martedì 2 ottobre 2012

Strage di Stazzema, in Italia finì con 8 ergastoli. Il pm: “Sono stupito, c’erano rei confessi”.


Strage di Stazzema, in Italia finì con 8 ergastoli. Il pm: “Sono stupito, c’erano rei confessi”


L'inchiesta della Procura militare di La Spezia era iniziata dopo il ritrovamento dell'armadio "della vergogna". Il magistrato che ha coordinato l'inchiesta: "C'erano prove e ammissioni". I condannati non furono mai arrestati perché la Germania non ha mai concesso l'estradizione.

C’erano anche documenti sul massacro di Sant’Anna tra quelli trovati nel 1994 nell’armadio della vergogna. E qui dentro una sorta di istruttoria sulla strage. Da lì partì l’inchiesta della Procura militare di La Spezia. A distanza di poco meno di sessant’anni iniziò il processo agli ufficiali che dell’eccidio furono ritenuti i responsabili perché dettero l’ordine di scatenare quell’inferno. Si rinunciò a cercare tutti gli esecutori materiali: tutti coloro che con la divisa delle Reichsfuehrer SS circondarono il piccolo paese dell’Appennino toscano trucidando 560 tra anziani, donne e bambini. Si rinunciò perché gli imputati sarebbero stati centinaia. Alla fine del processo di primo grado furono condannati all’ergastolo 10 tra ex ufficiali e sottufficiali tedeschi, in Cassazione ne furono confermati 8 (cioè quelli ancora in vita). Ma non furono mai estradati, la Germania ha sempre respinto le richieste.L’unica speranza sarebbe stata la pronuncia di un tribunale tedesco, ma la Procura di Stoccarda ha archiviato.
Ma come si arrivò al processo italiano? E’ l’estate del 1994: il procuratore militare di Roma, Antonino Intelisano, sta cercando documentazione su Erich Priebke e Karl Hass, entrambi organizzatori dell’eccidio alle Fosse Ardeatine. Invece in un armadio rivolto verso il muro trova 695 fascicoli e un registro con 2274 notizie di reato: riguardano crimini di guerra compiuti durante l’occupazione nazifascista in Italia. Tra questi anche le più efferate stragi nei confronti di civili: ferite mai rimarginate che riguardano le Fosse Ardeatine, la strage di Marzabotto, di Lero, Korica, Scarpanto, quella del duomo di San Miniato (in provincia di Pisa). E poi il massacro di Sant’Anna di Stazzema. E’ tutto materiale istruttorio raccolto dalla magistratura su incarico del governo. Secondo diverse inchieste, una interna alla magistratura e una della commissione Giustizia, ci furono presumibilmente pressioni della politica: niente processi ai tedeschi, per ragion di Stato. Le prove non ci furono mai.
Nel 2004, dunque, il giudice delle udienze preliminari accolse la richiesta di rinvio a giudizio per i tre ufficiali SS accusati di essere gli esecutori dell’eccidio. Tra i militari tedeschi accusati: Gerhard Sommer, oggi 91enne, comandante la settima compagnia del II battaglione del 35esimo reggimento Grenadieren, facente parte della 16esima SS-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS; e gli ufficiali Alfred Schonber e Ludwig Sonntag. Il 22 giugno 2005, dieci ex ufficiali e sottufficiali tedeschi vennero condannati all’ergastolo per il massacro (questa la sentenza). Al momento della sentenza i dieci erano tutti ultraottantenni.
Alla fine del 2007 vennero confermati dalla Corte di Cassazione gli ergastoli all’ufficiale Gerhard Sommer e ai sottufficiali nazisti Georg Rauch e Karl Gropler. La sentenza conferma che l’eccidio è stato un atto terroristico premeditato. Fu una strage ”prevalentemente di anziani, donne e bambini”. In tutto 560: i ragazzi e bambini furono 116, il più piccolo aveva solo 20 giorni.
Otto i condannati definitivi all’ergastolo ancora in vita - Werner Bruss, Alfred ConcinaLudwig GoringKarl Gropler, Georg Rauch, Horst RichterHeinrich Schendel e Gerhard Sommer - per i quali la magistratura militare italiana ha inutilmente chiesto l’arresto. Per questi 8 condannati (ed altri sette, coinvolti in altre stragi in Italia) c’è stato infatti un rifiuto di estradizione da parte della magistratura tedesca, a fronte del quale i pm militari hanno inoltrato al ministero della giustizia italiano una richiesta di esecuzione della pena in Germania, il cui esito non si conosce. Non è noto, cioè, se vi sia stato un rifiuto da parte della Germania o se l’istanza non sia mai stata inoltrata dalle autorità italiane.
L’eccidio, stando agli atti giudiziari, venne compiuto “nell’ambito di un’ampia operazione di rastrellamento e annientamento pianificata e condotta contro i partigiani e la popolazione civile”, sterminata “senza necessità e senza giustificato motivo”, “con crudeltà e premeditazione” pur non avendo preso parte a nessuna operazione militare.
Tra gli episodi più cruenti quello compiuto alla Vaccareccia, una località dove cento persone vennero riunite in tre stalle e in un cortile e uccise con bombe a mano, mitragliatrici e fucili, e quello avvenuto davanti alla chiesa di Sant’Anna di Stazzema, dove più di cento persone che erano state prelevate dalle case circostanti vennero lì riunite e ammazzate a colpi di mitra. I corpi, poi, furono bruciati. Un numero imprecisato di civili venne poi trucidato in altre località della zona: alcuni dopo essere stati riuniti in una stanza, altri dopo essere stati condotti in un fosso, altri ancora dopo essere stati allineati contro il muro di una casa oppure per strada.
Il procuratore militare di Roma Marco De Paolis, che istruì il processo ai dieci ex militari tedeschi, è “stupito” per la decisione della magistratura di Stoccarda di archiviare. De Paolis non conosce il provvedimento tedesco e dunque non vuole commentare: si limita “a due osservazioni”. “La prima – spiega all’Ansa - riguarda la solidità dell’impianto accusatorio, visto che la sentenza di condanna di primo grado è stata confermata integralmente dalla Corte militare d’appello e poi dalla Cassazione”. La seconda osservazione del procuratore militare, invece, ha a che fare con chi sostiene che l’archiviazione tedesca sia dovuta al fatto che non è stato possibile dimostrare la responsabilità individuale degli indagati nell’eccidio: “A questo riguardo osservo solo – afferma De Paolis – che alle condanne si è giunti non solo sulla base di precise prove documentali e testimoniali (queste sono una parte delle deposizioni), ma ci sono stati alcuni imputati rei confessi, non solo con i magistrati, ma addirittura con i giornalisti. Da questo punto di vista non riesco a capire un integrale provvedimento di archiviazione, a meno che non si tratti di persone diverse da quelle da noi condannate, cosa che però non risulta”.

