Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
martedì 26 luglio 2011
Borghezio: "La strage di Oslo colpa della società multirazziale. Che fa schifo"
lunedì 25 luglio 2011
Il boss calabrese e l’uomo di Ferrovie nord. - di Davide Milosa
In un'informativa depositata agli atti dell'inchiesta milanese Caposaldo viene documentato l'incontro tra Pasquale Guaglianone, ex tesoriere dei Nar, oggi nel cda della spa controllata da Regione Lombardia e Paolo Martino, considerato dai magistrati il referente delle cosche in Lombardia.
Per capire, però, bisogna tornare al 2009, quando va in scena un incontro decisivo. Siamo in via Durini 14, pieno centro di Milano. A due passi piazza San Babila. Altri quattro e arrivi sotto al Duomo. Diciassette settembre. Dieci minuti alle undici di mattina. Vacanze in archivio e città al lavoro. Il traffico rallenta. Due uomini s’incontrano sul marciapiede davanti al palazzo che ospita gli uffici di diverse società. Si salutano e scompaiono dentro al portone di vetro. Chi sono? Il primo indossa un impermeabile chiaro, pantaloni scuri e scarpe sportive. E’ nato a Reggio Calabria, ma da tempo ormai vive sotto la Madonnina. Si chiama Paolo Martino e gli investigatori del Ros lo considerano un influente boss della ‘ndrangheta, imparentato con la potente famiglia De Stefano. A carico ha una lunga latitanza e anche una condanna per omicidio. L’altro, invece, è molto alto. Indossa un abito grigio senza cravatta e tiene la sigaretta nella mano sinistra. Si chiama Fabio Mucciola, è nato a Roma, ma vive a Reggio Calabria dove ha sede la sua impresa. La Mucciola spa è una holding dell’impiantistica che da anni lavora in riva al Naviglio. Tanto da vincere (nel 2008) un appalto pubblico milionario messo sul tavolo dal Pio Albergo Trivulzio. L’incontro tra i due viene prima filmato dai carabinieri e poi trascritto in un’informativa agli atti dell’inchiesta Caposaldo: 15 marzo 2011, trentacinque arresti per associazione mafiosa. Un lungo elenco di indagati che comprende anche il nome di Paolo Martino. In quella tiepida giornata di settembre, però, il presunto referente delle cosche reggine al nord si muove alla grande. E con Fabio Mucciola, che ad oggi non risulta indagato dalla procura di Milano, entra al numero 14 di via Durini.
Mezz’ora più tardi i due sono di nuovo sul marciapiede. Ma non sono soli. Con loro c’è un altro uomo. Un tipo non alto, ma robusto. Pochi capelli in testa, indossa un vestito elegante e controlla il cellulare. Sul momento viene catalogato come “persona sconosciuta”. Ma un rapida “comparazione fotografica del cartellino d’identità”, lo identifica in Pasquale Guaglianone, detto Lino, nato a San Sosti, provincia di Cosenza, il 22 gennaio 1955, professione commercialista, un incarico nel Cda di Ferrovie nord, un altro in Fiera Milano Congressi spa e una passione per l’estrema destra.
Per capire da dove arriva Guaglianone basta spulciare un’informativa della Digos del 28 novembre 1981. Si legge: “Il segretario del Fronte della Gioventù di Milano, Vittorio Guaglianone è stato chiamato alla ferma militare. Pertanto l’interinato del Fronte è stato dato a suo fratello Lino (Pasquale,ndr), protetto da La Russa”. Dieci anni dopo, lo stesso Guaglianone viene condannato in primo grado (sentenza confermata in Cassazione) per la sua appartenenza ai Nar fondati da Giusva Fioravanti,Francesca Mambro, Franco Anselmi e Alessandro Alibrandi. L’accusa è precisa: “Compiere atti di violenza con fini di terrorismo e di eversione dell’ordine costituzionale, contribuendo a creare una struttura associativa interamente clandestina” che “progettava e compiva attività delittuose strumentali (…) predisponeva idonei rifugi per i militanti (…) acquistava ingenti quantitativi di armi, munizioni ed esplosivi”. Nel 1992 Guaglianone incassa cinque anni di condanna. Nel 1994, la Corte d’appello gli riconosce le attenuanti generiche scontando qualche mese.
A partire dal 2000, l’ex Nar inizia la sua riabilitazione politica. Nel 2005 si candida per An alle regionali. Una candidatura che il ministro La Russa commenta così: “Ci interessa dare posti a quella destra più a destra di noi”. Eppure, nonostante un tale sponsor, le elezioni naufragano. Anche se Guaglianone, candidato nel comune di Buccinasco, fa incetta di voti. La sua carriera politica, però, non si ferma. E così nel 2009, dopo essere confluito nel Pdl, il “protetto da La Russa” entra nel Cda di Ferrovie nord. In realtà il vecchio amore resta sempre l’estrema destra. E così l’ex Nar figura anche tra i primi finanziatori del centro sociale Cuore nero.
