giovedì 13 maggio 2010

La corte dei miracoli che gira intorno al "regalo" a B. - Eleonora Lavaggi


12 maggio 2010
Ex carcerati, mafiosi e truffatori per i nastri Fassino-Consorte. Al vaglio degli inquirenti presunte bustarelle da 50 mila euro portate al fratello del premier

Se non è un
Arcorgate, poco ci manca. Settimana dopo settimana prende sempre più corpo l'ipotesi che davvero il presidente del Consiglio abbia utilizzato intercettazioni telefoniche, trafugate illegalmente dai server della Procura di Milano per mettere nell'angolo gli avversari politici. In questa replica all'italiana dello scandalo che costrinse nel 1974 il presidente Usa Richard Nixon alle dimissioni, finora dal Pdl piovono solo smentite. L'onorevole avvocato Niccolò Ghedini e il sottosegretario Paolo Bonaiuti sostengono che Silvio Berlusconiè assolutamente estraneo alla pubblicazione, da parte de Il Giornale, dell'ormai celebre colloquio telefonico tra l'ex segretario dei Ds, Piero Fassino, e l'ex numero uno di Unipol, Giovanni Consorte, intorno al quale ruotò buona parte della campagna elettorale per le Politiche 2006.

Dal 15 dicembre scorso però giace senza risposta un'interrogazione parlamentare presentata dal responsabile Giustizia del
Pd, Andrea Orlando. Il governo, insomma, ufficialmente non vuole dire niente. E se si va a guardare quel poco che trapela a Milano dalle maglie di un segreto istruttorio mai così ferreo è facile intuire il perché. Comunque la si prenda la situazione è più che imbarazzante per Berlusconi, il suo partito e i suoi familiari. La storia che è stata fin qui messa a fuoco dagli investigatori è complessa e ha origini lontane. Comincia quando Fabrizio Favata, un imprenditore milanese che nei primi anni '90 è stato più volte in carcere, conosce Alessia Berlusconi, figlia di Paolo e della ex moglie Mariella Bocciardo, attuale deputato del Pdl. L'incontro avviene ai margini delle riunioni per le polizze assicurative della Bayerische di cui Alessia si occupa. In breve tempo Favata diventa un amico di famiglia. Lega con Paolo col quale esce spesso la sera.

Poi passa agli affari. Berlusconi Junior tramite la
Solari (quella dei decoder tv) commercializza prodotti di elettronica al consumo importati, ma si vuole espandere all'informatica. Nasce per questo l'Ip time, una società specializzata in telefonate attraverso il web, in cui Favata entra con una piccola quota detenuta, dice lui, da un'amica. Visti i suoi precedenti penali, non è il caso che compaia direttamente in un'azienda del fratello del premier. Favata è pure amico di Roberto Raffaelli, uno dei proprietari di Rcs, una delle più grandi società che lavorano con le procure nel campo delle intercettazioni. Ascoltare le telefonate altrui è un affare da molte decine di milioni di euro. Ma Rcs vuole crescere ancora. Punta ai mercati esteri (la Romania) e così Favata pensa di chiedere una mano al fratello del presidente del Consiglio. Paolo si mette a disposizione.

A Roma fa fare agli uomini della
Rcs degli incontri importanti. Poi, secondo Favata, spiega che è necessario ungere qualche ruota. Per questo nel 2005 si fa portare ogni mese nei suoi uffici milanesi di via Negri al Giornale delle buste contenenti anche 50 mila euro per volta. Per la Procura di Milano, se la storia è vera (c'è un altro testimone che la conferma) non si tratta però di corruzione. Il più giovane dei fratelli Berlusconi è infatti accusato di millantato credito: in sostanza potrebbe aver intascato i soldi facendo intendere (falsamente) che erano destinati al segretario particolare del premier, Valentino Valentini, oggi deputato. Del resto Paolo, al di là delle apparenze, navigava in cattive acque.

Nonostante il fatturato record di quegli anni (più di 150 milioni di euro) nella Solari aveva problemi con il suo socio al 49 per cento,
Giovanni Cottone, un palermitano nipote di un boss di Cosa Nostra (Antonio), e in affari con altri uomini d'onore. Un legame pericoloso la cui portata emergerà nel 2007, quando il Gicodella Guardia di Finanza, sventa all'ultimo momento il sequestro di Cottone da parte dell'ex moglie. La donna, convinta che il marito abbia truffato Paolo Berlusconi nascondendo all'estero circa 40 milioni di euro, ha infatti pianificato il suo rapimento (con successivo omicidio). In questo scenario non proprio da educande Favata sembra trovarsi a suo agio.