Arrestato Fiorito. L’ex capogruppo Pdl in Lazio è accusato di peculato.


Batman Franco Fiorito


La Guardia di Finanza fatto scattare le manette nei confronti del politico questa mattina all'alba. La Procura di Roma gli contesta una appropriazione da un milione e 300 mila euro. Il consigliere detto "Er Batman" è anche indagato a Viterbo per calunnia e falso.

L’inchiesta sui fondi della regione Lazio finiti nelle tasche dei consiglieri Pdl fa il salto di qualità. Franco Fiorito, ex capogruppo del Popolo della Libertà in consiglio regionale, è stato arrestato dagli uomini del Nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza. E’ indagato per peculato per l’utilizzo illecito dei fondi destinati ai suoi colleghi eletti alla Pisana. Lo scandalo, che ha travolto il partito di Silvio Berlusconi, ha portato alle dimissioni della presidente Renata Polverini. A indagare sugli sprechi e le ruberie dei consiglieri è la Procura di Roma. Anche se sui fondi è stata aperta una inchiesta anche dalla Procura di Viterbo, in cui Fiorito è indagato per i reati di falso e calunnia. L’ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dal giudice per le indagini preliminari Stefano Aprile su richiesta del procuratore aggiunto di Roma Alberto Caperna e del pm Alberto Pioletti. Il politico è stato portato nel carcere di Regina Coeli. Gli uomini della Fiamme gialle stanno eseguendo anche diverse perquisizioni negli uffici e abitazioni riconducibili all’ex capogruppo chiamato “Er Batman”. 
L’ordinanza di arresto è stata motivata per il pericolo di fuga, il rischio di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. La procura gli contesta l’appropriazione di una somma superiore a quella che era stata resa nota nei giorni scorsi ovvero quasi un milione e 300 mila euro. ”Stiamo valutando le motivazioni addotte dai magistrati”, ha commentato l’avvocato Enrico Pavia, uno dei legali di Fiorito.
I primi accertamenti degli inquirenti e degli investigatoti avevano attestato a un milione di euro l’ammontare di fondi passati dai due conti del gruppo regionale del Pdl a quelli di Fiorito.  Dopo essere stato ascoltato dalla Procura di Viterbo la settimana scorsa, il consigliere regionale aveva annunciato la sua ricandidatura alle prossime elezioni regionali. In una intervista al Fatto Quotidiano Fiorito aveva “confessato” che i soldi, che dovevano essere destinati ai consiglieri per la loro attività politica, venivano spesi in “festini” e “gnocche”. A scandalo deflagrato però Fiorito aveva detto di aver la coscienza tranquilla e che avrebbe restituito il maltolto. Nel corso degli interrogatori aveva anche puntato il dito contro i compagni di partito, indicati come dei veri e propri stalker: “Ero perseguitato, tutti mi chiedevano soldi”. 
Fiorito agli inquirenti aveva raccontato che su 17 consiglieri che formavano il gruppo Pdl alla Regione sette avrebbero presentato fatture false. Il consigliere aveva consegnato anche le ricevute rimborsate agli ex colleghi durante l’interrogatorio con gli inquirenti durato sette ore. Le indagini all’inizio si erano concentrate su gli oltre 100 bonifici che avevano portato 753mila euro dalle casse del partito su conti esteri intestati al consigliere o ai familiari, ma la contestazione presente nell’ordinanza fa lievitare di quasi il doppio la somma dei soldi “rubati”. Nell’ambito dell’inchiesta è stata sentita l’ex fidanzata Samantha Reali cui erano stata bonificata una somma come compenso per il suo impegno in campagna elettorale. La donna, però, ha dichiarato di non sapere da dove provenissero i soldi. 
 ”Lasciando perdere le espressioni sentite nell’opinione pubblica in questi giorni, sul piano tecnico non si può parlare di peculato per una giurisprudenza ormai costante – afferma l’avvocato Carlo Taormina annunciando ricorso contro la decisione del gip – Se ci si trova davanti a un reato questo è quello di appropriazione indebita, dove l’arresto non è consentito. Mi auguro che questo rappresenti una svolta e che quindi adesso anche gli altri 70 consiglieri della Regione Lazio abbiano lo stesso trattamento”. “Si aspettava e si temeva per la pressione dell’opinione pubblica e per il dibattito che è nato. L’arresto di Fiorito per l’ipotesi di peculato non è pertinente. C’è una giurisprudenza che dice che quando questo denaro pubblico entra nelle tasche di un partito, piaccia o non piaccia, diventa denaro privato – sostiene il legale  a Tgcom24 – Inoltre c’è da dire che se hanno arrestato Franco Fiorito, mancano all’appello gli altri 70 consiglieri della Regione Lazio”. Sulle esigenze per procedere all’arresto aggiunge: “Noi abbiamo avuto un interrogatorio dove abbiamo depositato tutti gli atti. Pericoli di fuga non ce ne sono mai stati, per cui sotto tutti i profili, parlando di esigenze cautelari per l’arresto, queste non c’erano”. ”Sorpreso e profondamente dispiaciuto”; Fiorito secondo l’avvocato Enrico Pavia, non si aspettava di finire in galera. “Una situazione che addolora” perché “l’arresto si poteva evitare” dice a TgSky24. 

