Le carte dell'inchiesta sul porto di Imperia citano anche l'ex ministro e i suoi familiari. Lui (indagato solo in un altro filone dell'inchiesta) si difende: "Acquisti perfettamente leciti". L'inchiesta si allarga anche al progetto del mega-porticciolo di Fiumicino. I pm: "Fraudolenta lievitazione dei costi"
Non c’è pace per gli investimenti immobiliari di Claudio Scajola. Prima la casa al Colosseo. Oggi posti barca, appartamenti e box. Intestati alla moglie Maria Teresa Verda e alla sorella Maria Teresa Scajola. Tutti acquistati con sconti fino al 17 per cento o addirittura, sostengono i pm, non ancora pagati. L’accusa sta cercando di capire se Francesco Bellavista Caltagirone (re dei porticcioli e patriota Alitalia) abbia in qualche modo ricompensato gli appoggi al mega-progetto del porto di Imperia.
Ecco allora che si stanno passando al setaccio tutti gli acquirenti di posti barca, soprattutto tredici, alcuni dei quali comprati dalla famiglia Scajola. L’ex ministro Claudio (indagato per associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta, ma soltanto in un altro filone dell’inchiesta, mentre i suoi familiari non risultano indagati) è sempre stato uno degli sponsor del porto: “Cambierà il volto della città”. Su questo non ci sono dubbi, anche se i giudizi sono diversi. È tutto scritto a pagina 153 dell’ordinanza che ha portato all’arresto di Bellavista Caltagirone: “L’articolato meccanismo per pilotare l’attribuzione dell’appalto in favore di un imprenditore scelto nella più totale violazione delle regole… con la gravissima, fraudolenta speculazione economica che ne è seguita inducono a ritenere quanto mai verosimile l’esistenza di una sotterranea spartizione di ritorno dei profitti fraudolentemente conseguiti da Caltagirone in favore dei soggetti (ovvero dei loro familiari) che gli hanno regalato l’appalto e il porto”, scrivono i magistrati.
Sono in corso indagini su un posto barca da 40 metri, costo 2,5 milioni di euro e su ulteriori dodici posti per un valore di 4,4 milioni. Ecco, in quei tredici posti barca potrebbe essere il nocciolo dell’inchiesta: “Dall’esame del materiale sequestrato presso Acquamare (la società di Bellavista Caltagirone, ndr) emergono degli acquirenti qualificati “amici”… tra essi compaiono: Maria Teresa Verda, moglie di Scajola, acquisti per 344.000 euro di due posti barca e due posti auto coperti con sconto del 18,66%”. Poi “Maria Teresa Scajola (la sorella dell’ex ministro, ndr), acquisti per 1.510.000 euro per i posti barca e due immobili di valore di 462.000 euro (con sconti dal 5 al 17,43%)”. Infine: “Claudio Scajola risulta aver versato una mera caparra di 103.000 euro, ma non pare aver versato il saldo”.
Scajola al Fatto Quotidiano la spiega così: “Sono acquisti perfettamente leciti. I 103mila euro cui si fa riferimento sono in realtà 120mila e si riferiscono ai posti barca e ai box di mia moglie. Non ho ultimato il pagamento perché il contratto definitivo non è stato firmato e i posti non sono pronti. Non so nulla degli acquisti di mia sorella”. Ormeggerà le sue barche a Imperia? “Non ho barche, mia moglie ha comprato i posti come investimento. È tutto lecito e trasparente. Questo porto ha cambiato la faccia della città, ma sono sicuro che il tempo renderà giustizia a me e alla mia famiglia”.
Il porto di Fiumicino – Ma il passaggio più clamoroso dell’ordinanza non riguarda Imperia. Sono un paio di pagine che riguardano il mega-porticciolo di Fiumicino, il più grande del Mediterraneo. Parliamo di oltre 1.500 posti barca realizzati da Caltagirone Bellavista tra l’altro con soci pubblici e con la benedizione politica del centrodestra e del centrosinistra. Perfettamente bipartisan. Scrive il pm di Imperia: “Caltagirone ha in corso la realizzazione del porto di Fiumicino e sta utilizzando le medesime modalità di fraudolenta lievitazione dei costi sperimentate a Imperia”. Una bomba dalle conseguenze imprevedibili. I magistrati ricordano che la questione è già oggetto di istruttorie del Tribunale Civile di Civitavecchia. E aggiungono: a Fiumicino esiste una società – misto pubblico-privato – la Iniziativa Portuali che ha per oggetto la costruzione e la gestione di impianti portuali turistici e che ha ottenuto dalla Regione Lazio la concessione demaniale per la costruzione e per la gestione per novant’anni”, proprio come a Imperia, dove esiste la Porto di Imperia spa, che raccoglie soci pubblici e privati.
