lunedì 2 gennaio 2012

Tangenti, truffe, abusi edilizi: l’incredibile storia del prete-manager Luigi Verzé. - di Mario Portanova



Era il 1978 quando Emma Bonino e Marco Pannella denunciavano in Parlamento la "gestione mafiosa del San Raffaele" e puntavano il dito contro il sacerdote "sospeso a divinis". La carriera del fondatore dell'ospedale lombardo, deceduto il 31 dicembre, è costellata di condanne e oscuri rapporti. Fino all'epilogo del crac e dell'inchiesta sui fondi neri. I legami con Berlusconi e con il Sismi di Pollari.


Don Luigi Verzè, fondatore del San Raffaele
Il denaro pubblico dato all’ospedale San Raffaele finisce “nelle mani di loschi gruppi di potere clericali che lo utilizzano per attività speculative e clientelari, sulla pelle degli ammalati”. Una denuncia durissima contro la “gestione mafiosa” dell’istituto, ma non è di oggi. Trentaquattro anni prima che l’ospedale milanese finisse travolto da un crac miliardario e dallo scandalo dei fondi neri messi da parte per beneficiari ancora da individuare, una pattuglia di deputati radicali metteva nero su bianco nei documenti della Camera un severo atto d’accusa contro l’allora poco conosciuto don Luigi Verzé e la sua impresa.

“Il Presidente del consiglio di amministrazione dell’ospedale San  Raffaele, ‘don’ Luigi Maria Verzé è stato sospeso a divinis dalla Curia milanese nel 1973”, si legge nell’interrogazione presentata tra gli altri da Emma Bonino e Marco Pannella il 4 aprile 1978. Don Verzé “è stato condannato dal tribunale di Milano a un anno e quattro mesi di reclusione per tentata corruzione in relazione alla convenzione con la facoltà di medicina dell’università Statale e la concessione di un contributo di due miliardi da parte della Regione. E’ stato incriminato di truffa aggravata nei confronti della signora Anna Bottero alla quale ha sottratto un appartamento del valore di 30 milioni”.

L’eccellenza in campo scientifico e sanitario che il San Raffaele ha conquistato nei decenni successivi è universalmente riconosciuta. Ma, al tempo stesso, la sua è una tipica storia italiana di scandali avvenuti sotto gli occhi di tutti, e che tutti (o quasi) hanno fatto finta di non vedere. Fino all’epilogo: il buco di bilancio da un miliardo e mezzo di euro, il concordato preventivo, l’inchiesta penale aperta dalla Procura di Milano che ha già accertato un giro milionario di denaro in nero tra i fornitori e i vertici dell’istituto, il tragico suicidio del direttore finanziario Mario Cal quando tutto questo cominciava a disvelarsi, la morte per infarto (al quale non tutti credono) del novantunenne fondatore don Verzé nell’ultimo giorno del 2011.

“L’ospedale San Raffaele ha iniziato la sua attività nel settembre del 1971, nonostante l’ufficiale sanitario ne abbia negato l’agibilità”, denunciavano i deputati radicali, e il riconoscimento ministeriale è arrivato nel 1972 “nonostante la ferma opposizione della Regione Lombardia”, il cui assessore alla Sanità aveva parlato di un “atto di pirateria politica”. Un riconoscimento arrivato nonostante una sfilza di irregolarità, secondo Bonino e Pannella, in merito alle attrezzature mediche alla gestione del personale. Fatti che inducevano i radicali a chiedere ai ministri competenti di “ricercare le connivenze e le responsabilità eventuali dell’amministrazione dello Stato che hanno determinato questa scandalosa situazione”.

L’ATTO D’ACCUSA DEI RADICALI NEL VERBALE DELLA CAMERA
Una carriera spregiudicata quella di don Luigi Verzé, il “prete manager” che preferiva il doppiopetto alla tonaca e il business alla liturgia. Un’indole che gli è costata la proibizione “di esercitare il sacro mistero”, decisa dalla Curia di Milano il 26 agosto 1964, e una sospensione a divinis del 1973. Dagli esordi a oggi, la parabola di don Verzé si intreccia con quella di Silvio Berlusconi. E’ la Edilnord di Berlusconi, a partire dal 1969, che sovraintende alla costruzione dell’ospedale San Raffaele, su un terreno di Segrate, poco distante dalla nascente Milano 2, acquistato dal Centro di assistenza ospedaliera Monte Tabor con 600 milioni di lire di fondi statali ottenuti grazie ai buoni uffici della Democrazia cristiana.