lunedì 1 ottobre 2012

La moderna caccia ai doppiogiochisti e ai corrotti. - Fiorenzo Fraioli


Roberto Farinacci

La Storia si ripete: il segnale del crollo di un regime è, come sempre, l'apertura della caccia ai doppiogiochisti e ai corrotti. Come al tempo del fascismo. E nel 1992.


Sembra di essere tornati al 1992. Improvvisamente i giornali, i telegiornali, le trasmissioni di approfondimento, hanno scoperto che esiste la corruzione. Provvedimenti di peso ridicolo vengono presentati come il primo passo di una lunga marcia moralizzatrice. La strada sarà lunga, si legge tra le righe, ma, soprattutto se Mario Monti sarà confermato alla guida del paese, il processo continuerà. C'è Bondi, l'uomo che ha rimesso in piedi Parmalat, che lavora alacremente. Certo, non sarà facile rimediare ai danni prodotti da decenni di ruberie, ma l'Italia, assicura Monti, ce la farà.

Naturalmente un popolo come quello italiano, scientificamente mantenuto nell'ignoranza, sta abboccando all'amo. 
Un buon osservatorio per tenere d'occhio la progressione della disinformazione orchestrata dai media è Facebook, dove abbondano i links che hanno per oggetto episodi di corruzione. Naturalmente, i sinistri postano episodi che riguardano i destri, e questi ultimi rendono il favore, riportando links ad articoli che trattano di episodi nei quali sono coinvolti i sinistri. Uno spettacolo desolante.
Una minoranza di italiani porta avanti una battaglia disperata, che non ha alcuna possibilità di successo nonostante i dati (e che dati!) che possono portare all'attenzione di tutti siano assolutamente inequivocabili. 
La situazione richiama alla mente quella dell'estate del 1942, quando i primi inquietanti scricchiolii, già percepibili da almeno un anno, erano diventati un rumoroso brontolio. Ciò nonostante, e a dispetto del fatto che la maggior parte della popolazione guardasse ormai con disincanto alle speranze di vittoria, tutta la classe dirigente continuava a giurare pubblicamente fedeltà al regime fascista mentre, sottobanco, erano già iniziate le grandi manovre per rovesciarlo e prenderne le distanze. Al di sotto di questa, lo sterminato esercito dei fascistelli di seconda e terza categoria continuava ad avere fede nel Duce, e ad ignorare bellamente la realtà. Se l'Italia precipitò nella guerra civile, la responsabilità fu anche di questa congerie di piccoli burocrati e privilegiati, contro i quali, per altro, il regime aveva scatenato una guerra propagandistica non dissimile dall'attuale caccia agli sprechi, alla ricerca dei doppiogiochisti che, secondo i coriferi del regime, stavano sabotando l'immancabile vittoria del fascismo. Una caccia nella quale si distinse per zelo il gerarca Roberto Farinacci. Lo scopo di quella campagna, non dissimilmente da quella odierna contro i corrotti, era quello di distrarre l'attenzione del popolo dal vero andamento della guerra, attribuendo le difficoltà a una minoranza di gerarchi di seconda e terza fila, accuratamente scelti per la loro ininfluenza e per i comportamenti particolarmente folkloristici: i Franco Fiorito dell'epoca, insomma.
Il fatto è che, seppure qualche dubbio su una conclusione positiva dell'avventura bellica cominciasse a farsi strada, nessuno di costoro poteva immaginare quello che sarebbe accaduto di li a un anno. I gerarchetti di seconda e terza fila, ai quali non arrivavano le vere notizie, essendo le loro "fonti" esclusivamente i giornali e la radio di regime, finirono così con il costituire il perno della gabbia di disinformazione che condusse l'Italia al disastro dell'otto settembre in condizioni di assoluta impreparazione psicologica e politica. I loro emuli, oggi, frequentano le sedi dei partiti, impegnati tra primarie di coalizione e congressi di rifondazione, mentre, in televisione e sui giornali mainstream, si minimizza la portata degli eventi e si inondano gli italiani di falsità.
Il numero dei complici dell'odierna pervasiva campagna di disinformazione, anch'essi convinti che si, ci saranno dei problemi, ma nulla di disastroso potrà accadere, è impressionante. Costoro si prestano a disinformare perché, in fondo, sono convinti che questo sia il miglior modo per preservare i loro mediocri interessi: "si, certo, la guerra forse è perduta, ma il regime sopravviverà, e a me non conviene essere ribelle". E poiché lo zelo che mettono nel servire i loro padroni è straordinario, ne risulta un fuoco incessante di disinformazione, offuscamento della realtà, travisamento, che sortisce uno straordinario effetto sui milioni di politici di secondo e terzo livello che operano (e mangiucchiano) nei partiti dell'odierno regime.
