domenica 18 luglio 2010

Il babbeo, l’extravergine e la vittima di stalking. - Alessandro Gilioli



A leggere oggi i verbali e le interviste dei “quattro sfigati” e dei loro amici, pare di trovarsi di fronte a una scolaresca di seconda media finita dal preside dopo una gita scolastica in cui ne hanno fatte di tutti i colori: ognuno dà la colpa a quell’altro e si stupisce che se la prendano proprio con lui.

Prendete Ugo Cappellacci, il bravo signor Nessuno elevato a governatore della Sardegna per soffocare sul nascere le ambizioni nazionali di Soru: beccato nella compagnia, ora sostiene di essere «solo un babbeo». La qual cosa, onestamente, era sospettabile da tempo, ma ci sarebbe piaciuto se questo coming out fosse avvenuto già in campagna elettorale, in modo da aiutare i sardi nelle loro scelte.

Un altro della ’simpa compa’, Pasquale Lombardi, minimizza il suo ruolo ammettendo solo di aver fatto mandare dell’olio di oliva a un giudice: il particolare grottesco è che per procurargli questa “piccola regalia” (come la chiama lui) fa arrivare il bidoncino colmo in Cassazione, scomodando un carabiniere all’uopo. Secondo Lombardi, il racconto sull’extravergine dovrebbe minimizzare i danni, far intendere che erano solo piccoli scambi di derrate fra amici. Io invece pagherei per poter pubblicare la foto, infinitamente metaforica, della tanichetta sgocciolante caricata nel bagagliaio per ungere il magistrato con l’auto che procede verso il Palazzaccio sul lungo Tevere, attraversando con il suo prezioso carico gli epicentri del potere romano.

Infine, dopo il babbeo e l’untore, c’è il molestato, la vittima di stalking: il povero sottosegretario Giacomo Caliendo, che a Repubblica spiega di essere stato solo vittima di telefonate indesiderate, gente che lo chiamava e a cui lui non metteva giù solo per cortesia, perché essendo un gentiluomo risponde sempre a tutti. Per la precisione, aggiunge, rispondeva di sì proprio per toglierseli di torno, quei molestatori.

E qui siamo veramente al tripudio, perché è meraviglioso pensare che in mezzo secolo tra magistratura e politica, nessuno abbia mai spiegato al cortese Caliendo

che per togliersi dalle palle i molestatori basta rispondergli (sempre educatamente) di no.


http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/07/18/il-babbeo-lextravergine-e-la-vittima-di-stalking/comment-page-1/#comment-450191



Formigoni nega, ma le intercettazioni lo incastrano



E La P3 spunta nella vicenda Rai-Agcom per bloccare Annozero


di Monica Centofante - 18 luglio 2010


Alla prima occasione utile Roberto Formigoni, Presidente della Regione Lombardia, ha respinto pubblicamente il suo coinvolgimento nell'inchiesta sulla P3. Proprio quando la sua convocazione da parte della procura di Roma è diventata di dominio pubblico.


Venerdì, nel corso di un incontro tenutosi a Milano, il Governatore ha escluso ogni sua implicazione, “presunta o reale”, nell'indagine e ha etichettato le notizie uscite sul suo conto come “false e infondate”. Ma alla domanda sulle sue telefonate con Arcangelo Martino, l'imprenditore campano finito agli arresti insieme a Flavio Carboni e Pasquale Lombardi, ha evitato di rispondere.
Eppure, nelle corpose informative dei Carabinieri allegate all'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Giovanni De Donato, il nome di Formigoni appare in centinaia di pagine. In quell'intreccio di rapporti di cui è piena l'inchiesta. E dal quale è emerso un quadro devastante, come lo ha definito ieri il procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo che “riguarda l'assetto della società civile” e “configura un condizionamento della civiltà democratica”
Tre le vicende che ruotano attorno al Governatore. La più nota è quella legata all'iniziale esclusione della Lista Formigoni dalle elezioni del marzo 2010, le altre due ad altrettante inchieste che avevano visto il coinvolgimento del Presidente lombardo, terminate con l'archiviazione.

