mercoledì 21 dicembre 2011

Il terrazzo.



Il palazzo era molto antico, il portone d'accesso enorme. Entrati nell'enorme androne, per visionare l'appartamento, si doveva salire una scala stretta ed erta situata subito a destra. Gli scalini in pietra grigia erano più alti degli abituali e bombati ai bordi e Chiara inciampò tre volte prima di prenderne le misure. Alla  fine della scala c'era un piccolo pianerottolo, ingolfato da due armadi antichi senza pregio, che dava accesso all'appartamento. Chiara pensò che si dovesse trattare dell'appartamento riservato originariamente alla servitù. Le porte di ingresso erano due, una posta dirimpetto alla scala, l'altra, più nascosta, nella destra nel pianerottolo. Entrando dalla porta posta di fronte, c'era una prima camera. Chiara affacciò la testa nella stanza al buio, ed intravide un grande letto matrimoniale addossato alla parete di destra e tanti lettini piccoli situati lungo la parete di fronte e quella di sinistra, Chiara ne contò almeno quattro, la cosa strana è che nei lettini c'erano i bambini che dormivano. Si tirò indietro e percorse il piccolo corridoio che separava la parete del pianerottolo da quella della stanza appena descritta  per accedere al resto dell'appartamento e, quindi, anche all'ingresso principale, quello a destra del pianerottolo. 
L'ingresso era ampio e pieno di luce e da questo partivano tre corridoi, uno di fronte all'ingresso e due laterali. 
Il corridoio di fronte, il più corto, portava in un terrazzo che dava sulla strada, gli altri due laterali nelle varie stanze dell'appartamento.
Il particolare più affascinante di tutto l'appartamento era rappresentato proprio dall'enorme terrazzo che dava sulla strada. Era lastricato interamente in cotto, un po' malandato, ma di grande effetto. Le ringhiere che lo delimitavano erano in ferro battuto e di grande pregio. Chiara affacciandosi scoprì che al di sotto c'era un altro terrazzo ancora più grande, almeno il doppio, al quale, probabilmente, si poteva accedere tramite una scala laterale.  Lo immaginò pieno di piante....fu amore a prima vista.

Il prezzo è giusto, il ristorante si svuota. E al Senato i camerieri perdono il posto.

Finita l'era del quasi gratis, lavoratori in cassa integrazione.


