Santo Stefano di Sessanio
Vivere la vita di un borgo e sentirsi come un suo abitante: è questa la filosofia alla base del modello turistico dell’Albergo Diffuso. Un modello di sviluppo del territorio che inserisce le strutture ricettive all’interno di un centro abitato. Un’ospitalità nuova, diventata relativamente nota in Italia negli ultimi anni, e che ha salvato da morte certa decine di piccoli paesini ormai disabitati.
L’Albergo Diffuso funziona in buona sostanza così: gli alloggi sono sparsi in diverse strutture dislocate su tutto il centro cittadino. I servizi offerti sono gli stessi degli alberghi, ma l’aria che si respira è diversa. È pulita, sa di natura, di vita a contatto diretto con chi in quel borgo ci vive da sempre. Gli edifici dell’albergo sono generalmente stabili antichi e di pregio ristrutturati e ammobiliati con tutti i comfort. L’impatto sull’ambiente è bassissimo, perché non si costruisce nulla di nuovo. Si restaura ciò che già esiste senza usare il cemento, poco eco-friendly.
Affinché si possa realizzare un turismo innovativo come questo occorre rintracciare un paese, parzialmente abbandonato e dal forte interesse storico-ambientale; individuare gli edifici capaci di accogliere diversi ospiti; e procedere a ristrutturarli nel pieno rispetto della natura e della loro identità storica. Ma c’è di più, l’impatto sulle relazioni umane. Una realtà fatta di poche persone dà la possibilità di intrecciare legami solitamente più genuini che non in una zona a turismo di massa. Ecco perché chi vive una vacanza del genere torna a casa più rilassato e con un bagaglio di esperienze maggiore. Perché ha avuto modo di parlare, capire e guardare un mondo da un’angolazione nuova.
Sul sito dell’Adi, Associazione nazionale Alberghi Diffusi (http://www.alberghidiffusi.it), c’è un elenco delle 40 strutture presenti in Italia classificate per regione. In Emilia Romagna, sull’Appennino tosco-emiliano, esiste un piccolo borgo arroccato sulle montagne. Si chiama Portico di Romagna, qui è stato creato l’Albergo Diffuso “Al Vecchio Convento”.
In provincia di Rieti, nella patria degli spaghetti all’amatriciana, abbiamo l’Albergo Diffuso Villa Retrosi. Un gruppo di amici ha recuperato e ristrutturato le proprie abitazioni destinandole all’attività turistica. Assicurano che ogni intervento è stato fatto nel pieno rispetto dell’architettura paesaggistica. E in coerenza con la promozione di uno turismo ecosostenibile, dal 2007, a Villa Retrosi viene prodotta energia elettrica grazie a piccoli e potenti pannelli fotovoltaici.
Per non parlare della bellissima storia di Santo Stefano di Sessanio (nella foto in alto), un borgo di poche anime sul Gran Sasso che stava morendo prima di essere recuperato da Daniele Kihlgren, una storia emblematica che ci racconta Il Fatto Quotidiano e che rappresenta un interessante esempio di questa tipologia di struttura alberghiera. Ora il suo albergo diffuso Sextantio (http://www.sextantio.it) è un mirabile esempio di un borgo fortificato medievale recuperato alla vita.
Questi sono solo alcuni esempi, ma tante strutture si trovano nella guida curata dal Touring Club, in distribuzione dal prossimo aprile.
Perché gli alberghi diffusi in Italia sono ben più di quaranta e hanno tutti una storia da raccontare. Come per esempio lo Chalet del Capriolo a Cervara di Roma, un paesino sui Monti Simbruini che un turismo sostenibile di qualità sta contribuendo a recuperare.
Insomma, un mondo da scoprire e da esplorare, nonché un modo di conoscere angoli del nostro Paese semi dimenticati ed indubbiamente genuini.
Chi sceglie per le proprie vacanze un Albergo Diffuso sceglie anche gli abitanti del borgo che lo ospiterà. Perché fanno parte di quel patrimonio fatto di sapere e cultura che soltanto un turismo meno invasivo è capace di generare. Sono sempre di più i giovani che fiutano l’opportunità di lavoro e scappano da città super affollate e caotiche. Eppure ancora oggi non tutte le Regioni italiane hanno incentivato un’iniziativa del genere. Che cosa si aspetta?
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