lunedì 9 gennaio 2012

I MILIARDARI CHE SPECULANO SULL’AVVENIRE DEL PIANETA.




Carlos Slim



Possiedono compagnie petrolifere, gasdotti, miniere, acciaierie e anche i media. Influenzano governi e istituzioni per impedire qualsiasi regolamentazione che sia troppo stringente. 
E sono tra le persone più ricche al mondo. Un rapporto di un centro di ricerca degli Stati Uniti li considera, a causa del loro potere e dell’inquinamento generato dalle loro attività, la più grande minaccia che pesa sull’ambiente e sul clima. Chi sono questi multimiliardari che costruiscono la loro fortuna ipotecando l’avvenire del pianeta?
Sono cinquanta. Cinquanta miliardari su cui viene puntato il dito per la loro responsabilità nella degradazione del clima. Traggono le loro ricchezze da attività molto inquinanti e non esitano a spendere milioni per influenzare i governi e la pubblica opinione. Le loro ricchezze cumulate assommano a 613 miliardi di euro. 
In 50 hanno un peso finanziario superiore ai i Fondi europei di stabilità che sono stati creati per difendere l’eurozona – 17 paesi – contro la speculazione. Questo per dire la forza che possiedono. È questa aberrante concentrazione di potere che viene denunciata da rapporto del Forum Internazionale della Globalizzazione (IFG), un istituto indipendente insediato a San Francisco che raggruppa economisti e ricercatori tra cui l’indiana Vandana Shiva o il canadese Tony Clarke, noti per le loro battaglie contro gli abusi delle multinazionali.
Il loro voluminoso rapporto, Outing The Oligarchy [1], ha l’obiettivo “di attirare l’attenzione del pubblico sugli individui ultraricchi che traggono sempre più profitto – e che sono più responsabili – dell’aggravamento della crisi climatica“. Per l’inquinamento da loro provocato e dalle pressioni che esercitano per difendere i combustibili fossili, questo gruppo di miliardari costituisce, secondo l’IFG, “la più importante minaccia che pesa sul nostro clima“. L’istituto ha deciso di fare i nomi di coloro che formano questa minaccia. Siccome è il 99% a subire le conseguenze del loro arricchimento smisurato – per riprendere la formula del movimento Occupy Wall Street – deve sapere chi stiamo parlando. Una sorta di “outing” forzato.
L’uomo che valeva 63,3 miliardi
Questi cinquanta miliardari sono statunitensi, russi, indiani o messicani. Ma anche brasiliani, cinesi, di Hong Kong o israeliani. Alcuni sono molto conosciuti in Europa: Lakshmi Mittal, Presidente del gigante della metallurgia ArcelorMittal, Rupert Murdoch, il magnate dei media anglosassoni, Silvio Berlusconi, l’ex Primo ministro italiano con 6 miliardi di dollari, Roman Abramovich, proprietario del club calcistico del Chelsea. Altri sono anonimi per chi non è un lettore assiduo della classifica delle grandi ricchezze pubblicate dalla rivista Forbes. Da anonimi riescono a non farsi notare. Possiedono compagnie petrolifere, miniere, media, un esercito di guardie del corpo.
Prendete il Messicano Carlos Slim, l’uomo più ricco del mondo (63,3 miliardi di dollari) che ha approfittato pienamente della privatizzazione della compagnia pubblica Telmex. Detiene 222 imprese in tutto il mondo – nelle telecomunicazioni, nel settore bancario, nell’industria mineraria, nell’energia, nella ristorazione o nel campo sanitario – che impiegano 250.000 persone e generano un fatturato annuo di 386 miliardi di dollari. Tanto che è “quasi impossibile trascorrere una giornata in Messico senza contribuire ad arricchire Carlos Slim, sia che una persona stia telefonando, mangiando in uno dei suoi ristoranti o depositando del denaro in banca“. È come se ogni Messicano gli versasse 1,5 dollari al giorno.
“Una gran parte dalla ricchezza di Carlos Slim deriva dalle sue holding industriali devastanti in campo ambientale“, denuncia il rapporto. Trasferimento forzato delle popolazioni per costruire le dighe, contaminazione di suoli con l’arsenico, distruzione di villaggi, pessime condizioni lavorative. Sembra che le industrie di Carlos Slim non indietreggino davanti a niente. “Le sue collaborazioni, come le sue attività in campo sanitario col governo spagnolo e l’influente Bill Gates, gli permettono di costruirsi e di curare un’immagine positiva dietro la quale può dissimulare l’evidenza dei danni ambienti e umani dei suoi progetti minerari o petroliferi“, denunciano i ricercatori dell’IFG.
Le nuove oligarchie emergenti
