giovedì 5 gennaio 2012

Di Chi sono i Tuoi Soldi? - DI GIANPAOLO MARCUCCI



diodenaro



Il debito di uno Stato è per definizione un debito pubblico. 


Ciò significa che a farlo sono i politici, ma a pagarlo sono tutti i cittadini. Il creditore del debito pubblico è colui che possiede i Titoli di Stato, e i Titoli di Stato italiani, sono in mano per lo più a banche, compagnie di assicurazione e fondi d’investimento. 
Ma se i creditori del debito pubblico sono privati e tale debito è stato contratto da politici corrotti, perché sono i cittadini a doverne pagarne le conseguenze?


La parola debito sembra essere l'unica costante della nostra economia, la moneta stessa oggi viene emessa a debito
ma il debito è un sistema senza fine. 
Più si è indebitati e più bisogna indebitarsi e gli stati europei - ma non solo - hanno oggi debiti pubblici di entità superiore ai loro PIL e non godendo più della sovranità monetaria, ovvero non potendo stampare autonomamente moneta, all’occorrenza sono costretti a chiedere un prestito alle banche centrali, a loro volta controllate da banche private
Come se non bastasse, a livello mediatico l’obbligo di pagare sempre e comunque il debito è un concetto assodato per chiunque. 
Nessun giornale o canale televisivo accennerà mai alla possibilità di non pagarlo. Grazie a questo sistema, un gruppo ristretto di privati è oggi in grado di indebitare interi stati e all’occorrenza, di dichiararli sul baratro, così da potergli prestare ulteriore denaro. Se si segue la regola secondo la quale qualsiasi legge va rispettata, seppur lo si trovi assurdo, non si può uscire da tale logica, in quanto il debito pubblico per legge va pagato. 
Ma la legge non è sempre sinonimo di giustizia, pertanto quando essa nuoce ai più per favorire i pochi, è indubbio che essa vada modificata e di sicuro non vi è alcun obbligo morale di rispettarla. Se si ritiene che non sia etico, non sia equo o non sia corretto pagare un debito pubblico contratto da politici corrotti nei confronti di banchieri privati, va fatto di tutto per far comprendere all’intera popolazione la natura fraudolenta di tale debito e la natura egualmente fraudolenta delle manovre economiche proposte dall'alto per sanarlo.


Inventiamo nuovi strumenti che ci permettano di uscire dalla catena della debitocrazia partendo dalla presa di coscienza che alternative a questo sistema esistono e che non sono così irraggiungibili come vogliono farci credere.

Violenze al carcere minorile: tutti sapevano Un ex detenuto: “Era una guerra tra bande”. - di Giulia Zaccariello e Ilaria Giupponi.




Il ministro della Giustizia Paola Severino ha azzerato in un solo giorno i vertici dell'amministrazione penitenziaria a Bologna e la Procura ha aperto un fascicolo. Secondo gli ispettori del ministero tutti sapevano, ma non hanno mai denunciato cosa avveniva dentro al Pratello.

Di quei tre anni passati nel carcere è rimasta solo una cicatrice sul viso, uno sfregio guadagnato a 17 anni dopo un regolamento di conti tra detenuti. Oggi Aldo, ex adolescente rinchiuso nell’istituto minorile di Bologna, ricorda quell’episodio con distacco, come uno dei tanti che ogni giorno scandivano la vita dei giovani nella struttura. Risse, angherie, scherzi che sfociavano in prepotenze e scene del peggior bullismo. Una realtà con cui ha dovuto convivere dal 2007 al 2010, e che non è mai trapelata fuori dalle mura di quell’edificio a due passi dalla centro città. Fino all’ispezione ordinata a dicembre dal ministero della Giustizia, che ha azzerato i vertici dell’amministrazione carceraria minorile a Bologna, tutto è rimasto nascosto.

Non una denuncia né una parola che raccontasse quale difficile mondo fossero costretti ad affrontare ogni giorno i ragazzi. Un quadro a tinte fosche, in parte già raccontato dagli ispettori mandati dal ministro Paola Severino, su cui ora proverà a far luce anche un’inchiesta avviata dalla procura. E che ogni giorno si arricchisce di nuove storie di violenze. Come quella di Aldo raccolta dal fattoquotidiano.it.

