Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 9 giugno 2011
Prescrizione breve subito in Senato se passa il sì al quesito sulla giustizia. - di LIANA MILELLA
La "vendetta" del Pdl in caso di abrogazione del legittimo impedimento: a rischio 15mila processi. Messaggio a Napolitano: sarebbe l'ultima delle leggi "ad personam".
Lo sconto che, senza sottoporre il premier allo stress delle udienze a Milano e a quello di una possibile condanna per corruzione di un testimone, cancella d'un colpo il processo Mills. E con esso il rischio di una condanna, anche se solo in primo grado, per corruzione. Brutta figura, per un premier, in Italia e all'estero. Prescrizione prevista a febbraio. Sconto di sette mesi. Dibattimento chiuso in autunno.
Il "risarcimento" dunque. Portare a casa una norma ad personam molto contestata perché, come sempre in questi casi (vedi la blocca processi o il processo breve vecchia versione), essa non chiude solo "un" processo, quello di Berlusconi addosso al quale è stata confezionata, ma fulmina pure tutti gli altri che si trovano nelle stesse condizioni. Quindicimila processi all'aria è la stima del Csm e dell'Anm, tra cui alcuni sensibili (s'è parlato della strage ferroviaria di Viareggio). Un dato che il Guardasigilli Angelino Alfano ha smentito e nettamente ridimensionato. Ma che ha preoccupato il Quirinale. Tant'è che proprio il capo del governo avrebbe voluto spedire il suo ministro, trattenuto poi dallo stesso presidente, poco incline a trattative sulla giustizia che abbiano come oggetto le leggi per il Cavaliere.
Ma con un referendum perso alle spalle, e la prospettiva di interpretarlo come la definitiva bocciatura di una politica della giustizia tutta imperniata sulla vendetta di Berlusconi contro le toghe per via dei suoi processi, scatterebbe per il premier la linea dell'ultimo favore, dell'ultima volta, dell'ultima legge per se stesso. Per la quale chiedere anche a Napolitano una sorta di lasciapassare del tutto speciale. Tant'è che il vice capogruppo al Senato Gaetano Quagliariello ha fatto il primo passo e ha chiesto al presidente Renato Schifani di mettere il calendario la prescrizione breve. Un passo ufficiale, con toni soft com'è nello stile dell'uomo, ma con l'esplicito riferimento a un voto che determini l'entrata in vigore immediata della norma già sottoposta a due passaggi parlamentari.
Sarebbe l'ultima legge ad personam. Questo gli ambasciatori con il Colle sono stati incaricati di far sapere a Napolitano. L'ultimo salvacondotto rispetto alla "fabbrica" delle norme "salva Silvio" che tenevano banco fino a un mese prima delle elezioni amministrative. Processo e prescrizione breve, dibattimento lungo (più potere agli avvocati e divieto di usare le sentenze definitive), il comma blocca Ruby (sospensione obbligatoria in caso di conflitto d'attribuzioni, proprio come per l'ultimo processo milanese). Cui si aggiunge la riforma della giustizia, considerata sempre come una lezione per indebolire e ridurre al silenzio le toghe.
Ma adesso il clima è cambiato. La sconfitta alle amministrative viene vista anche come la bocciatura della politica contro i magistrati. Il futuro sarà diverso e la legge sulla prescrizione sarebbe destinata a mettere un sigillo su una stagione che va in soffitta. Ma sull'operazione, studiata nei dettagli, aleggia da ieri la brutta sortita della maggioranza nel voto al Senato sul ddl anti-corruzione. Timori e preoccupazioni per un malessere serpeggiante che potrebbe aggravarsi, soprattutto tra le truppe leghiste, di fronte a un nuovo intervento legislativo per chiudere un processo del Cavaliere. Ma, a ieri sera, l'orientamento era quello di un rischio da correre.
Viaggi nucleari lungo le strade del Piemonte. Ma la gente non ne sa nulla. - di Gaetano Pecoraro
Da Vercelli a La Hague, Normandia. Questo il viaggio delle scorie nucleari italiane che in Francia saranno riprocessate. Da qui torneranno in Italia per essere stoccate. I carichi atomici viaggiano senza che le popolazioni locali vengano avvertite come prevede una direttiva europea
A sancire il diritto della popolazione a essere informata è la direttiva della Commissione europea dell’energia atomica sui trasporti nucleari – la 618 del 1989. La norma prevede che gli stati vigilino “affinché la popolazione che rischia di essere interessata dall’emergenza radioattiva sia informata sulle misure di protezione sanitaria ad essa applicabili, nonché sul comportamento che deve adottare in caso di emergenza radioattiva”. Con diverso idioma la legge della Regione Piemonte n° 5 del 18 febbraio 2010 recita: “La Regione e i comuni interessati, senza che i cittadini debbano fare richiesta, assicurano preventivamente a tutti i gruppi di popolazione per i quali è stato stabilito un piano di emergenza radiologica, l’informazione sulle misure di protezione sanitaria ad essa applicabili nei vari casi di emergenza prevedibili, nonché sul comportamento da adottare in tali occasioni”.