Perché questi cinquanta e non Bill Gates (secondo patrimonio al mondo) o Bernard Arnault (il più ricco francese, quarto mondiale)? I miliardari che corrispondono a tre criteri hanno attirato l’attenzione degli analisti: la ricchezza complessiva (misurata dalla rivista Forbes), i danni ecologici e le emissioni di carbonio generati dalle loro attività economiche [2] e il loro sostegno, palese o nascosto, ai politici che favoriscono le attività con forti emissioni di CO2, come l’industria petrolifera. Risultato: i miliardari dei paesi emergenti sono quelli più rappresentati. Si contano solamente due europei, Russia a parte – Silvio Berlusconi e il cipriota (ex-norvegese) John Fredriksen, un armatore che ha costruito la sua fortuna grazie alla sua flotta di petroliere – tra cui ci sono 13 russi, 9 indiani, 3 messicani e 2 brasiliani.
I grandi ricchi europei sarebbero più virtuosi dei loro omologhi dei paesi emergenti? Non necessariamente. La deindustrializzazione e la finanziarizzazione delle economie del Nord le hanno resi meno inquinanti. E i nuovi megaricchi dei vecchi poteri industriali costruiscono oggi la loro fortuna sulla speculazione finanziaria o le nuove tecnologie dell’informazione (Internet). Ciò non rende il loro accumulo di ricchezza meno osceno, solo un po’ meno devastatore. Gli autori del rapporto non esonerano quindi le vecchie dinastie industriali europee dalle loro responsabilità in materia ambientale. Ma, a parte alcuni magnati petroliferi statunitensi, non fanno più parte di questa nuova “oligarchia dei combustibili fossili” che tenta di dettare legge nel campo della produzione energetica, dell’estrazione mineraria e dell’inquinamento. Alcuni miliardari della vecchia scuola, come Warren Buffet, adottano anche delle posizioni piuttosto progressiste se comparate al cinismo ambientale che regna in seno alla loro casta.
Da Goldman Sachs ad ArcelorMittal
Il prototipo di questi nuovi miliardari senza scrupoli: Lakshmi Mittal. Malgrado una fortuna stimata in 19,2 miliardi di dollari, il padrone di Arcelor continua a svuotare di operai gli altiforni francesi ed europei. Non per la preoccupazione di inquinare meno, ma per ” razionalizzare” i costi e approfittare dei paesi dove la regolamentazione pubblica è debole o inesistente. La sua rete di influenza è tentacolare, e arriva fuori dal campo siderurgico: a Wall Street, dove siede nel consiglio di amministrazione di Goldman Sachs, una delle banche più potenti del mondo; in Europa (consiglio di amministrazione di EADS), passando dall’Africa meridionale, il Kazakistan o l’Ucraina.
Come si esercitano concretamente le influenze e la lobby di questi cinquanta mega-inquinatori? Dagli Stati Uniti alla conferenza sul clima di Durban, i fratelli Koch sono diventati degli esperti in materia. Con una fortuna stimata in 50 miliardi di dollari, David e Charles Koch sono alla testa di un vasto conglomerato di imprese che operano principalmente nel settore petrolchimico. I loro dollari si accumulano per milioni grazie alle loro partecipazioni negli impianti che trasportano il petrolio, il gas, i prodotti petroliferi raffinati o anche i concimi chimici. La maggior parte delle attività di Koch Industries, la cui sede è in Kansas, sono ignorate del grande pubblico, eccetto alcuni prodotti come i cotoni DemakUP® o ancora la carta igienica Lotus®. Charles e David Koch hanno alle spalle una lunga storia di impegno politico conservatore e libertariano. Suo padre, Fred Koch, fu uno dei membri fondatori del John Birch Society che sospettava il presidente Eisenhower di essere un agente comunista. Nel 1980 i due fratelli hanno finanziato la campagna del candidato Ed Clark che si presentava alla destra di Reagan. Il loro programma suggeriva l’abolizione dell’FBI, della Sicurezza Sociale o del controllo sulle armi.
I milioni per gli scettici del clima
Considerata come uno dei “primi dieci inquinatori dell’atmosfera negli Stati Uniti” dall’università del Massachusetts, Koch Industries è stata denunciata sotto l’amministrazione Clinton per più di 300 sversamenti in mare in sei Stati federati, prima di accordarsi per una multa di 30 milioni di dollari nel gennaio del 2000. I fratelli Koch riservano un sostegno incondizionato alla cerchia degli scettici del clima che negano il cambiamento climatico. Tra il 2005 e il 2008 hanno speso più denaro della compagnia petrolifera statunitense Exxon Mobil – 18,4 milioni di euro – per finanziare alcune organizzazioni che, secondo Greenpeace, “diffondono notizie errate e false a proposito della scienza del clima e delle politiche in materia energetica“.