Tutta la vicenda urbanistica è segnata da accuse di abusi edilizi e tentativi di corruzione di politici locali, come racconta Giovanni Ruggeri in “Berlusconi. Gli affari del presidente” (Kaos edizioni 1994). Abusi che ricorrerrano nella folgorante espansione dell’ospedale. Nel 1998 don Verzè sarà condannato due volte dal Tribunale di Milano: a un mese di reclusione per aver fatto tirar su senza licenza una palazzina di tre piani per la nuova accettazione dell’ospedale, e a dieci giorni per aver proseguito i lavori nonostante la prima sentenza di colpevolezza. Il sacerdote evita il carcere grazie alla sospensione condizionale della pena.

Il duo Berlusconi-Verzé agisce all’unisono nel 1971, quando interviene presso il ministero dei trasporti perché il frastuono del traffico aereo del vicino aeroporto di Linate disturba la quiete dei degenti del San Raffaele e degli inquilini di Milano 2, che all’epoca sono appena 200. Con grande tempestività, Civiliavia impone lo spostamento del corridoio di uscita dei jet dallo scalo milanese. L’inquinamento acustico è così dirottato su un pugno di comuni dell’hinterland densamente popolati. Seguono proteste e petizioni, e la vicenda porterà alla condanna del direttore generale dell’Aviazione civile.

Il rapporto tra il prete-manager e l’imprenditore-politico resterà saldo nei decenni a venire. Per don Verzé, Berlusconi è “l’uomo mandato dalla Divina provvidenza”. Per Berlusconi, don Verzé è “un uomo raro, un grande imprenditore”. E’ al San Raffaele che l’allora presidente del consiglio viene ricoverato dopo essere stato ferito in faccia da una statuina del Duomo di Milano, il 13 dicembre 2009. E al San Raffaele lavora come igienista dentale Nicole Minetti, gran sacerdotessa delle “cene eleganti” di Arcore, arrivata in consiglio regionale lombardo dopo essere stata piazzate nel listino bloccato del governatore lombardo Roberto Formigoni.

Il 3 marzo 1977 il Tribunale di Milano condanna don Verzé per istigazione alla corruzione, per aver cercato di “comprare” l’assessore alla Sanità della Regione Lombardia, Vittorio Rivolta, per ottenere un contributo regionale di due miliardi di lire. Nelle motivazioni della sentenza, il prete manager è definito “un imprenditore abile e spregiudicato, inserito in ambienti finanziari e politici privi di scrupoli sul piano etico e giuridico-penale”. La condanna sarà cancellata dalla prescrizione del reato.

Una divina provvidenza che salverà don Verzé da altre due condanne: per truffa – il caso Bottero citato da Bonino e Pannella nell’interrogazione del 1978 – e per concorso in ricettazione. Quest’ultima vicenda si riferisce a un quadro, una Madonna piangente davanti a Cristo, rubato da una chiesa napoletana e riapparso a Segrate in una cascina annessa al San Raffaele. Nel 2005 don Luigi Verzè è stato condannato a un anno e quattro mesi. L’11 gennaio 2011 la Cassazione ha sancito la prescrizione, senza però assolvere nel merito il fondatore dell’istitituto ospedaliero, come richiesto dai suoi legali. Perché, si legge nelle motivazioni, “il giudice del rinvio ha correttamente fornito un’ampia e consistente giustificazione, spiegando in modo ragionevole che don Verzè era al corrente della provenienza illecita dei quadri”.

Nei suoi 91 anni di vita, il fondatore del San Raffaele ha saldato legami di ferro con i vertici del potere lombardi e non solo. Un’inchiesta della Procura di Milano su una vicenda esterna al San Raffaele ha documentato un rapporto confidenziale con il generale Niccolò Pollari, allora direttore del Sismi, con il quale tra l’altro don Verzé discute su come intimidire i titolari di un impianto sportivo confinante con l’ospedale, che non vogliono rassegnarsi a sloggiare per far spazio a un’ulteriore espansione dell’istituto. Mentre – proprio in una lettera a Berlusconi – si professa “uomo fedele e leale di don Verzé” Pio Pompa, ex collaboratore del San Raffaele passato al servizio segreto militare, finito al centro dello scandalo su dossieraggi e depistaggi ai danni di magistrati e giornalisti. Tra il Sismi e il San Raffaele intercorrono controversi affari immobiliari.