Nonostante questo, il piano di emergenza prefettizio e il decreto della presidenza del consiglio dei Ministri n. 44 del 2006, la delibera regionale 25 – 1404 del 19 gennaio 2011 della giunta diRoberto Cota non prevedono nessuno di questi indirizzi. Mentre il piano d’emergenze prefettizio sancisce che la popolazione venga messa al corrente solo in caso di incidente.
Davanti al silenzio delle istituzioni i cittadini non ci stanno e protestano. “E’ assurdo che un sindaco non sappia la data precisa in cui passano i treni”, afferma Emilio Chiaberto, primo cittadino di Villar Fioccardo, comune che insieme al Movimento 5 Stelle e alla federazione nazionale Pro Natura ha fatto ricorso al Tribunale del Piemonte. “Come posso avvertire i cittadini di questo pericolo”, aggiunge . “Noi non ci opponiamo al transito dei treni con le scorie nucleari”, precisaDavide Bono – consigliere regionale del Moviemento 5 stelle – noi vogliamo che venga fatto nel rispetto delle leggi”. Intanto il 14 maggio scorso i giudici hanno stabilito che la competenza spetta al Tar del Lazio. E in attesa della decisione, i convogli con le scorie continueranno a passare.
Tremonti a Silvio: “Mi hai fatto spiare dai servizi segreti”.
Un litigio che ha fatto rimanere di sasso i presenti:
Lo scontro è avvenuto in un faccia a faccia, lunedì all’ora di pranzo ad Arcore. In quel momento nella residenza del premier c’era anche Umberto Bossi, ma non era nella stanza in cui solo Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti per pochi minuti si sono guardati negli occhi. È stato il ministro dell’Economia ad avere uno scatto di nervi come mai è avvenuto in 17 anni di rapporto fra i due. È stato uno scatto violento, che ha scosso Berlusconi e che ancora 24 ore dopo faceva sentire i suoi effetti. Martedì il Cavaliere lo ha raccontato ad almeno tre interlocutori incontrati in giornata. Da loro abbiamo raccolto la versione che collima in ogni particolare su quel che sarebbe accaduto in quella stanza. «Tu mi hai fatto spiare!», ha sibilato il ministro dell’Econo – mia davanti a un Berlusconi esterrefatto. «Hai messo i servizi segreti alle mie calcagna! », ha proseguito Tremonti.
E, secondo Bechis, nello scontro potrebbe prima o poi avere un ruolo anche Napolitano:
Lo scontro resta, e la tensione fra presidente del Consiglio e ministro dell’Economia (che pubblicamente ancora viene negata come sempre è accaduto), questa volta è assai seria. Qualche preoccupazione ieri è venuta quando senza avere preannunciato l’iniziativa, Tremonti è salito al Quirinale per fare il punto con Giorgio Napolitano. Ufficialmente ha spiegato al Capo dello Stato l’impianto della manovra (il suo) e il clima internazionale che l’accompagna. Ma nessuno può escludere che sia stato riferito anche qualcosa del terribile scontro di lunedì.‘Ndrangheta, maxi operazione in Piemonte 142 arresti. Nelle carte anche i nomi di politici. - di Elena Ciccarello
L'operazione "Minotauro" ha fatto emergere contatti tra le cosche e la politica. Centottantadue indagati, per un'inchiesta resa possibile anche grazie alle dichiarazioni rese negli ultimi anni da due collaboratori di giustizia, Rocco Varacalli e Rocco Marando. Circa 70 milioni di euro il valore dei beni sequestrati
IL LIVELLO POLITICO - Ogni locale ha un “referente” in Calabria e l’intero hinterland torinese farebbe riferimento a Giuseppe Catalano, indicato come “responsabile provinciale”. Boss e sodali ramificano i loro affari in un clima di omertà. Anche in Piemonte, come in Lombardia, le denunce “sono pochissime e ancor meno sono le denunce spontanee”, mentre la capacità di intervento degli ‘ndranghetisti è riconosciuta da “parte della popolazione” che si rivolge a loro per chiedere “piccoli favori, intermediazioni, suggerimenti” e risolvere problemi imminenti. Ma se da una parte fa paura, dall’altra la ‘ndrangheta in Piemonte intrattiene rapporti con la politica locale anche ai più alti livelli. È il solito do ut des: la ‘ndrangheta mette sul piatto i voti e ne riceve in cambio promesse e favori. I candidati entrano in contatto con i membri della consorteria nei periodi immediatamente precedenti alle consultazioni elettorali per richiederne l’intervento, consapevoli – scrivono i pm – “dell’influenza che gli affiliati sono in grado di svolgere.. nella ‘rete dei calabresi’”.
