lunedì 27 luglio 2015

KRUGMAN: GLI IRRITANTI DIFENSORI DELL’EURO. - Paul Krugman


Il Nobel Paul Krugman scrive un articolo un po’ velenoso contro quelli che lo accusano di non capire, da economista, le motivazioni politiche dell’euro e la sua importanza per il “progetto europeo”. Krugman rifiuta di essere considerato così ingenuo, e mostra di capire benissimo queste motivazioni. Il problema è che un progetto (l’euro) che non solo non era fondato economicamente, ma era palesemente votato alla catastrofe, non poteva servire nessuno scopo politico positivo, e i fatti lo stanno dimostrando. 
di Paul Krugman, 22 luglio 2015
C’è un qualsiasi buon argomento per non dire che la creazione dell’euro è stato un errore di dimensioni epiche? Forse. Ma gli argomenti che ho sentito finora sono alquanto pessimi. E sono anche decisamente irritanti.
Un argomento che continuo a sentire è che gli economisti critici, come me, non capiscono che l’euro è stato un progetto politico e strategico, anziché un mero fatto economico con dei costi e dei benefici. E certo, infatti io sono un rozzo e ottuso economista che non sa nulla dell’importanza della politica e delle strategie internazionali nelle decisioni politiche, uno che non ha mai sentito parlare di progetto europeo e del suo fondamento nel tentativo di lasciarsi dietro le spalle una storia di guerre, per non parlare del rafforzamento della democrazia durante la Guerra Fredda.
Certo, io non so nulla di tutto ciò. Il punto, però, è che mentre il progetto europeo, in ogni sua fase, ha combinato obiettivi economici con dei più ampi obiettivi politici – si parlava di pace e democrazia attraverso l’integrazione e la prosperità – non ci si può aspettare che l’intero progetto funzioni se le misure economiche che vengono decise non sono valide in sé e per sé, o quantomeno che non siano catastrofiche. Ciò che è successo durante la marcia verso l’euro è che le élite europee, per amore della moneta unica presa come un simbolo, hanno chiuso la mente ad ogni avvertimento sul fatto che un’unione monetaria – a differenza della semplice rimozione delle barriere al commercio – era quantomento ambigua nella logica economica, e nei fatti, per quanto si può dire e già era stato detto fin dall’inizio, una pessima idea.
Un altro argomento, che stiamo sentendo dalle economie europee depresse come la Finlandia, è che i costi a breve termine dell’inflessibilità sono più che compensati dai presunti enormi guadagni ottenuti da una maggiore integrazione. Ma dov’è l’evidenza di questi enormi guadagni? In un articolo si dice che siano dimostrati dalla forte crescita della Finlandia negli anni che hanno preceduto la crisi. Ma si può riconoscere il merito del boom della Nokia alla moneta unica?
Be’, il grafico qui sotto mostra un confronto che ho trovato interessante tra la Finlandia e la vicina Svezia, paese, quest’ultimo, che nel 2003 ha rifiutato l’appartenenza all’euro tramite referendum. (Mi ricordo quel voto: gli amici svedesi che condividevano con me le preoccupazioni sull’euro mi telefonarono nel cuore della notte per festeggiare.) Per entrambi i paesi considero il 1989 come punto di partenza. Si tratta dell’anno prima della grande recessione scandinava degli anni ’90, dovuta ad una corsa agli sportelli e ad una enorme bolla immobiliare.
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Dopo quella recessione la Finlandia a conosciuto un lungo periodo di solida crescita economica. Ma anche la Svezia, e tra i due paesi è difficile scorgere una qualsiasi differenza nella loro buona performance economica. Di certo non c’è nulla che indichi che l’appartenenza all’euro [della Finlandia, ma non della Svezia, NdT], abbia avuto un qualche ruolo speciale nella crescita. Dal 2008, invece, la Svezia ha iniziato – nonostante una gestione incostante della politica monetaria – a fare molto meglio.
Come ho detto, forse esistono anche degli argomenti da opporre all’affermazione che l’euro è stato un errore, ma far notare che la politica è importante, e che le economie crescono, non funziona. Le scorciatoie che credete voi non ci sono.