In occasione della riunione di Durban, Greenpeace ha inserito i fratelli Koch tra i primi dodici dirigenti di imprese inquinanti che operano in sintonia per minare un accordo internazionale sul clima. Concedono enormi sovvenzioni alle associazioni industriali come l’American Petroleum Institute, un organismo che rappresenta le compagnie petrolifere americane. Anche se il loro ruolo nei negoziati del clima è importante, i fratelli Koch vogliono rimanere nell’ombra. Charles Koch ha dichiarato che bisognerebbe “passargli sul corpo” prima di vedere la sua società quotata in Borsa. Senza una quotazione, la società non ha l’obbligo di pubblicare le sovvenzioni accordate alle diverse organizzazioni. Una situazione ideale per praticare nell’ombra un lobbying intenso. L’azienda ha versato così più di un milione di dollari all’Heritage Foundation, un “pilastro della disinformazione sui problematici climatici e ambientali“, secondo Greenpeace.
I fratelli Koch avrebbero largamente partecipato all’amplificazione del “Climategate” nel novembre del 2009. Questo scandalo era stato scatenato dalla pirateria e dalla diffusione di una parte della corrispondenza dei climatologi dell’università britannica di East Anglia. I Koch hanno finanziato alcuni organismi, come il think tank della destra radicale Cato Institute – di cui sono cofondatori – per montare questa iniziativa, mettendo in dubbio l’esistenza del riscaldamento. Altro fatto essenziale: in risposta al documentario del vicepresidente Al Gore sul cambiamento climatico, i due miliardari hanno versato 360.000 dollari al Pacific Research Institute for Public Policy per il film An Inconvenient Truth… or Convenient Fiction, un libello assolutamente climatoscettico.
Il petrolio nel Tea Party
Koch Industries ha anche iniziato un anno fa una campagna referendaria che vuole impedire l’entrata in vigore della legge californiana per la lotta al il cambiamento climatico (la “AB32″). La loro posizione: lo sviluppo di energie proprie in California costerebbe molti fondi allo stato. Insieme ad altri gruppi petroliferi, i fratelli Koch ci hanno investito un milione di dollari. La loro proposta è stata alla fine rigettata e la legge impone oggi alla California una riduzione del 25% delle emissioni di gas ad effetto serra di qui al 2020 (per tornare al livello del 1990). Malgrado questa sconfitta, il comitato di azione politica di Koch Industries, KochPac, ha continuato a praticare intense pressioni a Washington per ostacolare ogni legge che limitasse le emissioni di gas serra. Secondo il rapporto di Greenpeace, il comitato ha speso più di 2,6 milioni di dollari nel 2009-2010 per condizionare il voto sulla legge Dodd-Frank che ha l’obbiettivo di una maggiore regolazione finanziaria.
I fratelli Koch finanziano anche il Tea Party dei conservatori e partecipano al gruppo Americans for Prosperity (AFP). Creato nel 2004, l’AFP è all’origine di numerose manifestazioni contro l’amministrazione Obama, in particolare contro il suo progetto di tassa sul carbonio. Siccome la Corte Suprema ha tolto nel gennaio 2010 i limiti al finanziamento delle campagne elettorali nazionali da parte delle imprese, i Koch sembrano pronti a investire ancora più denaro nel Tea Party in vista delle elezioni del 2012. Il loro lobbying è così tentacolare che sono soprannominati “Kochtopus”, un gioco di parole che unisce il loro cognome a quello della piovra (octopus in inglese).
Il 99% sacrificato dall’1%?
Per restringere il potere di queste nuove plutocrazie e di queste ricchezze smisurate, il rapporto dell’IFG raccomanda una serie di misure fiscali per assicurare una vera distribuzione della ricchezza: indicizzare gli alti stipendi a quelli più bassi, aumentare l’imposizione sugli alti redditi o tassare le transazioni finanziarie. Sono quindi necessarie nuove leggi per impedire queste enormi concentrazioni societarie e per evidenziare i danni ambientali che provocano.
C’è un’urgenza: “Un aumento di 4°C della temperatura mondiale […] è una condanna a morte per l’Africa, per i piccoli Stati insulari, per i poveri e le persone vulnerabili di tutto il pianeta, avverte Nnimmo Bassey, presidente degli Amici Internazionali della Terra a Durban: “Questa riunione ha amplificato l’apartheid climatico. L’1% più ricco del pianeta ha deciso che era accettabile sacrificare il 99%“. Ciò significa che gli Stati, i governi e i cittadini devono riprendere in mano la situazione. Nel frattempo, sono sempre più sotto pressione di quei “mercati finanziari” di cui questi cinquanta multimiliardari sono attori imprescindibili.