L'amico Roberto, “principale attore”
E' 1° dicembre del 2009 e i maggiori quotidiani nazionali pubblicano la notizia dell'iscrizione nel registro degli indagati del Presidente lombardo nell'ambito di un'inchiesta condotta dalla Procura di Milano sull'inquinamento atmosferico.
Lo stesso giorno, sul sito dell'Agi, il procuratore aggiunto di Milano Nicola Cerrato, che coordina il pool reati ambientali, si affretta a definire quell'iscrizione - e quella del sindaco Letizia Moratti e del Presidente della Provincia, Guido Podestà - un atto “di garanzia”. Spiegando che la procura aveva addirittura chiesto l'archiviazione, respinta dal gip Marina Zelante.
Appena appresa la notizia il gruppo di potere occulto scatta sull'attenti e avvia una serie di controlli per assicurarsi che quell'inchiesta finisca nel migliore dei modi per “l'amico” Formigoni. E mentre Pasquale Lombardi chiama il legale del Governatore, avv. Brusa, per farsi comunicare i nomi dei magistrati che hanno in mano l'inchiesta milanese, Arcangelo Martino telefona allo stesso Formigoni per chiedergli se non è il caso di prendersi un caffé a Milano.
Il dialogo è criptico, ma l'oggetto della discussione non lascia spazio a dubbi.
“Non credo che valga la pena [che tu faccia] un viaggio speciale” per una simile sciocchezza, sono le parole del Presidente lombardo, sicuro dell'archiviazione. Ma Martino insiste: a Milano ci sarebbe salito comunque per seguire le vicende di un comune amico.
Nel frattempo Lombardi, appreso che pm dell'indagine sono il Cerrato e il dottor Giulio Benedetti, inizia a cercare il primo tramite Angelo Gargani, capo dell'ufficio Servizio di Controllo Interno dello stesso Ministero che accetta di combinare un appuntamento. E si accerta: “Lo conosci [già]?”, domanda al suo interlocutore, che risponde in modo molto significativo:
“Eeh... si deve ricordare, se non si ricorda glielo ricordi gli dici che questa è roba nostra e deve venire un poco da te... tu gli dici che è l'amico di Giacomino, amico mio e amico di tutti quanti”.
Il giorno seguente il magistrato Angelo Gargani chiama Lombardi: “Nicola – dice alludendo con tutta probabilità a Nicola Cerrato – ti aspetta domani all'una” “nel suo ufficio, si al quarto... devi entrare da via Freguglia al quarto piano”.
A quel punto Arcangelo Martino invia un sms a Roberto Formigoni per informalo che “domani ore 15:30 il mio Lombardi sarà dall'avvocato Brusa”. Il messaggio prosegue: “Ti prego di fargli pervenire l'informazione. A presto. Ti abbraccio. Arcangelo”.
Quando Lombardi chiama Martino per chiedergli di avvisare il suo amico, “il principale attore” (Formigoni), Martino risponde: “Già fatto, già fatto, tutto a posto”.

