Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
martedì 14 agosto 2012
Benzina, la Finanza passa al setaccio i distributori: su 2.400 irregolari il 15 per cento.
Fiamme Gialle in azione per evitare "brutte sorprese" agli automobilisti: "verificati l’effettivo quantitativo di carburante erogato, la qualità e la corrispondenza tra i prezzi indicati e quelli applicati".
Roma, 14 agosto 2012 - Distributori di benzina nel mirino delle Fiamme Gialle. Ad agosto la Guardia di Finanza ha effettuato controlli su 2.400 impianti stradali di carburante nei giorni di traffico da "bollino nero" scoprendo 356 irregolarità (15%). Lo ha comunicato la Guardia di Finanza. Centinaia di finanzieri hanno proseguito i controlli, avviati a fine luglio, passando al setaccio le stazioni di servizio per evitare "brutte sorprese" agli automobilisti; "verificati l’effettivo quantitativo di carburante erogato, la qualità e la corrispondenza tra i prezzi indicati e quelli applicati".
I PROVVEDIMENTI - Nei casi più gravi, "23 gestori sono stati denunciati alle Procure della Repubblica territorialmente competenti per frode in commercio; sequestrate 53 tra colonnine e pistole erogatrici. In due casi, a Palermo, il gasolio per autotrazione è risultato annacquato con sostanze chimiche di bassa qualità: olio sintetico pari al 30% del prodotto, in un caso e sostanze non adatte all’autotrazione nell’altro". Ammontano a 21.079 litri i prodotti petroliferi che sono stati sequestrati in Liguria ed in Sicilia unitamente ai distributori, dopo che è stata riscontrata la manomissione dei contatori volumetrici delle colonnine. Negli altri casi sono stati sanzionati: - 114 gestori, per violazione alla disciplina sui prezzi esposti, non corrispondenti a quanto indicato dalle colonnine dopo il rifornimento; - 18 gestori per la rimozione dei sigilli che assicurano il corretto e regolare funzionamento degli impianti.
In 197 casi "è stata avviata - spiega la Gdf - la procedura per la revisione degli erogatori da parte dell’Ufficio Metrico della Camera di Commercio, che dovrà procedere ad una nuova taratura degli impianti. Le frodi sui carburanti colpiscono non solo gli automobilisti, ma anche le casse dello Stato. Infatti, la miscelazione con prodotti petroliferi diversi, non soggetti ad imposte e di minor costo, da un lato fornisce agli utenti un prodotto scadente quando non dannoso per la meccanica, dall’altro consente di creare 'riserve occulte' di carburante venduto separatamente 'in nero'".
Tra i casi più eclatanti scoperti negli ultimi mesi: le fiamme gialle di Sondrio hanno scoperto 56 aziende lombarde e piemontesi che hanno contrabbandato da Livigno quasi 1 milione di litri di gasolio installando serbatoi supplementari nei propri camion. Infatti, la normativa consente di introdurre nel territorio dello Stato, in esenzione dal pagamento di imposte, esclusivamente il carburante contenuto nel serbatoio installato "di serie" dalla casa costruttrice; a Palermo, due pregiudicati avevano aperto una pompa di benzina completamente abusiva in un’area recintata, videosorvegliata e chiusa da un cancello elettrico comandato a distanza cui potevano accedere soltanto gli autotrasportatori conosciuti. Il gasolio era contenuto in cisterne nascoste in container o autocarri parcheggiati nel piazzale.
Bollette, treni, autostrade: dieci anni di aumenti Boom tariffe pubbliche: "L'euro non c'entra".
A fronte di un incremento del costo della vita pari al 24%, le bollette dell`acqua sono cresciute del 69,8%, quelle del gas del 56,7%, quelle della raccolta rifiuti del 54,5%. Rincari oltre l'inflazione anche per i biglietti ferroviari e i pedaggi autostradali.
Roma, 14 agosto 2012 - Bollette bollenti per gli italiani. L'inflazione cresce, le tariffe pubbliche di più. I dati giungono da un'analisi condotta dalla Cgia di Mestre sull'andamento dei prezzi negli ultimi dieci anni (2002-2012). Treni, autostrade, energia: gli aumenti sono a dir poco vertiginosi. Non mancano le soprese e la Cgia assicura: "L'euro c'entra relativamente poco".