ROMA - Per loro non è in previsione alcun corso di perfezionamento presso la prestigiosa scuola culinaria del Gambero Rosso. Quel seminario costato ai contribuenti 35 mila euro, che impegnò per settimane nel 2009 (erano altri tempi) i nove cuochi di palazzo Giustiniani, dove alloggia il presidente del Senato Renato Schifani e i palati sono evidentemente raffinatissimi, se lo potranno sognare. In compenso, i camerieri del ristorante di palazzo Madama, sprofondato ormai in una crisi nera, avranno tutto il tempo per dedicarsi in libertà agli hobby preferiti: da gennaio, per loro, c'è la cassa integrazione, se non addirittura la disoccupazione. Almeno se è vero che ieri sono partite le prime nove lettere di licenziamento che hanno provocato una infuocata assemblea.
Sono queste le uniche vere vittime dell'aumento dei prezzi deciso dai questori dopo le polemiche seguite nei mesi scorsi alla pubblicazione del menù proletario di palazzo Madama. Che recitava come segue. Risotto con rombo e fiori di zucca: 3 euro e 34 centesimi. Carpaccio di filetto con salsa al limone: 2 e 76. Prosciutto e melone: 2 e 33. Bistecca di manzo: 2 e 68. Costi «lievissimi», per usare il termine impiegato in una recente consulenza dallo studio legale Ciampoli nella quale è descritta la sconcertante situazione, a carico dei senatori e dei loro ospiti. Ma pesantissimi, al contrario, per i contribuenti. Sui quali gravava l'87% del prezzo di ogni singola pietanza: i commensali non pagavano che il 13,3 per cento. Per i piatti più raffinati si poteva arrivare al 21,77 per cento.
Ecco quindi che il filetto di bue a 5 euro e 53 era quasi sempre esaurito. E le lamelle di spigola con radicchio e mandorle, a 3 euro e 34, andavano via come l'acqua fresca. I tavoli erano regolarmente tutti occupati, i camerieri in guanti bianchi andavano e venivano, lo scricchiolio del parquet e la soave musica delle posate d'argento che tintinnavano sulle stoviglie de luxe accompagnava dolcemente la predigestione.
Poi, un bel giorno, i clienti hanno cominciato a disertare la sala. Arrivavano sulla porta, davano un'occhiata al menù sgranando gli occhi e poi giravano i tacchi. E non perché quel ristorante fosse ridotto ormai a una specie di trattoria «dove il pesce non è mai fresco e i cibi sono spesso precotti», come si lamentò l'ex sottosegretario Responsabile Riccardo Villari con la trasmissione di Radio 24 «La Zanzara»: auspicando quindi l'apertura a palazzo Madama di un restaurant tre stelle Michelin adeguato a una clientela più esigente. La spiegazione sta nell'aumento dei prezzi. Dal 13,3 per cento del costo per le pietanze «standard» si è passati con un balzo al 50 per cento. E dal 21,77 per cento di quelle più «pregiate» improvvisamente al 75 o al 100 per cento, secondo i casi. Leggere il nuovo listino e scoprirsi di colpo micragnosi, per gli habitué della mensa è stato tutt'uno.
Ma lasciamo parlare i consulenti della ditta appaltatrice Gemeazcusin, lo studio Campoli: «A seguito della decisione assunta dal collegio dei senatori questori, con la quale sono state sensibilmente incrementate le quote percentuali a carico degli utenti del servizio, si è verificata una eccezionale diminuzione dell'attività del ristorante dei senatori, sia con riguardo all'affluenza, ridottasi di oltre il 50%, sia con riferimento ai quantitativi di pasti somministrati, ridottasi per il numero di pietanze, sia con riguardo alla tipologia di pasti di tipologia superiore e pregiata la cui incidenza è diventata marginale, mentre in precedenza la pressoché totalità dei pasti serviti appartenevano a tali tipologie».
Se prima il ristorante era sempre pieno zeppo e commensali si abbuffavano di bistecche al sangue e filetti di orata in crosta di patate, dopo l'aumento è come se i rari clienti avessero deciso tutti contemporaneamente di mettersi a dieta. Riso all'inglese, pasta in bianco, insalatina...
Non c'è forse la crisi? Non incombe il taglio delle indennità secondo una ancora non meglio definita «media europea»? E la riduzione della diaria? La minaccia di togliere dalla busta paga il contributo per il portaborse? Il passaggio dei vitalizi al sistema contributivo? Già. Come stupirsi poi se a qualcuno viene un travaso di bile... L'onorevole del Pdl Mario Pepe, per esempio, schiuma letteralmente rabbia. «Ridurre deputati e senatori alla fame vuol dire rendere il parlamento schiavo dei poteri forti», si è sfogato con Monica Guerzoni del Corriere .
Peccato che mentre il ristorante del Senato si svuotava, e i suoi ricavi subivano un crollo del 70%, i locali nelle strade intorno a palazzo Madama registravano un formidabile incremento del giro d'affari. Dopo il danno, quindi, anche la beffa. Beffa doppia.
Perché lo stesso giorno nel quale una ventina di camerieri della ditta appaltatrice finiranno in cassa integrazione, faranno il loro ingresso in Senato sette nuovi dirigenti appena assunti. Il cui costo compenserà il risparmio ottenuto per il ristorante. Lo compenserà abbondantemente, sia ben chiaro.

Caso Impastato, dopo trent’anni ritrovata la testimone chiave del delitto. - di Giuseppe Pipitone


Si chiama Provvidenza Vitale. Era di turno al passaggio a livello di Cinisi la notte tra l'8 e il 9 maggio del 1978, quando il militante di Democrazia Proletaria venne ucciso da alcuni killer di Cosa Nostra. Fino a poco fa i Carabinieri la ritennero "irreperibile", ma nessuno la cercò realmente.


