mercoledì 25 luglio 2012

Berlusconi non deporrà al Dell’Utri bis. Il pg: “Maglie strette, rischio prescrizione”.

dell'utri_interna nuova


Secondo la corte del nuovo appello, le dichiarazioni dell'ex premier non sarebbero "né indispensabili né decisive". Il procuratore Patronaggio: "In primo grado si era avvalso della facoltà di non rispondere, importante sentirlo". Cicchitto: "Tentativo di coinvolgere il Cavaliere nella trattativa-Stato-mafia".

Le dichiarazioni di Silvio Berlusconi non sono “né indispensabili né decisive”. Con  queste motivazioni i giudici del processo d’appello bis contro Marcello Dell’Utri, imputato di concorso esterno in associazione mafiosa, hanno respinto la richiesta avanzata dalla pubblica accusa, che voleva chiamare in aula l’ex presidente del consiglio. Ma la sua testimonianza, secondo la corte presieduta da Raimondo Lo Forti, non è rilevante ai fini della sentenza.
I motivi della presenza del boss Vittorio Mangano ad Arcore e i pagamenti fatti da Berlusconi a Cosa nostra negli anni ’70 sono già “ampiamente comprovati”, hanno argomentato i giudici respingendo al richiesta. A presentarla era stato questa mattina il procuratore generale Luigi Patronaggio. Il rappresentante dell’accusa ha ricordato che Berlusconi era stato citato già nel processo di primo grado, ma essendo all’epoca indagato di reato connesso aveva potuto avvalersi della facoltà di non rispondere (esercitata nel 2002 a palazzo Chigi, dove l’intera corte si era trasferita per sentirlo mentre era presidente del Consiglio). Convocato oggi come testimone, non si sarebbe invece potuto sottrarre alle domande. Per i giudici, però, dall’ex premier non potrebbero in ogni caso venire elementi di rilievo e pertanto è inutile citarlo. 
“L’ordinanza della Corte si è molto attenuta ai criteri della Cassazione e ha delimitato moltissimo l’oggetto della prova”, ha commentato Patronaggio. “Incombe il pericolo della prescrizione, specie se risulterà l’interruzione della condotta ascritta a Dell’Utri”. La Cassazione, infatti aveva ritenuto pienamente accertata la collaborazione di Dell’Utri con Cosa nostra, ma soltanto fino al 1977, data per la quale il reato è già abbondantemente prescritto. Da qui il rinvio a un nuovo appello, con la richiesta ai giudici di fornire motivazioni più solide per quanto riguarda gli anni successivi, e in particolare il quinquennio 1977-1982, nel quale il futuro presidente di Publitalia lasciò Berlusconi per andare a lavorare con il discusso finanziere Filippo Alberto Rapisarda
La  corte invece ammesso come teste soltanto il bancario Giovanni Scilabra, il quale ha riferito che nel 1986 Marcello Dell’Utri e l’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, andarono a trovarlo nel suo ufficio per discutere di prestiti. Scilabra sarà sentito nella prossima udienza, fissata per il 3 ottobre. L’episodio risale al 1986. Dell’Utri, che oggi non era presente in aula, lo ha sempre negato e ha sporto querela contro il bancario. Il processo è attualmente pendente davanti al Tribunale civile di Roma.
Tra le richieste respinte dalla Corte, anche quella di convocare il pentito Giovanni Brusca perché parlasse della trattativa Stato-mafia. I giudici, che hanno sottolineato come su questo punto le dichiarazioni del collaboratore siano apparse contraddittorie, hanno disposto di acquisire i verbali di Brusca limitatamente alle parti relative alle estorsioni ai danni di Berlusconi. No anche alla citazione dei boss di Brancaccio, Giuseppe e Filippo Graviano, e del pentito Stefano Lo Verso.
La difesa di Marcello Dell’Utri definisce la decisione della corte “molto equilibrata”, ma la polemica si sposta sul fronte politico. ”Non siamo sorpresi – visto che è guidata dal dottor Ingroia – dall’operazione che si sta tentando di fare a Palermo: quello di estendere all’equilibrio politico attuale la vicenda riguardante la cosiddetta trattativa stato-mafia”. E’ la dichiarazione di Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, che aggiunge: “Che cosa hanno in comune Conso e il governo di cui era ministro con Dell’Utri qualcuno ancora ce lo deve spiegare. Dato e non concesso che ci sia stata questa trattativa nel ’92-’93, essa poteva riguardare solo chi aveva il potere politico, giudiziario e poliziesco in quell’epoca. Ciò non era certo il caso né di Dell’Utri né di Berlusconi. Quale aria tiri è dimostrato dal titolo di oggi dell’Unità che dà già per scontato il coinvolgimento di Berlusconi”.