L'Italia si sta così avviando al nuovo 8 settembre in una condizione di assoluta impreparazione psicologica e politica. Questa è una tragedia epocale. Quello che i giannizzeri dell'informazione mainstream non capiscono, o si rifiutano di accettare, è che non ci sarà un semplice armistizio, dopo il quale si apriranno le trattative per un nuovo ordine europeo guidato dalla Germania vittoriosa, o da una coalizione di Stati del sud che si dimostrerà capace di tenerla a bada. Questo non accadrà mai, perché lo scontro in atto, come i precedenti per altro, prevede una sola possibile soluzione: la resa incondizionata. Dei paesi dell'orlo mediterraneo (Francia compresa) o della Germania. Tertium non datur.
E' come se, dopo le fulminee avanzate tedesche dei primi anni di guerra, si fosse potuto ipotizzare un ordinato ripiegamento degli eserciti del Reich, o una pace che lasciasse nelle mani di quest'ultimo gran parte dei territori conquistati! Impossibile. La Germania, e i paesi suoi alleati, cercheranno invece di vincere questa guerra economica, scatenata nei primi anni della moneta unica allorquando, mentre i paesi del sud venivano invasi dai capitali del nord e costretti a politiche di rientro dal debito pubblico, i tedeschi aumentavano il loro e mettevano in campo politiche di contenimento salariale, realizzando, di fatto e proditoriamente, la svalutazione reale competitiva che ha messo in ginocchio le economie dei cosiddetti PIIGS.
Questi sono dati di fatto che, sebbene non semplici, potrebbero tuttavia essere spiegati agli italiani se solo si dedicasse, a tale scopo, un decimo delle energie e del tempo che viene speso per realizzare i plastici delle scene dei delitti più raccapriccianti. 
Nulla di tutto ciò viene fatto, con la conseguenza che gli italiani, quando ascoltano le notizie economiche e hanno sentore delle mobilitazioni nella piazze europee, le considerano alla stregua delle famose "ritirate strategiche" con le quali il regime fascista nascondeva le sue sconfitte. Dopo El Alamein e Stalingrado, vale la pena ricordarlo, i cittadini romani continuarono ad affollare i caffè chantant di Piazza Esedra, fino a buona parte dell'estate del 1943. Nemmeno lo sbarco in Sicilia del 9-10 luglio 1943 cambiò le loro abitudini, circostanza questa che, probabilmente, contribuì alla decisione degli alleati di bombardare lo scalo di San Lorenzo, la mattina del 19 luglio 1943: 3000 morti e 11.000 feriti. Un antipasto di quello che sarebbe successo dopo.
Sei giorni più tardi, il 25 luglio, le trame tutte interne alla classe dominante portarono alla caduta del fascismo, nel disperato tentativo di trovare una via d'uscita. I balli in piazza Esedra, naturalmente, cessarono, ma gli italiani, invece di mobilitarsi immediatamente e in massa, si rifugiarono in casa. Che altro potevano fare? Nessuno aveva raccontato loro la verità, per anni. E, senza sapere quello che succede, l'unica scelta possibile è quella di rintanarsi in casa.
Ebbene, questo è quello che faranno gli italiani, come prima reazione, quando la situazione precipiterà. Ci sarà però una differenza, che riguarda il "dopo": questa volta il processo che allora non fu possibile celebrare, perché dopo la caduta del Fascismo non si trovava più un solo intellettuale disposto a difenderne le ragioni e alcuni limitati meriti (certamente non bastevoli per un'assoluzione: al più le circostanze generiche), questo processo, dicevo, si farà con assoluta certezza. Perché, questa volta, le dichiarazioni degli eurofili saranno agli atti, nei vecchi post su Internet e nei social forums, e a questa gente, siatene certi, non sarà possibile riciclarsi come avvenne a tanti intellettuali che furono fascisti durante il fascismo, comunisti dopo la caduta del fascismo e (miracolo di San Gennaro!) liberisti dopo la caduta del muro di Berlino! Vi aspettiamo anime belle, continuate pure a straparlare di "più Europa" o di "altra Europa", ma sappiate che il termine ultimo per i ripensamenti è già fissato: sono le prossime elezioni americane.