Manovra sanità. Cgil: “Ancora e solo tagli lineari. A rischio i Lea e il Patto per la Salute perde per strada quasi 5 miliardi in due anni”

Forti critiche della Cgil al pacchetto sanità degli emendamenti del Governo al decreto Enti Locali dove si recepiscono i contenuti dell’Intesa Stato Regioni del 2 luglio scorso. Dito puntato soprattutto sui tagli ai beni e servizi e sulla previsione di scaricare sui cittadini il costo delle prestazioni specialistiche inappropriate. 

IL DOCUMENTO.

22 LUG - Con un documento di analisi dettagliato la Cgil interviene sugli emendamenti presentati lunedì scorso dal Governo al decreto Enti Locali nella parte in cui recepiscono l’Intesa Stato Regioni del 2 luglio scorso.

Ecco punto per punto le osservazioni del sindacato:

Beni e servizi. Per beni e servizi si tratta di un ulteriore taglio “lineare” che si aggiunge a quelli sin qui stabiliti da precedenti manovre finanziarie: avrà effetti pesanti sulle condizioni dei lavoratori che forniscono servizi in appalto o convenzione (e sulla qualità dei servizi stessi), oltreché sulla filiera delle aziende di fornitura di beni. E’ positivo il tentativo di fissare prezzi di riferimento, anche grazie all’ANAC, e di vigilare su un settore di spesa esposto a rischi di spreco e corruzione. Occorre tuttavia una grande attenzione nel definire i prezzi di beni, quali una parte dei dispositivi medici, difficilmente standardizzabili e per i quali serve sviluppare l’HTA.

Prestazioni inappropriate. L’obiettivo di rendere appropriate le prestazioni del SSN è certamente necessario, tuttavia si tratta di un operazione delicatissima che riguarda “il perimetro” di copertura dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) per i cittadini e che pertanto deve essere trattata, già nella fase di predisposizione del Decreto Ministeriale, con la massima trasparenza e il confronto anche con le forze sociali. Inoltre non è accettabile “scaricare” sul cittadino la responsabilità - e quindi il costo - circa l’appropriatezza della prestazione. La norma in questo senso deve essere meglio precisata a tutela del cittadino, come accade per alcune condizioni di erogabilità già attive per diverse prestazioni dei LEA. Ad esempio, bisogna definire che si tratta di prestazioni “ad alto rischio di inappropriatezza” e si deve utilizzare la formula: “tali prestazioni non possono essere poste a carico del SSN”, anziché “sono poste a carico dell’assistito”.

Standard ospedalieri. L’attuazione dei nuovi standard ospedalieri si sta realizzando come mero taglio ai servizi, così non solo colpisce il personale, ma sta avvenendo senza alcun investimento per costruire “alternative” alle chiusure, che dovrebbero invece essere riconversioni con l’apertura di servizi territoriali.

Rideterminazione del Fondo sanitario. Come abbiamo già ricordato subito dopo l’approvazione della Legge di Stabilità 2015, e della relativa Intesa Stato Regioni del 23 febbraio scorso, Il Patto per la Salute “perde per strada” quasi 5 miliardi. E resta tuttora quasi del tutto inapplicato.

L’effetto dei tagli sul Livello di Finanziamento previsto dal Patto Salute:
· Anno 2015: scende da 112,062 a 109,710 miliardi di euro (-2,352 miliardi)
· Anno 2016: scende da 115,444 a 113,092 miliardi di euro (-2,352 miliardi)

Fatto ancor più grave è che i tagli agiranno anche per gli anni successivi al 2016, aggiungendosi a quelli già stabiliti con le precedenti manovre finanziarie. Inoltre, per il 2015 le misure non hanno tempo di essere attuate, non a caso molte regioni si sono già attivate per fronteggiare quella che è una riduzione lineare del finanziamento.
Per il 2016 e gli anni successivi le misure definite costituiscono comunque una spending review come “riduzione del danno” per fronteggiare il taglio del finanziamento e non finalizzata ad ottenere risparmi da mantenere nel SSN (come prevedeva il Patto per la Salute). Così si riducono ulteriormente le risorse per garantire beni e servizi ai cittadini e per rinnovare il contratto ai lavoratori.