Il fatto dell'11
Dal 12 dicembre in poi, sulle utenze in uso a Lombardi e Martino si sente ancora parlare del presidente Formigoni. Questa volta l'oggetto delle conversazioni è una non meglio precisata vicenda d'interesse del Governatore, che gli interlocutori definiscono, in modo criptico, “il fatto dell'undici”.
Secondo i Carabinieri si tratterebbe della sentenza della Corte di Cassazione che in quella data, per come riportano notizie di stampa, avrebbe assolto il presidente Formigoni dall'accusa di abuso d'ufficio nell'ambito di un procedimento sulle presunte irregolarità nella gestione della fondazione Bussolera-Bianca.
I sodali vogliono essere sicuri della fondatezza della notizia e iniziano ad attivare i loro contatti. In primis Vincenzo Carbone, presidente della Corte di Cassazione e Antonio Martone, magistrato.
Carbone tranquillizza Lombardi: “Non ti preoccupare stai tranquillo, ciao”. E Lombardi telefona a Martino, in contatto con Formigoni: “Oh, figurati io mo sto aspettando di venerdì 11 (undici) mi pare che è andata bene, mi pare... ho parlato sia con una che con l'altro in questo momento e mi hanno detto che le cose sono andate bene”.
Sull'argomento tornano il successivo 14 dicembre. In quella data Lombardi chiama Martone: “Volevo sapere se avevi deciso il fatto di venerdì” e l'interlocutore risponde: “Più tardi vado in ufficio vedo, d'accordo”. Poi richiama il Lombardi: "Pasqualì. dovrebbe essere andato bene".
Subito dopo Lombardi rassicura Arcangelo Martino: “ E' andato bene, tutto a posto" prima di lasciare intendere, con tozo scherzoso, di pretendere un regalo per i suoi servizi: “Fammi dare il premio ora. Se no non faccio più niente .... voglio il premio. Voglio il premio per Natale, voglio l'uovo di Pasqua per Pasqua”.
Alle 11.34 Marino via un sms a Formigoni: “In attesa di mercoledì ti confermo anticipatamente tutto ok il giorno 11 ultimo scorso. Confermami. Ti abbraccio, Arcangelo”.

Il mandante è il Presidente
Per quanto concerne invece la vicenda dell'esclusione della Lista Formigoni dalle competizioni elettorali del marzo scorso i Carabinieri registrano una serie di conversazioni che lasciano intendere in modo chiaro come il gruppo occulto abbia agito, in questa occasione, dietro mandato del Presidente della Lombardia.
Tutto ha inizio quando le attività di intercettazione documentano il tentativo del sodalizio di influire sull'esito del ricorso presentato nell'interesse della lista “Per la Lombardia”, che fa capo al Presidente della Regione.
Il tentativo, si legge anche nell'ordinanza, viene operato mediante il diretto intervento di Lombardi su un loro uomo, il magistrato Marra, appena insediatosi nella funzione di Presidente della Corte d'Appello di Milano. E “successivamente, in seguito al rigetto del ricorso da parte della commissione elettorale milanese, prosegue con il tentativo dello stesso Lombardi e di Martino di esercitare pressioni su rappresentanti del Ministero della Giustizia, allo scopo di suscitare un'ispezione straordinaria nei confronti dei magistrati milanesi che avevano costituito il collegio”.

E' il 1° marzo del 2010 quando Formigoni chiama Martino: “Ciao senti volevo segnalarti questo che, in questo momento la commissione elettorale ci ha escluso dalle elezioni... c'è un contenzioso in corso, in quanto hanno annullato oltre cinquecento firme”, “raccolte da noi sul listino, quindi proprio sul nome Formigoni”. Poi continua: “Noi abbiamo tempo ventiquattro ore per presentare ricorso, quindi entro domani a mezzogiorno lo presentiamo”. Martino ascolta attento: “Bene, ne posso avere una copia di questo?”.
Formigoni: “Di che cosa?”.
Martino: “Del ricorso”.
Formigoni: “Del ricorso nostro, quando c'è te lo faccio avere”.

Quasi contemporaneamente Lombardi telefona a Marra e gli comunica di controllare “un po' sta situazione [delle liste], io per questo vengo domani mattina su Roma, su Milano”.
Il giudice annuisce: “Domani mattina ci sono in ufficio, va benissimo senz'altro, va bene”.

Subito dopo lo stesso Lombardi telefona al giudice Santamaria Gaetano per informarlo dell'accaduto e dell'appuntamento fissato con Marra prima di aggiungere che sarebbe opportuna anche la sua presenza. Santamaria è però impossibilitato: “No, ma non ci posso stare assolutamente, io tengo tre, quattro appuntamenti giù a Roma domani”.
(…) Lombardi: “Quando chiami Fofo' (Marra ndr.)”
Santamaria: “E lo chiamo più tardi, glielo dico che domani... (inc). Domani arrivo io verso le undici e cercasse già di chiamare questi, questi quattro stronzi della commissione elettorale... perché (inc)... presenta in mattinata il ricorso”.