La fine della storia sta cercando di scriverla la Procura di Milano, nell’inchiesta scaturita dal crac finanziario emerso l’estate scorsa, che vedeva tra gli indagati lo stesso don Verzé. Le testimonianze di manager e fornitori del San Raffaele hanno fatto emergere un sistema di sovrafatturazioni sugli acquisti di beni e servizi, in vigore durante la gestione del prete manager, studiato per creare riserve di fondi neri che tornavano nelle casse dell’istituto. I magistrati stanno cercando di capire chi fossero i destinatari di questo fiume sotterraneo di denaro. In carcere è finito tra gli altri Pierangelo Daccò, intermediario d’affari ritenuto uomo di collegamento con le istituzioni.

Nel lontano 1978, i guastafeste radicali avevano visto lungo. Poi, per più di trent’anni, molti hanno chiuso gli occhi.



Ha intenzione di sparare a chi non gli dona l'8xmille???????



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Satira feroce, ma non troppo...



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domenica 1 gennaio 2012

"Ti farò assumere alla Camera". Stop alla maxi truffa da 2 milioni. - dI MARIA ELENA VINCENZI



"Ti farò assumere alla Camera"  Stop alla maxi truffa da 2 milioni



A decine hanno pagato cifre che vanno dai 10 ai 120 mila euro per figli, amici, parenti in Parlamento. In cinque rischiano il processo, la mente dell'imbroglio era un giornalista pubblicista ex militante del Msi.


Tutto era cominciato il giorno in cui lui, Giancarlo Battista, giornalista pubblicista ed ex militante del Msi, si era presentato davanti ai carabinieri per denunciare Italo Bocchino. Il quale, aveva detto ai militari di via In Selci, si faceva pagare in cambio della promessa di assumere persone alla Camera dei Deputati. Un truffa di cui Battista, secondo la denuncia, era il braccio operativo e Bocchino la mente. Accuse che, ben presto, si sono rivelate false. Falsi i reati di cui il giornalista accusava l'onorevole di Fli, falsa la carta intestata e i timbri di Montecitorio, false anche le registrazioni audio che aveva portato agli inquirenti per incastrare la sua vittima: la voce registrata non era quella del vicepresidente del partito guidato da Gianfranco Fini. Per questo oggi a Battista viene contestata la calunnia. 
Ma le indagini, condotte dai carabinieri del nucleo investigativo e coordinate dal procuratore aggiunto Alberto Caperna, hanno messo in luce una truffa ben più ampia. Per cui ora, Battista e altri suoi 4 collaboratori (Massimiliano Polselli, Giorgio Limardi, Gianfranco Trionfetti, Raffaello Zavaldi) rischiano di finire a processo: è stato notificato in questi giorni l'avviso di chiusura indagini, atto che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio. I reati contestati, a seconda dei singoli casi, sono associazione per delinquere, la truffa aggravata, la sostituzione di persona, la calunnia e il favoreggiamento. False promesse che hanno tratto in inganno molte persone: le vittime citate nell'avviso di conclusione indagini sono cinquantuno.
Tanti coloro che hanno pagato cifre che vanno dai 10 ai 120 mila euro per far assumere figli, amici, parenti alla Camera fidandosi della parola di Battista&Co. che esibivano finti tesserini di Montecitorio, millantavano amicizie con politici e, a fronte dei pagamenti, rilasciavano falsi decreti di assunzione come assistente o consigliere parlamentare su carta intestata. Anche quella falsa. Una truffa in piena regola a cui non mancavano nemmeno i biglietti da visita contraffatti che ha portato nelle tasche dell'associazione quasi due milioni e mezzo di euro. A fronte di contratti che poi non si sono mai concretizzati. E se il Parlamento era lo specchietto per le allodole, non sono mancate altre "promesse", quali ad esempio assunzioni presso la Asl o presso la Banca Nazionale del Lavoro. Anche in quel caso, tutto falso. 

La Thatcher e le uova di struzzo. - di Marco Lillo




Non mi sono mai stati simpatici i cronisti politici che volano in giro per il mondo insieme a presidenti e ministri, mangiano in comitiva e si scambiano battutine pettegole su fatti che mai racconteranno ai loro lettori, appagati solo dal privilegio di conoscerli.