Noi, appesi come foglie d'autunno. Barbara Spinelli



NESSUNO di noi sa quel che voglia in concreto il governo tedesco: se vuol salvare l'euro sta sbagliando tutto. Se gioca allo sfascio ci sta mettendo troppo tempo. Nessuno sa come intenda procedere la Banca centrale europea. Draghi ha detto a Le Monde che l'euro è irreversibile, che la Bce "è molto aperta e non ha tabù". Ha detto perfino che "non siamo in recessione". Ma venerdì scorso ha deciso che non accetterà più titoli di stato greci in garanzia, dando il via alle danze macabre attorno a Atene e votandola all'espulsione. 

Decisione singolare, perché qualche giorno prima Jörg Asmussen, socialdemocratico tedesco del direttorio Bce, aveva detto alla rivista Stern che bisogna "aver rispetto per gli sforzi greci". Una contrazione di 5 punti di pil sarebbe tremenda per chiunque, Germania compresa: "Dovremmo almeno dire a Atene: ben fatto, buon inizio". La maggioranza nella Bce non sembra d'accordo: smentendo che siamo in recessione, si allinea non tanto alla Merkel ma all'ala più dura del suo governo. Nessuno sa infine a che siano serviti 19 vertici di capi di Stato o di governo. Dicono che gli Europei stanno correndo contro il tempo. Ben più tragicamente l'ignorano, vivono nella denegazione del tempo, dei fatti. Se tutte queste cose non le sappiano noi, figuriamoci i mercati: il caos che producono è il riflesso molto fedele del caos che regna nelle teste, negli atti, nelle parole dei capi che pretendono governare l'Unione.

Il tempo imbalsamato, mentre la storia precipita. La nefasta lentezza con cui si muovono politici e Bce: nei libri di storia, se finisse l'euro, si parlerà di strana disfatta dovuta a questo tempo che s'insabbia: strana perché il tracollo, essendo politico più che economico, poteva essere evitato. La Grecia esce, non esce? Lo sapremo a settembre, quando parlerà la trojka (Commissione, Bce, Fmi). Il Fondo salva-Stati nascerà, anche se con pochi soldi? Da settimane, l'intero Sudeuropa sta appeso alla decisione che la Corte Costituzionale tedesca prenderà, il 12 settembre, su Fondo e Patto di bilancio (Fiscal Compact). I due accordi sono compatibili con la costituzione tedesca, e in particolare con il principio di democrazia che nell'articolo 20 fa discendere il potere dello Stato dalla sovranità del popolo e del Parlamento? Fino ad allora resteremo appesi, come d'autunno le foglie sugli alberi. La foglia greca già è semi-staccata, ma la morte va inflitta a fuoco lento. Alcuni dicono che l'espulsione serve a sfamare il sotterraneo bisogno tedesco di punire, più che di aggiustare. Di sfasciare e comandare, più che di ricostruire e guidare. Anche per questo, incerti più che mai sulla voglia europea d'esistere, i mercati impazziscono.

Non sono dilemmi secondari, quelli trattati a Karlsruhe: sono in gioco la sovranità del popolo, il suo diritto inalienabile a influire sui bilanci nazionali. Da anni la Corte tedesca se ne occupa, e certo gli occhiali che inforca sono nazionali: non conta nulla la sovranità del popolo europeo, rappresentato con flebile forza dal Parlamento europeo ma pur sempre rappresentato. Tuttavia è troppo facile tacciare lei, e i tedeschi, di nazionalismo. Il fatto è che da quasi vent'anni la Corte s'accanisce su materie essenziali per noi tutti. Che sovranità possiedono esattamente gli Stati, e com'è esautorata dall'Unione? Il Parlamento europeo ha la forza e le prerogative per incarnare un interesse generale europeo, una sovranità parallela cogente come quelle nazionali?
L'unica certezza, nell'odierno turbine monetario, è che gli Stati sono ormai un ibrido: non più sovrani, non sono ancora federali. Di questo si parla a Karlsruhe: non solo di democrazia tedesca, ma del profilo giuridico, costituzionale, politico che dovrà darsi l'Unione: sempre che la si voglia salvare. Che si voglia dire ai popoli il mondo caotico che abitano e come evolverà.