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domenica 26 luglio 2015

Semi di chia.


Sauna, bagno turco, aromaterapia.



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Progetto Casa GG: la casa che si costruisce in poco tempo e non consuma niente.


Casa GG
Progetto Casa GG: la casa che si costruisce in poco tempo e non consuma niente

Una casa che si costruisce in poco tempo e consuma pochissima energia: è la Casa GG, una casa passiva progettata in Spagna per essere sostenibile ed economica.

Una casa che si costruisce in pochi mesi, con 6 soli moduli e che consumi un solo kilowatt di corrente, da oggi è una realtà. Grazie allo studio di progettazione Alventosa Morell Arquitectesche ha realizzato questo progetto nei pressi di Santa Maria de Palautordera, in Spagna.
Si chiama Casa GG,ed è una “macchina per vivere” rispettosa dell’ambiente e del paesaggio, ma anche economica nella gestione quotidiana dei consumi. Disposta su di un unico livello, è composta da sei moduli in legno d’abete prefabbricati posizionati prendendo in considerazione l’orientamento solare e le diverse piante presenti sull’area, può essere costruita in soli 4 mesi. 
I volumi si adagiano sul terreno tra i tronchi degli alberi ad alto fusto. In questo modo, anziché tagliarli per realizzare l’abitazione, si è deciso di farla interagire con essi.
Il risultato è originale anche nell’estetica: infatti la casa ha una forma tentacolare. I moduli ospitano rispettivamente le tre camere da letto, la cucina, il bagno, il soggiorno, un locale per le biciclette e per le attrezzature da giardino. Gli spazi di collegamento tra i blocchi in legno sono vetrati e ospitano la sala da pranzo e uno studio.
terrazza
La terrazza della Casa GG
I materiali utilizzati sono stati reperiti in zona e tutti riciclabili (soprattutto legno locale), quindi hanno un impatto minimo sull’ambiente. In inverno poi, la casa viene riscaldata grazie alla presenza di un solo radiatore da un kilowatt in funzione per due ore al giorno. E’ l’intelligente posizionamento dei moduli che sfrutta l’irraggiamento solare naturale a permettere un riscaldamento più naturale.
esterno casa GG
Veduta dell’esterno della Casa GG
Inoltre, le pareti disperdenti sono state isolate grazie all’inserimento di uno strato coibente in cellulosa e di una lamina impermeabile traspirante. Infine, le ampie vetrate nelle giornate di sole funzionano come una serra,creando così un “cuscinetto” di aria calda.
studio casa GG
La zona studio, rivestita di legno certificato FSC
Ma ora vi starete chiedendo: e d’estate? Si trasforma in un forno? Per fortuna la risposta è no. La ventilazione naturale, unita all’alto livello di isolamento e all’ombreggiamento dovuto alla vegetazione circostante,garantiscono temperature gradevoli negli ambienti interni, senza bisogno di ricorrere al condizionamento.
cucina passante
L’ampia cucina passante con armadio di contenimento in legno che nasconde le porte alle stanze
Insomma, è fresca d’estate e calda d’inverno. Il tutto in modo naturale e senza condizionatori che consumano corrente e fanno male alla salute.
ammezzato
Ammezzato della Csaa GG.

LHCb OSSERVA I PENTAQUARK, PARTICELLE ESOTICHE A CINQUE QUARK.




LHCb, uno dei quattro grandi esperimenti del Large Hadron Collider LHC, il superacceleratore del CERN a Ginevra, ha riportato la scoperta di una classe di particelle esotiche note come pentaquark. La collaborazione ha pubblicato oggi sul sito open access arXiv.org lo studio che descrive questi risultati, sottomesso per la pubblicazione alla rivista Physical Review Letters.