Quando nell'estate del 2005 la procura inizia l'inchiesta sulle scalate bancarie da parte di
Stefano Ricucci e Gianpiero Fiorani, viene dopo poco avvertito dell'esistenza di intercettazioni rilevanti dal punto di vista politico. Stando ai suoi racconti a dirgli come stanno le cose sarebbe stato Raffaelli (che però nega). A quel punto nasce l'idea di fare una sorta di regalo ai Berlusconi (i nastri riguardanti la sinistra) in modo da avere un aiuto maggiore nel tentativo di espansione di Rcs in Romania. Il via libera alla consegna del dono arriva però solo quando si è certi che dei file audio (non ancora trascritti e depositati) ne sono state fatte più copie. Intorno a Natale, dopo una visita ad Arcore, una chiavetta usb con gli audio arriva così nelle mani di Paolo e poi il 31 dicembre ll Giornale pubblica la trascrizione (diversa da quella ufficiale) del colloquio Fassino-Consorte.

Favata, sostiene, che per tutto questo gli fu promessa "eterna gratitudine". Ma aggiunge che una volta saltata per aria la
Solari e le società ad essa collegate, Paolo si è tirato indietro. Tanto da dire no a una richiesta di un milione di euro in prestito. Dal quel giorno per Favata trovare il modo di farsi ripagare il favore diventa una sorta di ossessione. L'uomo prima minaccia di rivelare come il gruppo Solari accumulava presunti fondi neri, poi utilizza la vicenda del nastro di Fassino come un'arma di ricatto. Ma questa è un'altra storia. Ancora più oscura e complicata della prima. La leggeremo domani.

Da
il Fatto Quotidiano del 12 maggio



mercoledì 12 maggio 2010

Gugliotta è stato liberato E l'agente che lo picchiò ora è indagato per lesioni



Il ragazzo è stato fatto entrare direttamente nella macchina dell’avvocato, che è partita immediatamente, evitando così l’incontro con la stampa. Con lui familiari e amici. Il ministro Vito: "Il Viminale pronto a costituirsi parte civile"

Roma, 12 maggio 2010 - Ha da poco lasciato il carcere Stefano Gugliotta, il ragazzo di 25 anni picchiato ed arrestato dalla polizia lo scorso 5 maggio in una zona nei pressi dello Stadio Olimpico di Roma al termine della finale di Coppa d’Italia Roma-Inter. Il ragazzo è stato fatto entrare direttamente nella macchina dell’avvocato, che è partita immediatamente, evitando così l’incontro con la stampa. Con lui familiari e amici.

Il gip Aldo Morgigni ha disposto la scarcerazione di Stefano Gugliotta, il giovane aggredito da un poliziotto e arrestato il 5 maggio scorso dopo la finale di Coppa Italia. Alla base del provvedimento del giudice la mancanza delle esigenze cautelari, fermo restando la sussistenza del reato di resistenza a pubblico ufficiale. La Procura aveva chiesto la remissione in libertà.

Secondo l’impostazione della Procura, alla luce di quanto emerso dal filmato diffuso anche su youtube, Gugliotta è stato vittima di un “atto arbitrario” di un poliziotto che l’ha colpito. La reazione di Gugliotta è in qualche modo giustificata dal torto subito.

Intanto l’agente che ha colpito con un pugno il 25enne è stato indagato per il reato di lesioni volontarie aggravate. Il poliziotto era stato sentito ieri come persona informata sui fatti dal pm Francesco Polino, ma l’atto istruttorio è stato poi interrotto perchè si è resa necessaria la nomina di un avvocato.

IL DIFENSORE: UTILE IL VIDEO

“Il video è stato quantomai utile per meglio accertare i fatti. E’ apprezzabile che ci sia stato un numero consistente di persone che con coraggio si sono dette pronte a testimoniare e che hanno realizzato e consegnato i filmati”. Così hanno affermato gli avvocati Cesare Piraino e Giacinto Lupice, difensori di Stefano Gugliotta dopo aver appreso della prossima remissione in libertà del loro assistito.