Sono almeno sette i nomi di esponenti politici locali che, pur non figurando nell’elenco degli indagati, vengono infatti riportati nell’inchiesta. Tra questi, particolarmente rumoroso quello diClaudia Porchietto, assessore al Lavoro (in quota Pdl ) della giunta regionale di Cota. L’assessore regionale Porchietto (Pdl) è stata fotografata in via Vegli a Torino, nei pressi del Bar Italia di Giuseppe Catalano, nel periodo immediatamente precedente le elezioni provinciali del giugno 2009, mentre era candidata alla poltrona di Presidente della provincia. Nel bar, in altre occasioni utilizzato dalla ‘ndrangheta per le sue riunioni e di proprietà di Giuseppe Catalano (responsabile provinciale per Torino) Claudia Porchietto incontra, oltre al proprietario, anche Franco D’Onofrio, indicato come padrino del “Crimine” di Torino.
L’altro nome è quello di Caterina Ferrero, assessore alla Sanità della giunta Cota, sempre in quota Pdl, che solo qualche giorno fa ha rimesso le delege perché raggiunta da un avviso di garanzia per turbativa d’asta. Il nome della Ferrero emerge in riferimento ad un episodio relativo alle elezioni Regionali del 2005, in occasione delle quali l’architetto Vittorio Bartesaghi, indagato per concorso in tentata estorsione, si sarebbe fatto promotore della elezione della Ferrero in consiglio regionale presso Adolfo Crea (pluripregiudicato e indicato come responsabile del “Crimine” di Torino) promettendogli cospicui guadagni su lavori pubblici. Le carte riportano inoltre i nomi, non oggetto di indagine, di Paolo Mascheroni, sindaco di Castellamonte, che sarebbe stato eletto anche grazie al sostegno del sodalizio criminale; di Antonio Mungo, candidato al consiglio comunale di Borgaro (To) durante le consultazioni del 2009 e sostenuto secondo l’indagine da Benvenuto Praticò, indicato come appartenente al “Crimine”; e infine Fabrizio Bertot, candidato nel 2009 al Parlamento europeo e attualmente sindaco di Rivarolo Canavese, che avrebbe partecipato ad un incontro al Bar Veglia di Giuseppe Catalano con alcuni calabresi, indicati dagli inquirenti come esponenti della ‘ndrangheta, al fine di raccoglierne i consensi elettorali.
Una sola cosa cruccia i membri delle famiglie di ‘ndrangheta in Piemonte, che per il resto godono di buoni affari, buoni interlocutori e sono saldamente insediati sul territorio. L’assenza in questa regione di una “camera di controllo” tra “locali” come esiste in Lombardia e Liguria. Un coordinamento che eviterebbe gli attriti tra famiglie, creando maggiore sinergia tra i gruppi e conferendo loro maggiore autonomia rispetto alla Calabria. Gli affiliati ne parlano spesso, intercettati, e ne discutono anche i boss Giuseppe Catalano e Giuseppe Comisso. Catalano: “.. perché a Torino non gli spetta?.. che ce l’hanno la Lombardia e la Liguria, giusto? Siamo nove locali..”, risponde Comisso: “.. è una cosa che si deve fare”. Al luglio 2009, data a cui risalgono le ultime intercettazioni in cui viene affrontato l’argomento testimoniano che in quella data la “camera” non esiste ancora.
