mercoledì 15 giugno 2011

Corruzione, Consiglio d’Europa: “Norme rischiose e scarsa attenzione dall’Italia”


Nel mirino dell'organismo di controllo europeo diverse disposizioni italiane. Dal processo breve, ritenuto pericoloso, al legittimo impedimento, definito "deplorevole". Passando per l'inerzia nella legislazione anticorruzione e la poca attenzione al conflitto d'interessi.

Corruzione e processo breve. Una coppia che rischia di essere pericolosa secondo il Consiglio d’Europa. Da Strasburgo arriva un giudizio non positivo sull’attività di contrasto dell’Italia, contenuto nell’ultimo rapporto del Gruppo di Stati contro la corruzione (‘Greco’). Delle 22 misure che l’organismo aveva raccomandato all’Italia di introdurre nel 2009 per rendere più efficace la sua azione contro questo fenomeno, si ricorda nel rapporto, le autorità ne hanno introdotte meno della metà. E non va meglio con le proposte spontanee del governo italiano, come il processo breve. Riguardo al quale, scrive il Greco, bisogna rimanere “cauti circa i previsti (limitati) effetti positivi che questa legge può avere sui processi futuri, quando comparati ai possibili rischi che i processi per corruzione falliscano a causa della prescrizione dei termini”. Pareri negativi anche sul legittimo impedimento e la scarsa attenzione dedicata al conflitto d’interessi, si legge nel rapporto.

Ancora sull’accorciamento dei termini di prescrizione, sui possibili ”effetti dannosi” preoccupazioni erano già state espresse da Strasburgo in occasione dell’introduzione della legge 251 del 2005. Il Gruppo aveva chiesto alle autorità di fare uno studio approfondito sul possibile effetto della prescrizione dei termini sulla impossibilità di portare a termine i processi. Ma nel rapporto si legge che questa informazione non è stata fornita.

Una “inerzia” dimostrata dall’Italia anche sul problema della corruzione nel settore privato. Per il Greco servono urgenti misure che obblighino tutte le società, quotate e non, a fare un resoconto dei propri bilanci, ma anche provvedimenti che garantiscano sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive contro il fenomeno corruttivo. Preoccupazione che comunque resta anche nel settore pubblico, per come il governo ha agito sulla riforma della pubblica amministrazione e la lotta contro il riciclaggio di denaro sporco. Dall’organismo del Consiglio d’Europa si sottolinea come “nonostante vi siano stati dei progressi”, resta ancora uno spazio considerevole per ulteriori miglioramenti.

“Nessuna o poca attenzione” dedicata anche alla questione del conflitto d’interessi, si legge nel rapporto del Gruppo. Che condivide infine con i 27 milioni di elettori italiani che hanno votato sì ai referendum la bocciatura senza appello per il legittimo impedimento. “E’ deplorevole introdurre leggi sull’immunità – scrive il Greco – che possano diventare un ostacolo alla celebrazione di un processo”.





Le verità di Annarella




P4, “Soffiate per favorire i potenti” Arrestato il lobbysta Bisignani. - di Marco Lillo


L'ex appartenente alla P2, nonché uomo d'affari vicino a palazzo Chigi, accusato di associazione per delinquere e rivelazione del segreto d' ufficio. Coinvolto anche il deputato e magistrato Pdl Alfonso Papa per il quale non è stata accolta dal Gip l'accusa di estorsione.


Non ci sono solo il lobbysta Luigi Bisignani e il deputato Alfonso Papa tra gli arrestati nell’inchiesta P4 della Procura di Napoli coordinata dai pm Henry John Woodcock e Francesco Curcio. Tra i destinatari dell’ordinanza di arresto c’è anche Enrico La Monica, maresciallo del Ros dei Carabinieri. Bisignani è ora agli arresti domiciliari. Su Papa dovrà esprimersi la Camera dei Deputati alla quale il Gip di Napoli nelle prossime ore recapiterà la richiesta di autorizzazione all’arresto. Mentre il maresciallo La Monica dopo le perquisizioni del dicembre del 2010 che annunciavano l’indagine ha preferito trattenersi in Africa, dove si trovava per un viaggio, senza tornare in servizio nella sua caserma romana.