I DATI - A fronte di un incremento del costo della vita pari al 24%, le bollette dell`acqua sono cresciute del 69,8%,quelle del gas del 56,7%, quelle della raccolta rifiuti del 54,5%, i biglietti ferroviari del 49,8%, i pedaggi autostradali del 47,5%, l`energia elettrica del 38,2% e i servizi postali del 28,7%. Solo la telefonia ha subito un decremento del prezzo: -7,7%.
“A nostro avviso - afferma il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi - l`introduzione dell`euro c'entra relativamente poco. Questa impennata dei prezzi, almeno per alcune delle voci analizzate, va ricondotta al costo sempre più crescente registrato dalle materie prime, in particolar modo dal gas e dal petrolio, dall`incidenza delle tasse e dei cosiddetti oneri impropri, che gonfiano enormemente le nostre bollette, e ai modestissimi risultati ottenuti con le liberalizzazioni. Per le bollette dell`acqua potabile - conclude Bortolussi - è vero che la variazione percentuale è stata la più consistente, ma va anche sottolineato che gli importi medi pagati da ciascuna famiglia italiana sono ancora adesso tra i più bassi d`Europa.”
TRASPORTI - Dal 2000 (anno di liberalizzazione del settore) al 2011, i biglietti dei trasporti ferroviari sono aumentati del 53,2%, contro un aumento del costo della vita pari al 27,1%. Secondo la Cgia, poi, dal 2003 - anno di apertura del mercato del gas - al 2011, il prezzo medio delle bollette è aumentato del 33,5%, mentre l`inflazione è cresciuta del 17,5%.
Se tra il 1999 (anno di apertura del mercato) ed il 2011, il costo delle tariffe dei servizi postali è aumentato del 30,6%, pressoché pari all`incremento dell`inflazione avvenuto sempre nello stesso periodo (+30,3%), per l`energia elettrica la variazione delle tariffe, avvenuta tra il 2007 ed il 2011, è stata sempre positiva (+1,8%), anche se più contenuta rispetto alla crescita dell`inflazione (+8,4%). Solo nei servizi telefonici le liberalizzazioni hanno abbattuto i costi. Tra il 1998 (anno di liberalizzazione) ed il 2011, le tariffe sono diminuite del 15,7%, mentre l`inflazione è aumentata del 32,5%.
Finanziamento ai partiti, dal patron dell’Ilva soldi a Forza Italia e Bersani. - Vittorio Malagutti
L'imprenditore definito come antipolitico non perde tempo ad aprire il portafoglio per dare una mano ai partiti. Un aiuto cash, in contanti. Tra il 2006 e il 2007 ha staccato un assegno di 245mila euro per il partito di Berlusconi, altri 98mila euro sono andati a finanziare il segretario del Pd.
Le biografie ufficiali e anche decine di articoli di giornale lo descrivono come un imprenditore tutto casa e fabbrica. Un tipo che punta dritto all’obiettivo e quando c’è da menar le mani, in senso figurato, non rinuncia allo scontro. Insomma, Emilio Riva, non si ferma davanti a niente e a nessuno. E mezzo secolo di carriera costellata da processi per comportamento antisindacale o per violazioni della normativa ambientale suonano come la conferma migliore di questo ritratto da duro e puro. In realtà, chi lo ha frequentato a lungo, ci restituisce un’immagine un po’ diversa da quella del macho che lo stesso Riva, classe 1926, cerca da sempre di accreditare.
Il patron dell’Ilva, come spiegano manager e colleghi imprenditori, ha sempre dimostrato una straordinaria abilità da pokerista. E come tale sa alzare la posta quando è il caso, ama bluffare oppure lasciare il tavolo per poi intavolare trattative nella stanza accanto alla ricerca di nuovi alleati. Per esempio, la sua esibita estraneità alla politica, ai partiti e allo statalismo in genere è diventata una specie di fiore all’occhiello per un imprenditore come Riva che afferma di essersi fatto tutto da sé. Le cose cambiano se si fa il conto delle centinaia di migliaia di ore di cassa integrazione a spese del bilancio pubblico che negli anni difficili hanno tenuto in piedi i suoi stabilimenti, a Taranto come a Genova. Di più: quando il gioco si fa duro, Riva l’antipolitico non perde tempo ad aprire il portafoglio per dare una mano ai partiti. Un aiuto cash, in contanti. E così consultando i resoconti sui contributi privati alle formazioni politiche, si scopre che tra il 2006 (anno di elezioni politiche) e il 2007 il patron dell’Ilva ha staccato un assegno di 245mila euro per Forza Italia, mentre altri 98mila euro sono andati a finanziare personalmente Pier Luigi Bersani. Tutto regolare, per carità. Tutto denunciato dai beneficiari delle donazioni così come prevede la legge in materia. L’episodio però la dice lunga sul metodo Riva: una mancia destra e una a sinistra, tanto per dimostrarsi equidistante, o forse sarebbe meglio dire equivicino, alle opposte sponde politiche.