“Siamo soddisfatti che il ragazzo esca dal carcere. Il provvedimento di scarcerazione è basato sulla mancanza di esigenze cautelari? Non l’ho ancora ricevuto - ha continuato l’avvocato Piraino - Mi auguro che nell’atto vi sia anche una valutazione sui ‘gravi indizi’ di colpevolezza contestati Gugliotta. Se non fosse così vuol dire che le accuse nei confronti del giovane permangono e ciò non mi sembra giusto”.

INTERVIENE IN GOVERNO

“Qualora venissero accertati al termine dell’indagine responsabilità penali nei confronti di uno o più appartenenti alle forze dell’ordine” sulla vicenda di Stefano Gugliotta “il Ministero dell’Interno si costituirà parte civile”. Lo ha detto il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito, rispondendo nel question time alla Camera ad una interrogazione del Pd sul pestaggio e l’arresto del giovane romano fuori lo stadio Olimpico.

“Esprimo a nome di tutto il governo la più ferma condanna di ogni violenza da qualsiasi parte provenga - ha detto Vito - sono in corso indagini giudiziarie e un’inchiesta interna disposta dal capo della polizia per individuare ogni responsabilità che verrà perseguita senza riserva”.

“Il governo auspica una rapida conclusione degli accertamenti, ma tenuto conto che la responsabilità penale è personale sono da evitare processi sommari e attacchi indiscriminati alle forze dell’ordine, che - ha continuato il ministro - svolgono quotidianamente il proprio compito con professionalità e sacrificio”.

IL PD: ANCHE IL COMUNE PARTE CIVILE

"Alla luce delle prime accuse formulate dal pubblico ministero, che ha indagato per lesioni volontarie, aggravate dal fatto che è un pubblico ufficiale, il poliziotto che ha colpito con un pugno il giovane Stefano Gugliotta al momento del fermo, lo scorso 5 maggio al termine della finale di Coppa Italia, riteniamo che vi siano tutti gli elementi, avvalorati oggi dalla decisione del ministero degli Interni di costituirsi parte civile contro i rappresentanti delle forze dell’ordine", afferma Athos De Luca consigliere comunale Pd.

"L’amministrazione schierandosi accanto al ragazzo romano - ha concluso De Luca - ribadirebbe che la lotta alla illegalità venga sempre perseguita nel rispetto dei diritti dei cittadini e non consentendo mai il ricorso alla violenza ingiustificata, onde evitare che si ripetano casi come quello che ha visto vittima il giovane Cucchi".

IL RAGAZZO: NON NE POSSO PIU'

Stefano Gugliotta, prima della decisione del Gip, voleva iniziare lo sciopero della fame. Lo ha detto il padre del ragazzo in carcere a Regina Coeli arrestato tra mille polemiche dopo la finale di Coppa Italia tra Inter e Roma, e che secondo un video in possesso dei suoi familiari sarebbe stato picchiato da alcuni agenti della polizia.

“Siamo arrabbiati - ha riferito - non vediamo l’ora che esca. E lui ha detto che non ce la fa più - ha concluso il papa’- Stefano ha deciso di iniziare a non mangiare e bere”.


Io intercetto, voi no - Marco Travaglio



12 maggio 2010

Le ultime rivelazioni sulle intercettazioni di D’Alema eFassino illegalmente e gentilmente offerte a Berlusconi, riportano alla mente un altro episodio della sua luminosa carriera, ovviamente dimenticato: quando era lo stesso Cavaliere a intercettare di nascosto i suoi ospiti per carpire loro false accuse contro Di Pietro. È l’autunno ‘95 e Di Pietro, uscito da un anno dalla magistratura, è nel mirino della Procura di Brescia. Ma le inchieste languono e rischiano di finire archiviate. Si avvicina l’entrata in politica del pm più popolare d’Italia e Berlusconi ne è terrorizzato.