Corruzione: “Costa 10 miliardi l’anno, chieste tangenti al 12% degli italiani”.




I dati contenuti nel dossier sulla "tassa occulta che impoverisce ed inquina il paese” presentato da Libera, Legambiente e Avviso Pubblico. Don Ciotti: "Il disegno di legge in discussione è già mortificato da chi ha altri giochi e altri interessi”.

La corruzione nel nostro paese è a livelli mastodontici e può crescere ancora, se non si contrasta in modo netto, senza mediazioni, con volontà politica concreta, che vada al di là delle parole. Ci costa 10 miliardi di euro ogni anno e il 12 per cento degli italiani si è vista chiedere una tangente negli ultimi 12 mesi. Lo affermano i dati, i fatti, le storie del dossier “Corruzione, le cifre della tassa occulta che impoverisce ed inquina il paese” presentato a Roma stamattina da LiberaLegambiente e Avviso Pubblico presso la sede della Fnsi. Numeri drammatici e inquietanti. Un dossier che arricchito di casistica, di storie e di fatti avvenuti negli ultimi vent’anni diventa un libro dal titolo “Atlante della Corruzione” a cura di Alberto Vannucci di Edizione Gruppo Abele. 
Durissime le parole di don Luigi Ciotti, presidente di Libera, sui ritardi della politica su questo tema: ”Vi prego, sul problema corruzione servono scelte chiare, nette, concrete. Categoriche. Non sono possibili deviazioni, ma purtroppo questo sta avvenendo”. Don Ciotti chiede di approvare velocemente il ddl anticorruzione, introducendo il reato di autoriciclaggio, l’incandidabilità di chi è condannato per corruzione e la definitiva applicazione della norma sulla confisca dei beni dei corrotti già prevista dalla Finanziaria del 2007. “Il disegno di legge è un passo in avanti, ma è giàmortificato, frenato da chi ha altri giochi e altri interessi”. Il ddl “perde pezzi per strada”, conclude  don Ciotti , è il momento “che scatti qualcosa nella coscienza. Non possiamo più essere cittadini ad intermittenza”. 
Secondo la World Bank, nel mondo si pagano ogni anno più di 1.000 miliardi di dollari di tangenti e va sprecato, a causa della corruzione, circa il 3 per cento del pil mondiale. Applicando questa percentuale all’Italia, annualmente l’onere sui bilanci pubblici è nella misura di 50-60 miliardi di euro l’anno, una tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini. Ma si può andare oltre: il peggioramento di un punto dell’indice di percezione della corruzione (cpi) in un campione di Paesi determina una riduzione annua del prodotto interno lordo pari allo 0,39 per cento e del reddito pro capite pari allo 0,41 per cento e riduce la produttività del 4 per cento rispetto al prodotto interno lordo. Visto che l’Italia nel decennio 2001-2011 ha visto un crollo del proprio punteggio nel cpi da 5,5 a 3,9, si stima una perdita di ricchezza causata dalla corruzione pari a circa 10 miliardi di euro annui in termini di prodotto interno lordo, circa 170 euro annui di reddito pro capite ed oltre il 6 per cento in termini di produttività.
Ancora più allarmanti sono i danni politici, sociali e ambientali: la delegittimazione delle istituzioni e della classe politica, il segnale di degrado del tessuto morale della classe dirigente, l’affermarsi di meccanismi di selezione che premiano corrotti e corruttori nelle carriere economiche, politiche, burocratiche, il dilagare dell’ecomafia, attraverso fenomeni come i traffici di rifiuti e il ciclo illegale del cemento, che si alimentano quasi sempre anche grazie alla connivenza della cosiddetta “zona grigia”, fatta di colletti bianchi, tecnici compiacenti, politici corrotti. Il dossier approfondisce l’aspetto della corruzione in materie ambientali, oggetto di 78 inchieste penali negli ultimi due anni, che rappresenta un ulteriore danno per il paese in termini di inquinamento e salute
È particolarmente significativo il dato relativo alle esperienze personali di tangenti, ossia alla corruzione vissuta sulla propria pelle dai cittadini dei 27 Paesi dell’Unione Europea. Nell’ultima rivelazione di Eurobarometer 2011, il 12 per cento dei cittadini italiani si è visto chiedere una tangente nei 12 mesi precedenti, contro una media europea dell’8 per cento. In termini assoluti, questo significa il coinvolgimento personale, nel corso di quell’anno, di circa 4 milioni e mezzo di cittadini italiani in almeno una richiesta, più o meno velata, di tangenti. Particolarmente allarmante quella che Libera, Legambiente e Avviso Pubblico chiamano “corruzione ambientale”. Sempre più spesso, infatti, attività illegali come il traffico illecito di rifiuti o l’abusivismo edilizio, magari “rivestito” con il rilascio di concessioni illegittime, sono accompagnate da un sistematico ricorso alla corruzione di amministratori pubblici e rappresentanti politici, funzionari incaricati di rilasciare autorizzazioni o di effettuare controlli.