“I litigi molte volte avvenivano all’insaputa degli agenti, ce la sbrigavamo fra noi – spiega il giovane al telefono – Funzionava così: il pesce piccolo veniva mangiato dal pesce più grosso. In altre parole, vinceva sempre il più forte”. Detenuto per tentato omicidio, furti vari e rapina a mano armata, Aldo rimane al Pratello di Bologna per tre anni: “Non sempre c’era un motivo alla base delle violenze. Basta che un giorno un ragazzo si alzi col piede storto. È bullismo, ti mettono alla prova.”. E via con le prepotenze: “Sparivano i vestiti. Altre volte erano gli altri detenuti che ti obbligavano a darglieli, e se non lo facevi rischiavi che ti spaccassero la faccia durante l’ora d’aria. Era fastidioso perché ti prendevi un provvedimento disciplinare o una denuncia per cosa? Un paio di pantaloni”. Motivi futili, ma quando si è dentro, ammette ancora, si è costretti a reagire. “Se stai zitto tutti gli altri ragazzi ti prendono di mira, perché diventi il pollo della situazione”. E si rischia grosso. “A me è stata tagliata la faccia con una lametta, perché volevano che i miei compagni di cella lavassero i pantaloni a un capo della gang. Ho reagito, e se non l’avessi fatto magari mi avrebbero tagliato anche la gola. Non sapevi mai quello che poteva succederti”.

Aldo rivela poi i trucchi per procurarsi le armi. “Venivano create rompendo dei termosifoni e affilando i pezzi. Ne uscivano vere e proprie lame. Oppure venivano rotti i sanitari: la porcellana è micidiale”. E quelli che lui chiama “giochi” appaiono come delle punizioni tra detneuti al limite della tortura. “Il più comune era il gioco della “bicicletta”: quando dormivi ti mettevano la carta tra le dita dei piedi e poi le davano fuoco”.

Ma le violenze non erano solo tra i ragazzi o tra le diverse bande del carcere. “Spesso i detenuti si credevano così potenti da alzar le mani anche contro gli agenti. Ma in tre anni non ho mai visto un poliziotto alzare le mani su uno di noi”. Mentre per quanto riguarda eventuali casi di violenze sessuali, Aldo nega: “Non ne ho mai sentito parlare. Ovviamente io non sono più lì dentro e non posso sapere, ma a meno che non sia cambiato il personale, non credo sia successo”.

Il racconto di Aldo conferma in parte ciò che è già emerso dalle indagini del ministero della Giustizia. Nella relazione finale dell’ispettore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, mandato il 6 dicembre scorso, si parla di quattro tentativi di suicidio, un presunto abuso sessuale nei confronti di un ragazzo di quindici anni da parte di altri detenuti, risse, agenti della polizia penitenziaria percossi, estorsioni, incendi, danneggiamenti e lesioni. Ma anche di punizioni sopra le righe, manette usate impropriamente, scappellotti ai ragazzi detenuti e un uso eccessivo della cella di isolamento, a volte utilizzata dopo aver smontato la finestra, per lasciare i giovani al freddo.

I reati sarebbero stati annotati nel registro disciplinare della struttura ma mai comunicati all’autorità giudiziaria. Per questo motivo il ministro Paola Severino ha già rimosso dai loro incarichi Lorenzo Roccaro, direttore del carcere del Pratello, di Giuseppe Centomani, direttore del Centro giustizia minorile di Bologna, e di Aurelio Morgillo, comandante della polizia penitenziaria. Mentre la procura di Bologna, su segnalazione del procuratore capo dei minori, Ugo Pastore, ha aperto un fascicolo (per ora non risultano indagati) per omissione di rapporto.

Gli incarichi ora sono stati affidati a Paolo Attardo, che assumerà ad interim la guida del Centro di giustizia minorile di Bologna, a Francesco Pellegrino, nuovo direttore del Pratello e ad Alfio Bosco, capo della polizia penitenziaria.

Mortacci vostri. - di Marco Travaglio.






Uccisi dalle tasse”, titolava ieri il Giornale di zio Tibia, al secolo Sallusti. 


Poi sottotitolava: “Ieri ancora un suicidio, e fanno 13. Gli imprenditori sono disperati, ma nessuno li difende”. Sarebbe il caso di aggiungere che quelli disperati sono gli imprenditori onesti, non certo gli evasori: quel che è saltato fuori a Cortina nella prima visita della Guardia di Finanza da almeno vent’anni a questa parte parla da sé. 