L’industriale siderurgico, da sempre descritto come un falco liberista, non si è fatto problemi a versare un obolo anche all’esponente del Pd destinato a diventare nel 2006 il ministro dello Sviluppo economico del governo Prodi. Una scelta azzeccata. A suo tempo Riva ha infatti finanziato anche il massimo responsabile della politica industriale del Paese, un ministro che, ovviamente, è chiamato a occuparsi anche di un settore strategico come l’acciaio. Nel 2008 cambia il vento. Silvio Berlusconi torna a palazzo Chigi e il gran capo dell’Ilva si fa trovare pronto. Eccolo in prima linea nella cordata per salvare quel che resta di Alitalia, un intervento, come noto, sollecitato dal capo del Pdl in persona. Riva mette sul piatto 120 milioni e, intervistato dal Sole 24 Ore nel 2009, non ha problemi ad ammettere che “sappiano bene che non ci guadagneremo”, ma un grande Paese come l’Italia “non può non avere una compagnia di bandiera”. Insomma, ecco a voi Riva il patriota. Mutazione sorprendente per un imprenditore che, oltre a controllare il suo gruppo attraverso holding in Lussemburgo e Olanda per minimizzare il carico fiscale, ha sempre affermato di badare sempre e solo agli affari suoi. I maligni, che però spesso ci azzeccano, fanno notare che tra il 2008 e il 2009 si apre la crisi economica senza precedenti di cui ancora stiamo subendo le conseguenze. E il capo dell’Ilva sa bene che un settore ciclico come la siderurgia è il primo a risentire degli effetti di un rallentamento economico. Del resto basta dare un’occhiata agli ultimi bilanci del gruppo. Nel 2007, prima del crollo, i profitti erano arrivati a quota 877 milioni su circa 10 miliardi di giro d’affari. Poi la musica cambia, eccome. Nel 2009 (rosso di 411 milioni) e nel 2010 (meno 71 milioni), l’impero di Riva ha perso soldi a rotta di collo e, nonostante una timida ripresa, nel 2011 i conti hanno chiuso in utile di 88 milioni grazie a poste straordinarie e fiscali per quasi 400 milioni. E allora l’industriale tutto d’un pezzo, un lumbard che si descrive orgogliosamente come “milanese di piazza San Marco” (in pieno centro città), tenta di riprendere quota con l’Alitalia mentre le sue aziende perdono soldi.
Il caso ha poi voluto che Riva abbia ritrovato come ministro dell’Industria proprio Corrado Passera, cioè l’ex banchiere che come capo di Intesa si distinse come il grande sponsor del salvataggio della disastrata compagnia aerea. Tra tanti amici al governo, però, il capo dell’Ilva ha finito per trovarsi un nemico in casa. Già, perchè Riva non è l’unico proprietario del gruppo siderurgico, di cui pure controlla il 90 per cento. A libro soci con una quota del 10 per circa trova gli Amenduni, un’altra famiglia di imprenditori siderurgici che nel 1995 partecipò alla privatizzazione dell’Ilva. Ebbene, due mesi fa il rappresentante degli Amenduni ha votato contro il bilancio del gruppo chiedendo informazioni su alcuni affari che hanno trasferito denaro dal colosso siderurgico ad alcune finanziarie personali dei Riva. Tra gli addetti ai lavori c’è chi spiega questo atteggiamento battagliero come un’azione di disturbo con l’unico scopo di convincere i Riva a ricomprare le azioni Ilva di cui i soci di minoranza vorrebbero disfarsi. Michele Amenduni, contattato al telefono si schermisce. “Mi trovo all’estero – racconta – e non so che cosa stia succedendo a Taranto”. Davvero, ha detto proprio così. Forse è una battuta, ma non fa ridere.