L’accusa sostiene che Alfonso Papa e Luigi Bisignani, grazie ai loro rapporti nei palazzi della politica e della giustizia, e tra questi anche Enrico La Monica, avevano creato una sorta di rete di protezione informativa a beneficio dei potenti coinvolti nelle inchieste penali. Il riscontro dell’efficienza della rete è proprio il destino dell’indagine P4: danneggiata gravemente da una fuga di notizie sulla quale continuano in gran segreto gli accertamenti. Gli indagati non sono riusciti però a sapere notizie riservate solo sull’inchiesta che li riguardava in prima persona ma anche su altri casi molto importanti, spesso rivelati all’opinione pubblica proprio da Il Fatto Quotidiano.

Si va dall’indagine del pm di Trani Michele Ruggiero sulle pressioni del 2009 per cacciare Michele Santoro dalla RAI a quelle avviate nel 2008 dall’allora pm di Potenza Henry John Woodcock sugli appalti acquisiti dalla cooperativa La Cascina durante l’emergenza immigrazione.

La parte più delicata dell’indagine sulla P4, quella riguardante per esempio l’influenza della lobby di Bisignani sulle nomine nei servizi segreti o sui vertici della RAI, sarà invece tra pochi giorni trasmessa a Roma per ragioni di competenza.

Nell’ordinanza eseguita oggi invece si contestano a Bisignani e compagni solo alcuni specifici episodi di favoreggiamento.

Non è stato invece accolta dal Gip la richiesta di arresto per un’accusa pesantissima contro il deputato Alfonso Papa: corruzione. Secondo i pm Woodcock e Curcio la candidatura di Papa nel 2008 alla Camera per il Pdl sarebbe stata il prezzo delle informazioni ottenute da Papa sulle inchieste che interessavano Bisignani, il quale sarebbe intervenuto su Denis Verdini, il coordinatore del partito di Berlusconi che decideva chi entrava nelle liste.

Tra i beneficiati della lobby – secondo l’accusa – c’è anche Mauro Masi, allora direttore generale della RAI e da sempre grande amico di Bisignani. Secondo i pm, Bisignani brigava per conoscere il destino dell’indagine di Trani – svelata dal Fatto nel febbraio 2010 – nella quale il manager RAI era stato intercettato (ma non indagato) mentre parlava con Giancarlo Innocenzi delle strategie per fermare Annozero e gli altri talk televisivi invisi al Cavaliere.

Tra gli indagati dell’inchiesta sulla P4 di Napoli , in una posizione marginale,c’è anche Angelo Chiorazzo, un nome che i lettori del Fatto conoscono bene. Chiorazzo è il numero uno delle cooperative della galassia Cascina, vicina a Comunione e Liberazione, finita nel mirino delle procure di Potenza, nell’inchiesta raccontata dal primo numero de Il Fatto, il 23 settembre del 2009, e poi archiviata a Lagonegro nei mesi scorsi. Angelo Chiorazzo, amico di Gianni Letta come Luigi Bisignani, era stato raccomandato dal sottosegertario alla presidenza del consiglio al prefetto responsabile dell’immigrazione, Mario Morcone, poi candidato a sindaco di Napoli, per l’affidamento di appalti nel settore dei centri per richiedenti asilo. Proprio per saper notizie sull’esito di quell’inchiesta svelata dal Fatto si muoveva la lobby Bisignani-Papa.

Il terzo episodio contestato dai pm Henry John Woodcock e Francesco Curcio riguarda il mondo Finmeccanica. L’ex giornalista dell’Ansa è – per ragioni misteriose – uno degli uomini più ascoltati dai vertici delle due principali società quotate in borsa del Tesoro: Eni e Finmeccanica appunto. E, secondo i pm si sarebbe mosso per ottenere informazioni sulle inchieste penali che coinvolgevano Lorenzo Borgogni, braccio destro del numero uno del gruppo pubblico del settore bellico, responsabile delle relazioni istituzionali Finmeccanica, indagato a Roma.