Ma, soprattutto, sarebbe il caso di ricordare chi ha governato dal 2008 al 2011: l’unico premier al mondo che, mentre gli altri combattevano la crisi, la negava. “Crisi psicologica”. Colpa di Annozero e dei “programmi Rai che diffondono pessimismo, panico e sfiducia” e dei giornali che “sono essi stessi fattori di crisi”. 
Ma anche delle agenzie di rating, “le organizzazioni internazionali che un giorno sì e uno no dicono: deficit +5%, consumi -5%, crisi di qui crisi di là, crisi fino al 2011: un disastro! Chiudiamogli la bocca”. La famosa crisi percepita, un fenomeno di autosuggestione collettiva. “Tranquilli, abbiamo l’83%di case di proprietà, più auto e più telefonini di ogni altro paese europeo” e poi“ gli aerei e i ristoranti sono pieni”. 
Un giorno ammise che la crisi c’era, ma “ne usciremo prima degli altri perché siamo i migliori”.“Siamo in piena ripresa”, si portò avanti Brunetta. 
E B., l’autunno scorso: “il Paese è solido, la crisi è colpa dei mercati che – diceva mio padre – sono orologi rotti”. E pure della magistratura, altro noto “fattore di crisi”. 
Intanto nel Nordest si ammazzavano imprenditori su imprenditori: ma guai a parlarne, per non diffondere pessimismo. 
Il 27 marzo 2010 il vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei rivelò davanti al presidente Napolitano e al governatore Draghi: “Solo nel Nordest, da inizio crisi a oggi, ci sono stati 18 suicidi di imprenditori: questo per dire quanto sia crudele e drammatica la situazione”. 
Nei tre giorni seguenti la rassegna stampa della Camera raccoglie 168 fra articoli e prime pagine del Giornale: ma cercarvi le parole “suicidi” e “Bombassei” è sforzo vano. 


Governava B., dunque il suicidio degl’imprenditori “uccisi dalle tasse” era un perfido esercizio di antiberlusconismo
Ora che invece governa Monti (da 50 giorni), allora sì che gli imprenditori suicidi, anzi “uccisi dalle tasse” fanno notizia e meritano la prima pagina. Dove quel gran genio di Nicola Porro ci spiega che “la crisi economica è seria” (benvenuto!) e “il fenomeno dei suicidi è una costante”, ma “ciò che cambia è che l’urlo di disperazione e di rabbia dei nostri concittadini questa volta ha un indirizzo ben preciso: lo Stato”. 
Ecco,“questa volta” il suicida è “ucciso dalle tasse”. E chi le ha messe, le tasse? La sinistra e Monti, ça va sans dire. B. invece, com’è noto, le toglieva. 
E pazienza se la pressione fiscale è aumentata proprio sotto il governo dell’uomo che prometteva “due sole aliquote del 23 e del 33%” e giurava di non aver “mai messo le mani nelle tasche degli italiani”. 
Infatti dal recente libro "Tassati e mazziati" di Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre, si scopre che “lo Stato preleva ai contribuenti onesti il 51% del reddito lordo” fra tasse dirette, indirette e occulte. Il Tax Freedom Day, cioè il giorno dell’anno in cui possiamo finalmente metterci in tasca tutta la nostra paga senza prelievi fiscali, nel 2000 (ultimo anno della legislatura del centrosinistra) arrivava il 1° giugno. 
Nel 2010, dopo sette anni su dieci con B. al governo, s’era spostato al 6 giugno. 
Brutta bestia, il doppio pesismo. 
Ci sono giornali filomontiani “a prescindere”, che ogni giorno“aprivano” con lo spread alto finché governava B e, ora che governano i tecnici e i sobrii, lo tengono basso anche se resta alto come prima. E c’è il Giornale, che contravviene addirittura alla regola della “Livella” di Totò (almeno davanti alla morte siamo tutti uguali): zio Tibia divide i suicidi in due categorie: quelli di serie A, che si tolgono la vita sotto Monti; e quelli di serie B che, essendosela tolta sotto Berlusconi, sono un po’meno morti. 
Anzi, è come se fossero ancora vivi.


Da Il Fatto Quotidiano del 05/01/2012.


