l'1,5%, nel 2004 erano il 22,4%, nel 2010 sono il 25,8%. Una tendenza che, a leggere i dati delle immatricolazioni, sembra destinata a invertirsi di nuovo. E mentre in Europa i figli di genitori con un titolo di studio basso che si laureano sono il 17%, in Italia la percentuale è ancora all'8%. Che vadano a scaricare la frutta ai mercati generali, ha suggerito Brunetta, a quanti tra i giovani sono esclusi dal mercato del lavoro. La riforma Gelmini, rispetto agli esclusi dall'università, non fa di meglio: non ha neppure provato ad analizzare il problema.