Il festival degli sprechi. - Gian Antonio Stella




Tra il 2000 e il 2006 la Sicilia ha ricevuto il quintuplo dei fondi assegnati a tutte le Regioni del Nord messe insieme.

Fanno davvero male, di questi tempi, bastonate come quella che Bruxelles ha appena dato alla Regione Siciliana. Dove sono stati bloccati 600 milioni di fondi Ue, una boccata di ossigeno, perché l'Unione non si fida più di come vengono spesi nell'isola i soldi comunitari.
«C'è stata una difficoltà di comprensione...», ha detto un funzionario al Giornale di Sicilia. Testuale. Purché non si levino ritornelli contro la «perfida Europa» nella scia di quelli lanciati dal regime mussoliniano contro le sanzioni: «Sanzionami questo / amica rapace...». Prima che dai vertici europei, l'andazzo era già stato denunciato infatti dalla Corte dei conti.
In una dura relazione di poche settimane fa i magistrati contabili avevano scritto di «eccessiva frammentazione degli interventi programmati» (troppi soldi distribuiti a pioggia anziché investiti su pochi obiettivi-chiave), di «scarsa affidabilità» dei controlli, di «notevolissima presenza di progetti non conclusi», di «tassi d'errore molto elevati» tra «la spesa irregolare e quella controllata», di «irregolarità sistemiche relative agli appalti». Una per tutte, quella rilevata nella scandalizzata relazione che accompagna il blocco dei fondi: l'appalto dato a un signore con «procedimenti giudiziari a carico». Come poteva l'Europa non avere «difficoltà di comprensione»?
Dice Raffaele Lombardo, il quale ieri ha fatto un nuovo assessore alla Cultura destinato a restar lì un battito di ciglia fino alle dimissioni annunciate il 31 luglio, che si tratta solo di questioni «tecniche» di cui chiederà conto «ai dirigenti che se ne sono occupati». Mah...
Sono anni che la Sicilia, cui la Ue aveva inutilmente già dato un ultimatum a gennaio, è ultima nella classifica di chi riesce a spendere i fondi Ue. E la disastrosa performance , insieme con quella della Puglia e delle altre tre regioni già «diffidate» (Campania, Calabria e Sardegna) ci ha trascinato al penultimo posto, davanti solo alla Romania, nell'Europa a 27.
I numeri diffusi mesi fa dal ministro Fabrizio Barca sono raggelanti. Tra il 2000 e il 2006 l'isola ha ricevuto 16,88 miliardi di fondi europei pari a cinque volte quelli assegnati a tutte le regioni del Nord messe insieme. Eppure su 2.177 progetti finanziati quelli che un anno fa, il 30 giugno 2011, risultavano conclusi erano 186: cioè l'8,6%. La metà della media delle regioni meridionali. Uno spreco insensato negli anni discreti, inaccettabile oggi.
Dice il centro studi di Svimez che il Pil pro capite delle regioni del Sud dal 1951 al 2009, anziché crescere, ha subito rispetto al Nord un netto arretramento. Calando in valuta costante dal 65,3% al 58,8%. Quanto alle aree povere del cosiddetto «Obiettivo uno», quelle più aiutate da Bruxelles perché il Pil pro capite non arriva al 75% della media europea, la risacca è stata altrettanto vistosa. 
In queste condizioni, buttare via quelle preziose risorse europee che non piovono da una magica nuvoletta ma sono accumulate con i contributi di tutti i cittadini Ue, italiani compresi, grida vendetta. Buttarle per incapacità politica, per ammiccamenti ai vecchi vizi clientelari, per cedimenti alla criminalità organizzata o per i favori fatti a questa o quella cricca di amici e amici degli amici, è una pugnalata. Non solo ai siciliani, non solo ai meridionali ma a tutti gli italiani. Quelli che giorno dopo giorno, Moody's o non Moody's, cercano di spiegare all'Europa d'avere imboccato davvero una strada diversa.

La Cassa degli Statali manda in rosso l'Inps. - Enrico Marro



L'impatto della fusione con Inpdap e Enpals.