Nel frattempo il Lino porta avanti anche la professione di commercialista assieme al suo storico socioAntonio Italica (non indagato). Originario di Reggio Calabria, nel 1997 Italica si candida alle comunali di Milano nelle file di Alleanza nazionale. Progetto politico poi abortito. E sul quale pesa un particolare curioso. Il 10 aprile di quello stesso anno, in piena campagna elettorale, Atomo Tinelli, consigliere comunale di Rifondazione comunista, viene accoltellato mentre attacca dei manifesti. L’aggressione avviene in zona Ticinese. I suoi accoltellatori fuggono e si rifugiano nel ristorante Maya, dove, tra l’altro, ha lavorato l’ordinovista Nico Azzi (morto nel gennaio 2007). Il locale, all’epoca, è di proprietà di Guaglianone. Quella sera, poi, la sala è riservata a un cena elettorale in favore proprio di Antonio Italica. Ovviamente l’episodio non avrà alcuna rilevanza penale e non sarà mai connesso all’aggressione.
Italica e Guaglianone lavorano negli uffici in via Durini 14. Entrambi sono soci nello studio di commercialisti Mgim. E sono presenti nel collegio sindacale della Finman Spa dell’immobiliarista calabrese Mario Pecchia, il cui nome compare nell’inchiesta Cerberus sul monopolio del movimento terra da parte della ‘ndrangheta padana. Sia Pecchia che Guaglianone non risultano indagati dalla Dda di Milano. Il fattoquotidiano.it oggi ha contattato la segretaria dello stesso Guaglianone illustrandole la vicenda. Il consigliere di Ferrovie nord, però, non ha richiamato per spiegare il motivo dell’incontro filmato dai carabinieri.
Al di là delle responsabilità penali resta, però, un fatto: l’incontro, filmato dai Ros di Milano, tra l’ex Nar, recordman di incarichi nelle partecipate pubbliche, e il presunto boss della ‘ndrangheta. I due, assieme all’imprenditore Fabio Mucciola, si congedano pochi minuti prima di mezzogiorno del 17 settembre 2009. Con loro c’è anche una signora bionda, il cui nome compare solo in una nota dell’informativa. Si tratta di Carla Spagnoli nata a Perugia nell’aprile del 1953 (non indagata). La signora, figlia dell’ex presidente del Perugia Calcio, aderisce ad Alleanza nazionale durante la svolta di Fiuggi del 1995. Nel 2004 fonda la corrente dei Cristiano-Riformisti. In quello stesso anno si candida alle europee. Nel 2007 lascia An e confluisce nella Destra di Storace, lista con la quale, nell’aprile 2008, si candida al Senato. Nel 2009 fonda il Movimento per Perugia. E’ febbraio. Pochi mesi dopo la ritroviamo nel pieno centro di Milano in compagnia di un ex terrorista nero e di un presunto boss della ‘ndrangheta.
Arrestato Vittorio Cecchi Gori.
L'accusa per il produttore:
bancarotta fraudolenta
Avrebbe sottratto 14 milioni
destinati alla custodia giudiziaria
ROMA
Arrestato nuovamente il produttore cinematografico Vittorio Cecchi Gori. I finanzieri del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Roma hanno eseguito nei confronti dell’imprenditore un’ordinanza di custodia cautelare degli arresti domiciliari per bancarotta fraudolenta, disposta dal Tribunale capitolino, su richiesta dei sostituti procuratori della Repubblica di Roma, Stefano Fava e Lina Cusano, coordinati dal procuratore aggiunto Nello Rossi.
Secondo l'accusa Cecchi Gori aveva distratto i beni del patrimonio sociale della società Fin.Ma.Vi. S.p.A., causando un passivo fallimentare di circa 600 milioni di euro attraverso strumentali operazioni di finanziamento a favore di altre società a lui riconducibili, tra cui due società statunitensi (la Cecchi Gori Pictures e la Cecchi Gori Usa).
Proprio queste due società americane, nel marzo del 2011 hanno vinto una causa legale intentata negli Stati Uniti nei confronti della Hollywood Gang Production del produttore italo-americano Gianni Nunnari.
Il Giudice della California ha pertanto ordinato alla società di Nunnari di corrispondere alle due società americane di Cecchi Gori la somma di circa 14 milioni di dollari, immediatamente sottoposta a sequestro dal Tribunale di Roma, al fine di metterla a disposizione della procedura fallimentare per la soddisfazione dei creditori della Fin.Ma.Vi. S.p.A..