‘Ndrangheta in Piemonte, l’assessore regionale Pdl minaccia di querelare Il Fatto. - di Davide Milosa
Claudia Porchietto: "Esiste un limite invalicabile tra il diritto di cronaca e lo sciacallaggio mediatico". Il politico se la prende con il nostro sito. Pubblichiamo allora il suo comunicato stampa. E buona parte del capitolo, contenuto nella richiesta d'arresto, dedicato all'assessore che non risulta indagato
Ecco cosa si legge: “Esiste un limite invalicabile tra il diritto di cronaca e lo sciacallaggio mediatico: a seguito delle notizie che ho appreso leggendo i giornali ho dato mandato ai miei legali di sporgere querela nei confronti dei giornalisti del Fatto Quotidiano e dello Spiffero per diffamazione a mezzo stampa. I fatti che riportano i due giornali, che peraltro dovrebbero essere secretati visto che non ho ricevuto alcun riscontro dalla Procura – spiega Porchietto –, riguardano la mia campagna elettorale quale candidata presidente della Provincia di Torino. Vorrei chiarire sin da subito che qualsiasi incontro elettorale, durante la citata campagna elettorale peraltro ne ho fatti a centinaia, è stato organizzato da amministratori locali, simpatizzanti o semplici elettori. È impossibile per qualsiasi candidato quindi conoscere chi incontrerà e soprattutto sapere se taluna di queste persone è soggetta ad indagine. Resto a disposizione della magistratura per tutti i chiarimenti del caso. Certamente però non accetterò mai l’utilizzo sprezzante della cronaca giudiziaria a meri fini politici, scandalistici e diffamatori”.
Vediamo, invece, cosa si legge a pagina 1694 della richiesta d’arresto firmata dai magistrati di Torino e depositata agli atti dell’inchiesta Minotauro. Il capitolo 11.4 è intitolato “La vicenda Porchietto”. Poi l’incipit: “Altamente rappresentativo dell’influenza che la ‘ndrangheta assume nella vita democratica (e in particolare del legame esistente con esponenti politici) è quanto documentato dalla polizia giudiziaria in occasione delle consultazioni previste per il 6 e 7 giugno 2009 volte all’elezione del Consiglio Provinciale e del Presidente della Provincia di Torino”. E così “a partire dal 17 maggio 2009, vengono registrate una serie di conversazioni dalle quali si comprendeva che Luca Catalano, nipote di Giuseppe Catalano, stava organizzando un incontro tra “una donna” e lo stesso Catalano Giuseppe, al quale doveva assolutamente partecipare ancheFrancesco D’Onofrio“. Chi sono questi signori? Giuseppe Catalano è considerato dai magistrati “esponente provinciale della ‘ndrangheta a Torino”. Luca Catalano è suo nipote. E’ un politico locale e non risulta indagato. Infine, Francesco D’Onofrio è ritenuto esponente di vertice del Crimine in Piemonte.
Fissati i protagonisti, riprendiamo la ricostruzione dei magistrati. “Dopo le prime telefonate, in data 22.05.09 alle ore 10.58, Luca Catalano chiama Giuseppe Catalano confermando che “lei” passerà per conoscere quest’ultimo e Franco D’Onofrio”.
“L’incontro si svolge effettivamente il 23.5.2009 dalle ore 13.54 alle ore 14.01 presso il Bar Italia di Catalano sito di Torino, via Veglia n. 59, come documentato dal servizio di videosorveglianza installato nei pressi del predetto esercizio pubblico. I partecipanti vengono identificati in Giuseppe Catalano, Franco D’Onofrio, Luca Catalano e Claudia Porchietto (candidata del partito PDL alla presidenza della Provincia di Torino). Quest’ultima viene osservata arrivare alle ore 13.54 a bordo di un’automobile Fiat Brava di colore blu, condotta da Luca Catalano”. Quindi si sottolinea: “Appare pertanto certa l’identificazione della donna non nominata nei dialoghi precedenti con la candidata Porchietto Claudia”
A pagina 1696 si legge: “A maggior conferma, alle ore 13.54 veniva captato il dialogo intercorso sulla soglia del bar tra Giuseppe Catalano e la donna, che si presentava con il cognome Porchietto”. Ecco lo stralcio dell’intercettazione:
Catalano: Luca!
Donna: Buongiorno…
Catalano: buongiorno…
Donna: Buongiorno…piacere Porchietto…buongiorno…
Catalano: piacere Porchietto…le belle donne si fanno attendere…eh..