ROMA - Quando a dicembre, col decreto salva Italia, il governo Monti varò il SuperInps sembrò davvero una buona idea. Di mettere insieme l'Inps, che gestisce le pensioni dei lavoratori privati, l'Inpdap, che pensa invece ai dipendenti pubblici, e l'Enpals, il piccolo istituto del settore sport e spettacolo, se ne parlava da molti anni. E forse solo un governo tecnico poteva riuscire a vincere le mille resistenze politico-corporative. Sembrava davvero una bella idea inglobare nel più efficiente Inps, guidato da Antonio Mastrapasqua, il carrozzone Inpdap e tagliare gli sprechi. Tanto che la relazione tecnica al salva Italia quantificava in «non meno di 20 milioni di euro» i risparmi ottenibili già nel 2012, per poi salire a 50 milioni nel 2013 e a 100 milioni nel 2014. Solo che ora si scopre che l'accorpamento ha effetti devastanti sul bilancio del SuperInps.
Patrimonio a rischio
Nel giro di «pochi anni» si potrebbe arrivare all'«azzeramento» del patrimonio netto, aprendo «un problema di sostenibilità dell'intero sistema pensionistico». Colpa dell'Inpdap che, entrando nell'Inps, scarica sul bilancio ben 10,2 miliardi di euro di disavanzo patrimoniale e quasi 5,8 miliardi di euro di passivo per l'esercizio 2012. Lo si legge nella nota di assestamento al bilancio 2012 dell'Inps, un documento di 38 pagine che sarà esaminato, probabilmente giovedì, nella riunione del Consiglio di indirizzo e vigilanza presieduto da Guido Abbadessa. Ma vediamo come si è arrivati a tanto.
Recessione più dura
La nota di assestamento si è resa necessaria per tener conto del peggioramento del quadro economico e della confluenza dei bilanci dell'Inpdap e dell'Enpals nell'Inps. A dire il vero, per quanto riguarda gli effetti della recessione, l'adeguamento contenuto nella nota è insufficiente. Le previsioni di bilancio sono state infatti riviste alla luce del Def (Documento di economia e finanza) presentato dal governo lo scorso aprile e non del suo recente aggiornamento. In pratica la nota di assestamento Inps è ottimistica perché formulata sulla base di una stima del prodotto interno lordo (quella di aprile) in calo dell'1,2% nel 2012 mentre le ultime previsioni del governo indicano un -2,4%. Un'economia che decresce significa meno posti di lavoro e meno entrate contributive per l'Inps, con conseguente peggioramento dei conti. Ma i guai veri non sono questi, bensì arrivano dall'assorbimento del bilancio dell'Inpdap.
Lo Stato evadeva i contributi
L'istituto di previdenza dei dipendenti pubblici ha infatti portato in dote, si fa per dire, un disavanzo patrimoniale quantificato al primo gennaio 2012 in 10 miliardi e 269 milioni. Perché? Due le cause, si legge nella nota di assestamento. 1) La riduzione dei dipendenti pubblici nel corso degli anni, che ha ridotto le entrate mentre le spese per pensioni continuavano ad aumentare. 2) Il fatto che, fino al 1995, le amministrazioni centrali dello Stato non versavano i contributi alla Ctps, la Cassa dei trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato, che era una delle 10 casse fuse nell'Inpdap nel 1996 proprio perché le normative europee richiedevano la creazione di un istituto con un bilancio trasparente. Ma anche dopo il '96, spiega la nota, le amministrazioni dello Stato hanno versato «solo la quota della contribuzione a carico del lavoratore (8,75%, ndr ) e non la quota a loro carico» pari al 24,2%.
L'unificazione degli Enti
Per far fronte ai crescenti buchi di bilancio e al conseguente peggioramento del deficit patrimoniale, lo Stato ha disposto per il 2012 un trasferimento all'Inpdap di 6,4 miliardi. Nonostante ciò, si legge nel documento all'esame del Civ, «si prevede per l'Inpdap un disavanzo economico di 5 miliardi e 789 milioni» che porterà il risultato complessivo dell'esercizio 2012 del SuperInps in rosso di 8 miliardi e 869 milioni, contro un - 2,2 miliardi dell'esercizio 2011. Ma gli effetti peggiori si hanno sullo stato patrimoniale. Prima dell'incorporazione di Inpdap e Enpals, l'Inps aveva chiuso il 2011 con un avanzo di 41 miliardi. Tolti i 10,2 miliardi di passivo Inpdap e aggiunti i 3,4 miliardi di attivo portati invece dall'Enpals, il patrimonio di partenza del SuperInps, all'inizio del 2012, era di circa 34 miliardi. Ma alla fine dell'anno, sottratta la perdita d'esercizio di 8,8 miliardi, si scenderà a 25 miliardi: 16 miliardi in meno nel giro di un anno.
L'allarme del Civ
Anche nei prossimi anni, si osserva nella nota di assestamento, i conti dell'ex Inpdap chiuderanno in forte disavanzo, tanto più che il governo ha appena deciso una nuova riduzione dei dipendenti pubblici (secondo il ministro Patroni Griffi scenderanno di 300 mila nei prossimi tre anni). Tutto ciò si ripercuote «negativamente sul patrimonio netto dell'Inps con il rischio di un suo azzeramento in pochi anni». Per questo il Civ raccomanda almeno «una incisiva attività di vigilanza diretta ad accertare il corretto versamento dei contributi da parte delle pubbliche amministrazioni e in particolare degli enti locali». Ma la preoccupazione principale delle parti sociali (sindacati e imprese) presenti nello stesso Civ è che, se lo Stato non interverrà a sanare il disavanzo pregresso dell'Inpdap, a colmare i buchi saranno chiamate le gestioni in attivo, come per esempio quella dei parasubordinati (80 miliardi di avanzo patrimoniale) e delle prestazioni temporanee (ammortizzatori sociali, assegni familiari, malattia), che finora hanno compensato i fondi in rosso dello stesso Inps (trasporti, elettrici, telefonici, dirigenti d'azienda, coltivatori diretti e lavoratori autonomi).
Il welfare dell'Inpdap
Fin qui il Civ. Ma quando la fusione di Inpdap ed Enpals sotto l'Inps sarà completata è probabile che verranno passate al setaccio anche le molte provvidenze che l'Inpdap ha finora assicurato ai lavoratori e ai pensionati pubblici: in tutto 5 milioni e mezzo di cittadini con le loro famiglie. Ogni anno l'istituto concede prestiti e mutui agevolati (nel 2011, 100 mila prestazioni) e indice bandi per: «Case albergo», «Soggiorni senior», borse di studio, ospitalità nei suoi convitti per studenti e residenze per anziani, vacanze in Italia e all'estero per lo studio delle lingue, soggiorni termali, contributi sulle spese sanitarie. Un universo di prestazioni finanziato da un contributo obbligatorio in capo ai dipendenti pubblici pari allo 0,35% della retribuzione e allo 0,15% per i pensionati. L'Inpdap si faceva vanto di aver sviluppato negli anni «un modello di welfare integrativo di eccellenza». Ma è chiaro che la musica potrebbe cambiare.