Considerazioni...



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Cosentino e i legami con i colletti bianchi della camorra casalese: ecco le foto dell'incontro.




Martedì la giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera esprimerà il proprio voto sulla richiesta di autorizzazione all’arresto inoltrata dal giudice per il coordinatore campano del Pdl - di Amalia De Simone.






NAPOLI - La settimana che si apre dovrebbe essere decisiva per l’immediato futuro del coordinatore campano del Pdl Nicola Cosentino. Martedì la giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera esprimerà il proprio voto sulla richiesta di autorizzazione all’arresto inoltrata dal giudice delle indagini preliminari di Napoli Egle Pilla che nello scorso mese di dicembre ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del deputato, accogliendo la richiesta della Procura antimafia di Napoli che indaga sul riciclaggio, attraverso attività imprenditoriali, dei capitali appartenenti ai clan camorristici di Casal di Principe. Riciclaggio che, secondo le ipotesi dell’accusa, Cosentino avrebbe favorito quando ancora ricopriva l’incarico di sottosegretario all’Economia con delega al Cipe nel governo Berlusconi, facendo pressioni sui funzionari dell’Unicredit affinché sbloccassero la pratica relativa a un prestito di cinque milioni e mezzo di euro in favore dell’imprenditore Nicola Di Caterino, cugino di due potenti capiclan come i fratelli Giuseppe e Massimo Russo.
Cosentino e i legami con la camorra: le fotoCosentino e i legami con la camorra: le foto    Cosentino e i legami con la camorra: le foto    Cosentino e i legami con la camorra: le foto    Cosentino e i legami con la camorra: le foto    Cosentino e i legami con la camorra: le foto
L’ingente cifra, che sarebbe dovuta servire per realizzare un centro commerciale nella zona di Casal di Principe, era stata chiesta da Di Caterino presentando una falsa fideiussione, e la pratica si era quindi arenata. Ma grazie all’intervento di Cosentino - sostiene la Procura con argomentazioni ritenute convincenti dal gip - la questione fu rapidamente sbloccata, anche se poi il centro commerciale (per il quale l’impresa di Di Caterino avrebbe ottenuto le necessarie licenze pur in violazione delle norme edilizie, sempre grazie alle pressioni di Cosentino sui responsabili dell’ufficio tecnico comunale) non fu mai realizzato.
La Procura antimafia ritiene l’incontro tra il parlamentare di Casal di Principe e i funzionari di Unicredit fondamentale per stabilire il legame tra Cosentino e i colletti bianchi della camorra casalese. Perciò quel 7 febbraio del 2007 davanti agli uffici della banca in via Po a Roma c’erano anche gli investigatori della Dia, che raccolsero il materiale fotografico riportato in esclusiva da Corriere.it. Insieme a Cosentino si riconosce perfettamente il presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro, anch’egli parlamentare del Pdl, e anch’egli indagato dalla Dda, che però non ha chiesto nei suoi confronti alcun provvedimento cautelare. Per Cosentino, invece, quella su cui la giunta voterà martedì (e che dovrebbe andare in Aula l’11 o il 12) è la seconda richiesta d’arresto, dopo quella, mai concessa, per concorso esterno in associazione camorristica, reato per il quale il deputato è attualmente sotto processo davanti al tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Quando il 21 dicembre scorso la giunta per le autorizzazioni a procedere si spaccò tra chi voleva votare subito e chi puntava alla riunione di martedì, la Lega appoggiò i vecchi alleati del Pdl facendo prevalere l’opzione del rinvio. I suoi due rappresentanti, i deputati Paolini e Follegot, dissero di aver agito «secondo buonsenso» perché preferivano avere «più tempo per leggere le carte appena arrivate in giunta». Ora, per decidere, hanno a disposizione anche le foto, e non solo quelle: alla Camera è stata depositata anche la recentissima ordinanza del tribunale del riesame di Napoli che ha respinto il ricorso di Cosentino contro l’ordinanza di arresto, dando quindi un’ulteriore conferma alla validità di quel provvedimento sul quale ora l’ultima parola tocca alla politica.

Da avvocati, tassisti e petrolieri i primi dubbi sul «piano Passera».

Settimana chiave per il confronto. Malumori pdl, vertice con Alfano.