La somma non è però mai stata resa disponibile alla custodia giudiziaria. Cecchi Gori avrebbe anzi tentato, anche attraverso propri emissari negli Stati Uniti, di entrare in possesso del denaro oggetto del provvedimento di sequestro. Cecchi Gori era già stato arrestato dal Nucleo di Polizia tributaria di Roma nel giugno del 2008 nell'ambito del procedimento penale scaturito a seguito del fallimento della Safin società cinematografica S.p.a., controllata dalla Fin.Ma.Vi. S.p.a.
http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/413010/
L'America non è la Grecia. - di Alberto Bisin.
Per quanto noi europei troviamo rassicurante immaginare gli Stati Uniti mentre nuotano in acque turbolente quanto le nostre, la situazione reale è ben diversa. Il default degli Stati Uniti, qualora avvenisse, sarebbe dovuto all’impossibilità di sorpassare un tetto legale all’indebitamento che il Congresso ha posto e che il Congresso può alzare con un voto e un tratto di penna: sarebbe quindi una questione legale, puramente contabile e avrebbe un significato soprattutto simbolico. I mercati non si sognano nemmeno di limitare il credito agli Stati Uniti, né di richiedere tassi elevati o crescenti per sottoscriverlo. Infatti i tassi sui titoli del Tesoro Usa sono stabili da tempo a livelli storicamente bassi; i tassi sui titoli a 6 mesi e oltre sono addirittura scesi nell’ultimo mese.
La ragione dell’impasse legislativa sta nel fatto che il Congresso a maggioranza repubblicana è in una posizione di forza contrattuale notevole: rifiutandosi di votare l’innalzamento del tetto costringe l’amministrazione ad affrontare una crisi fiscale e un potenziale default che, per quanto simbolico, rappresenterebbe una figuraccia per Obama. In altre parole, i repubblicani stanno essenzialmente ricattando l’amministrazione Obama per ottenere che il governo si vincoli a quei tagli di spesa che essi considerano fondamentali per la crescita del Paese. In realtà un innalzamento del tetto sul debito pubblico tale da evitare il default fino al 2012 è già sul piatto della contrattazione, essendo stato offerto ieri dal presidente della Camera Boehner. Ma è un boccone avvelenato perché se Obama lo accettasse si aprirebbe una nuova stagione di negoziazioni proprio prima delle prossime elezioni presidenziali.
Gli Stati Uniti non sono la Grecia, quindi. E nemmeno la Spagna o l’Italia. I problemi di bilancio di questi Paesi sono infatti reali ed imminenti, nel senso che essi non trovano investitori disposti a finanziare il proprio debito, se non a spread elevati rispetto a Paesi i cui conti siano in ordine, come la Germania. Ciò non toglie però che gli Stati Uniti abbiano un problema fiscale serio ed importante, in parte dovuto alle spese militari e ai tagli fiscali dell’ultimo decennio così come alle spese per lo stimolo fiscale dopo la crisi del 2008. Inoltre, in prospettiva, la spesa per pensioni e sanità (dovuta quest’ultima sia al pre-esistente sistema sanitario per gli anziani che alla nuova riforma Obama) appaiono fuori controllo. Ma proprio il tetto legislativo al debito pubblico costringe gli Stati Uniti ad affrontare il loro problema fiscale oggi, ben prima che i nodi vengano al pettine. Qualunque cosa si pensi del ricatto a cui i repubblicani stanno sottoponendo l’amministrazione Obama, e qualunque cosa succeda nei prossimi giorni, gli Stati Uniti usciranno da questa crisi con un accordo che limiterà l’eccessiva spesa pubblica di qui a due anni almeno. Una soluzione politica ad un problema economico, che medierà tra le esigenze e le preferenze delle diverse classi di cittadini rappresentati da democratici e repubblicani, ben prima che i mercati operino pressione sul governo perché questo avvenga. Per quanto il meccanismo istituzionale del tetto al debito pubblico generi queste crisi un po’ fasulle, più contabili che altro, esso sembra in grado di raggiungere un obiettivo importante: costringere le parti a ridurre la spesa sedendosi ad un tavolo negoziale prima dell’emergenza.
E’ proprio questo che è mancato e ancora manca all’Europa.
Quando si dice: un magna, magna. - di Alessandro Gilioli.
Gli abusi e i privilegi sul cibo – insieme a quelli sulla casa – sono fra quelli che più fanno venire il sangue caldo. Ci dev’essere una ragione atavica, suppongo: probabilmente irrazionale.
E’ quindi invitando alla massima compostezza che qui si pubblica (da questa inchiesta di Emiliano Fittipaldi) l’originale di un menù del ristorante del Senato.