“Il pentaquark osservato non è soltanto una nuova particella - ha spiegato Alessandro Cardini, responsabile dell’esperimento LHCb per l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare INFN – ma anche un nuovo modo in cui i quark, che rappresentano i costituenti fondamentali di neutroni e protoni, possono combinarsi tra loro, in uno schema mai osservato prima in oltre cinquant'anni di ricerche sperimentali. Ulteriori studi delle proprietà dei pentaquark ci permetteranno di comprendere meglio la natura di neutroni e protoni, i costituenti della materia di cui siamo fatti noi e tutto ciò che ci circonda”, conclude Cardini.


La nostra comprensione della struttura della materia è stata rivoluzionata nel 1964, quando il fisico americano, Murray Gell-Mann, ha proposto che una categoria di particelle, note come barioni, e che comprende protoni e neutroni, fossero composti di tre oggetti chiamati quark, e che un’altra categoria, i mesoni, fossero invece formati di coppie quark-antiquark. Gell-Mann fu insignito per questo lavoro del Premio Nobel per la fisica nel 1969. Ma il modello a quark elaborato da Gell-Mann permette anche l'esistenza di altri stati di aggregati di quark, come il pentaquark, appunto, composto da quattro quark e un antiquark. Fino ad ora, tuttavia, nonostante una ricerca serrata durata mezzo secolo e condotta da parte di molti esperimenti in tutto il mondo, non era mai stata portata nessuna prova conclusiva dell’esistenza del pentaquark.


I ricercatori di LHCb hanno cercato stati di pentaquark esaminando il decadimento di un barione, conosciuto come Λb (Lambda b), in altre tre particelle: una J/ψ (J-psi), un protone e un kaone carico. Lo studio della distribuzione dell'energia della J/ψ e del protone ha rivelato che stati di aggregazione di materia intermedi, i pentaquark appunto, si formano a volte nel corso del decadimento di questi barioni.

"Approfittando della grande mole di dati forniti da LHC, e potendo contare sull'eccellente precisione del nostro rivelatore, abbiamo esaminato tutte le possibilità per questi segnali, e abbiamo concluso che si può spiegare solo con stati di pentaquark", spiega il fisico della collaborazione internazionale LHCb Tomasz Skwarnicki, della Syracuse University negli Stati Uniti, che ha coordinato lo studio. "Più precisamente gli stati devono essere formati da due quark up, un quark down, un quark charm e un anti-quark charm", conclude Skwarnicki.