Corrado Passera, il ministro per lo Sviluppo Economico

ROMA - Gli avvocati si preparano a una resistenza silenziosa fatta a colpi di emendamenti che sarà affidata ai numerosi legali eletti in Parlamento (in entrambi gli schieramenti); i tassisti hanno cominciato a convocare assemblee in vista di una manifestazione nazionale a Roma per sabato prossimo; i petrolieri - raccontano gli insider in Confindustria - cercano un incontro riservato con il ministro Corrado Passera per tentare di scongiurare le misure per la diffusione dei distributori di benzina indipendenti o multimarca; i commercianti mettono sul tavolo la chiusura di 80 mila esercizi commerciali.
Si apre oggi una settimana di grandi manovre e trattative sul tema delle liberalizzazioni, che sta causando non pochi maldipancia nel Pdl. Il premier Mario Monti entro questa settimana o al massimo entro la successiva vuole portare in Consiglio dei ministri il primo decreto. E sarà solo l'inizio, perché l'intenzione, svelata ieri dal ministro Corrado Passera in un'intervista al Corriere , è di approvare un decreto al mese per liberalizzare un po' tutti i settori dell'economia: dalle professioni ai servizi pubblici locali; dalle farmacie ai taxi; dalle autostrade all'energia; dagli aeroporti alle ferrovie.
L'esecutivo dovrebbe ricalcare il piano d'azioneindividuato dall'Antitrust nella segnalazione inviata a governo e parlamento il 5 gennaio. Lo strumento del decreto legge è stato individuato per cercare di blindare il testo dall'assalto delle lobby. Mario Monti vuole portare a Bruxelles misure concrete già approvate, al Consiglio d'Europa di fine mese. Il premier ha chiesto ai propri collaboratori di mantenere il massimo riserbo sui contenuti del decreto.
Secondo le indiscrezioni si dovrebbe partire con un provvedimento che definirà il cronoprogramma del piano generale, ma anche i primi interventi concreti per liberalizzare la rete dei carburanti per arginare il caro-benzina, che rappresenta una vera e propria urgenza. L'obiettivo di questa misura è duplice: dare un segnale alle famiglie già colpite dai sacrifici della manovra e al tempo stesso cercare di evitare spinte inflattive a catena (sui prodotti trasportati su gomma), che potrebbero avere effetti pesantissimi sui consumi già in crisi. Inoltre, se il caro-benzina non si fermasse, si rischia il boomerang sui conti pubblici: i consumi petroliferi sono in calo, se la tendenza dovesse accentuarsi il Tesoro sarà costretto a rivedere le stime delle entrate legate alle accise sui carburanti.
L'altra misura immediata dovrebbe riguardare le banche: e cioè è possibile che scatti subito il divieto di vendere polizze assicurative degli stessi istituti abbinate ai mutui per l'acquisto delle case.
Una pratica, questa adottata dalle banche, che ha fatto lievitare i costi dei finanziamenti in un periodo già caratterizzato dalla difficoltà di accesso al credito, per di più con il mercato immobiliare che dopo il boom degli anni passati ha incassato una brusca battuta d'arresto. «Ci saranno anche altre misure importanti con effetti immediati sull'economia», assicurano da palazzo Chigi.