Sia ben chiaro, nulla che non sia stato già scritto, a partire dal libro di Stella e Rizzo.
Ma vederlo così, stampato sull’originale, fa lo stesso un po’ impressione, considerando anche che i pranzi vengono preparati da eccellenti cuochi e serviti da camerieri in livrea, insomma non è propriamente la mensa della Caritas. E la differenza tra quanto pagano i senatori e quanto costa il ristorante, beninteso, la pagano i contribuenti.
http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/07/25/quando-si-dice-un-magna-magna/
Irlanda, Santa Sede reagisce alle accuse Preti pedofili a Cloyne, richiamato il nunzio.
Dopo la pubblicazione del rapporto della commissione d'inchiesta sugli abusi sessuali ai danni di minori nella diocesi a sud del paese e a seguito della accuse lanciate in Parlamento dal premier Kenny ("Vaticano ha incoraggiato a tacere"), Monsignor Giuseppe Leanza richiamato per consultazioni.
Il premier irlandese Enda Kenny
Si tratta della prima risposta del Vaticano al durissimo atto d'accusa pronunciato mercoledi scorso in Parlamento dal premier irlandese Enda Kenny, secondo cui "il rapporto della commissione ha evidenziato il tentativo della Santa Sede di bloccare un'inchiesta in uno Stato sovrano, democratico e Repubblica non più di tre anni fa, non trent'anni fa".
Alle parole del premier aveva replicato padre Lombardi, direttore della sala stampa vaticana. "La Santa Sede risponderà opportunamente alla domanda posta dal Governo irlandese a proposito del Rapporto sulla diocesi di Cloyne". Il religioso aveva anche richiamato tutti a dibattere la vicenda con la massima obiettività, in modo da contribuire alla causa che deve stare maggiormente a cuore a tutti, cioè la salvaguardia dei bambini e dei giovani e il rinnovamento di un clima di fiducia e collaborazione a questo fine, nella Chiesa e nella società, come auspicato dal Papa nella sua Lettera ai cattolici dell'Irlanda".
A sua volta, l'arcivescovo di Dublino Diarmuid Martin aveva respinto con forza le accuse lanciate dal premier irlandese, sottolineando che nella diocesi di Cloyne sono state ignorate le norme del 2001, volute dall'allora cardinale Ratzinger, dunque dal Papa attuale.
Mercoledì scorso, davanti al Dail, la camera bassa del Parlamento irlandese, il premier Kenny aveva apertamente accusato il Vaticano di "disfunzione, disconnessione e elitarismo", per aver incoraggiato i vescovi a non denunciare gli abusi da parte di 19 esponenti religiosi della diocesi di Cloyne alle autorità ufficiali, secondo quanto affermato dalla commissione d'inchiesta nel suo rapporto. Kenny non aveva usato mezzi termini. La vicenda di Cloyne, aveva affermato in Parlamento, "fa emergere la disfunzione, la disconnessione e l'elitarismo che dominano la cultura del Vaticano. Lo stupro e la tortura di bambini sono stati minimizzati per sostenere, invece, il primato delle istituzioni, il suo potere e la sua reputazione".
Alla pubblicazione del rapporto, prima che Kenny pronunciasse il suo atto d'accusa, padre Lombardi si era già espresso, garantendo la volontà della Santa Sede di accertare la verità e una sua pronta risposta alle rivelazioni su Cloyne. In attesa di quella risposta, il gesuita aveva ricordato "gli intensi sentimenti di dolore e di riprovazione espressi dal Papa in occasione del suo incontro con i vescovi irlandesi, convocati in Vaticano l'11 dicembre del 2009 proprio per affrontare insieme la difficile situazione della Chiesa in Irlanda alla luce del Rapporto sull'Arcidiocesi di Dublino, allora recentemente pubblicato. Il Papa parlava allora apertamente di 'sconcerto e vergogna' per 'i crimini odiosi'".
Padre Lombardi aveva richiamato in proposito che "proprio in seguito a tale incontro, e a uno successivo del 15 e 16 febbraio 2010, il Papa ha pubblicato la sua nota e ampia Lettera ai Cattolici dell'Irlanda, del 19 marzo successivo, in cui si trovano le espressioni più forti ed eloquenti di partecipazione alle sofferenze delle vittime e delle loro famiglie, come pure di richiamo alle terribili responsabilità dei colpevoli e alle mancanze di responsabili della Chiesa nei loro compiti di governo o di sorveglianza. Una delle azioni concrete seguite alla Lettera del Papa è la visita apostolica alla Chiesa in Irlanda, articolata nelle visite alle quattro archidiocesi, ai seminari e alle Congregazioni religiose, visita i cui risultati sono in uno stadio avanzato di studio e di valutazione".