Peppino Impastato
Si chiama Provvidenza Vitale, avrebbe potuto essere la testimone chiave del delitto di Peppino Impastato. Era di turno al passaggio a livello di Cinisi la notte tra l’8 e il 9 maggio del 1978, quando il militante di Democrazia Proletaria venne ucciso da alcuni killer di Cosa Nostra, ancora oggi senza volto. Ma negli ultimi trent’anni i Carabinieri di Cinisi non sono riusciti a trovarla. O meglio: si disse che era immigrata negli Stati Uniti perché rimasta vedova e sui verbali i Carabinieri scrissero semplicemente che la donna era “irreperibile”. E i magistrati e i membri della commissione parlamentare antimafia che si occuparono del caso Impastato si fidarono.

Solo che Vitale non è mai scomparsa. Tanto meno mai stata irreperibile. E salvo brevi soggiorni da alcuni parenti Oltreoceano, ha sempre abitato a casa sua, a Terrasini, cittadina attaccata a Cinisi, poco più di diecimila abitanti ad ovest di Palermo.

L’hanno scoperto pochi giorni fa gli uomini della Dia di Palermo, guidati dal colonnello Giuseppe D’Agata. Dall’omicidio di Peppino Impastato, il ragazzo che dava fastidio a Cosa Nostra dai microfoni di radio Aut, sono passati trentatré anni e mezzo. Ma nonostante tutto questo tempo gli investigatori hanno assicurato che trovare la signora Vitale non è stato poi tanto difficile. Bastava cercarla. Negli ultimi trent’anni infatti nessuno si era mai preso la briga di andare a bussare alla sua porta. Soprattutto i Carabinieri. Lo ha confermato lei stessa al sostituto procuratore della Dda di Palermo Francesco Del Bene, che stamattina si è recato a casa sua per interrogarla. Della notte in cui fu ucciso Impastato la donna ha detto di avere ricordi confusi. Sono passate tre decadi e oggi la donna ha 88 anni.

Appurato che la Provvidenza Vitale non si è quasi mai allontanata da casa (che per altro è a due passi da luogo in cui Impastato fu ucciso), che ha sempre abitato a Terrasini, dove ha cresciuto sei figli, e che addirittura uno dei suoi generi è un carabiniere, appare difficile quindi che gli ufficiali dell’Arma avessero potuto davvero cercarla senza esito. Perché per tutti questi anni i carabinieri avrebbero cercato in tutti i modi di celare agli organi inquirenti l’esistenza della teste chiave in un caso delicato come quello Impastato?

Un interrogativo che va ad alimentare la tante domande che sta suscitando la nuova indagine sul caso Impastato aperta dal procuratore aggiunto della Dda di Palermo Antonio Ingroia e dal sostituto Del Bene. I due magistrati stanno cercando di scavare sui vari depistaggi che avrebbero interessato le indagini sull’omicidio del giornalista di radio Aut. “Il fatto che i magistrati abbiano ritrovato la casellante che era di turno quella notta mi riempie di felicità, confermandomi che sul caso avevamo visto giusto” ha commentato Giovanni Impastato, fratello di Peppino che in tutti questi anni si è impegnato per mantenerne viva la memoria.

Le nuova inchiesta sui depistaggi prende il via proprio quando, nel maggio scorso, Impastato si è presentato negli uffici della procura di Palermo per chiedere la riapertura del caso, invitando gli inquirenti a fare luce sui vari depistaggi che interessarono le indagini sulla morte di suo fratello. “La notte in cui morì Peppino – racconta Giovanni Impastato – i carabinieri vennero a casa nostra e sequestrarono diversi documenti appartenuti a mio fratello che raccolsero in 4 grossi sacchi neri. Quando anni dopo chiesi la restituzione dei documenti mi riconsegnarono soltanto 6 volantini. Che fine ha fatto tutto il resto del materiale appartenuto a Peppino? Perché è svanito?”.