Non sempre la Procura è riuscita a trovare riscontri alla reale capacità di penetrazione informativa del network. In uno degli episodi però un elemento che sembra confermarla c’è: si tratta del favoreggiamento finalizzato a trovare notizie sull’indagine riguardante la ex moglie di Gianni De Michelis, Stefania Tucci e il suo compagno di affari, Alessandro Bondanini. Bisignani, molto amico di Stefania Tucci, era riuscito a sapere che sul capo della commercialista 46 enne pendeva una richiesta di arresto. Ed effettivamente la richiesta (poi rigettata dal Gip) esisteva.

Per questi episodi Bisignani, già iscritto nella loggia segreta P2 negli anni ottanta e poi arrestato per la mazzetta Enimont da lui veicolata fin dentro le segrete stanze dello IOR in Vaticano nel 1992, ha ricevuto un’ordinanza applicativa della misura degli arresti domiciliari per favoreggiamento e rivelazione del segreto istruttorio. Secondo la difesa dell’imprenditore arrestato, invece, sarebbe stata rigettata la richiesta della Procura per il reato più grave di associazione a delinquere finalizzata alla costituzione di un’associazione segreta in violazione della cosiddetta legge Anselmi, varata per contrastare fenomeni simili alla P2. Sempre secondo l’interpretazione difensiva, inoltre, la Procura di Napoli avrebbe ricevuto uno stop dal Gip anche sul fronte delle intercettazioni delle conversazioni riguardanti i parlamentari. Tra gli indagati ci sono anche Raffaele Balsamo, titolare del negozio di telefonini dove erano state comprate le schede telefoniche, intestate a terze persone, e usate dal gruppo per comunicare in sicurezza. Il Fatto Quotidiano ha pubblicato nei mesi scorsi alcune anticipazioni sui contenuti dell’indagine. Luigi Bisignani, difeso dall’avvocato Fabio Lattanzi, nei mesi scorsi si era fatto sentire e aveva collaborato con la Procura, sperando di evitare l’arresto. In realtà ha ottenuto solo la mitigazione della pena con la concessione dei domiciliari, che sconterà nella sua splendida casa romana. Bisignani emerge nell’indagine come il consigliere più ascoltato di molti politici e manager pubblici. I pm di Napoli lo avevano interrogato per ottenere chiarimenti sulle sue parole al telefono. Tra i temi esaminati c’erano gli importanti appalti ottenuti dalla Presidenza del consiglio dalla Italgo del suo amico Anselmo Galbusera, un grande amico di Angelo Rovati che era stato perquisito senza essere indagato, nei mesi scorsi.

I chiarimenti forniti da Bisignani non devono avere convinto i pm Woodcock e Curcio. L’uomo di pubbliche relazioni aveva parlato a ruota libera mentre era intercettato nell’autunno del 2010. Bisignani discuteva questioni delicate con ministri, membri importanti di Confindustria e con i manager dell’Eni. Con l’ex direttore generale RAI Mauro Masi per esempio, come abbiamo raccontato, analizzava nel dettaglio le modalità legali per colpire Michele Santoro. L’ex iscritto alla P2 si interessava anche alle nomine ai vertici dei servizi segreti e accompagnava Adriano Santini, fresco capo dell’Aise, a incontrare il presidente del Copasir Massimo D’Alema.

Masi, Santini, D’Alema, il direttore dell’Avanti Valter Lavitola e lo stesso Bisignani erano stati sentiti in Procura a Napoli, come anche Italo Bocchino e tanti altri personaggi coinvolti dalle chiacchiere intercettate di Bisignani.

L’inchiesta ha subito però un brusco stop dovuto alla fuga di notizie che ha messo sull’allarme gli indagati alla fine del 2010. Ora arrivano gli arresti.



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