Così invita ad Arcore un suo vecchio dipendente e amico, il costruttore
Antonio D’Adamo, che era amico pure di Di Pietro e nuota in pessime acque, con 40 miliardi di debiti con le banche. Berlusconi s’impegna ad aiutarlo finanziariamente, ma in cambio vuole una sola cosa: la testa di Tonino. Quando, alle 12:55 del 7 settembre, D’Adamo esce dalla villa di Arcore, chiama la figlia che gli domanda: "Papà, ma tu sei riuscito a fare qualcosa per lui?". E D’Adamo: "Certo, Patrizia, c’è tutta una contropartita...". L’amico Silvio gli ha appena promesso un po’ di respiro dalle banche creditrici e un intervento per sbloccare certi affari edilizi in Libia. Passano due anni e il 13 maggio 1997 Cesare Previti produce a Brescia un memoriale scritto da D’Adamo che rievoca creativamente il famoso prestito di 100 milioni fatto dal costruttore all’ex pm e poi restituito, e altri particolari opportunamente ritoccati per accreditare l’ipotesi accusatoria dei pm bresciani: che Di Pietro abbia concusso il banchiere Pacini Battaglia per salvarlo da Mani Pulitein cambio di una tangente parcheggiata sui conti di D’Adamo.

Berlusconi va a testimoniare: "D’Adamo mi ha riferito di aver ricevuto da Pacini un finanziamento di 9 miliardi. A fronte di tale finanziamento D’Adamo avrebbe dovuto restituire a Pacini 4 miliardi e mezzo, mentre la restante somma avrebbe dovuto essere destinata al dottor Di Pietro, pienamente consapevole e consenziente". Dice che, per puro caso, è stata registrata dal suo collaboratore
Roberto Gasparotti la conversazione in cui D’Adamo gli confida il peccato mortale di Tonino. Gasparotti presenta ai pm un "taglia e cuci" delle confidenze di D’Adamo. Ma il contenuto non è cosí chiaro come garantisce il Cavaliere. È quest’ultimo che tenta di far dire a D’Adamo che Di Pietro è un corrotto. Ma D’Adamo, finito in un gioco più grande di lui che potrebbe condurre entrambi a una condanna per calunnia, si schermisce: "Dottore, lei sa quanto le voglio bene e quindi non ho paura di questa cosa qui, ma se dice una cosa di questo tipo si incasina...lei queste cose le lasci dire a me… lei deve stare fuori...".

Nel nastro "taglia e cuci" D’Adamo spiega, mentendo, di avere ancora un credito di "100 milioni, 150, 130, non so" con l’ex pm (che invece ha estinto il debito già nel 1994). Ma quando finalmente va a deporre a Brescia, balbetta, si contraddice e non conferma ciò che non può confermare: e cioè che Di Pietro fosse un corrotto. Alla fine l’ex pm verrà prosciolto dal gup
Anna Di Martino, che scriverà: "La genesi delle accuse di D’Adamo rinviene dai sedimentati risentimenti nutriti da Silvio Berlusconi nei confronti dell’ex magistrato, risultando poi per tabulas che proprio Berlusconi (e Previti) sospinse D’Adamo alla Procura di Brescia, utilizzando ogni mezzo e facendo leva sull’antico rapporto di lavoro subordinato e sullo stato di dipendenza finanziaria e psicologica di D’Adamo". I nastri evidenziano un'"inquietante soggettiva interpretazione dei fatti da parte del Berlusconi, ma anche un abbandono strumentale del D’Adamo a rivelazioni forzatamente alterate dei suoi rapporti con Di Pietro, nella prospettiva di soddisfare l’ansia accusatoria del suo interlocutore (Berlusconi) nei confronti dell’ex pm e ottenere urgenti soccorsi". Ecco, signore e signori: questo è l’uomo che oggi sventola il vessillo della privacy e vuole abrogare le intercettazioni. Quelle legali. Quindi, non le sue.

Da
il Fatto Quotidiano del 12 maggio

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2486890&title=2486890



L’UOMO GIUSTO - Stazione MIR - Federico D'Orazio


Lui, dice che era tutto già deciso dal settembre 2009.

Dice che quindi, gli scandali che hanno colpito Bertolaso, nulla c’entrano con il suo arrivo in Protezione Civile, e col suo futuro avvicendamento al vertice del Dipartimento. E nulla c’entrano quindi le indagini per ipotesi di corruzione, omicidio colposo, né tantomeno le Moniche e Francesche del Salaria Sport Village che da qualche mese a questa parte hanno un po’ imbrattato i fregi dell’eroe nazionale Guido Bertolaso.

Lui, difatti, è Franco Gabrielli. E non c’entra nulla.