La ricerca di questi nuovi agglomerati di quark dura da cinquant’anni e conta numerosi risultati che inizialmente erano sembrati positivi ma che successivamente, sottoposti a ulteriori verifiche, si sono rivelati invece inconcludenti. Ora, il risultato dell’esperimento LHCb è forte di un’analisi dei dati estremamente accurata a rigorosa, basata su un’elevatissima statistica, mai raggiunta prima, e su un’altissima precisione del rivelatore. LHCb è stato così in grado di studiare i pentaquark da molte prospettive, e tutte puntano alla stessa conclusione. È come se gli studi precedenti avessero individuato delle silhouette nel buio e le avessero associate ai pentaquark, mentre LHCb ha condotto la sua ricerca a luci accese e da tutte le angolazioni.
"L'esistenza di particelle esotiche, quelle che non riusciamo a inquadrare nei modelli che descrivono mesoni e barioni, è ormai un fatto sperimentalmente accertato: ad esempio, stati con quattro quark sono già stati scoperti in diversi esperimenti, incluso LHCb”, approfondisce Pierluigi Campana, a capo della collaborazione internazionale LHCb dal 2011 al 2014. “Però adesso abbiamo una forte indicazione di qualcosa di equivalente per i cinque quark. E questo grazie alla capacità di LHCb di riconoscere la natura delle particelle, in mezzo a quella tempesta di tracce che ci è generosamente offerta dalle collisioni a LHC”, conclude Campana.
Ma questo risultato non è conclusivo, perché i pentaquark sono una classe di particelle che ci può aprire le porte a una comprensione molto più approfondita della materia. Infatti, se noi conosciamo bene la forza elettromagnetica che tiene legati assieme gli atomi, cioè i nucleoni e gli elettroni, non altrettanto possiamo dire della forza forte, che tiene legati sia i protoni e i neutroni all’interno del nucleo, sia i quark che li compongono tra di loro.
“La scoperta della collaborazione LHCb, di uno stato composto da cinque quark, se sarà confermata, arriva gradita, ma non inattesa”, commenta Luciano Maiani, fisico teorico fra coloro che hanno maggiormente contribuito agli studi sui quark. “Nel lavoro in cui introduceva i quark, Gell-Mann aveva anche suggerito che, oltre ai mesoni noti fatti da una coppia quark-antiquark, potessero esistere particelle mesoniche composte da due coppie quark-antiquark (tetraquark) e che, oltre alle particelle barioniche composte da tre quark, potessero esserci dei pentaquark. Ci attende adesso l’esplorazione di un nuovo mondo di particelle, al CERN e ai collisori elettrone-positrone in Giappone e in Cina. Speriamo di trovare, nei pentaquark, quella “pistola fumante” che convinca anche gli scettici dell’esistenza di una nuova serie di particelle subnucleari, che ci daranno informazioni cruciali sulle, ancora misteriose, interazioni forti”, conclude Maiani.
Quindi, si apre ora tutto un nuovo filone di ricerca. Il passo successivo per l'analisi sarà perciò studiare come i quark sono legati all'interno dei pentaquark. I quark, infatti, potrebbero essere strettamente vincolati, oppure potrebbero essere tenuti assieme più debolmente in una sorta di molecola mesone-barione, in cui il mesone e il barione risentono del residuo dell’interazione forte, la stessa forza che lega protoni e neutroni a formare i nuclei. Saranno quindi necessari ulteriori studi per distinguere tra queste possibilità, e per vedere che cosa i pentaquark possono insegnarci. I nuovi dati che LHCb raccoglierà durante il RUN2 di LHC consentiranno di compiere progressi in questo campo.
Approfondimento
di Luciano Maiani
Idee sulla struttura di tetra e pentaquark sono state avanzate da diversi autori a partire dagli anni ’70 del secolo scorso (R. Jaffe, poi G. Rossi e G. Veneziano e successivamente R. Jaffe e F. Wilczeck), ma nessuna prova sperimentale indicava allora la presenza di particelle più complicate del minimo necessario. La situazione è cambiata con la scoperta di particelle costituite da quark “pesanti”, il quark charm e il quark beauty. Nel decadimento di una particella con quark pesanti, questi ultimi non possono “sparire”: li possiamo rintracciare nelle particelle dello stato finale e vedere se nella particella iniziale non ce ne dovessero essere degli altri. L’idea che alcuni mesoni, osservati a partire dal 2003 e non interpretabili nello schema tradizionale fossero tetraquark formati da una coppia di quark pesanti e una di quark leggeri, è stata avanzata nel 2005 dal nostro gruppo (L. Maiani, A. Polosa, F. Piccinini, V. Riquer) e approfondita negli anni successivi, tra gli altri da S. Weinberg e da S. Brodsky, negli USA. Mesoni contenenti una coppia di quark beauty sono stati interpretati come tetraquark da A. Ali e altri collaboratori del laboratorio DESY, in Germania. Nel 2007, la scoperta del mesone Z+, da parte della collaborazione BELLE in Giappone, è stata confermata nel 2014 da LHCb. Oltre a una coppia charm-anticharm, che ha nel complesso carica elettrica zero, lo Z+ “deve” contenere una coppia di quark leggeri, per arrivare alla carica elettrica positiva osservata, proprio come previsto dai nostri tetraquark. I pentaquark osservati sono di questo tipo: decadono in un mesone charm-anticharm e in un protone, quindi devono contenere, in aggiunta, due quark up e un quark down. L’esistenza dei pentaquark è una logica conseguenza dell’esistenza dei tetraquark.

Albergo diffuso: cosa sono gli alberghi diffusi e dove sono in Italia?