Per un breve periodo della mia vita ho vissuto ai margini di quel circo come giovane inviato di una radio. Non ho mai visto un cronista mettere in difficoltà un politico con una domanda vera in conferenza stampa. I colleghi di solito aspettavano con ansia il proprio momento per apparire arguti e brillanti. Il loro obiettivo non era una risposta che profumasse di notizia ma un cenno di apprezzamento dal potente di turno da mostrare come un trofeo ai colleghi presenti. Mi ha sempre sorpreso la cupidigia dei presunti cacciatori che amano farsi preda. Quando mi trovo per sbaglio a Montecitorio e li vedo passeggiare in Transatlantico a braccetto con il ministro indagato per mafia o con il sottosegretario che si è venduto nella notte, osservo con attenzione i loro sguardi paraculi e complici.

Il potere dovrebbe temere la stampa mentre invece i due mondi si strusciano come gatti sfruttandosi a vicenda. Ciascuno è convinto di fregare l’altro ma in realtà entrambi fregano il lettore e l’elettore. La cronaca politica ha un ruolo fondamentale in un paese democratico ma a me, per come è fatta oggi, sembra  un mestiere antico come la prostituzione e necessario come il becchino, non un bel mestiere.

Ne ho avuto l’ennesima conferma osservando il video della conferenza stampa di fine anno di Mario Monti. Il nostro Stefano Feltri ha posto una domanda precisa che ne conteneva al suo interno tre. Se Monti avesse risposto tutti i giornali avrebbero avuto una notizia da comunicare ai lettori. Feltri chiedeva in sostanza:
1) Cosa ha intenzione di fare Mario Monti, ministro dell’economia e quindi competente direttamente su nomina e revoca, con il direttore dell’Agenzia del Territorio dopo aver letto quello che ha scrittoil Fatto sulle sue note spese?
2) Cosa intende fare Monti nella vicenda della procedura di assegnazione delle concessioni delle slot machine, altro settore rimesso al suo controllo diretto, che stanno per essere donate ai re del giocosenza l’esborso di un solo euro?
3) Cosa intende fare per impedire alla Regione Lazio di pagare vitalizi scandalosi ai propri consiglieri?

Monti non ha risposto a una sola di queste domande e ne è uscito scartando di lato con imbarazzo celato dall’ironia.

Potevamo aspettarcelo, ha fatto lo stesso sull’accordo con la Svizzera per il rientro dei capitali, sul beauty contest e sulle altre rare domande poste dai colleghi. Meno scontata era la reazione dei giornalisti presenti. Al primo accenno di ironia di Monti sul suo interesse alle “uova di struzzo” hanno cominciato a ridacchiare, pronti immediatamente a solidarizzare con il premier. Quella risata è per me l’ennesima conferma del vizio genetico del giornalismo politico italiano, un po’ troppo politico e poco giornalismo.

Si dirà che è un’inezia, che in quella conferenza si parlava di temi ben più alti e che i colleghi non avevano nemmeno letto sul Fatto (anche se era il titolo di apertura in prima pagina) le notizie sull’enorme cifra (oltre un milione di euro) spesa dall’agenzia diretta da Gabriella Alemanno in cene, oggettistica e convegni per rappresentanza e comunicazione. Si dirà che qualcuno avrà pensato si trattasse solo dei 3000 euro spesi per le uova. Eppure io penso che dietro quella risata ci sia di più: c’è la voglia repressa dei colleghi di stare dall’altra parte. I giornalisti che ridacchiavano dandosi mentalmente di gomito con il potere non sono, non vogliono essere e non saranno mai un contropotere rispetto al capo dell’esecutivo, qualunque sia la maggioranza che lo sostiene. Quei giornalisti non si sentono e non vogliono diventare cani da guardia del potere. Non hanno nessuna intenzione di marcare stretto il Governo per tutelare gli interessi dei cittadini controllando l’uso dei soldi pubblici.

La conferma è nei loro articoli nei giorni seguenti: ampio spazio all’humour di Monti in merito alle “uova di struzzo”, nessuna spiegazione sullo sperpero dei soldi pubblici e sull’antefatto e sulle note spese e fatture per oltre un milione di euro, delle quali le uova erano solo l’esempio più divertente e inquietante.