Men che meno con Bertolaso, medico da tempo immemore destinato a portare la sua opera nel continente nero, trattenuto per la giacchetta da Governi di ogni colore sul suolo patrio. Perché una gemma del suo calibro non può e non deve essere solo ciò per cui ha titolo d’occuparsi: ovvero, medico specialista in malattie tropicali.

Nell’ineluttabilità della dipartita del Bertolaso, gli ingranaggi che regolano questo gioco delle tre carte, vedono occupare la poltrona di Capo Dipartimento dal personaggio davvero giusto; Franco Gabrielli, appunto. Già Prefetto dell’Aquila, già capo del SISDE, già poliziotto.

Nel suo cursus honorum aquilano lo si ricorda per essersi saputo mostrare, da capace conoscitore di “movimenti eversivi”, come ci ricorda l’articolo de “Il Centro” di oggi, accondiscendente con chi ricopriva appieno il clichet del terremotato forte, gentile e disorientato… e duro, irreprensibile, sprezzante offensivo e repressivo, verso coloro i quali, semplicemente, avevano qualcosa in più da obiettare, pur essendo anch’essi, terremotati.

Lo ricordo aver definito “minoranza prepotente” gli aquilani in carriola anche il giorno delle elezioni amministrative aquilane, rei d’aver praticato una manifestazione a suo dire politica durante il silenzio elettorale. Peccato che, ammesso e non concesso che di manifestazione politica si trattasse, i suoi fidi emissari abbiano saputo con precisione chirurgica chi colpire (amministrativamente) al punto che nel novero delle decine di partecipanti alla “prepotente” manifestazione, ne siano stati poi denunciati solo tre, e tutti riconducibili a vario titolo all’attività politica, pur non essendo in quell’occasione candidati ad alcunché, né mi risulta iscritti a partito alcuno.

“Cialtroni”, disse che eravamo noi in carriola. Noi contestatori di messaggi a contenuto propagandistico che senza alcuna vergogna Berlusconi e Schifani hanno fatto leggere sotto il nostro tendone la notte del 6 Aprile 2010, mentre tutti ci aspettavamo un momento di decente silenzio.

Silenzio anche da chi quella notte, per casuale fortuna, non era in sede. Ma così non fu.

Da parte mia non nutro dubbi che la sua nomina venga da un percorso iniziato da lontano. E sulla quale a lungo si sia lavorato. Per meritarsela, sia chiaro. E senza dubbio l’avrà meritata il nostro già ex-Prefetto “querela facile” Franco Gabrielli.

L’ha meritata sul campo. Dimostrando di saper arginare i pericoli di un “territorio difficile”, come egli stesso ricorda al suo ancora ignoto successore. Sembra quasi voglia avvertirlo che, di chiunque si tratterà, questi avrà del filo da torcere; parla infatti di necessità di un “rappresentante del Governo all’altezza” del compito che gli si prospetta.

A L’Aquila, s’è capito, c’è resistenza a farsi piegare.

Quando anche Gabrielli avrà a disposizione i mezzi delle decretazioni d’urgenza, prerogative di un capo Dipartimento della Protezione Civile, avremo finalmente elementi per un giudizio realistico.

Sapremo perché a proteggere una popolazione da rischi Idrogeologici, sismici, vulcanici debba esserci non un ingegnere. Non un medico, seppur tropicalista. Ma un poliziotto di carriera.

Quello sì, che è l’uomo giusto.

http://stazionemir.wordpress.com/2010/05/12/luomo-giusto/#comment-720


Le intercettazioni che piacciono a B. - Eleonora Lavaggi


Questa volta Silvio Berlusconi rischia grosso. Sta prendendo una brutta piega l’indagine della procura di Milano sul furto informatico del file-audio contenente l’ormai celebre intercettazione in cui l’ex segretario dei Ds, Piero Fassino, nell’estate del 2005 diceva all’ex numero uno di Unipol, Giovanni Consorte, "allora siamo padroni di una banca...". Gli elementi in base ai quali gli investigatori pensano che davvero quel nastro (ma non solo quello) sia transitato per Arcore prima di venir consegnato a Paolo Berlusconi e pubblicato da Il Giornale il 31 dicembre del 2005, aumentano. E tra di essi vi sono pure una serie di dichiarazioni pubbliche del presidente del Consiglio che, come vedremo, nel gennaio del 2006 si dimostrava a conoscenza di molti particolari sul ruolo dei vertici dei Ds nella scalataBnl, in quel momento segreti per tutti i comuni mortali.

