In aula il pm allontana le famiglie Cucchi, Ferrulli, Aldrovandi che scrivono al Csm: "Al di là di ogni considerazione su quanto sta accadendo in quel processo – hanno scritto – è forte il nostro disagio come normali cittadine di fronte a provvedimenti e comportamenti che non riusciamo a comprendere e che percepiamo come intimidatori o comunque diretti a farci capire che la nostra presenza non è gradita".
A passi piccoli, lenti, composti, ma forse il giorno della verità sulla morte di Giuseppe Uva è più vicino. Lo si deve alla tenacia con cui la sorella Lucia sta portando avanti la sua battaglia, al suo legale, Fabio Anselmo, e alla rete di donne, sorelle, figlie e madri di morti per mano dello Stato, che non si lasciano sole.
Venerdì il giudice di Varese, Orazio Moscato, ha accolto la richiesta di riesumare la salma di Giuseppe Uva, morto nel 2008 in ospedale dopo un fermo da parte dei carabinieri. Finora è imputato soltanto lo psichiatra Carlo Fraticelli, accusato di aver somministrato all’artigiano 42 enne farmaci incompatibili con il tasso di alcol nel suo sangue. Invece venerdì i medici nominati dal Tribunale hanno illustrato i risultati delle analisi, secondo cui i dosaggi delle sostanze utilizzate non avrebbero potuto uccidere una persona. Il giudice Moscato ha così accolto la richiesta di una proroga della consulenza. Ma se non sono state le medicine, chi o cosa lo ha ucciso?
Sul corpo dell’uomo verrano ora eseguiti una tac, i test genico forensi e quelli medico forensi. E non è escluso che ci possano essere svolte importanti. “Io ho sempre detto che mio fratello aveva una spalla e un ginocchio fuori posto – dichiara soddisfatta Lucia Uva –. Sembrava poi che, al momento dell’arresto, Giuseppe fosse ubriaco fradicio, ma i valori del fegato erano normali. È ora di ridare dignità a mio fratello”.
Ancora aperta è la questione dei pantaloni che l’uomo indossava e che sono rimasti per tre anni e quattro mesi chiusi in una busta in un posto di polizia. Interrogando uno dei consulenti, l’accusa aveva ipotizzato si trattasse di pomodoro. In realtà sarebbero tracce di sangue. È emersa anche un’embolia, forse causata da traumi.
Venerdì il clima in aula era molto teso. Si è arrivati a uno scontro aperto tra il pubblico ministeroAgostino Abate e la parte civile, che lo accusa di aver voluto limitare le indagini, e quindi il processo, alla sola parte medica, salvaguardando così i carabinieri da eventuali colpe. “Abbiamo finalmente ottenuto ciò che da anni andavamo chiedendo – ha dichiarato l’avvocato degli Uva, Fabio Anselmo –. La mia profonda amarezza è che tutte le nostre istanze sono state ignorate completamente e siamo costretti a fare queste operazioni dopo tre anni e 4 mesi. Questo dato dovrebbe far riflettere qualcuno. In aula è accaduta una cosa quanto meno insolita: nel momento in cui il giudice si è ritirato in Camera di Consiglio, Abate ha allontanato tutto il pubblico, compreseIlaria Cucchi, Patrizia Moretti Aldrovandi e Domenica Ferrulli.
La sorella di Stefano, la madre di Federico e la figlia di Michele, spesso insieme per difendere il diritto alla verità sui loro congiunti, ieri hanno inviato una lettera al vice Presidente del Csm Vietti, al Procuratore generale della Cassazione, al Procuratore capo della Corte d’appello e al Procuratore capo di Varese. “Al di là di ogni considerazione su quanto sta accadendo in quel processo – hanno scritto – è forte il nostro disagio come normali cittadine di fronte a provvedimenti e comportamenti che non riusciamo a comprendere e che percepiamo come intimidatori o comunque diretti a farci capire che la nostra presenza non è gradita da parte del pm, e che pertanto ci offendono”.
Non solo: Luca Ghedini, giudice di Corte d’appello di Bologna e relatore della sentenza d’appello Aldrovandi, si è posto alcune domande: “Il Giudice, sulla base delle conclusioni cui era giunta la perizia collegiale da lui disposta, ha ordinato la riesumazione della salma. Anche il giudice è uno dei tanti che, magari con supponenza, ha male interpretato la perizia preliminare che non ha letto con attenzione?”. E ancora: “Anche se a qualcuno spiace, il processo penale è pubblico, e i suoi atti sono conosciuti e conoscibili. È lecito nutrire delle perplessità o il “manovratore” non deve essere disturbato?”.