Una parziale risposta è stata trovata dal pm Del Bene, che è riuscito a mettere le mani su un foglio in cui i carabinieri avevano scritto “Elenco del materiale sequestrato informalmente a casa di Impastato Giuseppe”. Un sequestro informale dunque, ovvero un sequestro non ufficialmente autorizzato. Del Bene ha trovato anche un altro elenco, questa volta formale, in cui i carabinieri avevano appuntato soltanto l’avvenuto sequestro di sei fogli tra lettere e volantini, che contenevano scritti d’ispirazione politica e con propositi di suicidio.

Ma nei documenti sequestrati a casa di Peppino Impastato c’era anche altro. “Ricordo che mio fratello poco prima di morire – racconta sempre Giovanni Impastato – si stava interessando attivamente alla strage della casermetta di Alcamo Marina, che nel 1976 costò la vita a due giovani carabinieri. In seguito a quel fatto, gli uomini dell’Arma vennero a perquisire casa nostra dato che mio fratello era considerato un estremista. Da lì Peppino iniziò a raccogliere informazioni sulla questione, notizie che accumulava in una specie di dossier: una cartelletta che fu sequestrata e mai più restituita”.

La strage della casermetta di Alcamo Marina è ancora oggi uno dei misteri insoluti di questo paese. I carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta furono trovati uccisi la notte del 27 novembre 1976 nella cittadina in provincia di Trapani. Per il duplice omicidio furono condannati quattro giovani, Giuseppe VescoGaetano SantangeloGiuseppe Gulotta e Vincenzo Ferrantelli; Vesco morì in carcere in strane circostanze, mentre gli altri tre furono torturati e convinti a suon di botte a firmare la confessione. Un delitto strano maturato in un contesto inquietante. Come quello di Impastato.

Adesso l’ipotesi accreditata dagli inquirenti riannoderebbe le due vicende: forse Impastato con la sua attività di controinformazione era riuscito a capire qualcosa in più sulla strage della casermetta. Le indagini sul suo assassino, quindi, furono depistate – fino ad arrivare a “nascondere” il teste chiave – proprio per occultare i reali motivi che ne avevano decretato la morte. Il fatto che dai microfoni di radio Aut mettesse alla berlina il boss mafioso Tano Badalamenti (morto prima che la condanna per l’omicidio di Peppino diventasse definitiva) era soltanto un motivo in più per metterlo a tacere.

Frequenze congelate. - di Carlo Tecce



Niente beauty contest, Passera le vuol dare ai gruppi telefonici, nessuno disturberà RaiSet. Il governo Monti annulla la procedura, ma soltanto il Biscione avrebbe i soldi per un'asta vera.





La farsa del beauty contest è finita, niente frequenze gratuite ai gruppi televisivi con l’imbarazzante concorso di bellezza: il più forte, vince. E finisce pure la speranza di aprire il mercato a nuovi concorrenti. Perché il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, ha trovato il compromesso più tecnico possibile per non favorire Mediaset senza farle male. Al ministero studiano il piano più indolore e spendibile con i cittadini, i partiti e il Cavaliere: “Fermiamo subito la gara e ci riprendiamo le frequenze, un bene collettivo da sfruttare per il Paese. Aspettiamo qualche mese, al massimo tre, e poi chiamiamo a raccolta gli operatori telefonici per ampliare la banda larga e le connessioni veloci con una vera asta. Non possiamo correre perché pochi mesi fa queste società hanno speso quasi 4 miliardi di euro per potenziarsi con un’altra asta del governo”. E le televisioni? “Fuori. Non c’è un motivo valido per incrementare le proprietà di aziende che detengono un putiferio di canali. Il beauty contest è inaccettabile: per il momento azzeriamo la procedura così ci prendiamo del tempo per la soluzione migliore”.