Ma andiamo con ordine. La scorsa settimana
Fabrizio Favata, un ex socio (occulto) di Berlusconi junior nell’azienda di software Ip time, si è presentato al pmMassimo Meroni per confessare di essere davvero stato lui a far ascoltare al premier e a suo fratello non solo la voce di Fassino, ma anche quella di una lunga serie di politici intercettati durante l’inchiesta sulle scalate bancarie (i furbetti del quartierino) di 5 anni fa. Favata ha aggiunto che con lui, in quella strana visita ai Berlusconi avvenuta nel tardo pomeriggio del 24 dicembre 2005, c’era pureRoberto Raffaelli, l’ex patron di Rcs, l’azienda di intercettazioni telefoniche utilizzata dai magistrati nell’inchiesta sui furbetti. E per corroborare la sua tesi ha consegnato un registratore in cui è presente anche il file di un colloquio (della primavera 2009) in cui lui e Raffaeli riepilogano l’intera storia. Adesso il pallino è in mano a Raffaelli che, già ascoltato mesi fa, si era fin qui limitato ad ammettere la singolare visita natalizia, ma aveva negato il resto. Di fronte alle prove prodotte da Favata cambierà versione? La risposta è importante, ma a questo punto forse non fondamentale. La partita che si sta giocando a Milano è infatti più che altro politica. I pm hanno iscritto sul registro degli indagati i protagonisti della vicenda per una lunga sfilza di reati che vanno, a seconda delle posizioni, dalla corruzione, al millantato credito, dalla tentata estorsione (ai danni del premier) fino al furto informatico e alle fatture false.

Ma la questione, come ha ricordato l’ex leader del
Pd, Walter Veltroni è in fondo un’altra: davvero Berlusconi, il politico che vuole mettere il bavaglio alla stampa e rendere quasi impossibili gli ascolti telefonici, ha utilizzato un’intercettazione segreta e non ancora trascritta per danneggiare mediaticamente gli avversari? Per capirlo conviene partire da due fatti. Incontestabili. Il primo è un particolare tecnico: nell’autunno del 2005, quando imperversavano le polemiche sul ruolo della politica nelle scalate bancarie, ma ancora i giornali non conoscevano i contenuti dei colloqui tra Consorte e i vertici dei Ds, di tutti quei file audio vennero fatte più copie. Ai magistrati furono forniti dei computer contenenti le intercettazioni in modo le potessero ascoltare per poi decidere quali fossero realmente rilevanti (e quindi da trascrivere) e quali no. Insomma da quel momento in poi, per i tecnici fare una copia dei file, sarebbe stato facilissimo. Il secondo fatto è invece l’atteggiamento pubblico di Berlusconi nel gennaio del 2006.

Quando
Il Giornale (facendo il suo dovere) pubblica la trascrizione della telefonata Fassino-Consorte, i Ds in imbarazzo si difendono sostenendo che il loro segretario non ha commesso alcun illecito, ma si è limitato a fare il tifo per Unipol. Berlusconi però attacca a tutto campo. E comincia la rimonta che in primavera lo porterà a perdere per 24mila voti le politiche contro Prodi (allora i sondaggi lo davano indietro di 10 punti). Mentre i suoi collaboratori spiegano ai giornali (Corriere 10 gennaio ’06) che su il dossier su Unipol e la Quercia "è cresciuto durante le vacanze", l’11 gennaio il premier va il premier da Bruno Vespa, e dice: "I Ds mentono. Non si sono limitati a fare il tifo, ma hanno avuto incontri affinché alcuni detentori di azioni Bnl le vendessero a Unipol". Vespa gli chiede se per caso sia a conoscenza di informazioni non di pubblico dominio. Lui risponde: "Ne ho ulteriore conoscenza". Il caso monta. Il centrodestra dice che con le scalate "è finito il mito della diversità morale della sinistra". I sondaggi invertono la tendenza.

