1) “Mangano è il mio eroe: in carcere gli fu chiesto di parlare contro me e Berlusconi. E se avesse inventato anche una minima cosa, una parolina contro me e Silvio, sarebbe uscito subito senza morire in cella di cancro. Poteva vivere raccontando qualsiasi falsità e non l’ha fatto. Poteva salvare la sua vita e tornare a casa” (Marcello Dell’Utri). Questo signore che parla di mafia citando i Fratelli Karamazov non ha mai spiegato chi avrebbe offerto a Mangano la libertà in cambio di bugie. Nessuna legge, nemmeno quella sui pentiti, garantisce libertà immediata a chi parla: chi l’avesse fatto avrebbe commesso un reato. Perché Dell’Utri, se sa chi è, non lo denuncia? Mangano, dopo gli 11 anni (1980-’91) scontati per mafia (processo Spatola) e droga (maxi-processo), fu riarrestato nel ‘99 per tre omicidi e condannato in primo grado a due ergastoli. Poco dopo fu scarcerato per motivi di salute e il 23 luglio 2000 morì di cancro ai domiciliari (non in cella). Nessuno, viste le imputazioni, poteva garantirgli di “uscire subito”. Né tantomeno di guarire dal cancro, che purtroppo colpisce sia in cella sia a piede libero.
2) “Bastava confermare che, quando parlavamo al telefono di un cavallo, sotto c’era la droga. Invece Mangano lo voleva vendere a Berlusconi, ma io gli dissi che a Silvio non interessava perché troppo focoso” (Dell’Utri). È la telefonata Mangano-Dell’Utri intercettata dalla Criminalpol il 14 febbraio 1980. Mangano: “Ci dobbiamo vedere”. Dell’Utri: “Come no? Con tanto piacere!”. M: “Le devo parlare di una cosa… Anzitutto un affare”. D: “Eh, questi sono bei discorsi”. M: “Il secondo affare che ho trovato per il suo cavallo”. D: “Davvero? Ma per questo dobbiamo trovare i piccioli”. M: “Perché, non ce n’hai?”.D: “Senza piccioli non si canta messa”. Ora, se Mangano voleva vendere il proprio cavallo a Berlusconi, perché non dice “mio”, ma (rivolto a Dell’Utri) “suo”? Perché Dell’Utri, se il cavallo non era per lui, si preoccupa di non avere “piccioli”? E perché, in tutta la conversazione, non dice mai quel che inventa oggi, e cioè che Berlusconi non voleva il cavallo perché troppo focoso?
3) “Quando l’ho conosciuto, Mangano era avulso dall’ambiente mafioso. Ad Arcore ha lavorato bene. Dopo, come dice Dante, ‘che colpa ho io della sua vita rea?’” (Dell’Utri). Nel 1974, quando Dell’Utri lo ingaggia ad Arcore, Mangano ha 33 anni e ha già collezionato denunce, condanne e 5 arresti per assegni a vuoto, truffa, lesioni, ricettazione, estorsione, rapporti con narcotrafficanti e mafiosi. Per la questura di Palermo è già un “soggetto pericoloso”. Per i carabinieri Dell’Utri è perfettamente “a conoscenza del suo passato”. Ad Arcore dal 1974 al ’76, Mangano organizza sequestri, mette una bomba nell’altra villa di B., viene arrestato due volte in due anni per scontare pene su reati commessi prima. Tant’è che Dell’Utri, al processo, sostiene di averlo cacciato appena scoperto (molto tardi) che era un delinquente. Salvo poi continuare a frequentarlo e definirlo eroe.
E ancora:
4) “Sentenza comica, un mafioso part time, che è picciotto ma appena appena, sembra uno di quegli espedienti da commedia all’italiana” (Maurizio Belpietro, Libero). “Sentenza pilatesca, incoerente. I giudici mi fanno passare per mafioso fino al ’92, ma cadono in contraddizione: se fosse vero, la mafia non mi avrebbe mollato proprio nel ’92, quando poteva sperare nei veri vantaggi del potere, della politica” (Dell’Utri). Il discorso sarebbe ragionevole se la sentenza dicesse che Dell’Utri è mafioso fino al ‘92 e poi smette. Ma è impossibile che un giudice sano di mente sostenga una simile fesseria. I processi non ricostruiscono la storia. Affermano le responsabilità penali solo sui fatti dimostrati da prove oltre ogni ragionevole dubbio. Se un rapinatore imputato per 10 rapine viene condannato “solo” per 9, nessuno si sogna di affermare che, dopo quelle 9, ha smesso, o che prima era un galantuomo: semplicemente si dice che sono provate 9 rapine e il resto no. Cos’abbia fatto prima e dopo, lo si può immaginare; ma non è compito dei giudici, almeno fino a prova del contrario. Nessuno dice che dal 1993 Dell’Utri sia diventato buono: solo che le prove non bastano a condannarlo per il post-1992 (la formula “il fatto non sussiste” si sposa spesso con l’art. 530 comma 2 Cpp, che assorbe la vecchia insufficienza di prove: dalla motivazione sapremo se anche lui, come Andreotti, per gli anni più recenti s’è salvato per quel motivo).