Da Il Fatto Quotidiano del 14 agosto 2012
Altre notizie da Tiscali
Le biografie ufficiali e anche decine di articoli di giornale lo descrivono come un imprenditore tutto casa e fabbrica. Un tipo che punta dritto all’obiettivo e quando c’è da menar le mani, in senso figurato, non rinuncia allo scontro. Insomma, Emilio Riva, non si ferma davanti a niente e a nessuno. E mezzo secolo di carriera costellata da processi per comportamento antisindacale o per violazioni della normativa ambientale suonano come la conferma migliore di questo ritratto da duro e puro. In realtà, chi lo ha frequentato a lungo, ci restituisce un’immagine un po’ diversa da quella del macho che lo stesso Riva, classe 1926, cerca da sempre di accreditare.
Il patron dell’Ilva, come spiegano manager e colleghi imprenditori, ha sempre dimostrato una straordinaria abilità da pokerista. E come tale sa alzare la posta quando è il caso, ama bluffare oppure lasciare il tavolo per poi intavolare trattative nella stanza accanto alla ricerca di nuovi alleati. Per esempio, la sua esibita estraneità alla politica, ai partiti e allo statalismo in genere è diventata una specie di fiore all’occhiello per un imprenditore come Riva che afferma di essersi fatto tutto da sé. Le cose cambiano se si fa il conto delle centinaia di migliaia di ore di cassa integrazione a spese del bilancio pubblico che negli anni difficili hanno tenuto in piedi i suoi stabilimenti, a Taranto come a Genova. Di più: quando il gioco si fa duro, Riva l’antipolitico non perde tempo ad aprire il portafoglio per dare una mano ai partiti. Un aiuto cash, in contanti. E così consultando i resoconti sui contributi privati alle formazioni politiche, si scopre che tra il 2006 (anno di elezioni politiche) e il 2007 il patron dell’Ilva ha staccato un assegno di 245mila euro per Forza Italia, mentre altri 98mila euro sono andati a finanziare personalmente Pier Luigi Bersani. Tutto regolare, per carità. Tutto denunciato dai beneficiari delle donazioni così come prevede la legge in materia. L’episodio però la dice lunga sul metodo Riva: una mancia destra e una a sinistra, tanto per dimostrarsi equidistante, o forse sarebbe meglio dire equivicino, alle opposte sponde politiche.
L’industriale siderurgico, da sempre descritto come un falco liberista, non si è fatto problemi a versare un obolo anche all’esponente del Pd destinato a diventare nel 2006 il ministro dello Sviluppo economico del governo Prodi. Una scelta azzeccata. A suo tempo Riva ha infatti finanziato anche il massimo responsabile della politica industriale del Paese, un ministro che, ovviamente, è chiamato a occuparsi anche di un settore strategico come l’acciaio. Nel 2008 cambia il vento. Silvio Berlusconi torna a palazzo Chigi e il gran capo dell’Ilva si fa trovare pronto. Eccolo in prima linea nella cordata per salvare quel che resta di Alitalia, un intervento, come noto, sollecitato dal capo del Pdl in persona. Riva mette sul piatto 120 milioni e, intervistato dal Sole 24 Ore nel 2009, non ha problemi ad ammettere che “sappiano bene che non ci guadagneremo”, ma un grande Paese come l’Italia “non può non avere una compagnia di bandiera”. Insomma, ecco a voi Riva il patriota. Mutazione sorprendente per un imprenditore che, oltre a controllare il suo gruppo attraverso holding in Lussemburgo e Olanda per minimizzare il carico fiscale, ha sempre affermato di badare sempre e solo agli affari suoi. I maligni, che però spesso ci azzeccano, fanno notare che tra il 2008 e il 2009 si apre la crisi economica senza precedenti di cui ancora stiamo subendo le conseguenze. E il capo dell’Ilva sa bene che un settore ciclico come la siderurgia è il primo a risentire degli effetti di un rallentamento economico. Del resto basta dare un’occhiata agli ultimi bilanci del gruppo. Nel 2007, prima del crollo, i profitti erano arrivati a quota 877 milioni su circa 10 miliardi di giro d’affari. Poi la musica cambia, eccome. Nel 2009 (rosso di 411 milioni) e nel 2010 (meno 71 milioni), l’impero di Riva ha perso soldi a rotta di collo e, nonostante una timida ripresa, nel 2011 i conti hanno chiuso in utile di 88 milioni grazie a poste straordinarie e fiscali per quasi 400 milioni. E allora l’industriale tutto d’un pezzo, un lumbard che si descrive orgogliosamente come “milanese di piazza San Marco” (in pieno centro città), tenta di riprendere quota con l’Alitalia mentre le sue aziende perdono soldi.