La cosa grave è che la Corte discute, sentenzia, in totale isolamento. Nessun'altra Corte, o partito, o governo, ragiona in Europa su tali problemi. Ci si lamenta del peso abnorme dei giudici tedeschi, ma su Unione e sovranità democratica non circolano idee alternative, né tantomeno comuni. Neppure il Parlamento europeo è scosso da accordi (Fiscal Compact, Meccanismo di stabilità ovvero Esm) che di fatto estromettono i deputati di Strasburgo, non essendo Trattati comunitari ma inter-nazionali. L'Unione già si trasforma, influenzando sempre più le vite dei cittadini, ma fino a quando non saranno sciolti i due nodi vitali  -  quello della democrazia, quello di una Bce che non può intervenire come la Banca centrale americana o giapponese, perché nessuno vuole affiancarle un governo federale  -  la sua sovranità sarà considerata illegittima, non credibile, sia dai cittadini sia dai mercati. L'indipendenza della Bce è importante, ma a che serve se l'Unione  -  a differenza dell'America, del Giappone, dell'Inghilterra  -  non ha il dominio della propria moneta? Uno scettro è stato tolto agli Stati, e giace per terra nella polvere.

Solo in Germania è forte, in alcuni dirigenti, l'esigenza di codificare le presenti mutazioni: lo impone il principio di non contraddizione (è impossibile che due proposizioni divergenti abbiano lo stesso significato). Per questo la Corte costituzionale sta lì e si rompe il cervello. Il ministro Schäuble, monotonamente chiamato il falco, lo ha detto in piena crisi dell'euro, il 18 novembre a Francoforte: "Dall'8 maggio 1945 la Germania non è mai stata sovrana (...) Da almeno un secolo la sovranità è finita ovunque in Europa". Di qui la necessità di una sovranità federale superiore: prospettiva invocata in Germania da molti, gradita da pochissimi. Non a caso Schäuble evita la parola sovranità: usa l'indecifrabile termine governance. Ecco un altro concetto senza peso costituzionale. Se è governance, non è vero governo federale. Anche ai vocabolari siamo appesi.
Neppure Schäuble tuttavia ha il senso del tempo, così come non lo ha Hollande sullo Stato-nazione. Quel che né Parigi né Berlino vedono, è che il problema della sovranità politica e democratica europea non va risolto in un secondo momento, superata la crisi. Essendo all'origine della crisi, è ora che va risolto. L'interrogativo di fondo (che sovranità spetti all'Unione, come ricucire Nord, Est e Sud) va posto in mezzo al tifone degli spread, prima di espellere un paese del Sud dopo l'altro. Altrimenti non staremmo ad aspettare il verdetto di una Corte costituzionale che mette al centro non i deficit pubblici, ma sovranità e democrazia.

Naturalmente l'Europa federale non si farà subito. Ma si può fissare una scadenza, come avvenne con l'euro. Il Parlamento può farsi assemblea costituente, come già negli anni '80. La Bce può riflettere sull'impotenza cui oggi è condannata. I mercati devono capire, finalmente, se l'Unione vogliamo farla o disfarla pezzo dopo pezzo. Cominciando col cacciare la Grecia non avremo un'Unione tedesca. Avremo una non-Unione. Intanto l'unità del continente torna a essere quella degli esordi: una questione di pace o guerra civile, di odii  -  anche razziali  -  che crescono per forza di inerzie mostruose.