Il ministro Passera ha toccato il punto sensibile di Silvio Berlusconi, il suo impero mediatico e industriale. L’istinto del Cavaliere ha prodotto decine di dichiarazioni e criptici segnali di guerra: “Questa è un’imboscata contro di me”. Fra un governo precario e un Cavaliere ferito, però, il risultato è pari e patta. E dunque il compromesso accontenta tutti. Può suonare strano, ma Berlusconi dice mezze verità, a volte: “A chi volete possa interessare una frequenza?”. Implicitamente, nemmeno a Mediaset che controlla quattro multiplex (pacchetti di frequenze) e ha utilizzato in via sperimentale un multiplex da assegnare. Non interessa a viale Mazzini: “Siamo entranti nel beauty contest perché c’erano gli altri. Non abbiamo le risorse per gareggiare”, spiega Giancarlo Leone, vicedirettore generale Rai. Telecom Italia Media (La 7) ci spera supinamente: “Mi auguro che nel 2012 ci sia un mercato televisivo un po ‘ diverso. Non più bloccato”, esprime il suo desiderio, al brindisi natalizio, l’amministratore delegato Gianni Stella. Le televisioni generaliste partecipano al beauty contest per paura dei nuovi concorrenti, di qualcuno che possa destabilizzare il monopolio di Mediaset ammorbidito da un pizzico di Rai e di La 7, mica per aumentare il proprio patrimonio. Lo fanno per congelare il passato temendo il futuro.


Passera conosce i rischi: può annullare il beauty contest con una delibera immediata, ma non può convocare un’asta per le televisione chiedendo soldi a Mediaset. Anche perché il ricorso del Biscione arriverebbe un istante dopo. L’ideatore del beauty contest, predecessore di Passera e suo consulente, Paolo Romani, avverte l’umore del Cavaliere: “Sono sempre più sconcertato e preoccupato. Questa mossa del governo va contro la Commissione europea e l’Autorità di garanzia nelle Comunicazioni che, insieme, approvarono il nostro progetto. E siamo a pochi giorni, credo, dal giudizio dei commissari e da una graduatoria imparziale. Passera non può far finta di nulla, le reazioni di Mediaset, di Rai e La 7 mi sembrano intuibili”. Per evitare pasticci giuridici e conseguenze legali, i tre commissari evocati da Romani, nominati per decidere a chi distribuire le frequenze, aspettano un ordine dal governo. Che Passera discute in queste ore con i suoi collaboratori: “Non ci sono dubbi: il beauty contest non esiste più, le televisioni non meritano regali, adesso ragioniamo su cosa fare. E allestiamo un’asta per gli operatori telefonici”. Che hanno più soldi da spendere.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/20/frequenze-congelate/178784/

Gelmini VS Pugliese (dir.Conad): "Liberalizzazioni favoriscono le Coop Rosse" (Ballarò, 20/12/'11)



Scontro dialettico tra Francesco Pugliese (direttore generale della Conad) e Mariastella Gelmini (PDL) sulle liberalizzazioni delle professioni, in particolare di quella dei farmacisti, durante la trasmissione "Ballarò". Dopo l'intervento della professoressa Saraceno, che esalta le liberalizzazioni e rimbrotta il sottosegretario dello Sviluppo Economico, Claudio De Vincenti, per il dietrofront del governo Monti su quest'argomento ("non avete fatto una bella figura", afferma la Saraceno), prende la parola la Gelmini. La deputata del PDL si professa favorevole alle liberalizzazioni, ma secondo una logica che non sposti solo un po' di fatturato, magari verso le Cooperative Rosse. Francesco Pugliese contesta vivacemente le argomentazioni della Gelmini per la posizione del PDL a favore delle lobbies farmaceutiche (come è stato dimostrato dall'accorata lettera scritta dal senatore pidiellino D'Ambrosio Lettieri, Presidente dell'Ordine dei Farmacisti, e destinata al premier Mario Monti al fine di scongiurare la liberalizzazione delle farmacie). I toni della polemica si alzano quando Pugliese ricorda alla Gelmini che le Cooperative Rosse controllano soltanto 200 parafarmacie su 7000.


http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=0__jzbgqrEU

martedì 20 dicembre 2011