Alle 17.15 Lombardi parla della vicenda Formigoni con Giacomo Caliendo, sottosegretario alla Giustizia, e alle 17.55 Formigoni telefona di nuovo a Martino, che lo rassicura: “Io domani ho già predisposto... e arriverà quel mio rappresentante lì”
Più tardi Formigoni si risente con Martino, è preccupato perché i giudici che devono esaminare il ricorso sono gli stessi che avevano escluso la lista. A questo punto il Presidente chiede: “Ma l'amico, l'amico, l'amico, l'amico, lo, Lombardo, Lombardo lì, Lombardo, Lombardi è in grado si agire?”. E l'interlocutore risponde: “Sì, sì, sì, ma lui ha già fatto qualche passaggio e sarà lì”.

La mossa delle ispezioni ministeriali
Il ricorso, come già detto, viene però rigettato dalla Corte di Appello di Milano e Martino rimprovera Lombardi in maniera dura per la brutta figura fatta. Prima di passare ad un nuovo piano: inviare presso la stessa Corte d'Appello gli ispettori del Ministero della Giustizia.
Allo scopo viene contattato Arcibaldo Miller, capo degli Ispettori presso quel Ministero che a Martino spiega: “Devono fare un esposto in cui dicono che sono... diciamo che... che i giudici della Corte d'Appello hanno fatto delle irregolarità... precisano e chiedono un intervento di contro al Ministro della Giustizia”.
La documentazione viene preparata mentre il Tar accoglie il ricorso e riammette la lista alle regionali.
In quei giorni i Carabinieri registrano una lunga serie di contatti tra i membri del gruppo che stanno preparando l'operazione e i diversi personaggi con cui sono in contatto.

Il 10 marzo del 2010 Formigoni parla con Martino. “Volevo capire – dice – se nonostante la neve... ci saranno gli spostamenti verso il nord”.
Il Martino fraintende il senso della richiesta e risponde che lui è disponibile a raggiungerlo, e Formigoni cerca di essere più chiaro: “No ma io pensavo ma non solo a te che hai mille cose da fare ma se ci saranno altri visitatori... secondo te ci saranno altre visite nonostante l'inverno?”

Martino: “No non, ci saranno! Ci saranno”.
Formigoni: “Chi saranno?”
Martino: “... è stato spedito quella cosa li!?”
Formigoni: “Sì, sì sì certo! Certo certo!”
Martino: “Ah bene bene! Questo volevo sapere io! Allora io provvedo e vengo su”.
Formigoni: “No sarebbe molto importante che avvenisse perché sai”
Martino: “Adesso?”
Formigoni: “Al ventotto... le visite sarebbe bene che avvenissero prima”.

Il 28 marzo è la data in cui si terranno le elezioni regionali.

Due giorni più tardi, il 12 marzo, Martino si sente con Lombardi per chiedere quando il sottosegretario Caliendo pensa che verrà ordinata l'ispezione: “Ma lui che ti ha detto Giacomo ieri che quando si poteva i... ipotizzare”. Il Lombardi ribadisce: “Subito come il Ministro arrivava a Roma... deve stare il Ministro a Roma per dare l'incarico” e aggiunge: “Hai capito è lui... perché io mo se acchiappo il Ministro (inc) quando vai a Roma? (inc) sta pure Giacomino! Speriamo che mo l'acchiappo a sto madonna!”

Nel frattempo il collaboratore di Formigoni, tale Willy, informa Martino di avere inviato il testo dell'esposto da cui dovrebbe scaturire l'ispezione ministeriale alla sua casella di posta elettronica e a quella personale del sottosegretario e le successive conversazioni dimostrano che la documentazione è arrivata a destinazione. Ma il tempo scorre e il 15 marzo Formigoni è nervoso: “Ciao, ciao – saluta Martino – no scusami se ti rompo le balle ma chi deve camminare sta camminando?” Il Martino risponde utilizzando lo stesso linguaggio allusivo: “Camminerà e arriverà dalle tue parti a farti visita a fine settimana!”
Formigoni: “No... perché sarebbe utili che parlasse! … parlasse prima della data così si... ci … ci porta giovamento”
Martino: “Ma sicuramente, ma ci sarò anch'io da quelle parti eh... staremo in compagnia”
Formigoni: “Se... voglio dire se ci vediamo mi fai enorme piacere però alle... alle finalità delle elezioni... camminassero e poi parlassero settimana vent... cioè (inc) la settimana ventura martedì, mercoledì”.
Martino: “Sicuramente lo faranno lo faranno”.