Il problema sarà sconfiggere le resistenze che in passato avevano già mandato in fumo i progetti di liberalizzazione dell'allora ministro Pierluigi Bersani. Il leader dei tassisti Loreno Bittarelli avverte: «Se il governo Monti recepisse il progetto dell'Antitrust non sarebbe più un governo tecnico, ma un governo politico». Il centrosinistra, pur con qualche voce di dissenso, sembra pronto a sostenere il governo in questo percorso, anche se l'Italia dei valori annuncia barricate contro eventuali «privatizzazioni dell'acqua». Nel centrodestra invece i maldipancia sono ogni giorno più numerosi. Domani si riuniranno i vertici del Pdl alla presenza del segretario Angelo Alfano per decidere la linea. L'ex premier Silvio Berlusconi, secondo i rumors, sarebbe irritato per l'uso del decreto legge. «Devono trattare con noi», si sarebbe sfogato proprio con Alfano. In particolare il Pdl, pur chiedendo con forza la liberalizzazione dei servizi pubblici, frena su professioni, taxi e farmacie.

Per la Befana Buontempo in auto blu con la famiglia.


L'assessore: “Faccio degli incontri istituzionali con persone che non gradiscono farlo sapere” - Luca Chianca e Francesca Mannocchi






Il regolamento della regione Lazio parla chiaro: “E' vietato trasportare sui mezzi persone estranee all’amministrazione regionale”. In questi giorni di feste, l'assessore per la Casa della Regione Lazio Teodoro Buontempo ha deciso di passare il giorno della Befana anche con la famiglia. Così venerdì 6 gennaio è partito per Perugia dal paese dove risiede a sud di Roma, Montecompatri, con la moglie, la figlia e l'autista che la Regione gli mette a disposizione per il suo ruolo istituzionale. Il problema è che di istituzionale nella trasferta in auto blu a spese dei contribuenti sembrava ci fosse ben poco, e infatti si trincera dietro un generico: “devo vedere delle persone con le quali devo parlare di lavoro”.
Chi fossero le persone però non ce l'ha dettoné ci ha consentito di documentare i suoi incontri. Poco prima delle 17 ci richiama al cellulare informandoci che si trova fuori la sede della Regione – chiusa per le feste – in compagnia del consigliere regionale Pdl Rocco Valentino. I due si conoscono da una vita, visto che il consigliere umbro in passato ha fatto parte del comitato centrale del Movimento sociale in cui per anni ha militato Buontempo.
Dopo una mezz'oretta il solerte assessore ci chiama nuovamente per ulteriori aggiornamenti. Sta ripartendo con l'autista della Regione in direzione di Roma perché l'altro appuntamento non è andato bene. Più che di incontri istituzionali o di rappresentanza, ci sono parsi appuntamenti improvvisati al solo scopo di giustificare il viaggio di famiglia con auto blu e autista nel giorno della befana.
Abruzzese di nascita, Teodoro Buontempo è stato quattro volte deputato della Repubblica e dopo esser confluito dal Msi i in Alleanza Nazionale ne fuoriesce nel 2007 per partecipare alla fondazione de La Destra di Francesco Storace. Nel 2010 dopo la vittoria della Polverini all'elezioni regionali, Buontempo è stato nominato assessore alla Casa e alla tutela Consumatori nella giunta regionale del Lazio, diventando uno dei 14 assessori esterni della giunta Polverini, cioè quelli non eletti ma nominati direttamente dalla Presidente.
Mentre in questi giorni in parlamento si discute sui compensi della politica, a Natale nella regione Lazio è arrivato un dono inaspettato: nella finanziaria approvata dal consiglio regionale è stato esteso il vitalizio anche agli assessori esterni, come Buontempo. “Pensioni” che fino a ieri non sarebbero spettate a chi non è stato eletto ma solo nominato. Considerando che 14 su 15 non sono eletti, sembra proprio una norma confezionata su misura.
Luca Chianca e Francesca Mannocchi