Proprio perché è l'unico paese a pensare costituzionalmente, la Germania ha primarie responsabilità. Non può insistere sull'unione politica, e poi imporre il dogma nazional-liberale della "casa in ordine". Un dogma che sta facendo proseliti: "Abbiamo fatto i nostri compiti: come mai i mercati ci colpiscono lo stesso?". Ci colpiscono perché il compito casalingo non è tutto. Ha detto il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco: "200 punti di spread sono colpa nostra, il resto è dovuto ai problemi comuni dell'euro". È l'Unione che non fa propri compiti. Quando li farà, quando avrà una Banca centrale prestatrice di ultima istanza, casa in ordine significherà qualcos'altro. Non diminuiranno gli obblighi di ognuno, ma la casa sarà europea e il suo volto muterà.



Leggi anche:

Spread Btp/bund a 515 punti. Piazza Affari cerca il rimbalzo


http://www.repubblica.it/politica/2012/07/25/news/spinelli_europa-39654351/?ref=HREA-1

Vauro....



http://vauro.globalist.it/Detail_News_Display?ID=31101

Cicchitto: “Ingroia? Falsario, fazioso, la più grave anomalia italiana”. Gisella Ruccia



Antonio Ingroia è un personaggio che, combinando attività politica a tempo pieno con quella di pm, rappresenta una lesione seria dello stato di diritto del nostro paese, una grave anomalia“. E’ una delle tante stroncature che Fabrizio Cicchitto, durante la trasmissione “La Zanzara”, su Radio 24, riserva al magistrato palermitano. “Il problema gravissimo per l’Italia” – rincara il capogruppo Pdl alla Camera – “è che in uno degli snodi più delicati del paese come la procura di Palermo, la lotta alla mafia e le indagini sull’esistenza o meno della trattativa tra Stato e mafia siano affidate a una personalità che fa un uso politico della giustizia“. Cicchitto scomoda anche Massimo Ciancimino: “Noi del Pdl non abbiamo a che fare nè con Ingroia, nè con Ciancimino, che è stato definito un’icona dell’antimafia. Mi sembra invece che sia uno che sta cercando di difendere molto brillantemente il patrimonio paterno”. Sull’imminente incarico Onu di Ingroia in Guatemala l’esponente del Pdl dichiara: “Sono affari suoi, è una scelta sua. Auguri all’Onu, è a loro rischio e pericolo. Spero per l’Onu che non faccia danni e che non si porti dietro Ciancimino”. Il politico s’infiamma quando i conduttori gli ricordano che, secondo Ingroia, durante il governo del centrodestra la legislazione antimafia è stata smantellata. “E’ un falsario, un fazioso” – attacca Cicchitto – “dovrebbe mettersi d’accordo con Grasso che ha lodato quella legislazione. Il governo Berlusconi è stato vicino alle forze dell’ordine e alla magistratura nella lotta alla mafia”. Nella sua foga oratoria il capogruppo Pdl ha una polemica furiosa con Parenzo, che viene tacciato di essere “falsario” e, per un curioso lapsus, “obnubilato dal berlusconismo analfabeta”. Quando, infatti, il conduttore gli fa notare che anche Borsellino, come Ingroia, partecipava a manifestazioni politiche, Cicchitto sfodera un nuovo infelice attacco al magistrato: “Nessuno può paragonare Borsellino ad Ingroia sul terreno nella lotta alla mafia. E infatti si è visto quello che è successo a Borsellino”  
Guarda anche

Ebete..........o drogato?



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=4212485760987&set=a.1309788195362.2044467.1550335170&type=1&theater


Mi piace l'espressione "viva", che gli hanno imposto di mantenere per passare da "incapace di intendere e volere". La strategia degli studios di avvocati della difesa, specie in USA, si appropria sempre di casi clamorosi per ottenere risultati eclatanti, incuranti delle conseguenze che ne potrebbero derivare. Il successo innanzi tutto: The Show Must Go On...


Michelangelo Paisiello dice:


forse è stato drogato.tu sai come sono i yankees? loro sono più preocupatti dagli incassi del film che dei morti,sono molto arrabbiatti perche il pop corn ha avuto un calo nella borsa di valori in wall street.



Fiscal compact...


LO SCANDALO dei parlamentari: hanno votato il fiscal compact ma non sanno cosa sia...





Ironizzando....



https://www.facebook.com/photo.php?fbid=349950941748507&set=a.167172016693068.42388.163818167028453&type=1&theater