Gli amici sono impegnati a Trani
Nel frattempo però scoppia lo scandalo Rai-Agcom, quando vengono rese note le intercettazioni tra Berlusconi, Minzolini e il commissario Giancarlo Innocenzi che discutono di Tv pubblica e della necessità di fermare Annozero e Santoro.
Per questo il 17 marzo, quando Martino chiama Lombardi quest'ultimo si scusa: gli amici “per quello che sta succedendo a Trani rallentano un po' il fatto nostro su Milano, hai capito?”
Troppi scandali a cui badare, “però m'hanno detto che me lo fanno, me lo fanno”.

E infatti è in data 14 che Arcibaldo Miller riferisce a Martino: “Io mo dovrei andare a Trani”, sentendosi rispondere: “Ma forse devi andare anche altrove”.

Poi, il 19, Martino chiede a Perone (stretto collaboratore di Lombardi) di riferire a Lombardi che il suo amico Miller ha concluso il lavoro giù (a Trani, dove sono state fatte delle ispezioni ministeriali all'interno della Procura) e che bisogna sollecitare Caliendo a operare. Testualmente: “Gli devi dire guarda non serve più perché il mio amico laggiù dove è andato ha finito sta tornando già”.

Le telefonate sui generis, intercettate dai Carabinieri, sono tantissime. Di notevole interesse quella del 23 marzo, quando Formigoni riferisce a Martino che chi era impegnato a camminare velocemente non camminerà per niente in quanto “è stato consigliato a stare fermo... dallo stesso Arci... perché lui mi ha... mi ha detto che sarebbe un boomerang pazzesco... questi qui potrebbero addirittura rivalersi su di noi”.
La persona con cui Formigoni ha parlato, spiegano i Carabinieri, “è il Ministro Alfano, mentre Arci con ogni probabilità si identifica nel Capo degli Ispettori Arcibaldo Miller”.

In un successivo colloquio il Governatore della Lombardia concorda con Martino che la mancata ispezione debba avere le sue origini in un'ostilità nei suoi confronti : “Sarebbe interessante verificare esattamente da dove nasce, di chi è questa ostilità... a questo punto, a questo punto a me sembra che è chiaro che la cosa non si fa... mi fai sapere per causa di chi e quali sono i motivi, chi è il colpevole?... chi è il mandante e quali sono i motivi?”

La domanda è rimasta sospesa, ma forse il Presidente ci ha visto giusto. E per lui i guai potrebbero iniziare adesso.



Fiaccolata per Borsellino resa dei conti nel Pdl - Redazione Il Fatto Quotidiano




Tre giorni di memoria, ma anche di politica. Sì, perché il susseguirsi di manifestazioni, incontri, dibattiti per il diciottesimo anniversario della strage di via D’Amelio sembra spaccare ulteriormente il centro-destra. Mentre i ragazzi delle
Agende Rosse e Salvatore Borsellino chiedono che non vi siano politici sul luogo della strage, il finiano Fabio Granata – dai nostri blog – domanda che resti lontano dalle commemorazioni chi solidarizza con i condannati e chi rimane al suo posto nonostante le richieste di arresto: un chiaro riferimento ai casi Dell’Utri e Cosentino.

Del resto, il pensiero di
Paolo Borsellino, il giudice di destra vittima di Cosa Nostra (ma non solo), sul punto era chiarissimo. Già nel 1989, parlando dei rapporti mafia e politica, Borsellino diceva: “Vi è stata una delega totale e inammissibile nei confronti della magistratura e delle forze dell’ordine a occuparsi esse sole del problema della mafia […] E c’è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto… e no ! […] Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, be’ ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quell’uomo è un mafioso. Però i consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto”.