Dramma della povertà 400 euro di pensione lei e lui morti suicida. - di Gaetano Campione



BARI - Non avevano più nulla. La crisi aveva spazzato il lavoro, i 400 euro di pensione non garantivano la sopravvivenza quotidiana, gli affetti si erano dissolti. Miseria, solitudine e disperazione avevano fatto morire anche la speranza. Così hanno deciso di farla finita con una vita senza senso. L’ultimo giallo di inizio d’anno nella città di San Nicola è archiviato come omicidio-suicidio. Mancano ancora alcuni tasselli per avere la certezza della ricostruzione ma il fil rouge che collega il ritrovamento dei due cadaveri racchiude una tragedia infinita.

Una fine per alcuni versi annunciata e addirittura tentata quattro anni fa. Lui dovrebbe essere (condizionale d’obbligo perché manca il riconoscimento ufficiale) Salvato - re De Salvo, 64 anni, bitontino rappresentante di tessuti disoccupato. Si è lasciato morire all’al - ba nello specchio d’acqua antistante il lido San Francesco, forse dopo aver ingerito barbiturici. A trovare il cadavere tra le alghe - privo dei pantaloni ma con camicia, calze e scarpe - è stato un pescatore dilettante che ha avvisato la Polizia. Entrare nel lido via mare non rappresenta un problema. C’è un varco lungo la battigia dal quale si accede senza problemi: il mare è di tutti. 

n serata, il colpo di scena. Nella stanza 448 , al quarto piano dell’hotel «7 Mari», a due passi dalla spiaggia, l’addetto della reception decide di aprire la porta col passepartout e trova il corpo senza vita di Antonia Azzolini, 69 anni, molfettese. La donna, senza vestiti, è distesa sul letto. Ha il volto sereno. Sembra addormentata. È la moglie del De Salvo. Lo annunciano i documenti utilizzati nella registrazione per la prenotazione della camera. Potrebbe aver ingerito anche lei barbiturici o essere stata soffocata con un cuscino. A stabilirlo sarà l’autopsia affidata dal sostituto procuratore Emanuele De Maria al prof. Giancarlo Di Vella. 

La coppia viveva lì da una settimana dopo aver trascorso il Natale presso alcuni parenti nel Salento. Persone tranquille, cordiali. Forse, un po’ chiuse. Che non parlavano molto ma pagavano con puntualità le consumazioni. Compresa la pizza dell’altro giorno. Il personale dell’albergo, non avendo notizie da venerdì sera, ha deciso di entrare nella stanza. Col trascorrere delle ore il quadro della vicenda si è arricchito di altri particolari. I Carabinieri sono risaliti all’ultimo alloggio dei due (l’ex hotel San Francisco di Triggiano dove erano stati lasciati i bagagli), hanno ricostruito gli spostamenti, rintracciato il figlio che aveva deciso di limitare i contatti al minimo in dispensabile e individuato la molla che ha fatto scattare il gesto di follia. 