Santo Stefano di Sessanio

Vivere la vita di un borgo e sentirsi come un suo abitante: è questa la filosofia alla base del modello turistico dell’Albergo Diffuso. Un modello di sviluppo del territorio che inserisce le strutture ricettive all’interno di un centro abitato. Un’ospitalità nuova, diventata relativamente nota in Italia negli ultimi anni, e che ha salvato da morte certa decine di piccoli paesini ormai disabitati.
L’Albergo Diffuso funziona in buona sostanza così: gli alloggi sono sparsi in diverse strutture dislocate su tutto il centro cittadino. I servizi offerti sono gli stessi degli alberghi, ma l’aria che si respira è diversa. È pulita, sa di natura, di vita a contatto diretto con chi in quel borgo ci vive da sempre. Gli edifici dell’albergo sono generalmente stabili antichi e di pregio ristrutturati e ammobiliati con tutti i comfort. L’impatto sull’ambiente è bassissimo, perché non si costruisce nulla di nuovo. Si restaura ciò che già esiste senza usare il cemento, poco eco-friendly.
Affinché si possa realizzare un turismo innovativo come questo occorre rintracciare un paese, parzialmente abbandonato e dal forte interesse storico-ambientale; individuare gli edifici capaci di accogliere diversi ospiti; e procedere a ristrutturarli nel pieno rispetto della natura e della loro identità storica. Ma c’è di più, l’impatto sulle relazioni umane. Una realtà fatta di poche persone dà la possibilità di intrecciare legami solitamente più genuini che non in una zona a turismo di massa. Ecco perché chi vive una vacanza del genere torna a casa più rilassato e con un bagaglio di esperienze maggiore. Perché ha avuto modo di parlare, capire e guardare un mondo da un’angolazione nuova.
Sul sito dell’AdiAssociazione nazionale Alberghi Diffusi (http://www.alberghidiffusi.it), c’è un elenco delle 40 strutture presenti in Italia classificate per regione. In Emilia Romagna, sull’Appennino tosco-emiliano, esiste un piccolo borgo arroccato sulle montagne. Si chiama Portico di Romagna, qui è stato creato l’Albergo Diffuso “Al Vecchio Convento”.
In provincia di Rieti, nella patria degli spaghetti all’amatriciana, abbiamo l’Albergo Diffuso Villa Retrosi. Un gruppo di amici ha recuperato e ristrutturato le proprie abitazioni destinandole all’attività turistica. Assicurano che ogni intervento è stato fatto nel pieno rispetto dell’architettura paesaggistica. E in coerenza con la promozione di uno turismo ecosostenibile, dal 2007, a Villa Retrosi viene prodotta energia elettrica grazie a piccoli e potenti pannelli fotovoltaici.
Per non parlare della bellissima storia di Santo Stefano di Sessanio (nella foto in alto), un borgo di poche anime sul Gran Sasso che stava morendo prima di essere recuperato da Daniele Kihlgren, una storia emblematica che ci racconta Il Fatto Quotidiano e che rappresenta un interessante esempio di questa tipologia di struttura alberghiera. Ora il suo albergo diffuso Sextantio (http://www.sextantio.it) è un mirabile esempio di un borgo fortificato medievale recuperato alla vita.
Questi sono solo alcuni esempi, ma tante strutture si trovano nella guida curata dal Touring Club, in distribuzione dal prossimo aprile.
Perché gli alberghi diffusi in Italia sono ben più di quaranta e hanno tutti una storia da raccontare. Come per esempio lo Chalet del Capriolo a Cervara di Roma, un paesino sui Monti Simbruini che un turismo sostenibile di qualità sta contribuendo a recuperare.
Insomma, un mondo da scoprire e da esplorare, nonché un modo di conoscere angoli del nostro Paese semi dimenticati ed indubbiamente genuini.
Chi sceglie per le proprie vacanze un Albergo Diffuso sceglie anche gli abitanti del borgo che lo ospiterà. Perché fanno parte di quel patrimonio fatto di sapere e cultura che soltanto un turismo meno invasivo è capace di generare. Sono sempre di più i giovani che fiutano l’opportunità di lavoro e scappano da città super affollate e caotiche. Eppure ancora oggi non tutte le Regioni italiane hanno incentivato un’iniziativa del genere. Che cosa si aspetta?