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La ministra canara. - Anna Lombroso per il Simplicissimus




Quella che vedete sopra è la soluzione del Governo pensata per fronteggiare l’emergenza carceri.
Si tratta di una delle cosiddette camere di sicurezza che dovrebbero accogliere gli arrestati in flagranza di reato e in attesa della convalida. Se ne è  tanto parlato senza però che nessuna immagine visualizzasse la realtà.
A assicurare custodia, garanzie dei detenuti e sicurezza dei cittadini dovrebbe essere i carabinieri e la polizia di stato che per bocca del suo vice-capo ha già dichiarato la sua ferma contrarietà.
Le celle di sicurezza sono troppo «poche» e non garantiscono la dignità di chi vi dovrebbe essere rinchiuso, ha detto Francesco Cirillo nel corso della sua audizione davanti alla commissione Giustizia del Senato. Delle complessive 1057 camere di sicurezza, 658 sono a disposizione dei carabinieri, 327 della polizia e 72 della Guardia di finanza, ha spiegato, ma tutte sono inadeguate ai nuovi scopi che si vorrebbero loro attribuire: non ci sono servizi igienici, non c’è separazione tra uomini e donne e non sono organizzate in modo da consentire l’ora d’aria. Insomma, mancano i requisiti minimi per assicurare «la dignità» dei detenuti. E i funzionari di polizia confermano di non essere disposti a fare gli “sbirri” per eseguire una misura incivile, “tenendo un soggetto 48 ore in uno spazio strettissimo con uno giaciglio in muratura ed una coperta, senza una finestra ed un bagno sia meno traumatico che andare in carcere dove nella cella troverebbe un letto pulito, un pasto, un servizio igienico, assistenza sanitaria ed un ora d’aria, servizi che la polizia non è assolutamente in condizione di assicurare”.
È paradossale che un Ministro della Giustizia a fronte di critiche e obiezioni, ostinatamente voglia esercitare un così palese oltraggio ai diritti.
La salvaguardia della dignità e il rispetto dei cittadini – anche di quelli che hanno sbagliato e devono pagare – dovrebbe rappresentare un valore della civiltà e della democrazia irrinunciabile. Dai dati del ministero della Giustizia aggiornati al 31 ottobre 2011, emerge che la capienza regolamentare dei 206 istituti penitenziari italiani è di 45572 posti, a fronte però di una popolazione carceraria effettiva di ben 67510 persone. Di esse, 24458 sono di nazionalità straniera. Più di 14000 sono in attesa di giudizio e solo 37595 sono già condannate in via definitiva. I suicidi nelle carceri italiane, sono stati 690 dal 2000 al 2011, una cifra che tutti dobbiamo soffrire, ha ricordato proprio la Guardasigilli, come il “segno del fallimento di tutto il sistema giudiziario e carcerario”.
Il decreto che è stato chiamato “svuota-carceri” non propone un disegno riformatore, si limita a scaricare la pressione di una emergenza indegna di un paese democratico e censurata anche dall’Europa, su un accorgimento degradante per la civiltà, quello di trovare un parcheggio temporaneo, un “luogo in cui la persona sia momentaneamente trattenuta in attesa di essere portata in tribunale”.
La Ministra sembra incurante delle lagnanze degli addetti alla sicurezza che le hanno rammentato di non voler essere i “canari” che tengono rinchiusi uomini ridotti ad animali in gabbia, magari ammanettati a un’inferriata o a un radiatore, con il rischio di ripercussioni sulla sicurezza collettiva. Per “custodire” i 21.000 detenuti coinvolti nel cosiddetto fenomeno delle porte girevoli, che incidono mediamente per soli 115 posti giornalieri si metterebbe in crisi il sistema di controllo del territorio, privandolo dei servizi di vigilanza e deterrenza della micro criminalità.
Pare che a questo Governo si addicano le soluzioni finali: quelle che “consigliano” i lavoratori a morire di vecchiaia prima della pensione e i detenuti in attesa di giudizio a appianare in una sola volta il problema delle carceri e quello della giustizia: i suicidi nelle carceri italiane, sono stati 690 dal 2000 al 2011, una cifra che tutti dobbiamo soffrire, ha ricordato proprio la Guardasigilli, come il “segno del fallimento di tutto il sistema giudiziario e carcerario”.
Una sia pur breve sosta in quel luogo di infamia e di sfregio all’umanità sembra un invito trasversale ma molto persuasivo scegliere un’alternativa definitiva a una vita difficile cui si aggiunge un oltraggio.