In entrambi i casi Caltagirone Bellavista. Non basta: in entrambi i casi si incontra l’ingresso della “stessa compagine societaria” che fa capo al gruppo Acqua Pia Antica Marcia di Caltagirone Bellavista. Ma ecco il punto centrale: anche a Fiumicino come a Imperia, si prevede la “conversione in diritti di concessione del corrispettivo monetario ottenuto dalla società costruttrice dell’opera”. Infine, sottolineano i magistrati imperiesi, a Fiumicino si ritrovano gli stessi attori: membri del cda indagati in Liguria, ma anche imprese destinatarie di subappalti, ma in realtà inattive”. Concludono i magistrati: “Come si può vedere il meccanismo è assolutamente identico”. Già, Fiumicino, un possibile terremoto economico e politico per la Roma degli affari. Con quella società, la Infrastrutture Portuali, che inizialmente era a maggioranza pubblica (di Italia Navigando, emanazione di Sviluppo Italia) e che poi, emarginando gli originari membri del cda e i primi soci privati, abbracciò Caltagirone Bellavista.
I costi gonfiati di Imperia – La storia dell’amore tra Bellavista Caltagirone e Imperia comincia addirittura nel 2003. Caltagirone Bellavista già vola sopra la città in elicottero sognando affari. Con lui ci sono Claudio Scajola e Gianpiero Fiorani che in Liguria sogna di reinvestire i soldi delle sue operazioni finanziarie. Alla fine ecco il via libera: 1440 posti barca più capannoni e residenze. L’ordinanza ripercorre ogni tappa. Al centro c’è il contratto di permuta (il modello Imperia che sarebbe stato “esportato” a Fiumicino) con cui le società costruttrici in cambio della realizzazione del porto hanno ottenuto la concessione su gran parte delle opere. Lasciando, sostiene l’accusa, il socio pubblico a becco quasi asciutto: secondo gli accordi, hanno ricostruito la Polizia Postale e la Finanza, i privati avrebbero ottenuto il 70% dell’opera.
Alla società Porto di Imperia spa (di cui il comune detiene appena un terzo) sarebbe rimasto il restante 30%. Racconta Beppe Zagarella (Pd), una delle poche voci critiche: “Le società realizzatrici hanno ottenuto l’85% della parte residenziale del progetto, alla Porto di Imperia sono restati i capannoni destinati alla cantieristica e una discoteca. Poi c’è il porto: ai privati sarebbero andati il grosso dei posti barca, mentre al pubblico restano i moli destinati alle imbarcazioni in transito e quelli per la nautica sociale”. Non basta: i pm si sono anche concentrati sui costi del mega-progetto. Si è passati da 80 a 200 milioni. Le banche si mangiano il porto – C’è poi il capitolo legato al mutuo da 140 milioni ottenuto dalle società realizzatrici (oggetto di polemiche politiche, ma non ancora oggetto formale di indagine). Ricorda Zagarella: “Finora le rate non sono state ancora pagate. Gli istituti hanno concesso una proroga”. Il finanziamento è garantito con un’ipoteca da 280 milioni, ma i creditori cominciano a essere impazienti. Tra le banche interessate all’operazione la parte del leone spetta alla Cassa di Risparmio di Genova e Imperia (Carige). L’opposizione ricorda che il vicepresidente è Alessandro Scajola, fratello dell’esponente Pdl, mentre nella fondazione siede Pietro Isnardi (consuocero di Alessandro Scajola). Il vice-presidente è Pierluigi Vinai, uomo stimato dagli Scajola e appena scelto come candidato sindaco del centrodestra a Genova.
Ma che cosa succederà adesso? Lo ipotizzano i pm: “Se Acquamare (Caltagirone Bellavista, ndr) non dovesse rientrare nel finanziamento, la ovvia conseguenza sarà che la banca… farà pignorare il diritto di superficie concesso alla Porto di Imperia e le relative aree su cui è stato realizzato il porto e se ne approprierà”. Insomma, il porto diventerà delle banche. Come la Carige. Un Comune in mano a Caltagirone Bellavista (e a Scajola) – Cinque volte risponde “sì”. Due volte “bene”. Due volte “certo”, ma anche “certo, certo, certo”. Poi: “Assolutamente”, “d’accordo” e via discorrendo. L’intercettazione della telefonata tra Paolo Strescino (non indagato), sindaco scajoliano di Imperia, e Francesco Bellavista Caltagirone merita di essere letta (pagina 148). In altre conversazioni l’imprenditore si spinge ancora più in là: “Devi attaccare proprio l’opposizione”, dice a Strescino. Che risponde con un doppio “assolutamente”. Tanto che gli inquirenti chiosano: Caltagirone si trova in compagnia del sindaco e “detta i propri suggerimenti da inserire nella bozza della delibera comunale monotematica sul Porto di Imperia”. Ma i magistrati lo scrivono ancora più chiaramente: “La cosa più grave sarà riscontrare come il Comune di Imperia, lungi dal tutelare gli interessi pubblici, non è altro che uno strumento agli ordini e nelle mani di Bellavista Caltagirone il quale addirittura interviene sui tempi e i contenuti delle delibere”.
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