Le ancelle gaudenti del potere non hanno ritenuto di spiegare ai lettori perché l’oscura Agenzia del territorio debba spendere 42 mila euro per sponsorizzare Cortinaincontra più altri 800 euro per far mangiare miss Alemanno e il fratello sindaco con altri commensali dopo il convegno. Né hanno parlato delle migliaia di euro pagati allo chef Filippo La Mantia e alla Bottega di Montecitorio dalla direttrice di quel catasto che a breve aumenterà le rendite e quindi le tasse ai cittadini.

In compenso sui giornali dei giorni seguenti c’erano paginate con tutti i dettagli e persino le fotocopie delle note spese di un politico. Ovviamente non era italiano ma inglese. Le note spese non erano quelle odierne di Miss Gabriella Alemanno ma quelle del 1981 di Miss Margaret Thatcher, la lady di ferro che aveva preteso di pagare da sola il suo asse da stiro quando era premier. Nonostante Il Fatto avesse messo a disposizione sul sito internet centinaia di pagine di note spese originali dell’Agenzia del Territorio, nessuno quotidiano ha pensato a fare un banale collegamento tra le due notizie. E invece un collegamento c’è: se in Gran Bretagna un premier deve pagarsi persino l’asse da stiro da 19 sterline mentre in Italia l’oscuro direttore del Catasto può sperperare 64 mila euro per sponsorizzare il meeting di Rimini di CL, 8 mila euro per fare pubblicità sulla rivista Tempidi Luigi Amicone, 1300 euro per comprare 12 bicchieri di vetro soffiato, 3 mila euro per decorare le uova di struzzo e quasi 2 mila euro per sponsorizzare la commedia sociale britannica “We want sex”, la colpa è anche di quelle risatine in conferenza stampa.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/01/thatcher-uova-struzzo/181039/

Considerazione per il 2012.



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Cancro, creato l’anticorpo in grado di evitare il formarsi delle metastasi.


I ricercatori dell'Istituto svizzero per la ricerca sperimentale sul cancro (ISREC) hanno scoperto che è la periostina a favorire la diffusione del tumore maligno e sperimentato le contromosse. Che sulle cavie da laboratorio funzionano. Ora toccherà ai test sull'uomo.

Il ricercatore svizzero Joerg Huelsken
Per diffondersi dal suo punto di origine in altre parti del corpo, il tumore ha bisogno di una proteina prodotta naturalmente dal nostro organismo. Si chiama “periostina“, conosciuta già da tempo per avere un ruolo importante nello sviluppo fetale e attiva negli adulti solo in organi specifici (ad esempio nelle ghiandole mammarie, nelle ossa, nella pelle e nell’intestino). Ma quando si è colpiti da un cancro è proprio questa proteina, inizialmente innocua, che prepara il terreno all’invasione delle cellule tumorali. A scoprirlo è stato uno studio dell’Istituto svizzero per la ricerca sperimentale sul cancro (ISREC), pubblicato sulla rivista Nature.

I ricercatori hanno isolato la proteina e hanno creato un anticorpo in grado di bloccarla sbarrando la strada alle metastasi. Nelle sperimentazioni condotte sui topolini non sono stati riportati effetti collaterali gravi. Ma per capire come funziona questa nuova strategia bisogna conoscere il meccanismo attraverso il quale si sviluppano i cosiddetti tumori secondari. Le metastasi si sviluppano quando le cosiddette “cellule staminali del cancro” riescono a trovare una sorta di “nicchia” entro la quale proliferare. Ma per farlo hanno bisogno della periostina che prepara quindi l’ambiente ideale che ospiterà le metastasi.

“Senza questa proteina, la cellula staminale del cancro non può dar luogo a metastasi”, ha spiegato Joerg Huelsken, autore principale dello studio. Il ricercatore, insieme al suo team di ricerca, è infatti riuscito a dimostrare che bloccando l’azione della periostina è possibile prevenire l’insorgenza di tumori secondari.

“Abbiamo sviluppato un anticorpo che aderisce a questa proteina, rendendola inoperativa, e speriamo in questo modo di essere in grado di bloccare il processo di formazione delle metastasi”, ha spiegato Huelsken. Sui topolini ha funzionato. Ora il prossimo passo è trovare un anticorpo analogo efficace e sicuro anche per gli esseri umani. Riuscire in questa impresa significa poter finalmente disporre di una nuova strategia terapeutica che riesce a confinare il tumore nel suo punto di origine, aumentando le possibilità per i pazienti di sconfiggerlo e sopravvivere.

di Emanuele Perugini per PianetaScienza.it