Fusione fredda: l'e-cat domestico di Rossi costerà tra i 1000 e 1500 euro. - di Simona Falasca





Il 2012 si prospetta carico di aspettative e novità per l’e-cat di Rossi. Per l'anno nuovo l’ingegnere italiano ha deciso di lanciare una produzione di massa di E-Cat domestici a prezzi accessibili destinati al riscaldamento domestico. E dai microfoni di un talk show radiofonico statunitense annuncia che l’impianto che si accinge a distribuire, che potrà avere una potenza oscillante fra i 10 e i 20 kW, costerà dai 1000 ai 1500 dollari, come riporta E-Cat World sul proprio sito.
L’ingegner Rossi, intervistato per oltre un’ora da James Martinez su Ca$h Flow Radio, ha illustrato, così, i piani per produrre le unità, confermando che il costo della E-Cat sarà così basso da essere in grado di ripagarsi in pochi mesi. Rossi non ha esitato a fornire il prezzo indicativo e la potenza del macchinario che metterà in vendita a partire dal prossimo autunno, confermando, poi, l’organizzazione di una rete di vendita che coprirà tutto il mondo. Il centro della produzione, invece, sarà negli Stati Uniti.
Per quanto riguarda la distribuzione, “siamo in trattative con Home Depot (un distributore di prodotti per la casa con sede ad Atlanta, n.d.r.)”, rivela l’ingegnere. La Leonardo Corporation, società americana di Andrea Rossi con sede a Bedford, New Hampshire, si occuperà, invece, di comunicare le istruzioni su come installare l’E-Cat agli imprenditori, che, se vorranno, potranno richiedere l’assistenza di tecnici certificati per l'installazione.
Ma si è parlato poco, durante l’intervista, dell’alone di mistero che circonda questa invenzione. Nemmeno sui segreti che riguardano queste collaborazioni, o sul fatto che lo stesso Rossi, nelle interviste e nei blog, abbia parlato a volte di un singolo partner, a volte di più partner. Perché l’ingegnere è “poco interessato alle polemiche sul suo lavoro.” Lo scetticismo non lo tocca affatto.
Non sappiamo se Andrea Rossi abbia davvero in mano quanto dichiara. L’unico dato certo è che l’Ingegnere italiano in questa partita si sta giocando tutto, soprattutto sul piano della credibilità.
Per ascoltare l’intervista (in inglese) clicca qui
Per i più curiosi, è possibile consultare lo stato del brevetto italiano all’l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi .

mercoledì 4 gennaio 2012

Ci stiamo arrivando...



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Disoccupati per il fisco, scovati nei migliori alberghi di Cortina: Cicchitto protesta.




La finanza tra i Vip di Cortina d'Ampezzo per un'operazione di contrasto all'evasione fiscale. Controlli in alberghi e boutique di lusso, tra porsche e pellicce di visone.
Scovati diversi evasori totali, personaggi del tutto ignoti al fisco che non hanno mai pagato un euro di tassa in vita loro.
Eppure c'è una parte politica che invece di applaudire alle forze dell'ordine, protesta e condanna queste operazioni di contrasto all'evasione fiscale.
La prima palma d'oro dell'imbecillità della casta 2012 tocca a Fabrizio Cicchitto, capogruppo del PDL alla Camera, già deputato del Partito Socialista di Craxi fin dal lontano 1976 e membro della loggia massonica P2.

Cicchitto non si limita a condannare i controlli della finanza nel regno dei VIP di Cortina, ma addirittura minaccia i vertici dell'agenzia per le entrate e della Guardia di Finanza affinchè non si permettano più in futuro di mettere il naso nei conti e negli affari degli straricchi evasori e commercianti di Cortina. 

Nel suo comunicato all'ansa di stamane il tono intimidatorio di Cicchitto è alquanto chiaro:

"coloro che sovrintendono alla lotta all'evasione fiscale e quindi tra essi in primo luogo il dottor Befera devono anche avere la consapevolezza che operazioni come quelle fatte ieri a Cortina con controlli a tappeto rispetto a tutta un'area perche' presumibilmente popolata in queste vacanze da ricchi sono del tutto inaccettabili e chiaramente ispirate a una concezione ideologica del controllo fiscale".

Qui di ideologia ce ne è ben poca, di soldi nascosti al fisco invece ce ne sono tanti. 
E a pagare continuano ad essere sempre e solo gli onesti imprenditori, i lavoratori e i pensionati.
Insomma, a Cicchì, ma vaffanCortina...