Il caso ha poi voluto che Riva abbia ritrovato come ministro dell’Industria proprio Corrado Passera, cioè l’ex banchiere che come capo di Intesa si distinse come il grande sponsor del salvataggio della disastrata compagnia aerea. Tra tanti amici al governo, però, il capo dell’Ilva ha finito per trovarsi un nemico in casa. Già, perchè Riva non è l’unico proprietario del gruppo siderurgico, di cui pure controlla il 90 per cento. A libro soci con una quota del 10 per circa trova gli Amenduni, un’altra famiglia di imprenditori siderurgici che nel 1995 partecipò alla privatizzazione dell’Ilva. Ebbene, due mesi fa il rappresentante degli Amenduni ha votato contro il bilancio del gruppo chiedendo informazioni su alcuni affari che hanno trasferito denaro dal colosso siderurgico ad alcune finanziarie personali dei Riva. Tra gli addetti ai lavori c’è chi spiega questo atteggiamento battagliero come un’azione di disturbo con l’unico scopo di convincere i Riva a ricomprare le azioni Ilva di cui i soci di minoranza vorrebbero disfarsi. Michele Amenduni, contattato al telefono si schermisce. “Mi trovo all’estero – racconta – e non so che cosa stia succedendo a Taranto”. Davvero, ha detto proprio così. Forse è una battuta, ma non fa ridere.
Da Il Fatto Quotidiano del 14 agosto 2012
Altre notizie da Tiscali
lunedì 13 agosto 2012
Percorso Cliffside, Huangshan, Anhui, Cina.
Percorso Cliffside, Huangshan, Anhui, Cina
Huangshan è una catena montuosa nel sud della provincia di Anhui, nella Cina orientale. La catena montuosa è composta da materiale che è stato sollevato da un antico mare durante l'era Mesozoica, 100 milioni di anni fa.La vegetazione è più spesso al di sotto dei 1.100 metri, con alberi che crescono fino al limite del bosco a 1.800 metri.
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=455348581152258&set=a.444404262246690.96468.134877533199366&type=1&theater
Il ponte Dong di vento e pioggia.
Ponte di vento e pioggia (Cina): Il Ponte Dong Vento e pioggia è il simbolo dell'architettura della minoranza Dong. il Ponte è il più grande del suo genere nella provincia di Guizhou, dove lc'è a più grande comunità di Dong cinese.Questo ponte è lungo 50 metri e primo, è stato costruito nel 1894 durante la dinastia Qing 100 anni fa. Tuttavia, la struttur
a originale, è bruciato sul fuoco del 1959 e quello visitatore vede oggi è la versione ricostruita che è stata completata nel 1964. Questo ponte è un'architettura di puro legno, costituito da pilastri, arcarecci e balaustra in varie dimensioni e forme. Il corpo del ponte è diviso in tre parti, la più grande è la forma di una torre tamburo tradizionale cinese nel mezzo. I pilastri del ponte sono decorati con fiori e sculture che rendono questo ponte davvero unico.
Spettacolare esemplare di Synchiropus splendidus, volgarmente detto "Pesce mandarino", uno dei pesci più colorati ed affascinanti che esista.
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Horseshoe Bend.
Horseshoe Bend è il nome del meandro del fiume Colorado a forma ferro di cavallo che si trova vicino alla città di Page, Arizona, negli Stati Uniti. La curva è conosciuta localmente come "Bend King." Si trova a 8,7 km. Accessibile tramite un mezzo-miglio (0,8 km) di escursione da US Route 89, può essere visto dalla scogliera a picco.
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