GDF denuncia casa famiglia. La retta quotidiana era di 223 euro, beni sequestrati per 980.000 euro.




Questa vicenda di cronaca ci aiuta a capire meglio il pianeta case famiglia, dove spesso operatori senza scrupoli ricavano grossi guadagni sulla pelle di bambini a cui necessita un aiuto. Si è sempre parlato delle rette giornaliere che queste strutture lucrano su ogni bambino, ma lo spaccato fornito dal caso di Biella informa meglio di ogni immaginazione.
Il Nucleo di Polizia Tributaria di Biella, congiuntamente alla polizia giudiziaria presso la Procura della Repubblica, dopo indagini durate diversi mesi ha denunciato 6 persone che hanno commesso gravi irregolarità (riscontrate durante un controllo effettuato la scorsa estate) presso una Comunità Terapeutica per Minori affetti da gravi problemi neuro psichiatrici. I finanzieri hanno, inoltre, sottoposto a sequestro preventivo per equivalente più di 230.000 euro di crediti commerciali che la cooperativa vantava verso ASL e comuni delle Regioni Piemonte, Valle d'Aosta e Lombardia.
Le complesse indagini hanno permesso di provare che la comunità biellese, fin dal 2009 presentava gravi ed endemiche carenze organiche in quanto gli operatori non erano né numericamente, né professionalmente, sufficienti a garantire sicurezza ed adeguata vigilanza sui minori ricoverati nella struttura, così come previsto dalla rigorosa normativa di riferimento (DGR regione Piemonte n. 41/2004).
La comunità terapeutica per minore, che era gestita da una Cooperativa sociale, prestava, di fatto, cure ben lontane dagli standard contrattuali previsti, con una forte carenza di figure professionali quale quella dello psicologo, dello psicoterapeuta e del neuropsichiatra. Tutto ciò con la piena consapevolezza del Direttore Sanitario della struttura che, nonostante fosse a conoscenza della grave e cronica inadeguatezza numerica del personale operatore, richiedeva alle ASL competenti un aggravio della già elevata retta giornaliera pari a 223 euro più IVA per ospite, con la motivazione di "dover supervisionare più accuratamente" i minori.
Il Direttore Sanitario ed il Presidente della Cooperativa che gestiva la struttura, sono stati denunciati per i reati previsti dagli artt. 640 bis, 591 e 356 del C.P. per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, abbandono di minori o incapaci e frode nelle pubbliche forniture.
Anche la posizione di due membri della Commissione di vigilanza delegata dall'ASL e di un direttore e di un ex direttore sanitario del distretto ASL è stata posta al vaglio della magistratura inquirente per omissione d'atti d'ufficio, in quanto in sede di visite ispettive le gravi carenze organiche/strutturali della comunità terapeutica non venivano rilevate, mentre quelle più lievi venivano in parte evidenziate, senza però far osservare le prescrizioni impartite, permettendo, così, la continuazione, da parte del gestore della struttura sanitaria, nel reato di truffa aggravata ai danni della sanità pubblica.
Il Pubblico Ministero, accogliendo la richiesta avanzata dalle Fiamme Gialle biellesi, ha avanzato al G.I.P., istanza di sequestro preventivo per equivalente di beni per un importo complessivo di 980.000 € che è stato reso esecutivo su 230.000 € di crediti commerciali della cooperativa.