Due giorni dopo, visto che è stato sfidato a riferire quel che sa ai pm, Berlusconi si presenta alla procura di Roma (che si occupa di
Bnl), per una deposizione di mezz'ora. Il risultato è però deludente. Il Cavaliere cita come testimone il suo vecchio amico Tarak Ben Ammar (che già nel ‘96 lo aveva difeso sui finanziamenti a Craxi) e sostiene di aver saputo da lui di un incontro tra Massimo D’Alema e i vertici delle Assicurazioni Generali, azioniste di Bnl. La smentita delle Generali è immediata. La domanda diventa allora: perché Berlusconi si è esposto in quel modo? Una risposta c’è, se si crede a Favata. L’ex socio di Paolo Berlusconi sostiene di aver fatto ascoltare al premier ve pure un’intercettazione di D’Alema, che pare fare il paio con le denuncie pubbliche del premier da Vespa.

Un colloquio con Consorte del 14 luglio 2005 da cui emerge come davvero il
leader Maximo non si limitò, come Fassino, a fare il tifo per Unipol, ma che invece incontrò l’eurodeputato Udc, Vito Bonsignore, azionista Bnl, per discutere con lui "cosa doveva fare" (vendere o meno a Unipol) in cambio di una contropartita politica. Il dubbio che prende sempre più corpo a Milano è insomma uno solo: Berlusconi a dicembre sapeva tutto, in tv ha detto troppo, e quando si è trovato di fronte ai magistrati è stato costretto a volare basso parlando solo delle Generali e di Tarak. Se avesse detto tutto, già allora, le imbarazzanti intercettazioni delle scalate si sarebbero infatti rivoltate contro di lui.



Da
il Fatto Quotidiano dell'11 maggio

http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2486512&yy=2010&mm=05&dd=11&title=le_intercettazioni_che_piaccio




No all'imbavagliamento della stampa!


PER LA LIBERTÀ D'INFORMAZIONE, PER LE LIBERTÀ COSTITUZIONALI

All’appello contro la legge bavaglio sulle intercettazioni hanno già aderito quasi 30.000 persone, gruppi, sindacati e associazioni.

All’appello hanno dato il loro sostegno alcuni tra i maggiori costituzionalisti italiani:

Valerio Onida, Presidente dell’Associazione dei costituzionalisti italiani; Alessandro Pace, già Presidente della stessa associazione;Gaetano Azzariti; Lorenza Carlassare; Mario Dogliani; Gianni Ferrara.

Per approvare il disegno di legge è stata impressa una vistosissima accelerata ai lavori parlamentari Sono previste sedute mattutine, pomeridiane e notturne della Commissione Giustizia del Senato per concludere l’esame di un testo dall’impianto proibizionista e punitivo. E’ indispensabile moltiplicare gli sforzi per rafforzare l’opposizione a questo attentato alle libertà costituzionali.

Invitiamo tutti a a metterci la faccia, alla pagina Facebook http://bit.ly/cVcr10 che ha raggiunto il numero di 15.800 adesioni oppure a firmare in calce l'appello che ha già raggiunto la cifra enorme di 13.107 firme.

La libertà è partecipazione informata”


Al Senato la maggioranza cerca di imporre la
Legge sulle intercettazioni telefoniche che scardinerebbe aspetti essenziali del sistema costituzionale.
Sono
a rischio la libertà di manifestazione del pensiero ed il diritto dei cittadini ad essere informati.
Non tutti i reati possono essere indagati attraverso le intercettazioni e viene sostanzialmente impedita la pubblicazione delle intercettazioni svolte
Una pesante
censura cadrebbe sull’informazione. Anche su quella amatoriale e dei blog (Art.28).
Se quella legge fosse stata in vigore, non avremmo avuto alcuna notizia dei buoni affari immobiliari del Ministro Scajola e di quelli bancari di Consorte.
Se la legge verrà approvata, la magistratura non potrà più intervenire efficacemente su illegalità e scandali come quelli svelati nella sanità e nella finanza, non potrà seguire reati gravissimi.
Si dice di voler tutelare la Privacy: un obiettivo legittimo, che tuttavia può essere raggiunto senza violare principi e diritti.
Si vuole, in realtà, imporre un pericoloso regime di opacità e segreto.
Le libertà costituzionali non sono disponibili per nessuna maggioranza.

Stefano Rodotà
Fiorello Cortiana
Juan Carlos De Martin
Arturo Di Corinto
Carlo Formenti
Guido Scorza
Alessandro Gilioli
Enzo Di Frenna

Andate a firmare sul sito:

http://www.nobavaglio.it/index.php