Donna: no, e che guardi…
Catalano: eh…(ride)
Donna: stiamo girando da stamattina…
Catalano: si…
Donna: …ero all’Ospedale di Venaria con il direttore sanitario e non potevo fermarmi dieci minuti…
Catalano: Luca…vuoi pranzare qualcosa…
Donna: no io…prendiamo…
Luca: un crodino veloce…
Donna: devo essere due e mezza…di nuovo in piazza San Carlo…(incomprensibile)…è un macello …come si suol dire…
A incontro terminato lo zio Giuseppe parla con il nipote Luca Catalano. nella conversazione intercettata “vengono affrontati temi riconducibili alle prossime elezioni e al’implicazione nella vicenda della citata candidata, appena incontrata”. Ecco allora il riassunto fatto dagli investigatori e contenuto nella richiesta d’arresto: “Giuseppe Catalano chiede se possono votare anche loro che sono residenti a Volvera; Catalano Luca risponde affermativamente dal momento che si tratta delle elezioni provinciali. Catalano Giuseppe afferma che vorrebbe sentire “Claudia” e chiede al’interlocutore di fissare un nuovo incontro con lei; Catalano Luca risponde che la donna ha l’agenda piena di impegni e che in quel momento è impegnata con l’onorevole Umberto Bossi a Torino. Catalanoe replica che “è interesse della donna e non suo partecipare ad un nuovo incontro”, aggiungendo che lui oggi avrebbe potuto far venire più di quaranta persone. Catalano Luca cerca di spiegare che gli impegni della donna sono molteplici e che a causa di essi avevano trascorso la mattinata a Nichelino, ma Catalano Giuseppe lo interrompe dicendo che la tappa di Nichelino era stata inutile, in quanto “a Nichelino conosce tutti Franco” (ovvero Franco D’Onofrio).
A pagina 1697 la conclusione della magistratura: “È evidente che l’incontro narrato e i commenti al medesimo dimostrano la capacità della ‘ndrangheta di influenzare la vita istituzionale del paese, andando a incidere fortemente nelle attività e nelle rappresentanze politiche locali”. Certo Claudia Porchietto molto probabilmente non sapeva chi fossero i suoi interlocutori.
Santoro via dalla Rai, Belpietro esulta: ora è gratis. Ma Libero vive con i milioni pubblici. - di Mario Portanova
Annozero chiude è i media vicini al premier applaudono: non dovremo pagarlo noi. In realtà, il giornale dell'editore Angelucci tra il 2006 e il 2007 ha incassato q5 milioni di euro di denaro pubblico
La verità è esattamente opposta: Michele Santoro può piacere o meno, ma con Annozero alla Rai portava profitti. E’ invece proprio Libero a essersi impossessato di parecchi milioni di euro della collettività, facendosi pagare – lui sì – da noi, pur macinando privatissimi profitti a favore del suo editore Antonio Angelucci (che sempre da noi prende un lauto stipendio, visto che è stato piazzato in Parlamento dal Pdl).
Soldi della collettività che, per di più, sarebbero finiti a Libero in violazione della legge, secondo l’Autorità garante per le comunicazioni. Il 9 febbraio di quest’anno, infatti, l’Agcom ha inflitto ad Angelucci una multa di 103.300 euro proprio in relazione ai fondi di sostegno percepiti dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del consiglio.
Fondi che sono finiti sia a Libero che al Riformista, quotidiani notoriamente riconducibili ad Angelucci e alla sua Tosinvest. Solo che la legge vieta allo stesso editore di chiedere i contributi pubblici per più di una testata. Così l’Agcom ha disposto degli accertamenti ed è arrivata alla conclusione che, al di là degli assetti societari formali, Libero e il Riformista appartengono all’imprenditore-parlamentare del Pdl. L’interessato ha pagato la multa, ma ha fatto ricorso al Tar, che dovrebbe decidere il 12 ottobre. L’irregolarità è stata contestata dal 2006 al 2010. Di conseguenza, il 29 marzo il Dipartimento per l’informazione e l’editoria ha messo in moto la procedura per ottenere la restituzione dei soldi. Si parla di una cifra intorno ai 43 milioni di euro, di cui circa la metà effettivamente incassati dalle due testate. Negli anni 2006 e 2007, il giornale oggi diretto da Maurizio Blepietro beneficiò di oltre 15 milioni di euro.
Ben diverso il discorso per Annozero, reduce da una stagione di ascolti record, con punte di share del 24 per cento in prima serata (e una platea tra i cinque e i sette milioni di spettatori), contro una media di Raidue assestata intorno al 10. E questo per la Rai significa soldi, tanti soldi. L’ultima serie della trasmissione di Michele Santoro è costata complessivamente 6,3 milioni di euro, si legge in un approfondito aricolo di Lettera43, e ne ha ricavati 45 milioni in spot pubblicitari. In sintesi: Belpietro festeggia un danno per il contribuente, spacciandolo per un risparmio, dalle colonne di un giornale che al contribuente deve qualche decina di milioni di euro.