Così Granata, riferendosi della fiaccolata della Giovane Italia di lunedì Palermo – dove è per ora prevista insieme alla presenza di
Gianfranco Fini anche quella di Maurizio Gasparri, Gianni Alemanno, Giorgia Meloni e Domenico Nania e Carlo Vizzini – scrive : “Sarebbe bello non dover scorgere, tra tante facce amiche, qualche presenza stonata: tutti coloro che sui temi della verità e giustizia sulle stragi e sul rapporto mafia politica non hanno assunto comportamenti rigorosi e coerenti. Chi ha appassionatamente solidarizzato con condannati per mafia esaltatori di mafiosi eroici o con chi resta attaccato alla poltrona nonostante i mandati di cattura per associazione camorristica.

Chi, da posti di responsabilità politica, non perde occasione per attaccare la magistratura compresa quella che, irriducibilmente, cerca ancora verità e giustizia su quelle stragi e pretende di individuarne esecutori e soprattutto mandanti. In una parola, ci piacerebbe che stessero lontani dalla nostra fiaccolata e da tutte le commemorazioni in programma tutti quelli che, per dirla con Paolo Borsellino, hanno perduto per sempre “il diritto alla parola”.

Gli risponde durissimo il vice-capogruppo dei deputati Pdl,
Maurizio Bianconi: “Ormai Granata con le sue 
dichiarazioni non ci stupisce più. Alla fiaccolata di lunedì a 
Palermo, non vorremmo vedere, per quanto ci riguarda, quanti hanno 
dimenticato la grande lezione di Leonardo Sciascia e quanti hanno 
fatto comunella con chi attaccò e demonizzò il giudice Falcone, ma 
soprattutto non vorremmo vedere chi seguace di ’incultura’ dipietrista 
pretende di fare il censore e il giustiziere per evidenti chiarissimi 
interessi di bottega e chi in preda a irrefrenabile logorrea e delirio 
mediatico si sta adoperando da mesi per tentare di sovvertire la 
volontà popolare”.

La fiaccolata per Borsellino, insomma, rischia di diventare l’occasione definitiva della resa dei conti nel Pdl. E adesso in molti si chiedono cosa farà Fini. Perché Borsellino anche a 18 anni di distanza dalla morte, a destra come a sinistra, scuote le coscienze. E il 19 luglio, se si ha coraggio, è il giorno giusto per dire da che parte si sta sta.



Riflessioni sulla politica attuale.


La lettura dell'articolo sottostante invita automaticamente alla riflessone.

A confutare quanto dichiara giornalmente la politica, sia di sinistra che di destra, c'è il quadro terrificante che ne esce: la politica, per ottenere una maggioranza duratura che le dia la possibilità di governare senza intralci, ha bisogno di molto danaro e molte adesioni, pertanto si rivolge a chi ha sia l'uno, il danaro, che le altre, le adesioni, ovvero i "voti di scambio".

Chi è in grado, in Italia, di assicurare sia una grossa quantità di danaro, perchè da riciclare, che i "voti di scambio"?

E' ovvio! Le organizzazioni mafiose, quelle che hanno dominato e continuano a dominare, e oggi "quasi legalmente" grazie alla politica, la scena economica italiana.

Si viene così a creare un tale intreccio inestricabile di connivenze impossibile da dipanare.

E se a ciò si aggiunge che a questo risultato si è arrivati per proteggere dalle patrie galere una sola persona, la situazione diventa pressoché "allucinante".


I padrini della ‘ndrangheta incassano i voti nel silenzio assordante della politica lombarda. - Davide Milosa



Dopo il maxi blitz del 13 luglio, nessun esponente politico ha ancora preso una posizione netta. A oggi sono 15 i dirigenti di partito sospettati di legami con i clan.