5) “Dovevano assolvermi anche per il ‘prima’ del 1992, ma non l’han fatto per dare un contentino alla Procura. Per evitare lo schiaffo… Il problema è la Procura. Caselli e Ingroia sono potentissimi, in grado di condizionare l’ambiente. Spero di non trovare in Cassazione un giudice di Palermo” (Dell’Utri). Sostenere che 7 anni per concorso in mafia sono un contentino ai pm sconfitti, è ridicolo. Specie se lo fa un senatore della Repubblica. Dell’Utri è imputato per i suoi rapporti con Cosa Nostra dai primi anni ‘70 al ‘96: un quarto di secolo. In primo grado è stato condannato per fatti commessi fino al ’96. In appello “solo” fino al ’92: un quinto di secolo (ora, come per Cuffaro, sui fatti post-‘96 esclusi incredibilmente dalla Corte d’appello – dai contatti intermediati col latitante Palazzolo nel 2003-2004 ai rapporti con la ‘ndrangheta nel 2008 – si può aprire un nuovo processo).
6) “Difficile che a Palermo delle toghe abbiano il coraggio di mettersi contro altre toghe, quantomeno in processi che hanno risonanza” (Belpietro). Se è vero che i giudici di Palermo non osano mai dare torto ai pm, perché il Tribunale assolse Andreotti in primo grado? Perché la Corte d’appello, la prima volta, assolse Contrada? Perché Tribunale e Corte d’appello assolsero Mannino? Si è sempre detto (mentendo) che i “processi eccellenti” dell’èra Caselli sono finiti tutti nel nulla. Ora si dice (mentendo) che i giudici danno sempre ragione alla Procura.
7) “Il reato potrebbe cadere in prescrizione, perché tra breve saranno trascorsi i 20 anni. I giudici, condannando Dell’Utri, lo salvano” (Belpietro). La prescrizione, per il concorso esterno aggravato dalle armi e dal denaro, scatta 22 anni e mezzo dopo gli ultimi reati accertati: 1992 più 22 e mezzo fa 2014-2015. Cinque anni per il verdetto in Cassazione bastano e avanzano; il rischio prescrizione si concretizzerebbe in caso di annullamento con nuovo Appello e nuova Cassazione, ma l’annullamento potrebbe riguardare l’insostenibilità dell’assoluzione post-’92 e, allungando i tempi del reato, si allungherebbe la prescrizione.
“Il concorso esterno è una fattispecie di reato così generica ed evanescente da ricomprendere anche le semplici amicizie o frequentazioni, buone o cattive. Ci penserà la Cassazione a cancellare questa vergogna antigiuridica, come è puntualmente avvenuto con Mannino” (Il Foglio). La “vergogna antigiuridica” l’ha inventata Falcone nell’ordinanza del “maxi-ter” (1987): “Manifestazioni di connivenza e collusione da parte di persone inserite nelle pubbliche istituzioni possono realizzare condotte di fiancheggiamento del potere mafioso, tanto più pericolose quanto più subdole e striscianti, sussumibili – a titolo concorsuale – nel delitto di associazione mafiosa. È proprio questa ‘convergenza di interessi’ col potere mafioso che costituisce una delle cause maggiormente rilevanti della crescita di Cosa Nostra e della sua natura di contropotere, nonché correlativamente delle difficoltà incontrate nel reprimerne le manifestazioni criminali”. Quanto a Mannino, la Cassazione s’è ben guardata dall’affermare che il concorso esterno non esiste: ha soltanto ritenuto che, per lui, non fosse sufficientemente provato. Infatti la stessa Cassazione ha condannato Contrada a 10 anni per concorso esterno.
9) “Il dispositivo nega ogni relazione tra la discesa in campo di Berlusconi, il vero obiettivo del processo. Liquida come balle sesquipedali le rivelazioni di Spatuzza e Ciancimino. Le responsabilità nelle stragi e i collegamenti tra mafia e Forza Italia vengono archiviati” (Belpietro). “Crolla tutto il castello dei teoremi sulle trattative tra lo Stato e la mafia e sui mandanti occulti delle stragi” (Lino Jannuzzi, Il Giornale). “La sentenza assolve Dell’Utri dall’accusa più grave: quella di aver ordito un golpe mafioso con le stragi del ‘93” (La Stampa). “Un macigno sulla tesi FI-mafia-stragi del ‘92”(Il Riformista). “Ma le stragi no” (Il Foglio). Difficile che Ciancimino venga smentito, visto che non è stato neppure ascoltato dalla Corte. Di Spatuzza si può dire al massimo che mancano i riscontri, anche perché sono giunti in extremis e la Corte li ha respinti. Quanto a B., non è mai stato “il vero obiettivo del processo”, altrimenti la Procura avrebbe chiesto di rinviare a giudizio anche lui, invece l’ha archiviato. Dell’Utri non è imputato per le stragi (inchieste archiviate, per lui e per B.). Comunque la condanna comprende anche il 1992, l’anno di Capaci e via D’Amelio. Mai il processo Dell’Utri s’è occupato di trattative Stato-mafia e mandanti occulti delle stragi, su cui indagano Palermo, Caltanissetta e Firenze. Qui le uniche “balle sesquipedali” sono quelle di Belpietro, Jannuzzi e altri giuristi per caso.
10) “Resto senatore, fino a sentenza definitiva sono innocente” (Dell’Utri). Ma lui ha già una condanna definitiva a 2 anni e mezzo per false fatture e frode fiscale. Che ci fa un pregiudicato in Parlamento, a parte tenere compagnia agli altri?
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