La conferma arriva anche dalla storia di Salvatore e Antonella pubblicata, proprio sulle pagine della «Gazzetta», nel 2007. Un racconto di porte mai aperte, di dignità violata, di solidarietà istituzionale (la macchina ha funzionato) che non è riuscita però a restituire casa e lavoro. 

Il rapporto causa-effetto (mancata occupazione-suicidio) purtroppo è in devastante aumento. Solo nel 2009 in Italia c’è stato un suicidio al giorno per motivi legati al lavoro. L’Eurispes quantifica in 2.986 i suicidi con un aumento del 5, 6 % rispetto all’anno precedente. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone espulse dal mercato del lavoro (272 in valore assoluto), il 76% a fronte di 85 casi di persone in cerca di prima occupazione. Un altro indicatore della connessione tra aumento dei suicidi e crisi sono i suicidi per motivi economici, che - pur con tutte le difficoltà nel comprendere le motivazioni profonde di un gesto così assoluto - raggiungono sempre nel 2009 il valore più alto degli ultimi decenni con 198 casi, con una crescita del 32% rispetto all’anno precedente e del 68% rispetto al 2007. E il 2012 si annuncia ancora più terribile.



http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=483670&IDCategoria=1

Il Trota “negher” ad honorem. - By ilsimplicissimus




Qualche settimana fa i giornali avevano dato conto dei rapporti fra il Trota e Alessandro Uggeri, fidanzato dell’assessore regionale leghista Monica Rizzi, falsa laureata e altrettanto falsa psicoterapeuta infantile. 

Il brillante figlio di Bossi sarebbe stato ospitato nella villa  dell’imprenditor leghista in vista della tornata elettorale che ha visto il ragazzo, appena “maturato” raggiungere il reddito di 10 mila euro al mese. Una villa dove sembra che girassero escort e cocaina, elicotteri in giardino e grandi frodi fiscali, comme d’habitude in quegli ambienti. Insomma ecco che dall’interno della Lega (pare che sia stato Maroni a ordire l’imboscata giornalistica) si sottilineano le liasons dengereuses del rampollo, il fatto che il suo nome possa essere stato speso per affari opachi.

Tuttavia proprio l’elemento più interessante della vicenda è stato trascurato:  Uggeri, il munifico ospite del Trota, nella sua qualità di imprenditore del terzo millennio, ha fra le sue molte e vorticose attività anche la gestione della manodopera di immigrazione. 

Abbiamo così una forza politica che basa molto della sua offerta politica (si fa per dire, ovviamente) sulla xenofobia e sulla  battaglia contro l’immigrazione la quale si appoggia, campa e a quanto pare si diverte proprio grazie al denaro che deriva da un caporalato organizzato e industrializzato, insomma dallo sfruttamento degli immigrati. 
E passi che all’elettore leghista lo sfruttamento possa far piacere, ma per attuarlo e con esso mettere denaro in cambusa, gli immigrati bisogna averli, l’immigrazione clandestina va coltivata nei fatti e combattuta solo a parole. 
Insomma i 12 mila che hanno dato il voto al Trota sono stati doppiamente ingannati: la legge dovrebbe riconoscere come reato la circonvenzione di leghista.

Ma non c’è solo questo. Proprio mentre la caduta di Berlusconi spinge la Lega ormai in riflusso ad accentuare la sua xenofobia tramutandola in una specie di razzismo da strapaese,  giunge un’altra incredibile notizia: nella seconda metà di dicembre,  il tesoriere della Lega, Belsito, che risponde solo a Bossi e ai suoi fedelissimi, familiari compresi, ha trasferito  circa 8 milioni di euro derivanti dal finanziamento pubblico dei partiti fuori d’Italia: in Norvegia, a Cipro e per oltre la metà della somma in Tanzania. 

Insomma i politici leghisti sbraitano contro i “negher”  ma poi ricorrono a loro quando si tratta di mettere al sicuro i loro tesoretti e farli crescere i silenzio.

Per tutto questo forse sarebbe il caso di nominare il Trota “negher” ad honorem. E fargli spiegare dal gaudente Uggeri che dopotutto la cosa ha i suoi vantaggi. Non ultimo quello di non essere leghista.