Le inchieste sulla ‘ndrangheta che mostrano ai cittadini l’altra faccia della politica lombarda non smuovono di un centimetro i protagonisti della politica. Sì perché oggi, anche dopo l’ultimo maxi blitz, quello del del 13 luglio, a Milano è questa la notizia: il silenzio assordante di Comune, Provincia e Regione. Non parla il sindaco
Moratti, né il presidente Podestà o il governatoreFormigoni. Ma neppure Filippo Penati, vicario del segretario Pd Bersani in Lombardia. Eppure, come gli altri, dovrebbe, visto che nella sua giunta di centrosinistra si è tirato dentro Antonio Oliverio, politico delle tessere e soprattutto, secondo l’accusa, assai vicino ai clan.


Ecco perché il silenzio di oggi è un silenzio colpevole. E a questo punto lo si può dire. Anzi lo si deve dire. Perché negli atti delle ultime indagini anti-mafia spuntano i nomi di almeno 15 tra consiglieri, assessori e dirigenti pubblici. Tutta gente quasi sempre non indagata, ma che è risultata legata o sponsorizzata politicamente da quei padrini calabresi in grado di trovare al nord un terreno fertilissimo per pianificare i propri affari.

“La politica è il vero capitale sociale della criminalità organizzata in Lombardia”, scrivono adesso i magistrati e nessuno parla. Non il sindaco Letizia Moratti che per anni ha negato la presenza delle cosche sotto la Madonnina. E oltre a negare, ha fatto di più. Ha sgambettato e fatto cadere i lavori per la commissione antimafia in Consiglio comunale, ora riproposta dal centrosinistra. Un’istituzione solo formale che non doveva avere ruoli investigativi, ma di vigilanza sì, sicuramente di presidio, quantomeno simbolico. Ma a Milano, si sa, di veri segnali è meglio non darne.

L’idea della commissione viene presentata a maggio del 2008. L’appoggio è trasversale. Poco meno di un anno dopo, a marzo, il parere negativo del prefetto
Gian Valerio Lombardi spinge però il già titubante sindaco a rompere gli indugi: “‘Il prefetto ha ragione”. Sono le parole della Moratti, la quale assicura: “Continueremo a collaborare perché ci sia su tutto, e non solo sugli appalti, il massimo controllo e la massima trasparenza”. E infatti, la Perego strade, una delle più importanti imprese lombarde, finita nelle mani della ‘ndrangheta, si occupa nell’ordine: di City Life, del nuovo centro congressi Portello-Fiera Milano, della Strada statale Paullese, della nuova superstrada in Valtellina, del nuovo ospedale Sant’Anna di Como, di un insediamento industriale a Orsenigo, del cantiere per la costruzione del nuovo palazzo di Giustizia, della Pedemontana e della Bre Be Mi.

Due anni fa esplode anche il caso dell’allora assessore provinciale nella giunta Penati,
Bruna Brembilla. Su di lei ombre e sospetti di collusioni. Sarà indagata e poi prosciolta. Ecco cosa scriveva l’allora capo dell’antimafia milanese Ferdinando Pomarici: “Eloquente l’esternazione dei propositi della Brembilla di chiedere i voti dei calabresi perché, dice, sono gente d’onore e in grado di condizionare il voto amministrativo sfruttando la presenza di almeno 1.500 persone di Plati’”

Certo, sbagliare è sempre possibile. Ma che gli errori della politica meneghina non siano un refuso lo si capisce il 21 gennaio scorso, quandoin città arriva il plenum della Commissione parlamentare antimafia. Non accadeva da 17 anni, cioé dai tempi delle maxi inchieste su Cosa nostra. Il dato è significativo. E il sottotesto dice questo: all’ombra della Madonnina la vera emergenza sono i clan. Il prefetto, però, pensa bene di spiazzare tutti e davanti al presidente della Commissione
Giuseppe Pisanu sostiene: “La mafia al nord non esiste”.

Nel frattempo i magistrati indagano e poche settimana dopo le amnesie del rappresentante del governo inziano a fioccare i primi nomi di politici pizzicati a intrattenere rapporti con le cosche. Un elenco che il maxi blitz tra Milano e Reggio Calabria del 13 luglio ha allargato a dismisura. Nomi sui quali pesa, gravissima, almeno una responsabilità politica. Mentre per quella (eventualmente) penale bisognerà attendere gli sviluppi delle indagini.

