La pornografica esultanza con cui buona parte del Pdl ha accolto la nuova condanna di Marcello Dell’Utri per fatti di mafia, spiega bene in che tipo di realtà criminale viva ormai la classe dirigente del nostro Paese. Prima ancora di averne letto le motivazioni i berlusconiani festeggiano perché, secondo loro, il verdetto dimostra come tra l’ideatore di Forza Italia e Cosa Nostra non vi è stato un patto politico. Anche a voler credere a questa tesi, i coriferi del Cavaliere sorvolano però su un punto. Fondamentale. Dell’Utri, pure secondo i giudici d’Appello, è stato fino al 1992 l’anello di congiunzione tra la mafia e il “mondo finanziario e imprenditoriale milanese”. Cioè la Fininvest di Berlusconi. Il senatore azzurro lavora al fianco del Cavaliere dal 1973.
Ancor più del corruttore di giudici Cesare Previti è suo sodale e amico. E proprio per conto di Berlusconi ha versato denaro agli uomini del disonore. Soldi che l’attuale premier donava, secondo l’accusa, per mantenere buoni rapporti. Tanto che la parola “regalo” è stata trovata nella contabilità della famiglia mafiosa di San Lorenzo, accostata alla voce Canale 5. Dell’Utri, salvo una breve parentesi, è stato poi al fianco di Berlusconi quando questi fondava le sue televisioni. Fatti simili, tra chi dice di richiamarsi all’esempio di Borsellino, dovrebbero indurre a due riflessioni. Ancor oggi, visto che il Cavaliere in Tribunale si è avvalso della facoltà di non rispondere, ogni ipotesi, anche la peggiore, sulle origini delle sue fortune è valida. E ancora: un Paese può essere governato da chi regalava milioni a un’organizzazione di assassini, mentre altri imprenditori dicevano di no? Da ieri, a destra, chi è uomo e non ominicchio o quaquaraquà ha il dovere di rispondere. Prima che sia troppo tardi.
(Vignetta di Bertolotti e De Pirro)
Il mandante - di Pino Corrias, 30 giugno 2010
Sette anni, ne dimostra di più - di Marco Travaglio, 29 giugno 2010
Video - Dell'Utri: "Dissi io a Berlusconi di stare zitto" (da ilfattoquotidiano.it)
La rassegna stampa a cura di Ines Tabusso.