Ma andiamo con ordine. Nel 2007, l’inchiesta sulle infiltrazioni del clan
Morabito all’Ortomercato, svela rapporti pericolosi con il consigliere regionale Pdl Alessandro Colucci. Due anni prima, infatti, il politico era stato filmato a cena con il boss di Africo Salvatore Morabito. Cena pre elettorale per le regionali. Chiusi i seggi, Colucci farà il pieno di voti (secondo fra gli eletti). Il risultato soddisfa i boss. “Colucci ha vinto – dice il narcotrafficante Francesco Zappalà – abbiamo un amico in Regione”.

Colucci, che non sarà indagato, resta così in consiglio regionale e ritorna tre anni dopo nell’inchiesta Parco sud. Non è solo, ma in buona compagnia. Con lui altri politici del Pdl, sospettati di aver avuto raporti con alcuni colletti bianchi legati alla cosca
Papalia. Si fa il nome del piccolo Bertolaso lombardo, Stefano Maullu, ex assessore regionale alla Protezione Civile, rieletto nel maggio scorso, e passato al Commercio. Per lui Alfredo Iorio, ritenuto il braccio finanziario delle ‘ndrine, ha organizzato cene “per fargli conoscere gente della mia zona”. Tra questi l’intero clan Madaffari che Maullu, assieme all’attuale assessore provinciale Fabio Altitonante, incontra in un ristorante di Rozzano. Maullu non sarà indagato, come anche Giulio Gallera, capogruppo Pdl in comune, Marco Osnato, genero di Romano La Russa e dirigente dell’Aler e Angelo Giammario, già sottosegretario alla Regione oggi consigliere al Pirellone. Tutti i loro nomi vengono però citati in fondamentale documento della Dia di Milano sui rapporti tra mafia e politica. In quelle carte si citano addirittura il ministro della Difesa Ignazio La Russa e del parlamentare europeo Carlo Fidanza. Sono i nomi che Iorio decide di far votare nella primavera del 2009.

C’è poi
Armando Vagliati. Da sempre in Forza Italia e dal 1997 in consiglio comunale. Vicinissmo al sindaco Moratti, lui, che pur non risulta indagato, vanta una conoscenza pericolosa, quella con Giulio Giuseppe Lampada, imprenditore calabrese, ritenuto molto vicino alla cosca Condello e alla cosca Valle.

Gli stessi Valle che giostrano i loro affari nella zona di Expo grazie alla compiacenza di
Davide Valia (non indagato), assessore al comune di Pero. “Minchia meglio di Davide (Valia, ndr) che è Pero e poi con la scusa di Expo e della Fiera”. Poco edificante è anche la vicenda di Riccardo Cusenza (arrestato), imprenditore legato alla cosca Valle che nel 2009 tenta la sortita politica nel comune di Cormano, ovviamente con la casacca del Pdl.

L’ultima inchiesta su ‘ndrangheta e politica arriva addirittura in parlamento.
Giancarlo Abelli, deputato azzurro e fedelissimo di Silvio Berlusconi, è il cavallo su cui punta la cricca mafiosa del boss massone Pino Neri e del dirigente dell’Asl di Pavia Carlo Antonio Chiriaco. Oltre 4.000 pagine di richiesta firmata dal pool di Milano dove ricompare Angelo Giammario, ma ancheMassimo Ponzoni, delfino di Formigoni ed ex assessore regionale in contatto diretto con il bossSalvatore Strangio. E dove entra anche la Lega con il suo votatissimo giovane consigliere regionale Angelo Ciocca pure lui fotografato dai carabinieri mentre s’incontra con Neri. Tutto questo sta scritto nelle carte giudiziarie non sui giornali. Eppure di nuovo e ancora la politica tace. Allora, visto che le parole non arrivano, tocca interpretare il silenzio. Un silenzio che ogni giorno si fa sempre più assordante.